La nonviolenza e' in cammino. 701



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 701 del 12 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Giuliana Sgrena: un premio Nobel a Shirin e le altre
2. Redazione del sito della Libreria delle donne di Milano: sulla proposta
di Lidia Menapace
3. Da Perugia ad Assisi, oggi
4. Francesco Tullio: il bisogno di sicurezza e la difesa civile per l'Europa
(un contributo alla proposta di Lidia Menapace). Parte terza e conclusiva
5. Silvio Cinque intervista Lidia Menapace (2001)
6. Giorgio Poletti: un'azione nonviolenta per i diritti degli immigrati
7. Claudio Tugnoli presenta "Pace e interculturalita'" di Raimon Panikkar
8. Rete Lilliput: dalla marcia della pace a un network per il disarmo
9. Amnesty International, Oxfam e Iansa lanciano una campagna mondiale sul
commercio di armi
10. Enrico Peyretti: un commento al film di Gus Van Sant
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIULIANA SGRENA: UN PREMIO NOBEL A SHIRIN E LE ALTRE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre 2003. Giuliana Sgrena,
intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e'
tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e
islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di,
La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi,
Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata
inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu'
ferocemente stragista della guerra tuttora in corso]
"La vita di una donna vale come un occhio strabico di un uomo". Ma anche un
occhio strabico a volte puo' avere un riconoscimento ambito come il premio
Nobel per la pace.
L'amara constatazione sulla condizione della donna in Iran e' proprio di
Shirin Ebadi (come ricorda Nadia Pizzuti nel suo libro Mille giorni con gli
ayatollah), l'avvocatessa iraniana che ha ricevuto ieri il riconoscimento
assegnato a Oslo.
Un premio inatteso quanto meritato e per nulla scontato. Sebbene il clima
politico internazionale, che vede l'Iran nel mirino degli Usa, abbia indotto
qualcuno a giudicare l'assegnazione del premio esclusivamente in funzione
anti-Bush, sono bastate le prime dichiarazioni di Shirin Ebadi a smentire
questa interpretazione riduttiva e offensiva nei confronti di molte donne
che si battono, anche in Iran, per i loro diritti in piena autonomia.
L'avvocatessa cinquantaseienne stava per imbarcarsi su un volo per Tehran
all'aeroporto di Roissy a Parigi quando ha ricevuto la notizia. "Questo
premio non appartiene solo a me ma a tutti coloro che lavorano per la
democrazia e la pace in Iran" e "spero che questo Nobel dia coraggio a tutte
le donne iraniane e musulmane come me, ma anche a tutte le donne", e' stata
la prima reazione di Ebadi che si e' presentata alla stampa con la solita
modestia ma anche coraggiosamente senza velo. Che dovra' tornare ad
indossare per rientrare nel suo paese, dove il chador e' obbligatorio per
tutte le donne iraniane e non, e dove e' gia' stata minacciata di morte
ripetutamente, e ora lo sara' ancora di piu', come lasciano intendere gli
anatemi lanciati ieri contro di lei da vari esponenti islamisti del Cairo.
Ma Shirin non colloca le sue battaglie al di fuori dell'islam, anzi:
"l'islam non e' incompatibile, sostiene, con i diritti dell'uomo. Si puo'
essere musulmani e avere leggi che li rispettino". Ma con il suo invito ad
una lettura "piu' moderna" del Corano si e' attirata le ire degli ayatollah.
Gioia e orgoglio, modestia e coraggio sono la forza della prima donna
musulmana a ricevere il premio Nobel. Shirin conferma la sua volonta' di
continuare a battersi "contro la lapidazione, per il diritto di famiglia,
per la parita', per la liberta' e per i diritti dei bambini". Senza
dimenticare la sorte dei prigionieri politici "che ammuffiscono nelle
carceri iraniane" e a favore dei quali si e' impegnata in qualita' di
avvocato, a partire dal famoso caso dell'editore dissidente Faraj Sarkouhi,
arrestato nel 1996. E poi come parte civile contro gli agenti segreti autori
dell'assassinio, nel 1998, del dissidente Dariush Forouahr e della moglie
Parvaneh.
Shirin Ebadi era stata la prima donna a diventare giudice dell'Iran, nel
1969, ma era stata costretta ad abbandonare l'incarico in tribunale dopo la
rivoluzione khomeinista, perche' i regimi islamici escludono le donne dalla
gestione della giustizia in quanto ritenute troppo "emotive". Da allora ha
ripiegato sull'avvocatura, professione esercitata tra mille ostacoli
provocati da arresti e sospensioni. Nel 2000 era stata arrestata per aver
diffuso una videocassetta con le confessioni di uno squadrista, coinvolto
nelle violenze contro gli studenti, sull'attivita' degli ultraconservatori
contro i riformisti.
Non ha mai rinunciato alla difesa dei diritti umani - e' tra l'altro punto
di riferimento in Iran di Human rights watch - e dei diritti delle donne -
in un paese in cui l'eredita' delle femmine e' dimezzata rispetto a quella
dei maschi e anche la loro testimonianza vale la meta', e dove, proprio nei
giorni scorsi, una donna e' stata condannata alla forca per aver ucciso un
poliziotto che la voleva stuprare. Per difendere i diritti dei minori aveva
fondato l'Associazione per la protezione dei diritti dei bambini in Iran.
Ma Shirin Ebadi, che denuncia le violazioni dei diritti dell'uomo in diversi
paesi musulmani, in occasione dell'assegnazione del Nobel ha voluto
sottolineare anche le preoccupazioni per la Palestina, dove la situazione e'
diversa. "Si tratta di una guerra diseguale, quella delle pietre contro
un'armata molto potente". E, ha aggiunto, come parlare di diritti umani in
Iraq, "dove la gente non ha ne' acqua, ne' elettricita', e i bisogni
elementari non vengono garantiti?".
Il premio Nobel all'avvocatessa delle cause nobili ha imbarazzato Tehran. Ma
non le donne iraniane che ne condividono le aspirazioni. Le prime
congratulazioni a Shirin sono giunte, non a caso, da Elaheh Koulai, una
delle 13 deputate del parlamento iraniano, che ha interpretato il premio
come una dimostrazione del fatto che "la comunita' internazionale presta
attenzione al processo di democratizzazione della societa' iraniana".
Soddisfatto anche l'ayatollah dissidente Hossein Ali Montazeri.
L'inattaccabilita' della militante dei diritti umani, che aveva anche
condiviso le speranze di molti democratici iraniani nell'elezione di
Khatami, ha indotto il governo iraniano, sebbene solo in serata e a denti
stretti, a congratularsi per il premio. Con una precisazione sibillina:
sperando che le opinioni di Shirin Ebadi "siano prese in considerazione
all'interno come al di fuori dell'Iran". E' quello che ci auguriamo. Non
sembrano invece disposti a prenderle in considerazione gli ultraconservatori
di Tehran, come il presidente della Coalizione dell'associazione islamica,
Assadollah Badamchiam, che ha definito l'assegnazione del premio una
"infamia".
Il ritorno a casa per Shirin Ebadi non sara' comunque facile.

2. EDITORIALE. REDAZIONE DEL SITO DELLA LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO:
SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo le amiche della redazione del sito della Libreria delle donne
di Milano (per contatti: e-mail:
libreriadelledonne.it at mail.libreriadelledonne.it; sito:
www.libreriadelledonne.it) per questo intervento. La Libreria delle donne di
Milano e' da sempre un punto di riferimento fondamentale per la riflessione
e le pratiche dei movimenti di solidarieta' e di liberazione, di
riconoscimento delle differenze, della nonviolenza in cammino]
Ti ringraziamo per il tuo invito a partecipare a questo dibattito, che ha
avuto inizio con la lettera di Lidia Menapace.
Ne abbiamo discusso nella riunione di redazione del sito della Libreria
delle donne, e abbiamo messo in evidenza alcuni punti che riteniamo
essenziali, e vogliamo scambiare con voi.
Sia chiaro, siamo perfettamente d'accordo con una proposta politica che
vuole un'Europa non armata, accogliente, solidale, piu rispettosa delle
differenze culturali.
Questa proposta e' anche la nostra proposta.
Tuttavia la strada che desideriamo perseguire in vista di un'Europa non
armata e accogliente non e' quella della legge, bensi quella che pone al
centro il cambiamento delle relazioni tra uomini e donne, tra donne e donne,
che e' la strada della differenza sessuale.
E' un cammino che sappiamo essere molto ricco, anche se e ancora poco
esplorato e poco praticato.
A questo noi desideriamo dedicarci, esattamente per la costruzione di
un'Europa non armata e accogliente.

3. EDITORIALE: DA PERUGIA AD ASSISI, OGGI
In cammino, dunque.
Per un'Europa costruttrice di pace con mezzi di pace, neutrale e attiva,
disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta.
Lungo la via di Aldo Capitini.

4. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: IL BISOGNO DI SICUREZZA E LA DIFESA CIVILE
PER L'EUROPA (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE). PARTE TERZA E
CONCLUSIVA
[Siamo assai grati a Francesco Tullio (per contatti:
psicosoluzioni at francescotullio.it) per averci messo a disposizione questo
suo saggio - di cui pubblichiamo oggi la terza ed ultima parte - aggiornato
per l'occasione. Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della
nonviolenza, e' uno dei piu' noti peace-researcher a livello internazionale
e animatore di molte iniziative per la pace e la gestione e risoluzione
nonviolenta dei conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina
e chirurgia, specializzazione in psichiatria, libero professionista,
psicoterapeuta, esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e
trasformazione dei conflitti, di problem solving organizzativo; docente di
psicoterapia breve alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al
master "Esperto in cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001,
ricercatore a contratto con il Centro militare di studi strategici nell'anno
1998-1999, presidente onorario del Centro studi difesa civile (sito:
www.pacedifesa.org) di cui e' stato e resta infaticabile animatore, ha
coordinato ricerche per diversi enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del
Ministero Affari Esteri su "Ong e gestione dei conflitti. Il
confidence-building a livello di comunita' nelle crisi internazionali.
Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del Centro di ricerca e
formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita' di Perugia e
dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la pace;
numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed in
Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in
pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei
servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero
professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso
e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica
dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e
nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la
prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di
incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione
dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di
crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un
contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti
intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi
della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse
pubblicazioni]
3. La difesa civile
La difesa civile (1) e' un progetto per affrontare in chiave democratica,
anche nei periodi di tensione e di crisi, il nodo fra sicurezza, ordine
pubblico e difesa. Questo progetto deriva dalle esperienze storiche della
resistenza nonviolenta, dalle esperienze interdisciplinari e
multidimensionali della gestione costruttiva dei conflitti, dalle nuove
frontiere della ricerca per la pace.
Dal punto di vista pratico la difesa civile indica alcuni strumenti concreti
da adottare ed adattare caso per caso, per migliorare la sicurezza nei
quartieri, negli stadi, per resistere alla malavita ed alla diffusione della
violenza.
Le risposte piu' funzionali possono essere predisposte ed  esercitate, ma
non possono essere completamente predefinite e date a priori. Esse devono
adattarsi al processo in corso fino ad indirizzarlo. Le risposte dipendono
fra l'altro dai valori che si perseguono. La crisi implica spesso delle
difficili scelta di priorita', delle decisioni in condizioni di non
prevedibilita' degli esiti, dei dolorosi passaggi emotivi, alleanze con il
meno peggio. L'elasticita' mentale di chi possiede valori etici e non si
aggrappa rigidamente alle ideologie,  puo' essere utile. La gestione della
crisi e' talvolta analoga al trial medico in caso di grave catastrofe: devi
scegliere a chi o cosa dedicarti prima.
Parte della stessa difesa civile e' la costruzione delle condizioni
necessarie, solo in parte gia' esistenti ed in parte da sviluppare,
affinche' un popolo possa resistere ad un invasore straniero o ad una
involuzione autoritaria interna, limitando al massimo l'uso della forza e
sostituendola con l'uso strategico e contemporaneamente etico della
comunicazione, della disobbidienza civile, della noncollaborazione.
Vengono presi in considerazione gli aspetti strutturali, economici e
culturali della societa' che la rendono solida e resistente se esiste un
reale scambio comunicativo all'interno di essa e con l'altro da se'. La
difesa civile rileva quindi l'importanza del confronto e della coesione
sociale come espressione di una comunicazione orizzontale fra i cittadini e
la necessita' di sganciarsi dalla suggestione della propaganda verticale e
centralizzata.
L'opzione per difesa civile sarebbe facilitata dalla scelta parallela di un
processo di transizione verso un modello di sviluppo piu' equilibrato.
Le scelte forzate dello sviluppo e gli alti costi ambientali e finanziari
della deterrenza determinano nei fatti un rischio per la sicurezza delle
societa', uguale e forse maggiore della minaccia che puo' venire dal
dispiegamento degli armamenti nemici. La difesa deve quindi essere
calibrata, proporzionata non solo ai pericoli esterni ma anche alle esigenze
ed ai mezzi di una nazione, altrimenti si trasforma in un sistema per cui il
riarmo drena tutte le risorse impoverendo il substrato della societa' per
garantire dei vantaggi a gruppi limitati e diventando controproducente per
la maggioranza dei cittadini di uno stato democratico (2).
A tale proposito appare utile rivedere come si alimenta la struttura  del
potere interno ed internazionale, partendo dai bisogni, dalle dinamiche e
dalle contraddizioni interpersonali ed intergruppali.
Secondo la tesi da me rappresentata esistono dei meccanismi politici ed
economici, radicati nella struttura psichica collettiva, che rendono la
nostra civilta' occidentale espansionistica ed allo stesso tempo
vulnerabile, ma incauta e parzialmente ignara delle conseguenze della
propria crescita. Piu' una societa' e' vulnerabile, piu' la sua politica e'
aggressiva e provocatoria, piu' conseguentemente adotta sistemi d'arma e
progetti di difesa offensivi (3).
Il modello occidentale di sviluppo, pur avendo bisogno per  perpetuarsi di
imporre le proprie condizioni e regole, e di scaricare i costi
sull'ambiente, sulle altre culture e sulle generazioni future, presenta al
suo interno differenti livelli di consapevolezza e differenti capacita' di
gestire i conflitti interni ed esterni. Lo sviluppo o meno di queste
caratteristiche puo' portare ad esiti diversi.
Le piu' concrete applicazioni della difesa civile consistono attualmente
negli interventi di solidarieta' alle societa' civili attraversate dalla
violenza (4) nelle esperienze internazionali dei Corpi civili di pace, e
nella insistente richiesta ai vertici politici italiani ed europei della
loro istituzionalizzazione (5).
Il "Centro studi difesa civile" e' ad esempio impegnato nella Rete italiana
dei Corpi civili di pace (6), nella rete europea dei servizi civili di pace
(7), nel progetto "Colombia vive", e nelle "Nonviolent Peaceforce" (8) che
hanno dispiegato operatori per evitare il riesplodere della violenza in Sri
Lanka e che offrono inoltre sostegno alle societa' civili di Birmania, del
Guatemala, di Israele/Palestina, dell'Uganda.
*
Note
1. Francesco Tullio (a cura di), La difesa civile ed il progetto Caschi
Bianchi, peacekeepers civili disarmati, Franco Angeli, Milano 2001. Ricerca
commissionata ed in parte finanziata dal Cemiss, Centro Militare di Studi
Strategici.
2. Paul Wehr, Conflict Regulation, Westview Press, Boulder, Colorado, Usa
1979.
3. Johan Galtung, There Are Alternatives! Four Roads to Peace and Security,
1984; ed.it.: Ci sono alternative! Quattro vie per la pace e la sicurezza,
Edizioni  Gruppo Abele, Torino 1986;  Christian Ejlers (ed.), Peace Reseach,
Copenhagen,1975-1988;  Peace by peaceful means, Sage, Londra, 1996.
4. Si veda ad esempio il progetto "Colombia Vive". Per approfondimento sui
processi di resistenza civile nonviolenta della  Colombia, vedi: "Camminar
en  Dignidad", www.comune.narni.tr.it/pace.htm che descrive la comunita' di
pace di San Jose' de Apartado'; "L'impegno della societa' civile in
Colombia" e "Costruendo segnali di pace" nel sito del Centro studio difesa
civile, www.pacedifesa.org
5. Nel sito del Centro studio difesa civile, www.pacedifesa.org
6. sito: www.corpidipace.too.it
7. Il sito di European Network of civil peace services (En.cps) e':
www.en-cps.org  En.cps fa parte dell'European Peace Liason Office (Eplo) che
rappresenta le ong per la costruzione della pace all'Unione Europea:
www.eplo.org/
8. www.nonviolentpeaceforce.org
(Fine. Le precedenti parti sono nei nn. 699-700)

5. PROFILI. SILVIO CINQUE INTERVISTA LIDIA MENAPACE (2001)
[Questa intervista, pubblicata nell'ottobre 2001, abbiamo ripreso dal sito
di "Namir" (www.namir.it/europa/menapace.htm).
Silvio Cinque e' bibliotecario a Roma e fa parte della redazione di "Namir".
Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi
impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente
universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e
significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa'
civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli
interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di
convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001]
- Silvio Cinque: Abiti all'estrema periferia dell'Italia, piu' vicina
all'Europa che all'Africa. Eppure ti sposti con una sorprendente velocita'
ed in continuazione in tutti i luoghi della penisola, e non solo, venga
richiesta la tua presenza. Che significato assume questo continuo, intenso
stato di viaggiatora?
- Lidia Menapace: Forse e' una cosa "genetica". Scherzo, ma osservo che ho
avuto un nonno materno (mai conosciuto, ma molto raccontato) che era
macchinista e mori' per una polmonite presa al lavoro. La nonna aveva
naturalmente biglietti gratuiti in quanto vedova di ferroviere morto per
cause di servizio e - pur essendo una donna del XIX secolo - usava viaggiare
e portare con se' me e mia sorella bambine: prima di salire ci conduceva
sempre a salutare il "maestro", come si chiamava il macchinista. Col treno
ho una antica familiarita'. Mio padre poi era appassionato di conoscenze e
poiche' non eravamo davvero ricchi e non andavamo in villeggiatura, ogni
estate programmava un viaggio di istruzione per me e mia sorella in qualche
citta' d'arte. Erano viaggi pienissimi: mio padre ci faceva visitare tutto,
i luoghi, i monumenti, le basiliche, i palazzi, i musei. Ho imparato
tantissimo; il viaggiare era per me una consuetudine che ha finito per
diventare una necessita'. Adesso dico di me che sono una vagabonda e quando
mi correggono ("vagabonda, via, no") rifletto sul fatto che siamo diventati
tanto stanziali che il vagabondaggio e' un reato o un epiteto offensivo ed
essere senza fissa dimora uno stigma negativo.
- S. C.: Il tuo percorso politico e la tua vita sono ricchi di svolte e
grande decisioni: partigiana nella Resistenza, cattolica di base nel partito
della Dc (e successivo abbandono), poi nel Pdup, parlamentare nel gruppo
misto della sinistra indipendente della regione Lazio, attiva del forum
delle donne per la pace, fino alla militanza (se mi permetti il termine)
femminista. Da che cosa e' stato determinato?
- L. M.: ... Vero, un percorso ricco di mutamenti, sempre molto partecipati
e senza "fini di lucro", anzi pagati allegramente con perdite (ad esempio
dell'insegnamento universitario ecc.).
- S. C.: cosa insegnavi?
- L. M.: Linguistica italiana e metodologia dell'insegnamento della
linguistica italiana alla cattolica di Milano. Aderimmo, perche' ce ne erano
altri come Alberoni, Cordero e Severino, alla prima occupazione studentesca
ed io che ero lettrice, ancora non baronessa, ma vicebaronessa, persi la
cattedra, mentre altri come Severino, ordinario della cattedra di filosofia,
ebbe lo stipendio ancora per un anno e poi fu licenziato. Ad altri l'invito
ad abbandonare la cattedra fu ben piu' pesante...
- S. C.: Allora avevi tra i tuoi studenti esponenti del movimento
studentesco...
- L. M.: Certo... Comunque sono solita dire che solo chi ha idee puo' anche
cambiarle. Ma questa e' una battuta. La mia iniziale esperienza cattolica ha
una motivazione culturale e una politica: quella culturale la curioisita' -
per me che vivevo in una famiglia laica - del patrimonio ideale e morale del
cristianesimo (non della chiesa). Quindi letture dei vangeli in greco,
studio della teologia (Bonhoeffer e Bloch soprattutto) e anche una intensa
esperienza di fede (non di religione). Sono molto contenta di questa fase
della mia vita che mi consente di scegliere, nel ricco patrimonio cristiano,
le vie della comprensione, e di vedere quanto per estraneita' profonda verso
quell'esperienza, nella sinistra si sbaglino quasi tutte le alleanze e i
riconoscimenti, dando credito, posti e lunga vita al peggio del
cattolicesimo doroteo ed integrista. La motivazione politica e' che quasi
solo nelle organizzazioni cattoliche (le uniche ammesse durante il regime)
era possibile vedere criticamente la situazione e la Fuci era in particolare
attraversata da posizioni antifasciste esplicite. Da li' il passaggio alla
Dc fu quasi "naturale", anche se ho avuto prima un breve periodo di simpatia
per le posizioni di Rodano (in Piemonte, dov'ero io, di Felice Balbo). Poi
nel 1948 uscii una prima volta dalla Dc, ma trasferendomi in Sudtirolo
scoprii che quasi l'unica area politica favorevole all'autonomia era la Dc
per via di De Gasperi e di altri, mentre le sinistre erano per lo stato
unitario con riconoscimenti di diritti per la minoranza di lingua tedesca.
Resistetti qualche anno e poi ruppi, quando intorno al '68 a sinistra si
manifestarono fermenti che mi parevano rivoluzionari. Per fare delle buone
riforme sarebbe bastata la sinistra Dc e il Pci. Il femminismo e una
politica di pace sono i presupposti del mio attuale impegno politico e
culturale, il che mi porta a non avere riferimenti organizzativi di alcun
tipo.
- S. C.: Cosa vuol dire essere di sinistra oggi?
- L. M.: Ho elaborato un pensiero abbastanza strutturato su una cosa che
chiamo "sistema pattizio tra forme politiche", una visione dell'economia che
tiene conto soprattutto della riproduzione (biologica, domestica e sociale)
e una forma di stato antimilitarista, un'Europa neutrale, insomma una cosa
articolata e non facilmente riassumibile. E soprattutto quasi solitaria.
- S. C.: Esiste davvero il potere della parola? come si colloca in un mondo
che si rivolge soprattutto all'effimero del virtuale?
- L. M.: La parola resta la forma suprema del comunicare. Uso molto
volentieri tutti gli alfabeti che via via si presentano, forme colori suoni
e tecniche elettroniche, ma una parte del mio vagabondaggio dipende dal
fatto che niente puo' surrogare l'esperienza diretta, l'incontro nel quale
si sentono parole accenti colori sapori odori dei luoghi e delle persone.
Almeno questa e' la mia opinione.
- S. C.: Tempo di grandi pentimenti, richieste di perdono, sconfessioni e
distinguo. Quanto di tutto cio' puo' essere valido e vero per: la destra, la
sinistra, la Chiesa?
- L. M.:  Il pentimento e' una dimensione etica e puo' essere richiesto a
chi riconosce una autorita' etica o alla propria coscienza, e comporta non
vantaggi, ma la ferma decisione di non ripetere gli errori o le colpe delle
quali ci si pente. Non credo abbia una dimensione politica o giuridica e
sono molto sospettosa verso pentitismi, riconciliazioni, sconfessioni et
similia. Altra cosa e' l'esercizio della critica anche verso il proprio
passato: ad esempio una buona analisi critica del cosiddetto socialismo
realizzato e delle storture che indusse anche nel Pci non significa
demonizzare tutta una esperienza, ne' all'improvviso scoprire che invece il
liberalismo e' una straordinaria novita' e il liberismo selvaggio il meglio;
significa scrivere e fare storia, non organizzare la dimenticanza, coperta
da qualche "sorry".
- S. C.: Come vedi il movimento femminista nel contesto europeo?
- L. M.: I femminismi sono variegati in Italia e in Europa: vi sono
somiglianze e differenze: ora molte tra noi stanno lavorando in tutto il
mondo e in Europa per organizzare Pechino + 5, a New York, e la Marcia
mondiale delle Donne nel 2000 contro la poverta' e le violenze, che vedra'
anche un appuntamento a Bruxelles in settembre. Si intende denunciare la
crescente poverta' delle donne e le violenze. Ricordo che la prima assemblea
politica che abbia motivatamente, con una precisa analisi economica e
politica di genere, respinto la "globalizzazione" fu per l'appunto il Forum
mondiale delle ong delle donne a Pechino nel 1995.
- S. C.: Mi dici cinque titoli di libri che porteresti nella tua valigia di
viaggiatora?
- L. M.: Proprio per farti dispetto, diro' che viaggiando leggo solo gialli
e che mi porterei libri di Patricia Highsmith, di Ruth Rendell, di Patricia
Cornwell e di Anne Perry. Gialliste e anche, per lo piu', femministe...

6. INIZIATIVE. GIORGIO POLETTI: UN'AZIONE NONVIOLENTA PER I DIRITTI DEGLI
IMMIGRATI
[Ringraziamo padre Giorgio Poletti, missioanrio comboniano, per questo
intervento che riceviamo tramite ass.gentedel2000 at katamail.com Molto
apprezzando l'operato degli amici comboniani, vorremmo mettere in rilievo
insieme a loro la necessita' di opporsi non solo al razzismo truce ma anche
a quello "soft" degli atteggiamenti paternalisti, e alla sottovalutazione
delle corresponsabilita' colonialiste, ideologiche e pratiche, di diverse
istituzioni anche religiose in varie fasi storiche; e come la storia delle
esperienze nevecentesche ci abbia insegnato che schierarsi dalla parte degli
oppressi richieda di mettersi all'ascolto e  alla sequela, non pretenderne
la guida: vale per gli intellettuali, per i funzionari di partito, per gli
appartenenti ad altre organizzazioni, e finanche per i cosiddetti
rappresentanti della societa' civile del nord nel loro rapportarsi agli
oppressi di qui e del sud. Le amiche e gli amici comboniani ne sono ben
consapevoli, altri ancora non abbastanza. Nessuno ha bisogno di protettori,
tutti abbiamo bisogno di compagni di lotta e di persone amiche]
 Domenica 5 ottobre con il sit-in davanti a Montecitorio si e' conclusa la
seconda fase dell'azione ecclesiale nonviolenta iniziata in giugno con
l'incatenamento dei Comboniani davanti alla Prefettura di Caserta.
Il papa ha riconosciuto il nuovo santo Daniele Comboni protettore
dell'Africa e degli africani.
E' stato significativo che nello stesso giorno gli istituti missionari
comboniani abbiano organizzato un momento di preghiera davanti a
Montecitorio a difesa degli immigrati in Italia e in particolare degli
africani.
Il Comboni apostolo dell'Africa e' oggi vivo e attraverso i comboniani "fa
causa comune" con i nuovi schiavi del nostro tempo, questi non piu'
deportati come in passato oggi vengono attirati dalla nostra propaganda
mediatica che colonizza i paesi emergenti e li attrae nel nostro "paradiso".
Domenica 5 ottobre davanti a Montecitorio la moltitudine di africani,
insieme a un gruppo di immigrati polacchi, la maggior parte senza permesso
di soggiorno, ha solo chiesto che vengano riconosciuti i loro diritti
fondamentali: alla vita, al lavoro, alla casa, alla sopravvivenza.
E' il minimo. Il permesso di soggiorno e' il sogno della loro vita, perche'
permette loro di passare dall'inferno al paradiso e di essere riconosciuti
come essere umani.
E' grave che lo Stato favorisca la criminalita' non favorendo la
regolarizzazione di questi immigrati, di questo mondo sommerso che non ha
altra scelta se non di vivere obbligatoriamente al margine, facile preda
della criminalita'.
All'azione ecclesiale nonviolenta davanti a Montecitorio, con la presenza di
comboniani e comboniane, di una moltitudine di africani, Agnese Ginocchio,
cantautrice di Alife (Ce) ha aperto l'incontro con una canzone da lei
composta sull'azione ecclesiale nonviolenta iniziata in giugno a Caserta,
poi si sono susseguiti i vari interventi: padre Franco Nascimbene della
Commissione giustizia e pace dei comboniani ha spiegato il senso del sit-in,
poi intervallati da canti in inglese, hanno parlato Maria Pia Garavaglia,
vicesindaco di Roma che ha portato l'adesione e i saluti del sindaco
Veltroni.
Le suore comboniane Marina e Carmela della Commissione giustizia e pace
hanno letto alcune frasi di Daniele Comboni e abbiamo pregato. Poi ha
parlato l'attore Giulio Scarpati, un amico dei comboniani, che in passato ha
interpretato in un film Padre Ezechiele Ramin, missionario comboniano ucciso
in Brasile.
Alex Zanotelli ha ricordato i diritti degli immigrati e come il governo
debba ascoltare.
Ci sono stati due brevi interventi in lingua polacca, perche' tra i presenti
vi erano molti polacchi di Castel Volturno.
Agnese Ginocchio ha letto la lettera di adesione di Alessandro Marescotti di
Peacelink.
Hanno parlato alcuni africani tra cui suor Elena, comboniana africana, che
ci ha fatto riflettere sullo sfruttamento delle donne.
Tra canti e balli Agnese Ginocchio ha concluso la manifestazione, durata
circa un'ora e mezza.
L'azione ecclesiale nonviolenta a favore degli immigrati continua con la
futura manifestazione del 15 novembre, vigilia della festa delle migrazioni,
quando rilasceremo i permessi di soggiorno in nome di Dio davanti alle
prefetture di Italia. E' questa una presa di posizione netta e decisa che
vuole far riflettere tutti coloro che si dicono cristiani e cattolici e di
altre religioni affinche' prendano posizione a favore degli immigrati.

7. LIBRI. CLAUDIO TUGNOLI PRESENTA "PACE E INTERCULTURALITA'" DI RAIMON
PANIKKAR
[Dal sito dell'Iprase (Istituto provinciale di ricerca aggiornamento
sperimentazione educativi) trentino, www.iprase.tn.it, riprendiamo questa
recensione.
Claudio Tugnoli e' studioso di filosofia, educatore e saggista,
particolarmente attento ai temi epistemologici, religiosi, morali; impegnato
per la pace e i diritti umani, ha dato un grande contributo alla promozione
di una cultura della nonviolenza. Opere di Claudio Tugnoli: La dialettica
dell'esistenza. L'hegelismo eretico di John McTaggart, Angeli, Milano 2000;
AA.VV. (a cura di), Tra il dire e il fare. L'educazione alla prassi dei
diritti umani, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Diacronia e
sincronia. Saggi sulla misura del tempo, Angeli, Milano 2000; AA. VV. (a
cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Angeli, Milano 2000; Girard. Dal
mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2001.
Raimon (Raimundo) Panikkar e' nato a Barcellona nel 1918 da madre spagnola e
padre indiano; laureato in chimica, filosofia e teologia, ha insegnato in
molte universita' europee, asiatiche ed americane; e' uno dei principali
esperti di studi interculturali. Opere di Raimon Panikkar: tra i suoi
numerosi libri cfr. Il dialogo intrareligioso, Cittadella, Assisi 1988;
Trinita' ed esperienza religiosa dell'uomo, Cittadella, Assisi 1989; La
torre di Babele, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi)
1990; La sfida di scoprirsi monaco, Cittadella, Assisi 1991; Ecosofia: la
nuova saggezza, Cittadella, Assisi 1993; Saggezza stile di vita, Edizioni
cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1993; La pienezza dell'uomo.
Una cristofania, Jaca Book, Milano 1999; Pace e interculturalita', Jaca
Book, Milano 2002; Pace e disarmo culturale, Rizzoli, Milano 2003; La nuova
innocenza, tre volumi, Servitium, Palazzago (Bg). Si vedano anche gli atti
del seminario animato da Panikkar su Pace e disarmo culturale,
L'altrapagina, Citta' di Castello (Pg) 1987 (con interventi tra gli altri di
Ernesto Balducci, Fabrizio Battistelli, Luigi Cortesi, Antonino Drago,
Achille Rossi). Opere su Raimon Panikkar: Achille Rossi, Pluralismo e
armonia: introduzione al pensiero di Raimon Panikkar, L'altrapagina, Citta'
di Castello (Pg) s. d. ma 1990]
Raimon Panikkar (Pace e interculturalita'. Una riflessione filosofica, Jaca
Book, Milano 2002) sostiene che il dialogo tra persone appartenenti a fedi e
culture diverse non e' una semplice possibilita' o un dovere, ma piu'
esattamente e' un dato di fatto, perche' l'uomo non e' un essere
autosufficiente, bensi' una persona.
E una persona non potrebbe esistere senza la rete di relazioni che
intrattiene con gli altri. Si puo' anzi dire che il grado e il valore
dell'esistenza di un uomo sono tanto maggiori quanto piu' numerose sono le
relazioni che egli instaura con gli altri e il mondo circostante.
L'identita' delle persone non si rafforza, ma s'indebolisce o addirittura
viene annientata se si riducono o si eliminano le relazioni con l'alterita'
in generale.
La relazione non e' accidentale rispetto all'identita': come i nodi di una
rete non esisterebbero senza i fili che li collegano, cosi' nessun essere
umano potrebbe esistere o sarebbe tale senza le relazioni con l'altro.
*
Anche il dialogo tra le diverse culture, le intersezioni e le contaminazioni
sono dati di fatto e condizioni di esistenza delle singole culture. Persino
la conoscenza che una cultura ha di se stessa deriva da questo confronto
dialettico con l'alterita'. L'intercultura e' dunque una pratica corrente
nel mondo contemporaneo.
Ma se e' cosi', perche' si dovrebbe avvertire la necessita' di promuoverla?
Secondo Panikkar ogni cultura e' il mito che ingloba una determinata
societa'; esso rappresenta l'orizzonte di intelligibilita' di coloro che
vivono entro quel mito. La concezione che ogni cultura ha del mondo e'
unica, non trasferibile, intraducibile, proprio perche' essenzialmente
mitica, assolutamente non assimilabile al logos.
Non esiste una concezione sovraculturale assoluta, di cui le diverse culture
sarebbero interpretazioni o espressioni piu' o meno parziali. Ma anche il
relativismo culturale e' da respingere.
Panikkar pensa che sia possibile una via media tra l'assolutismo e il
relativismo culturale; il metodo adatto e' il dialogo, con particolare
attenzione ai simboli, che indicano elementi di diversita' irriducibile. Si
pensi ad esempio al fatto che per la cultura occidentale l'uomo e' un essere
storico, mentre per la maggior parte delle culture asiatiche l'uomo e' un
essere fondamentalmente temporale, ma non storico (p. 38).
Se la differenza essenziale tra le culture e' connotata dall'elemento
mitico, allora e' evidente che la comprensione reciproca non puo' essere
concettuale, ma simbolica. In questo modo si ottiene un maggior rispetto
della verita', dal momento che la differenza non e' scavalcata con una
capriola epistemologica, ma rimane come quell'aspetto mitico-simbolico
irriducibile e inassimilabile che giustifica la prosecuzione del dialogo.
Panikkar sottolinea anzi la violenza estrema del razionalismo illuminista
(una sorta di panlogicismo planetario): "Oltrepassare le frontiere culturali
spianando il fucile della 'pura' ragione (cioe' la sola ragione) e'
abbandonarsi a un atto di violenza e di contrabbando culturale" (p. 46).
La relazione costitutiva di ogni identita' non sarebbe possibile se i
soggetti della relazione non fossero elementi unici e irriducibili.
*
Il dialogo e' possibile solo se si condivide un presupposto decisivo, quello
per cui la Parola appartiene alla natura stessa dell'uomo; la Parola e' il
mediatore; su questo concordano i Veda e il Vangelo di Giovanni. Non c'e'
comprensione tra gli esseri umani senza la Parola.
Il dire dell'uomo e' essenziale alla sua natura: "L'uomo pensa perche' parla
e parla perche' pensa" (p. 57).
Il dialogo tra uomini appartenenti a culture diverse, se il veicolo del
mythos non e' il concetto ma il simbolo, permette di afferrare il
significato del discorso dell'altro anche quando ci appare incolmabile
l'abisso che separa il nostro universo concettuale dal suo. La resistenza
che il linguaggio oppone alla sua logicizzazione dipende dal fatto che "il
linguaggio non e' solo logos; e' anche mythos, e se i logoi possono essere
in qualche modo tra-dotti, i mythoi sono molto piu' difficili da trapiantare
perche' il mythos non ha un'esistenza oggettiva in un mondo ideale" (p. 67).
Infatti si percepisce il proprio mito come ragione, mentre si percepisce
quello degli altri, in cui non si crede, come mitologia, come visione falsa
e distorta rispetto alla "corretta" concezione della realta'.
*
Panikkar osserva che abbiamo bisogno dell'altro per scoprire il nostro mito;
solo il dialogo interculturale impedisce ai miti di diventare assoluti ed
esclusivi, sfociando in posizioni di razzismo e conflittualita' radicale. In
accordo implicito con la tesi vittimaria di Girard, Panikkar considera
mitico il presupposto per il quale si puo' eliminare il male sradicando i
colpevoli presunti. In questo senso mythos indica anche per Panikkar una
falsificazione della verita', una distorsione che e' doveroso correggere. E
il disvelamento del mito in questa accezione ha bisogno del riferimento alla
verita' oggettiva e irrefutabile, al logos dell'innocenza della vittima.
Anche l'argomentazione di Panikkar mostra dunque quanto sia difficile
assumere l'elemento mitico come contenuto irriducibile di una cultura e
insieme prendere posizione nei confronti di cio' che appare
indiscutibilmente come irrazionale o falso.
*
Un problema simile si pone a proposito del rifiuto di considerare la scienza
occidentale come linguaggio transculturale.
Panikkar respinge la pretesa della scienza moderna di proporsi come
universale e neutrale, rispetto alle altre cosmologie. La teoria della
scienza come specchio della realta' si puo' sostenere solo se si mantiene
fuori dello specchio tutto cio' che esso non puo' contenere, come ad esempio
gli eventi unici (p. 83). Inoltre, "se si ammette che la 'cultura
scientifica' e' superiore ad ogni altra e che le altre culture sono
destinate a scomparire, non si puo' piu' parlare di interculturalita'" (p.
85).
Se esiste una sola cultura universalmente valida, quella della scienza
galileiana, le culture altre diventano folclore. Invece il dialogo
interculturale e' autentico e possibile solo nella consapevolezza che la
nostra visione del mondo non e' l'unica.
Ma, ancora una volta, Panikkar assegna alla cultura occidentale un compito
che riconferma in qualche modo la grandezza della sua matrice cristiana.
Infatti solo nei vangeli si fa scienza e carne quella forza dello Spirito
che affronta e supera l'inerzia della storia; solo nel cristianesimo assume
espressione compiuta e definitiva la coscienza della difficolta' estrema e
dell'ineludibilita' del perdono. A Panikkar non dovrebbe sfuggire allora che
il perdono ("senza il perdono vale solo la legge fisica, non umana,
dell'azione e della reazione", p. 98) diventa soluzione del problema della
violenza quando si adotta la prospettiva del disvelamento insegnato nei
vangeli: solo la comprensione profonda della verita' dell'innocenza della
vittima costringe all'abbandono definitivo della ritorsione e alla
conversione antropologica. Seguendo il Cristo possiamo comprendere come sia
possibile opporsi fino in fondo alla logica del mito (la vendetta) e agire
secondo la logica della verita' (la rinuncia alla ritorsione).
*
Pur nella differenza anche profonda che le contraddistingue, le religioni
dovrebbero perseguire un fine comune.
Esse dovrebbero tendere alla trasformazione dell'uomo piu' che alla
soluzione dei loro problemi istituzionali. Per amore dell'umanita', in una
imitazione del Cristo radicalmente esemplare, la Chiesa puo' anche accettare
di dissolversi. Con linguaggio profondamente cristiano Panikkar mette in
guardia dall'illusione che la punizione, il risarcimento, la riparazione
possano condurre alla pace. E' questo un modo di pensare immaturo e
meccanicistico, che riproduce cio' che intende abolire. Ma non basta sanare
la contraddizione con la ragione: "Per perdonare occorre una forza al di la'
della legge meccanica di azione e reazione. L'atto di perdonare non e' il
risultato di un sillogismo razionale; per perdonare realmente occorre la
forza dello Spirito" (p. 138).

8. PROPOSTE: RETE LILLIPUT: DALLA MARCIA DELLA PACE A UN NETWORK PER IL
DISARMO
[Dall'ufficio stampa della Rete Lilliput (per contatti:
ufficiostampa at retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo]
Rete Lilliput e' alla marcia della pace per promuovere un network italiano e
europeo per il disarmo.
Nel solco lasciato dalla campagna "Pace da tutti i balconi", che ha visto
esposte nel nostro paese oltre due milioni e mezzo di bandiere della pace, e
soprattutto in continuita' con la campagna in difesa della legge 185 sul
commercio d'armi, il lillipuziano Tonio Dell'Olio di "Pax Christi Italia"
dichiara: "Il network intende dare continuita' all'ampia partecipazione
popolare degli ultimi mesi sui temi della pace e intende inoltre mettere in
rete le numerose e importanti iniziative che oggi si svolgono a livello
locale promosse da associazioni, ong, istituti di ricerca, organizzazioni
laiche e religiose, associazioni di volontariato, sindacati e agenzie di
informazione".
Di fronte alle pressanti richieste della lobby armiera di liberalizzare gli
scambi interni, espandere i mercati e sovvenzionare con interventi
finanziari statali l'industria armiera che sempre piu' si va privatizzando,
l'iniziativa di un network italiano ed europeo che offra ai cittadini un
costante monitoraggio dell'export europeo di armi e si faccia loro portavoce
sulle questioni politiche, legislative ed economiche connesse appare di
sicuro rilievo.
Rete Lilliput sara' inoltre presente alla marcia con le migliaia di
lillipuziani presenti capillarmente nel paese e aderenti agli oltre 70 nodi
locali e ai gruppi di lavoro tematici. Per Massimiliano Pilati, referente
del gruppo nonviolenza "la marcia della pace, fondata da Aldo Capitini
promotore del movimento nonviolento, e' una tappa fondamentale nella ricerca
delle alternative per un mondo migliore".

9. APPELLI. AMNESTY INTERNATIONAL, OXFAM E IANSA LANCIANO UNA CAMPAGNA
MONDIALE SUL COMMERCIO DI ARMI
[Da Amnesty International (per contatti: press at amnesty.it) riceviamo e
diffondiamo. Anche noi, che come noto siamo sostenitori della necessita' del
disarmo integrale, ovviamente sosteniamo le iniziative anche parziali che
vanno nella direzione almeno della riduzione della produzione, del traffico
e dell'uso delle armi: le armi servono a uccidere, esse sono sempre nemiche
degli esseri umani]
Il commercio mondiale di armi e' pericolosamente privo di regole e fa si'
che queste finiscano nelle mani di governi repressivi, autori di violazioni
dei diritti umani e organizzazioni criminali. Per affrontare questo
problema, tre organizzazioni internazionali hanno lanciato oggi, in oltre 50
paesi, la campagna mondiale Control Arms, "Controllare le armi".
Gli obiettivi della campagna sono ridurre la proliferazione e l'uso illegale
delle armi e convincere i governi a istituire un accordo vincolante sul
commercio delle armi.
La proliferazione e l'uso illegale delle armi hanno raggiunto un livello
critico, alimentando violazioni dei diritti umani, poverta' e conflitti.
Ogni minuto una persona rimane uccisa dalla violenza delle armi e molte
altre subiscono abusi e ferite gravi. Tuttavia le armi rappresentano, a
livello mondiale, un affare lucroso e privo di regole.
I controlli nazionali sul commercio delle armi sono pieni di scappatoie.
La facile disponibilita' delle armi favorisce l'incidenza della violenza, e'
il detonatore dei conflitti e la causa del prolungamento delle guerre, in
cui le popolazioni civili sono sempre piu' prese di mira. I conflitti e la
criminalita' armata impediscono agli aiuti di raggiungere chi ne ha
disperato bisogno e sono spesso causa della mancanza di assistenza sanitaria
ed educazione.
Gli attacchi dell'11 settembre e la conseguente "guerra al terrore" hanno
alimentato la proliferazione di armi piuttosto che favorire un impegno
politico per controllarne la diffusione. La "guerra al terrore" ha
significato l'aumento delle esportazioni di armi, soprattutto da parte di
Stati Uniti e Gran Bretagna, verso i cosiddetti "nuovi alleati" (come
Pakistan, Indonesia e Filippine), a prescindere dalle preoccupazioni per la
situazione dei diritti umani o per lo sviluppo di questi paesi.
"Ogni anno centinaia di migliaia di persone vengono uccise, torturate,
stuprate e costrette ad abbandonare le proprie terre a causa dell'uso
illegale delle armi. In un periodo in cui la 'guerra al terrore' domina
l'agenda internazionale, dovrebbe esserci un rinnovato interesse per il
controllo delle armi. E invece, accade l'opposto. Il circolo vizioso fra
trasferimenti delle armi, conflitti e violazioni dei diritti umani puo' e
deve essere fermato", ha dichiarato Irene Khan, segretaria generale di
Amnesty International.
Per affrontare questi problemi Amnesty International, Oxfam e la Rete
d'azione internazionale sulle armi leggere (International Action Network on
Small Arms, Iansa) hanno lanciato una campagna mondiale intitolata Control
Arms ("Controllare le armi"). La campagna promuovera' l'istituzione di un
Trattato sul commercio di armi e l'adozione di una serie di misure, a
livello regionale e locale, per limitare la proliferazione e l'uso illegale
delle armi.
"Il commercio delle armi e' fuori controllo. E' un problema mondiale che ha
delle conseguenze locali terrificanti, soprattutto ai danni delle persone
povere. C'e' disperato bisogno di un Trattato sul commercio delle armi, per
fermare l'afflusso delle armi e contribuire a rendere piu' sicura la
societa'", ha affermato Barbara Stocking, direttrice di Oxfam.
Il possesso di armi sempre piu' letali sta diventando parte integrante della
vita quotidiana in molte parti del mondo: tra i contadini dell'Uganda del
nord le mitragliatrici AK47 stanno sostituendo le lance, in Somalia i
neonati vengono chiamati "Uzi" o "Ak", in Iraq vi sono piu' armi che
persone.
"I governi, occupati a cercare armi nucleari, biologiche e chimiche nella
loro 'lotta al terrorismo', fondamentalmente ignorano le vere 'armi di
distruzione di massa': le armi leggere, che in questo modo continuano a
diffondersi, al prezzo di centinaia di migliaia di vite umane", ha aggiunto
Rebecca Peters, direttrice di Iansa.
Una bozza del Trattato sul commercio delle armi e' stata redatta da un
gruppo di organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani,
sviluppo e controllo delle armi (comprendente Amnesty International e
Oxfam), in collaborazione con esperti di diritto internazionale. La proposta
ha ottenuto l'appoggio di 19 premi Nobel per la pace, guidati da Oscar
Arias. L'obiettivo principale del Trattato e' fornire una serie di standard
minimi sul controllo dei trasferimenti di armi, fermamente basati sulle
responsabilita' che competono agli Stati sulla base del diritto
internazionale.
Oltre a un Trattato sul commercio delle armi, la campagna Control Arms
chiede ai governi di sviluppare e rafforzare i controlli sulle armi a
livello regionale e di esercitare una rigorosa supervisione, a livello
nazionale, sulle esportazioni nazionali di armi e sulle attivita' dei
fornitori e degli intermediari, di impegnarsi maggiormente per prevenire
l'uso illegale delle armi da parte dei pubblici ufficiali e di proteggere i
propri cittadini dalla violenza armata. La campagna Control Arms chiede
infine alle autorita' e alle comunita' locali di contribuire a migliorare la
sicurezza sviluppando progetti che riducano la disponibilita' e la domanda
di armi a livello locale.
Per ulteriori informazioni sulla campagna Control Arms e sul Trattato sul
commercio delle armi: www.controlarms.org
E' disponibile il Rapporto della sezione italiana di Amnesty International,
"Armare i conflitti. Il G8: esportazioni di armi e violazione dei diritti
umani" (Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003).
Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste: Amnesty
International Italia, ufficio stampa, tel. 064490224 - 3486974361, e-mail:
press at amnesty.it

10. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UN COMMENTO AL FILM DI GUS VAN SANT
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscali.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; della sua fondamentale ricerca
bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate e nonviolente, una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato
successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla
pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios,
Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo
stesso notiziario (e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione
nuovamente aggiornata). Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti
di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario]
Cosa vuol dire Gus Van Sant con questo film, premiato a Cannes? Il titolo e'
stato spiegato in vari modi. Secondo il regista, che ha detto: "Abbiamo un
governo che spende per le armi e risparmia sulla scuola", allude al simbolo
del partito repubblicano. Ma forse e' di piu': si dice elefante per dire una
cosa enorme. Enorme e' il male che coviamo.
Siamo in una scuola americana. Uno a uno compaiono i ragazzi, John (che ha
il padre ubriaco), Elias, poi l'ambiente della scuola, certamente bella,
spaziosa, attrezzata. Di lezioni si vede assai poco (ma c'e' una
biblioteca): sport, fotografia, compagnie, chiacchierate, il parco, la
mensa. Vediamo solo un gruppo di studio in cui discutono ridendo su come si
riconoscono i gay dal camminare, dal vestire, e una lezione di fisica, con
una domanda intelligente e un dispetto fatto a Eric, sporcandogli la giacca.
Eric e Alex sono nella casa vuota (genitori assenti). Eric beve qualcosa dal
frigo, suona molto bene Per Elisa. Guardano videogiochi ammazzapersone e un
sito di armi Usa. Nazismo in tv: "Bello! Cos'e'? Era in Germania? Erano
tosti quelli!". Temporale, cielo nero. Arriva per posta il fucile, il
postino parla allegro, ma non si vede (rappresenta il sistema?). "Che
meraviglia! Fa paura!". Sparano sulla legna per provarlo. Fanno un piano di
bombe e di spari sulla planimetria della scuola. Insieme nella doccia. Alex:
"Non ho mai baciato nessuno". Si baciano. Armi nell'auto, dallo specchietto
pende un diavolo rosso. "Stai alla larga, ci sara' un casino", dicono a
John. "Ci dobbiamo divertire". Hanno abiti mimetici, come si usa ora (una
moda diffusa con la guerra all'Iraq) e bardature militari nere, molto
maschie, non da gay.
Nella scuola nessuno li nota, salvo John, che avverte tutti del pericolo.
Sparano e uccidono, prima vittima la ragazza complessata Michelle. "Un
giorno cosi' brutto e cosi' bello!" dice Eric. Ha un viso da bravo bambino.
Fuggono tutti terrorizzati, salvo Benny, un nero, che cerca di fermarli,
invano. Alex uccide il preside dopo averlo rilasciato: "Stronzo!". Cioe',
sei un rifiuto, peggio che un rifiuto. Non dite piu' questa parola per
scherzo. Si uccide non per guadagno, neppure per vendetta: perche' nessuno
vale nulla.
Eric ora e' solo negli spazi vuoti: i corridoi, la mensa vuota, abbandonata.
Beve da un bicchiere, come in casa dal frigo. Non ha piu' cuore, ma di umano
gli resta un po' di sete. Alex gli racconta la sua parte di lavoro, Eric
cancella anche lui, per nulla, a meta' della parola. Il violento e'
totalmente solo (lo ha dimostrato Elias Canetti).
Una coppia di innamorati si nasconde nel freezer. Li scova. Poche parole,
una filastrocca, un'invocazione che e' l'ultimo tardivo aiuto. Non si vede
la conclusione.
Il cielo torna sereno: fra poco non ci si pensera' piu'. Gus Van Sant
denuncia il facilissimo acquisto, in Usa, di armi terribili. Sono forse
violenti perche' gay? I gay sono derisi. Eric e' stato offeso con quel
dispetto. L'unico genitore, di John (che ha anche un fratello), e' ubriaco,
ma almeno c'e'. Nella tragedia e' tornato in se', abbraccia John. Genitori
difettosi, ma genitori. Enorme l'ignoranza storica sul nazismo di Eric e
Alex, l'assenza di ogni valutazione. Il videogame, il documentario storico,
i compagni di scuola, tutto e' uguale a nulla.
Lunga e noiosa la prima parte sulla vita normale, ma anche vita un po'
fatua, facilmente felice di nulla. Imprevedibile la violenza, ma e' gia'
la', in agguato, enorme.
Tecnicamente, significano qualcosa i lunghissimi pianosequenza sulle persone
in cammino? Ma dove andate, dove andate? Camminare non porta a nulla. Niente
vale.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 701 del 12 ottobre 2003