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La nonviolenza e' in cammino. 695
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 695
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 6 Oct 2003 19:17:44 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 696 del 7 ottobre 2003 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: i mezzi e i fini 2. Tonino Drago: sulla proposta di Lidia Menapace 3. Lidia Menapace: proposte per un'Europa di pace 4. Maria G. Di Rienzo: coinvolgere gli oppositori 5. Riletture: Hannah Arendt, Politica e menzogna 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: I MEZZI E I FINI Le violenze avvenute sabato 4 ottobre a Roma erano state ampiamente preannunciate nei giorni precedenti - e come al solito persino in impassibili interviste sulle televisioni di stato - dai provocatori che ancora una volta sono riusciti a scatenarle. A quanto ci risulta solo chi scrive queste righe ha fatto appello al movimento per la pace affinche' cessasse ogni complicita' con i provocatori e li si mettesse in condizioni di non poter scatenare le violenze e quindi di non poter nuocere ne' a se stessi ne' ad altri. Si veda l'editoriale del n. 688 del 29 settembre 2003 de "La nonviolenza e' in cammino", in cui ripetevamo ancora una volta i ragionamenti e l'appello che avevamo gia' formulato dopo la tragedia di Praga e molto prima di quella di Genova. Duole dirlo, ma troppi hanno fatto i pesci in barile, pur sapendo cosa avallavano, pur sapendo che contribuivano a mettere a rischio l'incolumita' e la vita di esseri umani. * Prima che altre persone subiscano lesioni o perdano la vita anche per la scellerata idiozia di pochi sciagurati che giocano a simulare la guerra, adorano la violenza ed hanno un'ideologia effettualmente fascista, ed anche la violenza e la barbarie altrui eccitano e scatenano, e' necessario ed urgente che il movimento per la pace e la giustizia esca dall'ambiguita', rompa ogni complicita' con i provocatori, si opponga decisamente a tutti coloro che teorizzano e praticano e provocano la lesione fisica, l'umiliazione morale e la degradazione intellettuale di esseri umani. * Per opporsi alla guerra si deve essere costruttori di pace; per opporsi all'ingiustizia si devono avere condotte giuste, per opporsi ai poteri violenti occorre la scelta della nonviolenza. Come diceva Gandhi, tra i mezzi e i fini vi e' lo stesso rapporto che tra il seme e la pianta. Un movimento che sostiene di voler essere per la pace e la giustizia dovrebbe innanzitutto smetterla di essere ambiguo e complice con scelte e condotte che sono autoritarie e militariste, irresponsabili e criminali. Un movimento che sostiene di voler essere per la pace e la giustizia, o fa la scelta della nonviolenza, o e' solo ipocrita e subalterno, complice della violenza dominante e dell'ideologia della violenza dominante cui dice di volersi opporre e che invece avalla, favoreggia e riproduce. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita': non solo l'umanita' nel suo insieme, ma anche l'umanita' di ciascuno di noi. 2. RIFLESSIONE. TONINO DRAGO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo di cuore Tonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per questo intervento. Tonino Drago, nato a Rimini nel 1938, docente di storia della fisica all'Universita' di Napoli, da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997] Ringrazio di cuore Lidia Menapace, che ha saputo porre un tema politico importante, che puo' incidere sulla vita politica attuale, nel mentre i movimenti nonviolenti italiani non riescono a impostare una tematica politica all'altezza dei tempi (anche se al tempo delle elezioni qualcuno lancia appelli per votare qualche partito). La proposta di Lidia si colloca nel quadro politico giusto, quello europeo. Ormai le strettoie istituzionali della politica sono la', tra euro e politica produttiva e politica militare. Su quest'ultima l'Europa sta vivendo un tradimento della sua stessa storia, quella del 1989; anno in cui i popoli europei piu' oppressi si sono ribellati nonviolentemente; senza fare carneficine dei vecchi governanti e neanche dei vecchi nemici, hanno saputo introdurci in un nuovo ordine mondiale. Questo sconvolgimento nonviolento della storia mondiale non ha ricevuto l'attenzione che meritava da parte dei partiti della sinistra, che infatti ancora ripetono la frase trasognata: "La caduta del muro di Berlino". Eppure la gente aveva pensato ingenuamente che essi fossero sensibili alla novita' e li ha mandati al governo in quasi tutta Europa. Al contrario, questi partiti hanno voluto (Telekom e Nato) la guerra nel Kossovo, proprio laddove c'era stata una lotta nonviolenta per dieci anni. E nel bel mezzo di questa guerra, senza discussioni parlamentari, hanno trasformato l'Europa in una roccaforte del potere mondiale, la quale puo' muoversi contro qualsiasi popolo: da patto solo difensivo la Nato e' diventato patto offensivo dotato di strategia nucleare, da usare anche come primo colpo verso qualsiasi nazione, anche non nucleare. In piu' per fronteggiare la superpotenza Usa, essi (e anche i partiti che non sono al governo, vedi Rifondazione) non vedono altra politica che ricreare un bipolarismo con gli Usa, invece di inaugurare una politica di difesa alternativa e aprirsi alla collaborazione con i popoli del mondo, facendo crollare le barriere economiche. La vicenda dell'ex ministro degli esteri, Ruggiero, e' significativa. Era sostenuto anche dalla sinistra perche' voleva una alternativa europea nell'industria aereonautica (Airbus), il settore industriale che piu' di altri prepara ad una alternativa militare europea. Berlusconi invece l'ha silurato, perche' dal tempo del G8 di Genova ha deciso di accodarsi alla superpotenza Usa. Su questo punto cruciale della nostra politica europea e quindi anche mondiale, non c'e' un partito che lavori contro il bipolarismo, ne' i Verdi, ne' Rifondazione. Subiamo la sconfitta politica e culturale di tutta la sinistra che ha avuto un tracollo di valori. D'altronde, un partito che facesse una politica coraggiosa, a quali basse percentuali si ridurrebbe nelle prossime elezioni? Allora qui c'e' spazio solo per dei movimenti; deve essere un movimento a lanciare una nuova politica della difesa. Tra i vari movimenti, i primi a lavorare in questa direzione dovrebbero essere quelli nonviolenti, perche' essi vogliono ricominciare daccapo la politica difensiva. Ma non nascondiamocelo, qui c'e' una divisione profonda tra gli stessi nonviolenti storici, se si debba fare lavoro prima nei movimenti, e non in supporto ai partiti esistenti; la scelta del movimentismo non e' indolore. Ma continuiamo a ragionare per quelli che ci credono. * Lidia ha saputo interpretare al meglio la situazione politica ed ha chiarito il quadro politico. Ma, a mio parere, la sua proposta ha solo approssimato l'obiettivo. Mi spiego. Non e' piu' il tempo di alzare le bandiere che caratterizzano solo noi e poi sfidare la storia, perche' siamo convinti che ci dara' ragione (cosi' come faceva l'obiettore isolato che veniva condannato da un tribunale, e cosi' come abbiamo fatto sotto il pericolo della guerra nucleare). Invece oggi e' il tempo di trovare dei percorsi di crescita sui quali si possa costruire collettivamente una nuova realta'. Percio' si tratta di stabilire degli obiettivi comprensibili da tutti e praticabili nell'arena politica secondo una progressione. Allora quali obiettivi europei e poi come realizzare una proposta di levatura europea? Cominciamo dalla seconda domanda. Prima di pensare di lavorare con coalizioni europee (tutte da costruire, dopo la sconfitta dei partiti verdi), cominciamo a partire da casa nostra, in Italia, per poi promuoverli o ricongiungerli a quelli di altri in Europa. Quali obiettivi italiani sul tema della difesa possiamo proporre a livello europeo? Molti. Ma per una prima proposta consideriamo che essi si distriibuiscono tra due polarita', quella negativa e quella positiva. Quella negativa, contro l'attuale politica di corsa agli armamenti. Per questo obiettivo dobbiamo contrastare non tanto il commercio delle armi, nella speranza che i parlamentari nostri amici strappino un emendamento che pone qualche vincolo formale ad un fenomeno su cui non abbiamo nessun controllo. Possiamo mai proporre di fare il commercio delle armi in maniera pulita? Qui l'obiettivo ristretto ci ha condannato alla sconfitta in partenza. Purtroppo tante forze movimentiste sono state coalizzate e spinte su questo obiettivo transeunte e senza quadro politico generale. Si tratta invece di andare contro la corsa agli armanenti; cioe' cercare tutte le occasioni per avere la testa della protesta pubblica contro questo arroccarsi dell'Europa in difesa dei privilegi acquisiti e di quelli progettabili per il futuro. In particolare, lotta contro la finanziaria per la parte delle spese militari; ma non genericamente, alla ricerca di un legame parlamentare che ci dia la soddisfazione di una caramella della riduzione di qualche miliardino su voci generiche; ma qualificandola come lotta contro le spese per tutte le armi offensive: portaerei, cacciabombardieri Efa, ecc. Ce la facciamo in occasione della finanziaria prossima ad organizzare almeno una dimostrazione nazionale su questo obiettivo della difesa solo difensiva, mostrando i conti di quante risorse essa ci farebbe guadagnare, oggi stesso? Riusciremo a convincere la sinistra (i sindacati in particolare) che non bisogna protestare genericamente contro la guerra, ma contro l'aggressione militare e gli strumenti che servono a cio'? Queste solo le sfide politiche iniziali. In una prospettiva di transarmo, esse precedono la realizzazione di una difesa nonviolenta europea. Inoltre la polarita' positiva di costruire un'alternativa alla difesa attuale, in quello spazio che anche la democrazia solo formale lascia alle minoranze. Lo si puo' fare dall'alto delle istituzioni e dal basso. Dal basso. All'interno dell'Italia, sulla difesa sociale c'e' un vuoto politico pauroso, realizzato da Libera, associazione non nonviolenta, di quel volontariato che vuole essere amico della polizia, piu' che della legalita', e quindi piu' che della nonviolenza. Ma questo punto richiederebbe un discorso a parte. Invece a livello internazionale c'e' una serie di iniziative, che nel nostro provincialismo linguistico e culturale, ci fa onore: l'interposizione nonviolenta finora realizzata in Jugoslavia, in Palestina ed in Iraq e' a buon livello, rispetto a quello internazionale. Come dice giustamente Tartarini, ci sarebbe da lavorare per un maggiore coordinamento politico (e formativo, non tanto organizzativo). * Ma qui nasce il problema dell'incontro con la politica istituzionale. Alcuni nonviolenti non fanno che parlare di corpi europei di pace. Eppure da anni questo obiettivo politico si e' dimostrato spropositato rispetto alla nostra gamba; perche', come si diceva, l'Europa sta facendo una politica esattamente contraria; ne' vuole concedere qualche smagliatura ai partiti minoritari, perche' Verdi o sinistra su questi temi non si battono fortemente (essendo i poteri militari troppo forti per loro); e perche' nel Parlamento europeo i deputati di alcune nazioni (Grecia, ad esempio) si compattano nel contrastare ogni forma alternativa di difesa. Ne' c'e' un movimento unitario europeo su questo punto. Ne' c'e' una proposta chiara, perche' finora non c'e' stato ne' un servizio civile europeo unitario, nde un progetto politico preciso (fare anche in Europa i Peace Corps americani, che si dice che siano collegati alla Cia? O semplicemente una politica giovanile di pace irenica? E comunque che controllo avremmo sulla sua gestione?). Da anni si sono indirizzate una gran quantita' di speranze e di energie su questo obiettivo politico improbabile; mentre invece non si fa attenzione (incoscienza? o giochi di parrocchia? o incapacita' a fare movimento politico dal basso?) ai passi enormi compiuti dalla azione di alcuni enti di servizio civile per una nuova legislazione italiana per una difesa alternativa. Oggi in Italia abbiamo ottenuto delle strutture giuridiche, leggi approvate e che si stanno applicando, non discorsi politici, o accordi di qualche gruppo, o progetti di leggi future. Le sentenze della Corte Costituzionale sulla equivalenza dell'esercito non armato con quello armato sono le prime in Europa. Le leggi conseguenti, approvate dal Parlamento, non hanno eguali in tutta Europa: le leggi 230/1998 e 64/2001 istituiscono una difesa nonarmata e nonviolenta. La quale nella pratica non inizia perche' c'e' una disattenzione totale da parte dei partiti (e fin qui non ci si meraviglia tanto), ma anche da parte dei movimenti nonviolenti italiani, vecchi e nuovi; e addirittura anche da quegli enti di servizio civile, che pure, senza molto aiuto da parte dei movimenti nonviolenti, avevavano combattuto bene per avere quelle leggi e quegli articoli sulla Difesa popolare nonviolenta. Due esempi d'attualita'. In applicazione di quelle leggi si sta per istituire una Commissione Nazionale per la Difesa popolare nonviolenta (che quantomeno dara' dei pareri autorevoli su come spendere i duecentomila euro per attuare la Difesa popolare nonviolenta); e che fa l'Unsc? Gioca al ribasso e chiede ad ogni ente presente nella Consulta (solo cinque su almeno 300) di indicare qualche esperto della Difesa popolare nonviolenta (perche' lo Stato, poverino, non conosce nessuno!); e quegli enti stanno al gioco al ribasso e si danno da fare per indicare gli esperti a loro vicini, senza avanzare nessuna ipotesi complessiva di progetto e neanche di designazione finale; la quale ipotesi complessiva ora dipendera' da qualsiasi capriccio di Giovanardi, o chi per lui. Cose analoghe sono da ripetere per la formazione degli obiettori in servizio civile, laddove ci sono tre milioni di euro all'anno; ma ora, per mancanza di una politica da parte della base, vengono dispersi a pioggia su ogni ente; cosicche' non ne potra' venire fuori un gruppo professionale di formatori di obiettori (in barba a tutte le reti di formazione spontanee che sono sorte dal basso nel passato), ne' una azione pedagogica di influenza nazionale, ne' una crescita operativa dei movimenti per la pace. Siamo capaci allora di fare, ad esempio, una manifestazione nazionale su questo tema (casomai assieme a quello delle spese per la difesa non difensiva)? O almeno un convegno qualificato, che non sia di parrocchia? * In definitiva abbiamo una capacita' di fare politica collettiva, o no? Con le vittorie che abbiamo ottenuto sappiamo fare politica, almeno quando abbiamo il pallino in mano? Che dire della cornacchia che ha il formaggio in bocca e la volpe glielo fa cadere con un invito furbastro? Se non ci chiariamo le idee su questo punto, poi e' inutile fare appelli ad un volontarismo eroico infinito; che non appare all'orizzonte, o e' affidato ai soliti irriducibili. Quando invece la gente attorno a noi ha bisogno solo che un gruppo le sappia offrire una proposta chiara, per investirci le sue energie incredibili (ora affogate nella imperante politica di scambio). 3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: PROPOSTE PER UN'EUROPA DI PACE [Da "Missione oggi" n. 7, dell'agosto-settembre 2003 (sito: www.saveriani.it/missioneoggi) riprendiamo questa relazione tenuta da Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) a un convegno promosso dalla stessa rivista dei missionari saveriani. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Che simboli, immagini, concetti evoca in me la parola "Europa"? Geograficamente, e' una specie di riassunto del mondo. Con climi diversi, pianure, fiumi. Niente e' eccessivamente grande. Le montagne piu' alte restano quelle dell'Himalaya. I fiumi piu' lunghi sono altrove. Da punto di vista culturale, questo frastagliamento si traduce in complessita', differenziazione, razionalita'. Eppure, l'Europa non evoca il concetto di "pace". E' una storia di differenziazione. Non si potrebbe pensare, ad esempio, di votare in Parlamento la lingua ufficiale, come si e' fatto negli Stati Uniti. Erano incerti fra tedesco e inglese. E' passato l'inglese per pochi voti. Si e' potuto fare tutto cio' perche' l'America e' un continente piu' raccogliticcio e con delle presenze gia' molto determinate dal punto di vista del potere. In Europa sarebbe impensabile votare "una" lingua ufficiale, perche' la differenziazione e' molto radicata. Ci sono almeno cinque o sei delle grandi lingue del mondo. Anche la razionalita' - cioe' una certa idea di leggere il mondo secondo criteri universabilizzabili - sembra nata in Europa. L'Europa, pero', non e' stato un continente di pace. Al contrario, e' stato il continente piu' aggressivo di tutto il pianeta. Non solo al suo interno, ma nell'imperialismo, l'Europa ha battuto tutti gli altri. Persino le religioni - trasferite dalla loro culla nel sistema politico europeo con il grande patto tra impero romano e cristianesimo che ha dato il via alla cristianita' (cioe' alla rappresentazione politica del messaggio religioso) - hanno sviluppato caratteristiche aggressive nella predicazione. Il fatto che tutte le ex colonie francesi siano prevalentemente cattoliche e quelle inglesi prevalentemente evangeliche, dice chiaramente il rapporto di subordinazione e di reciproco aiuto, sostegno. Questa "poco santa alleanza" si e' realizzata anche nell'espansione missionaria. * La guerra moderna "made in Europe" Di sicuro, l'unificazione dell'Europa e' di per se' elemento che modifica gli equilibri politici mondiali. Allora diventa importante esaminare l'Europa sotto il profilo della sua relazione con la guerra, e dei semi di pace che ha dentro di se'. Questo e' il terreno sul quale mi muovero'. Se esamina la propria storia, l'Europa ha prima di tutto da fare un'enorme autocritica. Perche' la caratteristica della guerra moderna - cioe' dell'attributo dell'esercizio della violenza legittimato allo Stato - e' un'idea europea. La guerra preesisteva. C'era una guerra arcaica, che consisteva in un patto per conquistare un territorio dove poter vivere. Ma la guerra moderna e' un attributo dello Stato, della sua sovranita'. E' considerata la legittimazione della violenza, che attribuita allo Stato viene chiamata "forza"; serve per difendere i propri cittadini dai nemici. C'e' questo passaggio che e' significativo della sottigliezza giuridica della cultura europea: le armi sono violenza, l'Esercito e' un'istituzione violenta, tuttavia quando e' assunta dallo Stato in funzione di tutela della comunita' di cittadini/e, si chiama "forza" e diventa legittima. Questa legittimazione avviene persino all'interno perche' gli strumenti violenti che difendono il singolo cittadino dalla criminalita', si chiamano "forze dell'ordine". La parola "forza" e' una legittimazione, non solo un'ipocrisia giuridica, perche' in effetti quando la violenza diventa forza, ha dei limiti; allo stesso modo, la forza che viene attribuita allo Stato, ha pure dei confini: e' stata elaborata una teoria, sia in ambito cristiano che in ambito politico, sulla "guerra giusta". Anche questa e' una caratteristica delle riflessioni europee. Quale guerra puo' essere dichiarata "giusta"? Nella tradizione giuridica prevalentemente europea (diventata poi generale), si dice che quando uno Stato ha subito un danno - ad esempio, gli e' stato portato via un pezzo del suo territorio - e in nessun altro modo riesce a recuperarlo, puo' legittimamente far ricorso alle armi. Questo uso e' legittimo se, nel riparare il danno, c'e' un certo equilibrio. Il risarcimento deve essere paragonabile al danno ricevuto. Messe sotto questo giudizio, gia' la prima ma anche la seconda guerra mondiale e' dubbio che fossero giuste. Vediamo perche'. Il fatto che l'Italia volesse o rivolesse nel suo disegno di riunificazione di una comunita' culturalmente abbastanza omogenea, almeno per tradizione linguistica, il Trentino e il Friuli Venezia Giulia, era legittimo. Diplomaticamente, era stata gia' quasi ottenuta. Non per niente Benedetto XV defini' poi la guerra un'inutile strage. Per altre ragioni, l'Italia entro' pero' lo stesso in guerra: seicentomila morti, grande indebolimento della popolazione, altri seicentomila morti per la spagnola. E, gia' che c'eravamo, abbiamo preso anche il Sud Tirolo. Puo' essere considerato un risarcimento equo? La conquista di Bolzano non era nei disegni nemmeno del piu' sfrenato dannunziano. Quindi sotto questo profilo, davvero un'inutile strage anche solo per l'Italia. * Una violenza non legittimabile La seconda guerra mondiale si conclude con lo sganciamento delle due atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Questo e' un danno che non consente risarcimento. Che risarcimento chiedi per duecentomila persone morte e danni genetici che si ripropongono per generazioni, non si sa fino a quando? Da quando c'e' l'atomica, la guerra e' uscita dall'orizzonte giuridico della sua legittimazione possibile. Non ci sono piu' guerre giuste dopo l'atomica. Perche' potenzialmente si puo' infliggere un danno ad una popolazione, che non e' misurabile. Che implica le generazioni successive. Se vogliamo usare la razionalita' europea, c'e' dunque un impegno storico di definire i conflitti tra gli Stati - per qualsiasi ragione: territoriale, culturale, religiosa, economica - senza una guerra, perche' c'e' sempre il rischio dell'atomica. Ci troviamo di fronte ad un evento del tutto nuovo nella storia del pensiero giuridico. E' venuta meno la possibilita' di dare anche con sofisticati ragionamenti, con calcoli, ecc. una legittimazione al passaggio dalla violenza alla forza. La guerra oggi e' dunque solo violenza non legittimabile. Questa e' una cosa con la quale l'Europa deve fare i conti. Un'Europa che ha inventato la guerra moderna, come attributo legittimo degli Stati nella loro sovranita'. Su questo terreno, deve dunque fare un'autocritica. Bisogna restituire il maltolto, che in parte con la decolonizzazione e' gia' avvenuto. Un maltolto piu' profondo, che e' quello dell'uso delle risorse dei paesi impoveriti dalla nostra rapina, sarebbe un'altra parte di risarcimento dovuto. Non e' solo un atto di bonta', ma qualcosa di impegnativo: comporta anche un cambiamento delle relazioni economiche con le altre aree del mondo. * I semi di pace Dopodiche' non c'e' niente da salvare in Europa dal punto di vista della pace? C'e' una curiosa ambiguita' del messaggio cristiano e due movimenti molto significativi. Il messaggio cristiano e' di per se' un messaggio di pace. Tuttavia, sposandosi con il potere politico, spesso non ha portato alla pace. Il patto tra trono e altare ha in parte cancellato questo volto di pace del cristianesimo. Appunto solo in parte perche' testimonianze hanno continuato ad agire, non pero' con il volto ufficiale della chiesa o delle chiese. Il messaggio cristiano ha dunque bisogno di fare un grande lavoro di scrostamento e di recupero di una delle sue piu' straordinarie caratteristiche dal punto di vista della storia: la laicita' delle istituzioni pubbliche, politiche, dell'autorganizzazione della societa'. Un elemento che e' invece del tutto assente nelle altre due religioni monoteiste (ebraismo e islam). E' un tema fondamentale: una delle cose che l'Europa cristiana potrebbe rivendicare. Ci sono altri due movimenti che potrebbero essere messi a fondamento di un'Europa che abbia fatto su di se' una sana autocritica: il movimento operaio e il movimento delle donne. Entrambi non hanno mai voluto guerre. Non ne hanno nemmeno mai provocate, a parte qualche caso isolato (ad esempio, in tempi moderni, la Thatcher). Ma se facciamo un calcolo proporzionale, siamo sul 3% contro un 97% degli uomini. Il movimento operaio ha sempre temuto la guerra. Si spacco' in due all'inizio della prima guerra mondiale. Rosa Luxemburg senti' la prima guerra mondiale come una tragedia. Disse: "E' impensabile che i due piu' organizzati proletariati d'Europa - quello francese e quello germanico - travestiti da militari si sparino addosso agli ordini delle rispettive borghesie nazionali". Abbiamo dunque una lunga tradizione di non interventismo nel movimento operaio, che ha utilizzato tutte le forme dell'azione nonviolenta: assemblee, manifestazioni, petizioni, scioperi, picchetti, sabotaggio e boicottaggio. La stessa Rosa Luxemburg pensava che la rivoluzione avrebbe dovuto essere fatta attraverso uno sciopero generale ad oltranza, nel corso del quale l'insediamento delle nuove classi avrebbe modificato le relazioni nella societa'. Anche il movimento delle donne ha questa stessa caratteristica. Esso comincio' in Inghilterra con il suffragismo. E Gandhi ha studiato dalle suffragiste inglesi le forme della lotta nonviolenta. Anche le suffragiste facevano manifestazioni, sit-in, si legavano alle colonne dei palazzi del potere. E intervenivano facendo della disobbedienza civile molto attiva. Una delle prime cose che fecero, fu di occupare le tribune di Whitehall, il Parlamento inglese, in un giorno in cui si discuteva la legge elegantemente intitolata "Legge sui bastardi". Allora, buttarono dei volantini sui quali c'era scritto: "Forse ci sono dei genitori bastardi, ma i figli...". Suscitarono uno scandalo enorme. Poiche' erano signore della buona societa' e, come tali, non dovevano nemmeno sapere che nell'Europa vittoriana c'erano i bastardi. Le suffragiste americane si sono segnalate invece per aver fatto una catena di disobbedienza: avevano ospitato gli schiavi neri che scappavano dagli Stati del Sud. Generalmente, questi schiavi avevano il nome e l'indirizzo di una donna bianca, che li accoglieva. E dava l'indirizzo di un'altra donna bianca, fino a quando non arrivavano negli Stati del Nord. E' curioso che questo movimento delle donne cominci con dei temi relativi alla riproduzione e con una sorta di alleanza con altri oppressi. Donne e neri, soprattutto negli Stati Uniti, sono tradizionalmente collegati. Penso che sia soprattutto questo, cio' che l'Europa debba rivendicare della propria storia. Deve dire: "Da questi movimenti vengono suggerimenti di relazioni fra le persone, i generi, le classi, le etnie, le religioni, molto conflittuali, ma assolutamente contrari alla violenza e alla guerra". Dunque, sono dei luoghi di studio importanti. Con la "Convenzione permanente di donne contro le guerre", proponiamo che l'Europa si costituisca come continente neutrale. Proprio la sua scienza giuridica, le consente di dire: "Non c'e' piu' guerra legittima. Io Europa, come continente, ne ho fatte di tutti i colori, e di questo chiedo perdono; ma, nella mia storia, ho anche due grandi movimenti che poi si sono diffusi in tutto il mondo, e che hanno radicalmente cambiato le relazioni: sono molto conflittuali - considerano il conflitto una delle forze della storia - e hanno usato tutte le forme della lotta nonviolenta". * Europa: un continente neutrale La neutralita', dal punto di vista del diritto internazionale, e' una decisione soggettiva di un ente giuridico. "Io, Stato, dichiaro che non faro' guerra; prendo questo impegno davanti alla comunita' internazionale. E questa fa lo stesso nei miei confronti. Dunque, non ospitero' sul mio territorio basi militari o passaggi di truppe. E, di conseguenza, la comunita' internazionale non potra' passare. A mia volta, mi impegno a non fare politiche aggressive che debbano sfociare nella guerra; se cio' dovesse avvenire, la comunita' internazionale mi metterebbe delle sanzioni. E' un sistema di contrappesi giuridici abbastanza significativo. Applicato in Europa, obbligherebbe la Nato ad andarsene. Quando c'e' stata l'ultima guerra in Iraq, l'Austria ha dichiarato: "Sono neutrale". E non e' passato neanche un fucile. Nemmeno il sorvolo dei suoi territori era consentito. Nel territorio europeo (non nell'Unione Europea), ci sono gia' quattro Stati neutrali: la Svizzera, l'Austria, la Svezia e la Finlandia. Che cosa ne facciamo? Non possono entrare in Europa perche' sono neutrali? Non possiamo garantire che la loro neutralita' verra' rispettata anche nell'Europa unita? C'e' gia' stato un ministro degli Esteri italiano, Gianni De Michelis, che aveva dichiarato che l'Austria, se voleva entrare in Europa, doveva rinunciare alla neutralita'. Mi piacerebbe che anche un'Europa non neutrale riconoscesse la neutralita' degli Stati europei che gia' l'hanno dichiarata. E che poi essa si sviluppasse in modo da non ostacolare un futuro di neutralita', quando fosse maturo. So che al momento e' impensabile presentare al Parlamento europeo una proposta del genere: esso e' infatti larghissimamente orientato verso l'Esercito europeo di difesa. Quindi, per il momento, questa proposta non e' attuabile. Ma teniamo sullo sfondo la nostra decisione: vogliamo un'Europa neutrale. Intanto facciamo un'Europa che non ostacoli un futuro accesso alla neutralita'. Ad esempio, facciamo una Costituzione europea dove, all'articolo 1, ci sia il diritto alla pace. * La rivoluzione in ambito Onu Questo porterebbe ad una significativa correzione nell'ambito delle Nazioni Unite. Penso che, quando l'Europa sara' costituita, chiedera' di entrare all'Onu. Si stanno costituendo queste mostruose forme non-giuridiche di intervento. Ad esempio, su Israele ora interviene l'Europa, gli Stati Uniti, forse le Nazioni Unite... Ma che cosa vuol dire? Il futuro dell'Iraq sara' gestito da Stati Uniti, la sua coalizione e Onu: che significa? Le Nazioni Unite vengono degradate ad un ruolo assistenziale, non piu' di direzione politica. Bisogna uscire da questa logica. Sono abbastanza vecchia da ricordarmi che, quando la Societa' delle Nazioni fu sottoposta da parte di Hitler e Mussolini ad attacchi furibondi, e fini' in pezzi, questo fu uno dei grandi segni della seconda guerra mondiale. Perche' comunque una sede di comparazione giuridica qualche cosa vale. Pensate a questa vicenda: con un calciomercato assolutamente sfrenato, gli Stati Uniti non sono riusciti a comprare voti sufficienti per passare al Consiglio di Sicurezza: gli ha detto di no il Camerun. Vuol dire che i soldi non comprano tutto. Vuol dire che il diritto ha una sua forza. La richiesta dell'Europa di entrare con una nuova identita' collettiva nelle Nazioni Unite sarebbe l'occasione straordinaria per una riforma dello stesso Onu. Bisognera' allora ridiscutere la formazione del Consiglio di Sicurezza. La nostra proposta e' un'Europa unificata, che abbia nella sua Costituzione il diritto alla pace, con la prospettiva di diventare un continente neutrale (e percio' un polo di riferimento al mondo di tutti i popoli e i paesi che vogliono evitare la guerra). Potrebbe ad esempio ospitare sul suo territorio, visto che ha una grande tradizione giuridica, tutti i tribunali penali internazionali. Potrebbe essere il luogo di formazione di una magistratura e di una polizia internazionale, che intervenga contro i crimini di guerra. In questo senso, l'avvio del Tribunale penale internazionale - malgrado l'opposizione degli Stati Uniti - e' significativo. E' un grande segno della forza del diritto. Cosa proponiamo per le Nazioni Unite? Che la forza dell'Europa rimetta in discussione le strutture. Chiediamo che il Consiglio di Sicurezza sia tutto a rotazione. Che l'Assemblea venga dotata di maggiori poteri decisionali. Che il diritto di veto venga tolto, o venga reinterpretato per quello che era in epoca romana: non lo detenevano i consoli, ma i tribuni della plebe; chi aveva gia' il potere, non occorreva che avesse anche il diritto di veto. Questo potrebbe essere dato ai popoli impoveriti. L'Argentina potrebbe mettere il veto al Wto, ad esempio. Alcuni propongono che il Consiglio di Sicurezza diventi il governo del mondo. Questo mi parrebbe, ora come ora, una fuga in avanti. Si potrebbe invece cominciare col dire che tutte le agenzie Onu diventino i luoghi in cui si preparano i futuri governi del mondo. Sulla cultura, sull'infanzia, sui rifugiati, ecc. si puu' allevare un personale di governo, anche diplomatico, significativo. Ce n'e' da fare - come vedete - per i prossimi 150 anni... Non dobbiamo mettere limiti alla nostra fantasia politica. In questo momento, si soffre soprattutto di una grande asfissia politica: meschinita' nella politica di tutti i giorni; e grandi gesti di prepotenza nella politica in cui si decidono le sorti del mondo. Non e' sano. Perche' induce ad essere o leghisti o imperialisti. Questi sono due eccessi che ripudio. E' importante stabilire dei territori di possibili conflitti che vengono tutti analizzati, riconosciuti. E poi ci si impegni per trovare forme nonviolente per la loro gestione. La pace - che non ha finora alcuna definizione giuridica positiva (e' solo cessazione della guerra) - potrebbe diventare "gestione o governo nonviolento dei conflitti". 4. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COINVOLGERE GLI OPPOSITORI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Che voi vogliate coinvolgere i vostri "alleati", associazioni e persone che vi sono affini, o con cui condividete dei valori, nei piani e nelle campagne del vostro gruppo e' abbastanza ovvio. Molto probabilmente, pero', non avete mai pensato alla possibilita' di coinvolgere i vostri potenziali oppositori; quest'idea puo' apparirvi remota, o persino pericolosa per gli scopi del vostro gruppo. Ma provate a rifletterci: forse i vostri oppositori possono aiutarvi in modi a prima vista insospettati. Come scoprirete, collaborare con persone dagli scopi e dai valori parzialmente diversi dai vostri puo' tornare a loro e a vostro beneficio. Potete "vincere" entrambi. * 1) Perche' dovreste provarci La collaborazione con persone che altrimenti identificate come oppositori puo' fornirvi numerosi vantaggi. Per esempio, potreste grazie ad essa rimuovere o neutralizzare una critica altrimenti pesante sul vostro operato; potreste ottenere degli indizi preziosi sui modi in cui i vostri oppositori lavorano; potreste ottenere l'accesso ad un gruppo che precedentemente era del tutto sordo alle vostre proposte; potreste acquisire nuove risorse per risolvere un problema comune (per risolvere problemi "duri" e difficili sono necessarie numerose energie); potreste scoprire valori comuni che non pensavate esistessero; potreste conoscere i vostri oppositori come persone, e costruire una base di fiducia che vi sara' utile in futuro. E, forse piu' importante di tutto il resto: coinvolgere i vostri oppositori puo' mutare lo status quo e farvi avanzare sensibilmente. * 2) Sapete riconoscere i vostri oppositori? L'opposizione al cambiamento sociale ha gradi diversi per persone diverse. Non tutti quelli che vi avversano difenderanno la loro posizione sino all'ultimo respiro. Coloro che sono parzialmente contrari possono cambiare idea, e alcuni possono essere contrari semplicemente perche' non hanno capito che cosa volete, o persino per abitudine: perche' voi siete "x", e per tradizione essi non usano essere d'accordo con "x"! Parlando con loro, potreste scoprire che non sono affatto vostri oppositori. Inoltre, l'opposizione che avete dipende molto dall'istanza di cui vi occupate. Qualcuno che si oppone all'istanza A potrebbe non opporsi affatto all'istanza B: su quest'ultima, potrebbe essere il vostro piu' leale compagno. Percio', fate attenzione alle generalizzazioni. Infine, l'opporsi non e' eterno per natura: chi la pensa in altra maniera puo' cambiare opinione. Voi stessi potreste mutare alcune posizioni. Cio' significa che mantenere relazioni "civili" (non necessariamente amichevoli) con i vostri oppositori e' piu' spesso una buona idea che una cattiva idea. Punto chiave da tenere in mente: chi non e' d'accordo con voi non e' per forza un oppositore. * 3) Quando coinvolgerli Tre indicatori per farlo: - quando le linee comunicative sono ancora relativamente aperte, e in special modo quando sapete che i vostri oppositori sarebbero disponibili a parlare con voi; - quando riconoscete comuni opportunita' e comuni valori (anche se i vostri oppositori non hanno raggiunto la stessa consapevolezza); - quando, dal punto di vista dei vostri oppositori, il costo di un coinvolgimento con voi non appare troppo alto. Quattro indicatori per non farlo: - quando e' in corso una sequenza distruttiva, di delegittimazione reciproca, fra i due gruppi; - quando le rispettive posizioni sull'istanza sono da ambo le parti fortemente radicate e tenute, e completamente opposte l'una all'altra; - quando essi si rifiutano di incontrarvi e/o parlarvi; - quando le quantita' di tempo ed energia per collaborare con loro sulla questione sarebbero un costo troppo alto per voi. Su alcune istanze e' certamente possibile "accordarsi sul fatto di essere in disaccordo", in modo rispettoso per entrambi i gruppi. E tuttavia ricordate questo: il fatto che siate in disaccordo ora, non significa che lo sarete anche la prossima volta. * 4) Come coinvolgerli Supponiamo abbiate deciso che non sarebbe un'idea cosi' balzana coinvolgere i vostri oppositori nella vostra causa. E' positivo che siate aperti a quest'idea, ma dovete tener presente che camminerete su un terreno che non vi e' familiare: percio', come vi muoverete? a) Restringete gli "obiettivi". Chi vorreste coinvolgere? Provate a selezionare i possibili interlocutori con questi criteri: coloro che hanno il potere di aiutarvi ad ottenere cio' che volete; coloro che hanno gia' cooperato con voi in passato; coloro che sono d'accordo su parte delle cose che dite e fate; coloro che potrebbero muovere verso di voi altri oppositori; coloro che sembrano avvicinabili, e che voi vi sentite a vostro agio nell'avvicinare. b) Chiarificate i vostri scopi prima di procedere. Cosa volete ottenere dal coinvolgimento? Che aspetto avrebbe un risultato favorevole dell'incontro? E' bene non aspettarsi la luna, ma qualche scopo piu' terra terra puo' essere raggiunto: ad esempio, un accordo sul fatto che quel tale gruppo non si opporra' a voi pubblicamente; un accordo sul provare a fare come dite voi per un periodo stabilito di tempo, seguito da valutazione imparziale; un accordo per lavorare insieme su un tema specifico. * 5) Siete pronti a lavorare con i vostri oppositori? Puo' non essere facile. Puo' comportare nervosismo, fatica, delusione, persino rabbia. Potreste fallire, certo. Percio' riflettete sul tempo e sull'energia che potete investire in questo tentativo. Fatta questa pausa, se vi sentite ancora intenzionati a provare, cominciate con l'identificare gli altri portatori di interesse diretto sull'istanza, oltre a voi ed ai vostri oppositori: ovvero coloro che nella comunita' soffrono il peso della situazione che state cercando di cambiare, o ne sono comunque toccati come persone. Per esempio, se la questione in ballo e' l'inquinamento di un fiume, chi sono gli altri interessati? Altri inquinatori, oltre a quelli che avete individuato (i vostri oppositori)? I contadini che irrigano i loro campi ed abbeverano il bestiame con quell'acqua? I cittadini che vivono nei pressi del fiume? E' bene entrare in contatto con questi gruppi e consultarsi con loro per molte ragioni: perche' potrebbero avere informazioni che voi non avete, e buone idee per la soluzione del problema che a voi non sono venute in mente; perche' se non vengono consultati potrebbero irrompere nel processo risolutivo quando meno ve lo aspettate, e interromperlo; perche' dovranno comunque vivere con la soluzione che verra' adottata ed hanno tutto il diritto di essere ascoltati, nonche' di essere coinvolti se lo desiderano. * 6) Essere informati Piu' spesso di quanto non si creda, i gruppi si oppongono gli uni agli altri perche' non hanno accesso alle informazioni chiave sull'istanza. Entrambi potreste pensare di conoscere i "fatti", ma potreste entrambi sbagliare. I "fatti" a vostra conoscenza potrebbero essere incompleti, datati, mistificati o interpretati tendenziosamente. Chiedetevi se avete abbastanza informazioni accurate per comprendere la questione ed arrivare ad una sua soluzione. * 7) Entrare in contatto con i vostri oppositori Cominciate con lo stabilire le regole dell'incontro: cio' serve a ridurre il rischio di fraintendimenti e a convincere gli indecisi. Accordatevi sul luogo dell'incontro, sulla sua durata, su chi partecipera', sulla presenza o meno di giornalisti, sulla presenza di tecnici non appartenenti ad uno dei gruppi presenti, ecc. Soprattutto, stabilite insieme in anticipo l'agenda dell'incontro: che cosa volete discutere, implicando i risultati che sperate di ottenere. * 8) Proporre la facilitazione Un/una facilitatore/facilitatrice potrebbe esservi di grande aiuto nel dialogo con i vostri oppositori. Questo e' particolarmente vero quando vi e' alle spalle dell'incontro una vecchia storia di attacchi reciproci, quando l'istanza muove profondamente le emozioni, quando non ci si fida ancora abbastanza delle proprie capacita' comunicative. * 9) Coinvolgere gli altri portatori di interesse diretto Il modulo d'incontro a due gruppi non e' l'unico a disposizione: altre persone interessate all'istanza potrebbero entrare proficuamente nel dialogo. Accordatevi magari dapprima sull'incontro a due e poi, se la cosa funziona, allargate il vostro tavolo. * 10) Incontratevi piu' di una volta Dipende dalle persone coinvolte, dagli scopi che avete, e dalla complessita' dell'istanza: ma certamente non risolverete la questione al primo incontro. Riflettete, prima di arrivare al dialogo, sui valori e gli interessi dei vostri oppositori. Non sarete d'accordo su molte cose, ma cercate le aree in cui gli interessi ed i valori si incontrano: e' probabile che ne troverete. Siate cordiali: trattate le altre persone come vorreste essere trattati. Ascoltate con attenzione e partecipazione. Fate proposte specifiche e chiare, senza temere di dire cosa desiderate accada, e perche' (e pianificate in anticipo alternative negoziabili se le proposte verranno totalmente respinte). Assicuratevi che molte diverse opzioni vengano vagliate, prima di accordarvi su qualsiasi cosa. * 11) Raggiungere l'accordo Il meglio che potete ottenere e' l'impegno dell'altro gruppo su un particolare piano d'azione. Per esempio, i vostri ex oppositori sono d'accordo nel sostenere il vostro programma anti-violenza, o firmano il vostro appello, o semplicemente non prendono piu' parte sulla questione sollevata: questi risultati possono sembrarvi piccoli, ma sono molto importanti, perche' creano un precedente su cui potrete contare in seguito. Se non ottenete l'impegno sull'azione, potreste raggiungere un accordo di massima su valori e scopi. I vostri ex oppositori potrebbero dire: "Non sosterremo il vostro programma anti-violenza, ma lavoreremo anche noi in questo senso, per ridurre la violenza nella nostra comunita' mediante... ecc.". Oppure, se non siete riusciti a spostarli sino all'accordo su valori e scopi, potreste raggiungere un "accordo di principio" su uno schema generale, i cui dettagli saranno successivamente all'ordine del giorno di successivi incontri. Qualsiasi sia il risultato ottenuto, mettetelo per iscritto. Le parole scritte, in questi casi, danno ad ambo le parti un senso di chiarezza e sicurezza. Potete redigere e chiamare l'accordo come preferite, l'essenziale e' che tutti i presenti lo firmino, e che ne vengano fatte girare copie in gran quantita'. * 12) Far funzionare l'accordo Ora lo avete sulla carta, vero? Bene, scordatevi di aver finito il lavoro. Adesso dovete persuadere i vostri alleati a sostenere il vostro sforzo, mostrando loro che l'accordo raggiunto e' un buon punto di partenza. Qualcuno di essi potrebbe essere sospettoso, e pensare che c'e' qualcosa sotto (certo che c'e': e' la pratica nonviolenta, ed e' l'occasione buona per spiegarne loro un po', non vi pare?). Dovete coinvolgere, se non lo avete gia' fatto, gli altri portatori di interesse diretto: sono cruciali per il vostro successo, e sono coloro che vivranno sulla propria pelle la situazione futura, quale essa sia. Dovete informare l'opinione pubblica di quanto e' avvenuto: naturalmente giornalisti ecc. potranno meravigliarsi (e malignare) sul fatto che voi ed i vostri ex oppositori state ora lavorando insieme. Date una spiegazione sul piano pratico, in termini di pragmatismo, se i media non riescono a capire altro, o altro non vogliono pubblicare: ma datela. Nel costruire sostegno al vostro accordo, una comunicazione chiara e' la chiave del successo. * 13) Strutturare l'accordo Avete un accordo, e va bene: vi serve una struttura per farlo funzionare, a breve o a lungo termine? E' probabile di si', ed averla vi evitera' brutte sorprese (gli ex oppositori che all'ultimo momento si ritirano dal programma per qualsiasi ragione o, a un certo punto del processo, rigettano l'accordo, o magari si oppongono di nuovo). La "struttura" non e' una sede fissa, ne' la nascita di una super-organizzazione che tenga insieme i due (o piu') gruppi, ma il vedersi regolarmente, in incontri chiusi o aperti come preferite, con una formale verifica della situazione a scadenze fisse. * 14) Monitorare l'accordo Mettiamo che la struttura stia funzionando. La vostra necessita' e' ora controllare cio' che accade, ovvero se le cose stanno andando nel modo previsto dal vostro accordo. Specificatamente, dovete controllare: - se le parole dei vostri ex oppositori sono in sintonia con le loro azioni: stanno facendo quello che hanno promesso e sottoscritto? - se le vostre parole sono in sintonia con le vostre azioni: voi, state mantenendo l'accordo? Il "monitoraggio" puo' anche essere inserito nell'accordo stesso, e far parte della verifica. * 15) Sommario Se ce la fate a seguire tutti i passi suggeriti, le possibilita' di arrivare a dei risultati positivi (dialogo e accordo) con i vostri oppositori sono davvero buone. Ricordate che essi saranno proficui a lungo termine, consentendovi di pianificare ulteriori collaborazioni, e di spostare verso il cambiamento altri settori della comunita'. 5. RILETTURE. HANNAH ARENDT: POLITICA E MENZOGNA Hannah Arendt, Politica e menzogna, Sugarco, Milano 1985, pp. 288. Quattro saggi della grande pensatrice (La menzogna in politica; La disobbedienza civile; Sulla violenza; Pensieri sulla politica e la rivoluzione), con un'ampia introduzione di Paolo Flores D'Arcais (quest'ultima poi ripubblicata dapprima con altri saggi dell'autore presso Marietti, poi in volumetto a se' stante presso Donzelli). 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 696 del 7 ottobre 2003
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