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La nonviolenza e' in cammino. 701
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 701
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 11 Oct 2003 22:42:30 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 701 del 12 ottobre 2003 Sommario di questo numero: 1. Giuliana Sgrena: un premio Nobel a Shirin e le altre 2. Redazione del sito della Libreria delle donne di Milano: sulla proposta di Lidia Menapace 3. Da Perugia ad Assisi, oggi 4. Francesco Tullio: il bisogno di sicurezza e la difesa civile per l'Europa (un contributo alla proposta di Lidia Menapace). Parte terza e conclusiva 5. Silvio Cinque intervista Lidia Menapace (2001) 6. Giorgio Poletti: un'azione nonviolenta per i diritti degli immigrati 7. Claudio Tugnoli presenta "Pace e interculturalita'" di Raimon Panikkar 8. Rete Lilliput: dalla marcia della pace a un network per il disarmo 9. Amnesty International, Oxfam e Iansa lanciano una campagna mondiale sul commercio di armi 10. Enrico Peyretti: un commento al film di Gus Van Sant 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIULIANA SGRENA: UN PREMIO NOBEL A SHIRIN E LE ALTRE [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre 2003. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso] "La vita di una donna vale come un occhio strabico di un uomo". Ma anche un occhio strabico a volte puo' avere un riconoscimento ambito come il premio Nobel per la pace. L'amara constatazione sulla condizione della donna in Iran e' proprio di Shirin Ebadi (come ricorda Nadia Pizzuti nel suo libro Mille giorni con gli ayatollah), l'avvocatessa iraniana che ha ricevuto ieri il riconoscimento assegnato a Oslo. Un premio inatteso quanto meritato e per nulla scontato. Sebbene il clima politico internazionale, che vede l'Iran nel mirino degli Usa, abbia indotto qualcuno a giudicare l'assegnazione del premio esclusivamente in funzione anti-Bush, sono bastate le prime dichiarazioni di Shirin Ebadi a smentire questa interpretazione riduttiva e offensiva nei confronti di molte donne che si battono, anche in Iran, per i loro diritti in piena autonomia. L'avvocatessa cinquantaseienne stava per imbarcarsi su un volo per Tehran all'aeroporto di Roissy a Parigi quando ha ricevuto la notizia. "Questo premio non appartiene solo a me ma a tutti coloro che lavorano per la democrazia e la pace in Iran" e "spero che questo Nobel dia coraggio a tutte le donne iraniane e musulmane come me, ma anche a tutte le donne", e' stata la prima reazione di Ebadi che si e' presentata alla stampa con la solita modestia ma anche coraggiosamente senza velo. Che dovra' tornare ad indossare per rientrare nel suo paese, dove il chador e' obbligatorio per tutte le donne iraniane e non, e dove e' gia' stata minacciata di morte ripetutamente, e ora lo sara' ancora di piu', come lasciano intendere gli anatemi lanciati ieri contro di lei da vari esponenti islamisti del Cairo. Ma Shirin non colloca le sue battaglie al di fuori dell'islam, anzi: "l'islam non e' incompatibile, sostiene, con i diritti dell'uomo. Si puo' essere musulmani e avere leggi che li rispettino". Ma con il suo invito ad una lettura "piu' moderna" del Corano si e' attirata le ire degli ayatollah. Gioia e orgoglio, modestia e coraggio sono la forza della prima donna musulmana a ricevere il premio Nobel. Shirin conferma la sua volonta' di continuare a battersi "contro la lapidazione, per il diritto di famiglia, per la parita', per la liberta' e per i diritti dei bambini". Senza dimenticare la sorte dei prigionieri politici "che ammuffiscono nelle carceri iraniane" e a favore dei quali si e' impegnata in qualita' di avvocato, a partire dal famoso caso dell'editore dissidente Faraj Sarkouhi, arrestato nel 1996. E poi come parte civile contro gli agenti segreti autori dell'assassinio, nel 1998, del dissidente Dariush Forouahr e della moglie Parvaneh. Shirin Ebadi era stata la prima donna a diventare giudice dell'Iran, nel 1969, ma era stata costretta ad abbandonare l'incarico in tribunale dopo la rivoluzione khomeinista, perche' i regimi islamici escludono le donne dalla gestione della giustizia in quanto ritenute troppo "emotive". Da allora ha ripiegato sull'avvocatura, professione esercitata tra mille ostacoli provocati da arresti e sospensioni. Nel 2000 era stata arrestata per aver diffuso una videocassetta con le confessioni di uno squadrista, coinvolto nelle violenze contro gli studenti, sull'attivita' degli ultraconservatori contro i riformisti. Non ha mai rinunciato alla difesa dei diritti umani - e' tra l'altro punto di riferimento in Iran di Human rights watch - e dei diritti delle donne - in un paese in cui l'eredita' delle femmine e' dimezzata rispetto a quella dei maschi e anche la loro testimonianza vale la meta', e dove, proprio nei giorni scorsi, una donna e' stata condannata alla forca per aver ucciso un poliziotto che la voleva stuprare. Per difendere i diritti dei minori aveva fondato l'Associazione per la protezione dei diritti dei bambini in Iran. Ma Shirin Ebadi, che denuncia le violazioni dei diritti dell'uomo in diversi paesi musulmani, in occasione dell'assegnazione del Nobel ha voluto sottolineare anche le preoccupazioni per la Palestina, dove la situazione e' diversa. "Si tratta di una guerra diseguale, quella delle pietre contro un'armata molto potente". E, ha aggiunto, come parlare di diritti umani in Iraq, "dove la gente non ha ne' acqua, ne' elettricita', e i bisogni elementari non vengono garantiti?". Il premio Nobel all'avvocatessa delle cause nobili ha imbarazzato Tehran. Ma non le donne iraniane che ne condividono le aspirazioni. Le prime congratulazioni a Shirin sono giunte, non a caso, da Elaheh Koulai, una delle 13 deputate del parlamento iraniano, che ha interpretato il premio come una dimostrazione del fatto che "la comunita' internazionale presta attenzione al processo di democratizzazione della societa' iraniana". Soddisfatto anche l'ayatollah dissidente Hossein Ali Montazeri. L'inattaccabilita' della militante dei diritti umani, che aveva anche condiviso le speranze di molti democratici iraniani nell'elezione di Khatami, ha indotto il governo iraniano, sebbene solo in serata e a denti stretti, a congratularsi per il premio. Con una precisazione sibillina: sperando che le opinioni di Shirin Ebadi "siano prese in considerazione all'interno come al di fuori dell'Iran". E' quello che ci auguriamo. Non sembrano invece disposti a prenderle in considerazione gli ultraconservatori di Tehran, come il presidente della Coalizione dell'associazione islamica, Assadollah Badamchiam, che ha definito l'assegnazione del premio una "infamia". Il ritorno a casa per Shirin Ebadi non sara' comunque facile. 2. EDITORIALE. REDAZIONE DEL SITO DELLA LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo le amiche della redazione del sito della Libreria delle donne di Milano (per contatti: e-mail: libreriadelledonne.it at mail.libreriadelledonne.it; sito: www.libreriadelledonne.it) per questo intervento. La Libreria delle donne di Milano e' da sempre un punto di riferimento fondamentale per la riflessione e le pratiche dei movimenti di solidarieta' e di liberazione, di riconoscimento delle differenze, della nonviolenza in cammino] Ti ringraziamo per il tuo invito a partecipare a questo dibattito, che ha avuto inizio con la lettera di Lidia Menapace. Ne abbiamo discusso nella riunione di redazione del sito della Libreria delle donne, e abbiamo messo in evidenza alcuni punti che riteniamo essenziali, e vogliamo scambiare con voi. Sia chiaro, siamo perfettamente d'accordo con una proposta politica che vuole un'Europa non armata, accogliente, solidale, piu rispettosa delle differenze culturali. Questa proposta e' anche la nostra proposta. Tuttavia la strada che desideriamo perseguire in vista di un'Europa non armata e accogliente non e' quella della legge, bensi quella che pone al centro il cambiamento delle relazioni tra uomini e donne, tra donne e donne, che e' la strada della differenza sessuale. E' un cammino che sappiamo essere molto ricco, anche se e ancora poco esplorato e poco praticato. A questo noi desideriamo dedicarci, esattamente per la costruzione di un'Europa non armata e accogliente. 3. EDITORIALE: DA PERUGIA AD ASSISI, OGGI In cammino, dunque. Per un'Europa costruttrice di pace con mezzi di pace, neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta. Lungo la via di Aldo Capitini. 4. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: IL BISOGNO DI SICUREZZA E LA DIFESA CIVILE PER L'EUROPA (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE). PARTE TERZA E CONCLUSIVA [Siamo assai grati a Francesco Tullio (per contatti: psicosoluzioni at francescotullio.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio - di cui pubblichiamo oggi la terza ed ultima parte - aggiornato per l'occasione. Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della nonviolenza, e' uno dei piu' noti peace-researcher a livello internazionale e animatore di molte iniziative per la pace e la gestione e risoluzione nonviolenta dei conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina e chirurgia, specializzazione in psichiatria, libero professionista, psicoterapeuta, esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e trasformazione dei conflitti, di problem solving organizzativo; docente di psicoterapia breve alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al master "Esperto in cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001, ricercatore a contratto con il Centro militare di studi strategici nell'anno 1998-1999, presidente onorario del Centro studi difesa civile (sito: www.pacedifesa.org) di cui e' stato e resta infaticabile animatore, ha coordinato ricerche per diversi enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del Ministero Affari Esteri su "Ong e gestione dei conflitti. Il confidence-building a livello di comunita' nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del Centro di ricerca e formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita' di Perugia e dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la pace; numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed in Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse pubblicazioni] 3. La difesa civile La difesa civile (1) e' un progetto per affrontare in chiave democratica, anche nei periodi di tensione e di crisi, il nodo fra sicurezza, ordine pubblico e difesa. Questo progetto deriva dalle esperienze storiche della resistenza nonviolenta, dalle esperienze interdisciplinari e multidimensionali della gestione costruttiva dei conflitti, dalle nuove frontiere della ricerca per la pace. Dal punto di vista pratico la difesa civile indica alcuni strumenti concreti da adottare ed adattare caso per caso, per migliorare la sicurezza nei quartieri, negli stadi, per resistere alla malavita ed alla diffusione della violenza. Le risposte piu' funzionali possono essere predisposte ed esercitate, ma non possono essere completamente predefinite e date a priori. Esse devono adattarsi al processo in corso fino ad indirizzarlo. Le risposte dipendono fra l'altro dai valori che si perseguono. La crisi implica spesso delle difficili scelta di priorita', delle decisioni in condizioni di non prevedibilita' degli esiti, dei dolorosi passaggi emotivi, alleanze con il meno peggio. L'elasticita' mentale di chi possiede valori etici e non si aggrappa rigidamente alle ideologie, puo' essere utile. La gestione della crisi e' talvolta analoga al trial medico in caso di grave catastrofe: devi scegliere a chi o cosa dedicarti prima. Parte della stessa difesa civile e' la costruzione delle condizioni necessarie, solo in parte gia' esistenti ed in parte da sviluppare, affinche' un popolo possa resistere ad un invasore straniero o ad una involuzione autoritaria interna, limitando al massimo l'uso della forza e sostituendola con l'uso strategico e contemporaneamente etico della comunicazione, della disobbidienza civile, della noncollaborazione. Vengono presi in considerazione gli aspetti strutturali, economici e culturali della societa' che la rendono solida e resistente se esiste un reale scambio comunicativo all'interno di essa e con l'altro da se'. La difesa civile rileva quindi l'importanza del confronto e della coesione sociale come espressione di una comunicazione orizzontale fra i cittadini e la necessita' di sganciarsi dalla suggestione della propaganda verticale e centralizzata. L'opzione per difesa civile sarebbe facilitata dalla scelta parallela di un processo di transizione verso un modello di sviluppo piu' equilibrato. Le scelte forzate dello sviluppo e gli alti costi ambientali e finanziari della deterrenza determinano nei fatti un rischio per la sicurezza delle societa', uguale e forse maggiore della minaccia che puo' venire dal dispiegamento degli armamenti nemici. La difesa deve quindi essere calibrata, proporzionata non solo ai pericoli esterni ma anche alle esigenze ed ai mezzi di una nazione, altrimenti si trasforma in un sistema per cui il riarmo drena tutte le risorse impoverendo il substrato della societa' per garantire dei vantaggi a gruppi limitati e diventando controproducente per la maggioranza dei cittadini di uno stato democratico (2). A tale proposito appare utile rivedere come si alimenta la struttura del potere interno ed internazionale, partendo dai bisogni, dalle dinamiche e dalle contraddizioni interpersonali ed intergruppali. Secondo la tesi da me rappresentata esistono dei meccanismi politici ed economici, radicati nella struttura psichica collettiva, che rendono la nostra civilta' occidentale espansionistica ed allo stesso tempo vulnerabile, ma incauta e parzialmente ignara delle conseguenze della propria crescita. Piu' una societa' e' vulnerabile, piu' la sua politica e' aggressiva e provocatoria, piu' conseguentemente adotta sistemi d'arma e progetti di difesa offensivi (3). Il modello occidentale di sviluppo, pur avendo bisogno per perpetuarsi di imporre le proprie condizioni e regole, e di scaricare i costi sull'ambiente, sulle altre culture e sulle generazioni future, presenta al suo interno differenti livelli di consapevolezza e differenti capacita' di gestire i conflitti interni ed esterni. Lo sviluppo o meno di queste caratteristiche puo' portare ad esiti diversi. Le piu' concrete applicazioni della difesa civile consistono attualmente negli interventi di solidarieta' alle societa' civili attraversate dalla violenza (4) nelle esperienze internazionali dei Corpi civili di pace, e nella insistente richiesta ai vertici politici italiani ed europei della loro istituzionalizzazione (5). Il "Centro studi difesa civile" e' ad esempio impegnato nella Rete italiana dei Corpi civili di pace (6), nella rete europea dei servizi civili di pace (7), nel progetto "Colombia vive", e nelle "Nonviolent Peaceforce" (8) che hanno dispiegato operatori per evitare il riesplodere della violenza in Sri Lanka e che offrono inoltre sostegno alle societa' civili di Birmania, del Guatemala, di Israele/Palestina, dell'Uganda. * Note 1. Francesco Tullio (a cura di), La difesa civile ed il progetto Caschi Bianchi, peacekeepers civili disarmati, Franco Angeli, Milano 2001. Ricerca commissionata ed in parte finanziata dal Cemiss, Centro Militare di Studi Strategici. 2. Paul Wehr, Conflict Regulation, Westview Press, Boulder, Colorado, Usa 1979. 3. Johan Galtung, There Are Alternatives! Four Roads to Peace and Security, 1984; ed.it.: Ci sono alternative! Quattro vie per la pace e la sicurezza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Christian Ejlers (ed.), Peace Reseach, Copenhagen,1975-1988; Peace by peaceful means, Sage, Londra, 1996. 4. Si veda ad esempio il progetto "Colombia Vive". Per approfondimento sui processi di resistenza civile nonviolenta della Colombia, vedi: "Camminar en Dignidad", www.comune.narni.tr.it/pace.htm che descrive la comunita' di pace di San Jose' de Apartado'; "L'impegno della societa' civile in Colombia" e "Costruendo segnali di pace" nel sito del Centro studio difesa civile, www.pacedifesa.org 5. Nel sito del Centro studio difesa civile, www.pacedifesa.org 6. sito: www.corpidipace.too.it 7. Il sito di European Network of civil peace services (En.cps) e': www.en-cps.org En.cps fa parte dell'European Peace Liason Office (Eplo) che rappresenta le ong per la costruzione della pace all'Unione Europea: www.eplo.org/ 8. www.nonviolentpeaceforce.org (Fine. Le precedenti parti sono nei nn. 699-700) 5. PROFILI. SILVIO CINQUE INTERVISTA LIDIA MENAPACE (2001) [Questa intervista, pubblicata nell'ottobre 2001, abbiamo ripreso dal sito di "Namir" (www.namir.it/europa/menapace.htm). Silvio Cinque e' bibliotecario a Roma e fa parte della redazione di "Namir". Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] - Silvio Cinque: Abiti all'estrema periferia dell'Italia, piu' vicina all'Europa che all'Africa. Eppure ti sposti con una sorprendente velocita' ed in continuazione in tutti i luoghi della penisola, e non solo, venga richiesta la tua presenza. Che significato assume questo continuo, intenso stato di viaggiatora? - Lidia Menapace: Forse e' una cosa "genetica". Scherzo, ma osservo che ho avuto un nonno materno (mai conosciuto, ma molto raccontato) che era macchinista e mori' per una polmonite presa al lavoro. La nonna aveva naturalmente biglietti gratuiti in quanto vedova di ferroviere morto per cause di servizio e - pur essendo una donna del XIX secolo - usava viaggiare e portare con se' me e mia sorella bambine: prima di salire ci conduceva sempre a salutare il "maestro", come si chiamava il macchinista. Col treno ho una antica familiarita'. Mio padre poi era appassionato di conoscenze e poiche' non eravamo davvero ricchi e non andavamo in villeggiatura, ogni estate programmava un viaggio di istruzione per me e mia sorella in qualche citta' d'arte. Erano viaggi pienissimi: mio padre ci faceva visitare tutto, i luoghi, i monumenti, le basiliche, i palazzi, i musei. Ho imparato tantissimo; il viaggiare era per me una consuetudine che ha finito per diventare una necessita'. Adesso dico di me che sono una vagabonda e quando mi correggono ("vagabonda, via, no") rifletto sul fatto che siamo diventati tanto stanziali che il vagabondaggio e' un reato o un epiteto offensivo ed essere senza fissa dimora uno stigma negativo. - S. C.: Il tuo percorso politico e la tua vita sono ricchi di svolte e grande decisioni: partigiana nella Resistenza, cattolica di base nel partito della Dc (e successivo abbandono), poi nel Pdup, parlamentare nel gruppo misto della sinistra indipendente della regione Lazio, attiva del forum delle donne per la pace, fino alla militanza (se mi permetti il termine) femminista. Da che cosa e' stato determinato? - L. M.: ... Vero, un percorso ricco di mutamenti, sempre molto partecipati e senza "fini di lucro", anzi pagati allegramente con perdite (ad esempio dell'insegnamento universitario ecc.). - S. C.: cosa insegnavi? - L. M.: Linguistica italiana e metodologia dell'insegnamento della linguistica italiana alla cattolica di Milano. Aderimmo, perche' ce ne erano altri come Alberoni, Cordero e Severino, alla prima occupazione studentesca ed io che ero lettrice, ancora non baronessa, ma vicebaronessa, persi la cattedra, mentre altri come Severino, ordinario della cattedra di filosofia, ebbe lo stipendio ancora per un anno e poi fu licenziato. Ad altri l'invito ad abbandonare la cattedra fu ben piu' pesante... - S. C.: Allora avevi tra i tuoi studenti esponenti del movimento studentesco... - L. M.: Certo... Comunque sono solita dire che solo chi ha idee puo' anche cambiarle. Ma questa e' una battuta. La mia iniziale esperienza cattolica ha una motivazione culturale e una politica: quella culturale la curioisita' - per me che vivevo in una famiglia laica - del patrimonio ideale e morale del cristianesimo (non della chiesa). Quindi letture dei vangeli in greco, studio della teologia (Bonhoeffer e Bloch soprattutto) e anche una intensa esperienza di fede (non di religione). Sono molto contenta di questa fase della mia vita che mi consente di scegliere, nel ricco patrimonio cristiano, le vie della comprensione, e di vedere quanto per estraneita' profonda verso quell'esperienza, nella sinistra si sbaglino quasi tutte le alleanze e i riconoscimenti, dando credito, posti e lunga vita al peggio del cattolicesimo doroteo ed integrista. La motivazione politica e' che quasi solo nelle organizzazioni cattoliche (le uniche ammesse durante il regime) era possibile vedere criticamente la situazione e la Fuci era in particolare attraversata da posizioni antifasciste esplicite. Da li' il passaggio alla Dc fu quasi "naturale", anche se ho avuto prima un breve periodo di simpatia per le posizioni di Rodano (in Piemonte, dov'ero io, di Felice Balbo). Poi nel 1948 uscii una prima volta dalla Dc, ma trasferendomi in Sudtirolo scoprii che quasi l'unica area politica favorevole all'autonomia era la Dc per via di De Gasperi e di altri, mentre le sinistre erano per lo stato unitario con riconoscimenti di diritti per la minoranza di lingua tedesca. Resistetti qualche anno e poi ruppi, quando intorno al '68 a sinistra si manifestarono fermenti che mi parevano rivoluzionari. Per fare delle buone riforme sarebbe bastata la sinistra Dc e il Pci. Il femminismo e una politica di pace sono i presupposti del mio attuale impegno politico e culturale, il che mi porta a non avere riferimenti organizzativi di alcun tipo. - S. C.: Cosa vuol dire essere di sinistra oggi? - L. M.: Ho elaborato un pensiero abbastanza strutturato su una cosa che chiamo "sistema pattizio tra forme politiche", una visione dell'economia che tiene conto soprattutto della riproduzione (biologica, domestica e sociale) e una forma di stato antimilitarista, un'Europa neutrale, insomma una cosa articolata e non facilmente riassumibile. E soprattutto quasi solitaria. - S. C.: Esiste davvero il potere della parola? come si colloca in un mondo che si rivolge soprattutto all'effimero del virtuale? - L. M.: La parola resta la forma suprema del comunicare. Uso molto volentieri tutti gli alfabeti che via via si presentano, forme colori suoni e tecniche elettroniche, ma una parte del mio vagabondaggio dipende dal fatto che niente puo' surrogare l'esperienza diretta, l'incontro nel quale si sentono parole accenti colori sapori odori dei luoghi e delle persone. Almeno questa e' la mia opinione. - S. C.: Tempo di grandi pentimenti, richieste di perdono, sconfessioni e distinguo. Quanto di tutto cio' puo' essere valido e vero per: la destra, la sinistra, la Chiesa? - L. M.: Il pentimento e' una dimensione etica e puo' essere richiesto a chi riconosce una autorita' etica o alla propria coscienza, e comporta non vantaggi, ma la ferma decisione di non ripetere gli errori o le colpe delle quali ci si pente. Non credo abbia una dimensione politica o giuridica e sono molto sospettosa verso pentitismi, riconciliazioni, sconfessioni et similia. Altra cosa e' l'esercizio della critica anche verso il proprio passato: ad esempio una buona analisi critica del cosiddetto socialismo realizzato e delle storture che indusse anche nel Pci non significa demonizzare tutta una esperienza, ne' all'improvviso scoprire che invece il liberalismo e' una straordinaria novita' e il liberismo selvaggio il meglio; significa scrivere e fare storia, non organizzare la dimenticanza, coperta da qualche "sorry". - S. C.: Come vedi il movimento femminista nel contesto europeo? - L. M.: I femminismi sono variegati in Italia e in Europa: vi sono somiglianze e differenze: ora molte tra noi stanno lavorando in tutto il mondo e in Europa per organizzare Pechino + 5, a New York, e la Marcia mondiale delle Donne nel 2000 contro la poverta' e le violenze, che vedra' anche un appuntamento a Bruxelles in settembre. Si intende denunciare la crescente poverta' delle donne e le violenze. Ricordo che la prima assemblea politica che abbia motivatamente, con una precisa analisi economica e politica di genere, respinto la "globalizzazione" fu per l'appunto il Forum mondiale delle ong delle donne a Pechino nel 1995. - S. C.: Mi dici cinque titoli di libri che porteresti nella tua valigia di viaggiatora? - L. M.: Proprio per farti dispetto, diro' che viaggiando leggo solo gialli e che mi porterei libri di Patricia Highsmith, di Ruth Rendell, di Patricia Cornwell e di Anne Perry. Gialliste e anche, per lo piu', femministe... 6. INIZIATIVE. GIORGIO POLETTI: UN'AZIONE NONVIOLENTA PER I DIRITTI DEGLI IMMIGRATI [Ringraziamo padre Giorgio Poletti, missioanrio comboniano, per questo intervento che riceviamo tramite ass.gentedel2000 at katamail.com Molto apprezzando l'operato degli amici comboniani, vorremmo mettere in rilievo insieme a loro la necessita' di opporsi non solo al razzismo truce ma anche a quello "soft" degli atteggiamenti paternalisti, e alla sottovalutazione delle corresponsabilita' colonialiste, ideologiche e pratiche, di diverse istituzioni anche religiose in varie fasi storiche; e come la storia delle esperienze nevecentesche ci abbia insegnato che schierarsi dalla parte degli oppressi richieda di mettersi all'ascolto e alla sequela, non pretenderne la guida: vale per gli intellettuali, per i funzionari di partito, per gli appartenenti ad altre organizzazioni, e finanche per i cosiddetti rappresentanti della societa' civile del nord nel loro rapportarsi agli oppressi di qui e del sud. Le amiche e gli amici comboniani ne sono ben consapevoli, altri ancora non abbastanza. Nessuno ha bisogno di protettori, tutti abbiamo bisogno di compagni di lotta e di persone amiche] Domenica 5 ottobre con il sit-in davanti a Montecitorio si e' conclusa la seconda fase dell'azione ecclesiale nonviolenta iniziata in giugno con l'incatenamento dei Comboniani davanti alla Prefettura di Caserta. Il papa ha riconosciuto il nuovo santo Daniele Comboni protettore dell'Africa e degli africani. E' stato significativo che nello stesso giorno gli istituti missionari comboniani abbiano organizzato un momento di preghiera davanti a Montecitorio a difesa degli immigrati in Italia e in particolare degli africani. Il Comboni apostolo dell'Africa e' oggi vivo e attraverso i comboniani "fa causa comune" con i nuovi schiavi del nostro tempo, questi non piu' deportati come in passato oggi vengono attirati dalla nostra propaganda mediatica che colonizza i paesi emergenti e li attrae nel nostro "paradiso". Domenica 5 ottobre davanti a Montecitorio la moltitudine di africani, insieme a un gruppo di immigrati polacchi, la maggior parte senza permesso di soggiorno, ha solo chiesto che vengano riconosciuti i loro diritti fondamentali: alla vita, al lavoro, alla casa, alla sopravvivenza. E' il minimo. Il permesso di soggiorno e' il sogno della loro vita, perche' permette loro di passare dall'inferno al paradiso e di essere riconosciuti come essere umani. E' grave che lo Stato favorisca la criminalita' non favorendo la regolarizzazione di questi immigrati, di questo mondo sommerso che non ha altra scelta se non di vivere obbligatoriamente al margine, facile preda della criminalita'. All'azione ecclesiale nonviolenta davanti a Montecitorio, con la presenza di comboniani e comboniane, di una moltitudine di africani, Agnese Ginocchio, cantautrice di Alife (Ce) ha aperto l'incontro con una canzone da lei composta sull'azione ecclesiale nonviolenta iniziata in giugno a Caserta, poi si sono susseguiti i vari interventi: padre Franco Nascimbene della Commissione giustizia e pace dei comboniani ha spiegato il senso del sit-in, poi intervallati da canti in inglese, hanno parlato Maria Pia Garavaglia, vicesindaco di Roma che ha portato l'adesione e i saluti del sindaco Veltroni. Le suore comboniane Marina e Carmela della Commissione giustizia e pace hanno letto alcune frasi di Daniele Comboni e abbiamo pregato. Poi ha parlato l'attore Giulio Scarpati, un amico dei comboniani, che in passato ha interpretato in un film Padre Ezechiele Ramin, missionario comboniano ucciso in Brasile. Alex Zanotelli ha ricordato i diritti degli immigrati e come il governo debba ascoltare. Ci sono stati due brevi interventi in lingua polacca, perche' tra i presenti vi erano molti polacchi di Castel Volturno. Agnese Ginocchio ha letto la lettera di adesione di Alessandro Marescotti di Peacelink. Hanno parlato alcuni africani tra cui suor Elena, comboniana africana, che ci ha fatto riflettere sullo sfruttamento delle donne. Tra canti e balli Agnese Ginocchio ha concluso la manifestazione, durata circa un'ora e mezza. L'azione ecclesiale nonviolenta a favore degli immigrati continua con la futura manifestazione del 15 novembre, vigilia della festa delle migrazioni, quando rilasceremo i permessi di soggiorno in nome di Dio davanti alle prefetture di Italia. E' questa una presa di posizione netta e decisa che vuole far riflettere tutti coloro che si dicono cristiani e cattolici e di altre religioni affinche' prendano posizione a favore degli immigrati. 7. LIBRI. CLAUDIO TUGNOLI PRESENTA "PACE E INTERCULTURALITA'" DI RAIMON PANIKKAR [Dal sito dell'Iprase (Istituto provinciale di ricerca aggiornamento sperimentazione educativi) trentino, www.iprase.tn.it, riprendiamo questa recensione. Claudio Tugnoli e' studioso di filosofia, educatore e saggista, particolarmente attento ai temi epistemologici, religiosi, morali; impegnato per la pace e i diritti umani, ha dato un grande contributo alla promozione di una cultura della nonviolenza. Opere di Claudio Tugnoli: La dialettica dell'esistenza. L'hegelismo eretico di John McTaggart, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Tra il dire e il fare. L'educazione alla prassi dei diritti umani, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Diacronia e sincronia. Saggi sulla misura del tempo, Angeli, Milano 2000; AA. VV. (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Angeli, Milano 2000; Girard. Dal mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2001. Raimon (Raimundo) Panikkar e' nato a Barcellona nel 1918 da madre spagnola e padre indiano; laureato in chimica, filosofia e teologia, ha insegnato in molte universita' europee, asiatiche ed americane; e' uno dei principali esperti di studi interculturali. Opere di Raimon Panikkar: tra i suoi numerosi libri cfr. Il dialogo intrareligioso, Cittadella, Assisi 1988; Trinita' ed esperienza religiosa dell'uomo, Cittadella, Assisi 1989; La torre di Babele, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1990; La sfida di scoprirsi monaco, Cittadella, Assisi 1991; Ecosofia: la nuova saggezza, Cittadella, Assisi 1993; Saggezza stile di vita, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1993; La pienezza dell'uomo. Una cristofania, Jaca Book, Milano 1999; Pace e interculturalita', Jaca Book, Milano 2002; Pace e disarmo culturale, Rizzoli, Milano 2003; La nuova innocenza, tre volumi, Servitium, Palazzago (Bg). Si vedano anche gli atti del seminario animato da Panikkar su Pace e disarmo culturale, L'altrapagina, Citta' di Castello (Pg) 1987 (con interventi tra gli altri di Ernesto Balducci, Fabrizio Battistelli, Luigi Cortesi, Antonino Drago, Achille Rossi). Opere su Raimon Panikkar: Achille Rossi, Pluralismo e armonia: introduzione al pensiero di Raimon Panikkar, L'altrapagina, Citta' di Castello (Pg) s. d. ma 1990] Raimon Panikkar (Pace e interculturalita'. Una riflessione filosofica, Jaca Book, Milano 2002) sostiene che il dialogo tra persone appartenenti a fedi e culture diverse non e' una semplice possibilita' o un dovere, ma piu' esattamente e' un dato di fatto, perche' l'uomo non e' un essere autosufficiente, bensi' una persona. E una persona non potrebbe esistere senza la rete di relazioni che intrattiene con gli altri. Si puo' anzi dire che il grado e il valore dell'esistenza di un uomo sono tanto maggiori quanto piu' numerose sono le relazioni che egli instaura con gli altri e il mondo circostante. L'identita' delle persone non si rafforza, ma s'indebolisce o addirittura viene annientata se si riducono o si eliminano le relazioni con l'alterita' in generale. La relazione non e' accidentale rispetto all'identita': come i nodi di una rete non esisterebbero senza i fili che li collegano, cosi' nessun essere umano potrebbe esistere o sarebbe tale senza le relazioni con l'altro. * Anche il dialogo tra le diverse culture, le intersezioni e le contaminazioni sono dati di fatto e condizioni di esistenza delle singole culture. Persino la conoscenza che una cultura ha di se stessa deriva da questo confronto dialettico con l'alterita'. L'intercultura e' dunque una pratica corrente nel mondo contemporaneo. Ma se e' cosi', perche' si dovrebbe avvertire la necessita' di promuoverla? Secondo Panikkar ogni cultura e' il mito che ingloba una determinata societa'; esso rappresenta l'orizzonte di intelligibilita' di coloro che vivono entro quel mito. La concezione che ogni cultura ha del mondo e' unica, non trasferibile, intraducibile, proprio perche' essenzialmente mitica, assolutamente non assimilabile al logos. Non esiste una concezione sovraculturale assoluta, di cui le diverse culture sarebbero interpretazioni o espressioni piu' o meno parziali. Ma anche il relativismo culturale e' da respingere. Panikkar pensa che sia possibile una via media tra l'assolutismo e il relativismo culturale; il metodo adatto e' il dialogo, con particolare attenzione ai simboli, che indicano elementi di diversita' irriducibile. Si pensi ad esempio al fatto che per la cultura occidentale l'uomo e' un essere storico, mentre per la maggior parte delle culture asiatiche l'uomo e' un essere fondamentalmente temporale, ma non storico (p. 38). Se la differenza essenziale tra le culture e' connotata dall'elemento mitico, allora e' evidente che la comprensione reciproca non puo' essere concettuale, ma simbolica. In questo modo si ottiene un maggior rispetto della verita', dal momento che la differenza non e' scavalcata con una capriola epistemologica, ma rimane come quell'aspetto mitico-simbolico irriducibile e inassimilabile che giustifica la prosecuzione del dialogo. Panikkar sottolinea anzi la violenza estrema del razionalismo illuminista (una sorta di panlogicismo planetario): "Oltrepassare le frontiere culturali spianando il fucile della 'pura' ragione (cioe' la sola ragione) e' abbandonarsi a un atto di violenza e di contrabbando culturale" (p. 46). La relazione costitutiva di ogni identita' non sarebbe possibile se i soggetti della relazione non fossero elementi unici e irriducibili. * Il dialogo e' possibile solo se si condivide un presupposto decisivo, quello per cui la Parola appartiene alla natura stessa dell'uomo; la Parola e' il mediatore; su questo concordano i Veda e il Vangelo di Giovanni. Non c'e' comprensione tra gli esseri umani senza la Parola. Il dire dell'uomo e' essenziale alla sua natura: "L'uomo pensa perche' parla e parla perche' pensa" (p. 57). Il dialogo tra uomini appartenenti a culture diverse, se il veicolo del mythos non e' il concetto ma il simbolo, permette di afferrare il significato del discorso dell'altro anche quando ci appare incolmabile l'abisso che separa il nostro universo concettuale dal suo. La resistenza che il linguaggio oppone alla sua logicizzazione dipende dal fatto che "il linguaggio non e' solo logos; e' anche mythos, e se i logoi possono essere in qualche modo tra-dotti, i mythoi sono molto piu' difficili da trapiantare perche' il mythos non ha un'esistenza oggettiva in un mondo ideale" (p. 67). Infatti si percepisce il proprio mito come ragione, mentre si percepisce quello degli altri, in cui non si crede, come mitologia, come visione falsa e distorta rispetto alla "corretta" concezione della realta'. * Panikkar osserva che abbiamo bisogno dell'altro per scoprire il nostro mito; solo il dialogo interculturale impedisce ai miti di diventare assoluti ed esclusivi, sfociando in posizioni di razzismo e conflittualita' radicale. In accordo implicito con la tesi vittimaria di Girard, Panikkar considera mitico il presupposto per il quale si puo' eliminare il male sradicando i colpevoli presunti. In questo senso mythos indica anche per Panikkar una falsificazione della verita', una distorsione che e' doveroso correggere. E il disvelamento del mito in questa accezione ha bisogno del riferimento alla verita' oggettiva e irrefutabile, al logos dell'innocenza della vittima. Anche l'argomentazione di Panikkar mostra dunque quanto sia difficile assumere l'elemento mitico come contenuto irriducibile di una cultura e insieme prendere posizione nei confronti di cio' che appare indiscutibilmente come irrazionale o falso. * Un problema simile si pone a proposito del rifiuto di considerare la scienza occidentale come linguaggio transculturale. Panikkar respinge la pretesa della scienza moderna di proporsi come universale e neutrale, rispetto alle altre cosmologie. La teoria della scienza come specchio della realta' si puo' sostenere solo se si mantiene fuori dello specchio tutto cio' che esso non puo' contenere, come ad esempio gli eventi unici (p. 83). Inoltre, "se si ammette che la 'cultura scientifica' e' superiore ad ogni altra e che le altre culture sono destinate a scomparire, non si puo' piu' parlare di interculturalita'" (p. 85). Se esiste una sola cultura universalmente valida, quella della scienza galileiana, le culture altre diventano folclore. Invece il dialogo interculturale e' autentico e possibile solo nella consapevolezza che la nostra visione del mondo non e' l'unica. Ma, ancora una volta, Panikkar assegna alla cultura occidentale un compito che riconferma in qualche modo la grandezza della sua matrice cristiana. Infatti solo nei vangeli si fa scienza e carne quella forza dello Spirito che affronta e supera l'inerzia della storia; solo nel cristianesimo assume espressione compiuta e definitiva la coscienza della difficolta' estrema e dell'ineludibilita' del perdono. A Panikkar non dovrebbe sfuggire allora che il perdono ("senza il perdono vale solo la legge fisica, non umana, dell'azione e della reazione", p. 98) diventa soluzione del problema della violenza quando si adotta la prospettiva del disvelamento insegnato nei vangeli: solo la comprensione profonda della verita' dell'innocenza della vittima costringe all'abbandono definitivo della ritorsione e alla conversione antropologica. Seguendo il Cristo possiamo comprendere come sia possibile opporsi fino in fondo alla logica del mito (la vendetta) e agire secondo la logica della verita' (la rinuncia alla ritorsione). * Pur nella differenza anche profonda che le contraddistingue, le religioni dovrebbero perseguire un fine comune. Esse dovrebbero tendere alla trasformazione dell'uomo piu' che alla soluzione dei loro problemi istituzionali. Per amore dell'umanita', in una imitazione del Cristo radicalmente esemplare, la Chiesa puo' anche accettare di dissolversi. Con linguaggio profondamente cristiano Panikkar mette in guardia dall'illusione che la punizione, il risarcimento, la riparazione possano condurre alla pace. E' questo un modo di pensare immaturo e meccanicistico, che riproduce cio' che intende abolire. Ma non basta sanare la contraddizione con la ragione: "Per perdonare occorre una forza al di la' della legge meccanica di azione e reazione. L'atto di perdonare non e' il risultato di un sillogismo razionale; per perdonare realmente occorre la forza dello Spirito" (p. 138). 8. PROPOSTE: RETE LILLIPUT: DALLA MARCIA DELLA PACE A UN NETWORK PER IL DISARMO [Dall'ufficio stampa della Rete Lilliput (per contatti: ufficiostampa at retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo] Rete Lilliput e' alla marcia della pace per promuovere un network italiano e europeo per il disarmo. Nel solco lasciato dalla campagna "Pace da tutti i balconi", che ha visto esposte nel nostro paese oltre due milioni e mezzo di bandiere della pace, e soprattutto in continuita' con la campagna in difesa della legge 185 sul commercio d'armi, il lillipuziano Tonio Dell'Olio di "Pax Christi Italia" dichiara: "Il network intende dare continuita' all'ampia partecipazione popolare degli ultimi mesi sui temi della pace e intende inoltre mettere in rete le numerose e importanti iniziative che oggi si svolgono a livello locale promosse da associazioni, ong, istituti di ricerca, organizzazioni laiche e religiose, associazioni di volontariato, sindacati e agenzie di informazione". Di fronte alle pressanti richieste della lobby armiera di liberalizzare gli scambi interni, espandere i mercati e sovvenzionare con interventi finanziari statali l'industria armiera che sempre piu' si va privatizzando, l'iniziativa di un network italiano ed europeo che offra ai cittadini un costante monitoraggio dell'export europeo di armi e si faccia loro portavoce sulle questioni politiche, legislative ed economiche connesse appare di sicuro rilievo. Rete Lilliput sara' inoltre presente alla marcia con le migliaia di lillipuziani presenti capillarmente nel paese e aderenti agli oltre 70 nodi locali e ai gruppi di lavoro tematici. Per Massimiliano Pilati, referente del gruppo nonviolenza "la marcia della pace, fondata da Aldo Capitini promotore del movimento nonviolento, e' una tappa fondamentale nella ricerca delle alternative per un mondo migliore". 9. APPELLI. AMNESTY INTERNATIONAL, OXFAM E IANSA LANCIANO UNA CAMPAGNA MONDIALE SUL COMMERCIO DI ARMI [Da Amnesty International (per contatti: press at amnesty.it) riceviamo e diffondiamo. Anche noi, che come noto siamo sostenitori della necessita' del disarmo integrale, ovviamente sosteniamo le iniziative anche parziali che vanno nella direzione almeno della riduzione della produzione, del traffico e dell'uso delle armi: le armi servono a uccidere, esse sono sempre nemiche degli esseri umani] Il commercio mondiale di armi e' pericolosamente privo di regole e fa si' che queste finiscano nelle mani di governi repressivi, autori di violazioni dei diritti umani e organizzazioni criminali. Per affrontare questo problema, tre organizzazioni internazionali hanno lanciato oggi, in oltre 50 paesi, la campagna mondiale Control Arms, "Controllare le armi". Gli obiettivi della campagna sono ridurre la proliferazione e l'uso illegale delle armi e convincere i governi a istituire un accordo vincolante sul commercio delle armi. La proliferazione e l'uso illegale delle armi hanno raggiunto un livello critico, alimentando violazioni dei diritti umani, poverta' e conflitti. Ogni minuto una persona rimane uccisa dalla violenza delle armi e molte altre subiscono abusi e ferite gravi. Tuttavia le armi rappresentano, a livello mondiale, un affare lucroso e privo di regole. I controlli nazionali sul commercio delle armi sono pieni di scappatoie. La facile disponibilita' delle armi favorisce l'incidenza della violenza, e' il detonatore dei conflitti e la causa del prolungamento delle guerre, in cui le popolazioni civili sono sempre piu' prese di mira. I conflitti e la criminalita' armata impediscono agli aiuti di raggiungere chi ne ha disperato bisogno e sono spesso causa della mancanza di assistenza sanitaria ed educazione. Gli attacchi dell'11 settembre e la conseguente "guerra al terrore" hanno alimentato la proliferazione di armi piuttosto che favorire un impegno politico per controllarne la diffusione. La "guerra al terrore" ha significato l'aumento delle esportazioni di armi, soprattutto da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna, verso i cosiddetti "nuovi alleati" (come Pakistan, Indonesia e Filippine), a prescindere dalle preoccupazioni per la situazione dei diritti umani o per lo sviluppo di questi paesi. "Ogni anno centinaia di migliaia di persone vengono uccise, torturate, stuprate e costrette ad abbandonare le proprie terre a causa dell'uso illegale delle armi. In un periodo in cui la 'guerra al terrore' domina l'agenda internazionale, dovrebbe esserci un rinnovato interesse per il controllo delle armi. E invece, accade l'opposto. Il circolo vizioso fra trasferimenti delle armi, conflitti e violazioni dei diritti umani puo' e deve essere fermato", ha dichiarato Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International. Per affrontare questi problemi Amnesty International, Oxfam e la Rete d'azione internazionale sulle armi leggere (International Action Network on Small Arms, Iansa) hanno lanciato una campagna mondiale intitolata Control Arms ("Controllare le armi"). La campagna promuovera' l'istituzione di un Trattato sul commercio di armi e l'adozione di una serie di misure, a livello regionale e locale, per limitare la proliferazione e l'uso illegale delle armi. "Il commercio delle armi e' fuori controllo. E' un problema mondiale che ha delle conseguenze locali terrificanti, soprattutto ai danni delle persone povere. C'e' disperato bisogno di un Trattato sul commercio delle armi, per fermare l'afflusso delle armi e contribuire a rendere piu' sicura la societa'", ha affermato Barbara Stocking, direttrice di Oxfam. Il possesso di armi sempre piu' letali sta diventando parte integrante della vita quotidiana in molte parti del mondo: tra i contadini dell'Uganda del nord le mitragliatrici AK47 stanno sostituendo le lance, in Somalia i neonati vengono chiamati "Uzi" o "Ak", in Iraq vi sono piu' armi che persone. "I governi, occupati a cercare armi nucleari, biologiche e chimiche nella loro 'lotta al terrorismo', fondamentalmente ignorano le vere 'armi di distruzione di massa': le armi leggere, che in questo modo continuano a diffondersi, al prezzo di centinaia di migliaia di vite umane", ha aggiunto Rebecca Peters, direttrice di Iansa. Una bozza del Trattato sul commercio delle armi e' stata redatta da un gruppo di organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani, sviluppo e controllo delle armi (comprendente Amnesty International e Oxfam), in collaborazione con esperti di diritto internazionale. La proposta ha ottenuto l'appoggio di 19 premi Nobel per la pace, guidati da Oscar Arias. L'obiettivo principale del Trattato e' fornire una serie di standard minimi sul controllo dei trasferimenti di armi, fermamente basati sulle responsabilita' che competono agli Stati sulla base del diritto internazionale. Oltre a un Trattato sul commercio delle armi, la campagna Control Arms chiede ai governi di sviluppare e rafforzare i controlli sulle armi a livello regionale e di esercitare una rigorosa supervisione, a livello nazionale, sulle esportazioni nazionali di armi e sulle attivita' dei fornitori e degli intermediari, di impegnarsi maggiormente per prevenire l'uso illegale delle armi da parte dei pubblici ufficiali e di proteggere i propri cittadini dalla violenza armata. La campagna Control Arms chiede infine alle autorita' e alle comunita' locali di contribuire a migliorare la sicurezza sviluppando progetti che riducano la disponibilita' e la domanda di armi a livello locale. Per ulteriori informazioni sulla campagna Control Arms e sul Trattato sul commercio delle armi: www.controlarms.org E' disponibile il Rapporto della sezione italiana di Amnesty International, "Armare i conflitti. Il G8: esportazioni di armi e violazione dei diritti umani" (Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003). Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste: Amnesty International Italia, ufficio stampa, tel. 064490224 - 3486974361, e-mail: press at amnesty.it 10. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UN COMMENTO AL FILM DI GUS VAN SANT [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscali.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; della sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo stesso notiziario (e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione nuovamente aggiornata). Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario] Cosa vuol dire Gus Van Sant con questo film, premiato a Cannes? Il titolo e' stato spiegato in vari modi. Secondo il regista, che ha detto: "Abbiamo un governo che spende per le armi e risparmia sulla scuola", allude al simbolo del partito repubblicano. Ma forse e' di piu': si dice elefante per dire una cosa enorme. Enorme e' il male che coviamo. Siamo in una scuola americana. Uno a uno compaiono i ragazzi, John (che ha il padre ubriaco), Elias, poi l'ambiente della scuola, certamente bella, spaziosa, attrezzata. Di lezioni si vede assai poco (ma c'e' una biblioteca): sport, fotografia, compagnie, chiacchierate, il parco, la mensa. Vediamo solo un gruppo di studio in cui discutono ridendo su come si riconoscono i gay dal camminare, dal vestire, e una lezione di fisica, con una domanda intelligente e un dispetto fatto a Eric, sporcandogli la giacca. Eric e Alex sono nella casa vuota (genitori assenti). Eric beve qualcosa dal frigo, suona molto bene Per Elisa. Guardano videogiochi ammazzapersone e un sito di armi Usa. Nazismo in tv: "Bello! Cos'e'? Era in Germania? Erano tosti quelli!". Temporale, cielo nero. Arriva per posta il fucile, il postino parla allegro, ma non si vede (rappresenta il sistema?). "Che meraviglia! Fa paura!". Sparano sulla legna per provarlo. Fanno un piano di bombe e di spari sulla planimetria della scuola. Insieme nella doccia. Alex: "Non ho mai baciato nessuno". Si baciano. Armi nell'auto, dallo specchietto pende un diavolo rosso. "Stai alla larga, ci sara' un casino", dicono a John. "Ci dobbiamo divertire". Hanno abiti mimetici, come si usa ora (una moda diffusa con la guerra all'Iraq) e bardature militari nere, molto maschie, non da gay. Nella scuola nessuno li nota, salvo John, che avverte tutti del pericolo. Sparano e uccidono, prima vittima la ragazza complessata Michelle. "Un giorno cosi' brutto e cosi' bello!" dice Eric. Ha un viso da bravo bambino. Fuggono tutti terrorizzati, salvo Benny, un nero, che cerca di fermarli, invano. Alex uccide il preside dopo averlo rilasciato: "Stronzo!". Cioe', sei un rifiuto, peggio che un rifiuto. Non dite piu' questa parola per scherzo. Si uccide non per guadagno, neppure per vendetta: perche' nessuno vale nulla. Eric ora e' solo negli spazi vuoti: i corridoi, la mensa vuota, abbandonata. Beve da un bicchiere, come in casa dal frigo. Non ha piu' cuore, ma di umano gli resta un po' di sete. Alex gli racconta la sua parte di lavoro, Eric cancella anche lui, per nulla, a meta' della parola. Il violento e' totalmente solo (lo ha dimostrato Elias Canetti). Una coppia di innamorati si nasconde nel freezer. Li scova. Poche parole, una filastrocca, un'invocazione che e' l'ultimo tardivo aiuto. Non si vede la conclusione. Il cielo torna sereno: fra poco non ci si pensera' piu'. Gus Van Sant denuncia il facilissimo acquisto, in Usa, di armi terribili. Sono forse violenti perche' gay? I gay sono derisi. Eric e' stato offeso con quel dispetto. L'unico genitore, di John (che ha anche un fratello), e' ubriaco, ma almeno c'e'. Nella tragedia e' tornato in se', abbraccia John. Genitori difettosi, ma genitori. Enorme l'ignoranza storica sul nazismo di Eric e Alex, l'assenza di ogni valutazione. Il videogame, il documentario storico, i compagni di scuola, tutto e' uguale a nulla. Lunga e noiosa la prima parte sulla vita normale, ma anche vita un po' fatua, facilmente felice di nulla. Imprevedibile la violenza, ma e' gia' la', in agguato, enorme. Tecnicamente, significano qualcosa i lunghissimi pianosequenza sulle persone in cammino? Ma dove andate, dove andate? Camminare non porta a nulla. Niente vale. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 701 del 12 ottobre 2003
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