La nonviolenza e' in cammino. 695



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 696 del 7 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: i mezzi e i fini
2. Tonino Drago: sulla proposta di Lidia Menapace
3. Lidia Menapace: proposte per un'Europa di pace
4. Maria G. Di Rienzo: coinvolgere gli oppositori
5. Riletture: Hannah Arendt, Politica e menzogna
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: I MEZZI E I FINI
Le violenze avvenute sabato 4 ottobre a Roma erano state ampiamente
preannunciate nei giorni precedenti - e come al solito persino in
impassibili interviste sulle televisioni di stato - dai provocatori che
ancora una volta sono riusciti a scatenarle.
A quanto ci risulta solo chi scrive queste righe ha fatto appello al
movimento per la pace affinche' cessasse ogni complicita' con i provocatori
e li si mettesse in condizioni di non poter scatenare le violenze e quindi
di non poter nuocere ne' a se stessi ne' ad altri. Si veda l'editoriale del
n. 688 del 29 settembre 2003 de "La nonviolenza e' in cammino", in cui
ripetevamo ancora una volta i ragionamenti e l'appello che avevamo gia'
formulato dopo la tragedia di Praga e molto prima di quella di Genova.
Duole dirlo, ma troppi hanno fatto i pesci in barile, pur sapendo cosa
avallavano, pur sapendo che contribuivano a mettere a rischio l'incolumita'
e la vita di esseri umani.
*
Prima che altre persone subiscano lesioni o perdano la vita anche per la
scellerata idiozia di pochi sciagurati che giocano a simulare la guerra,
adorano la violenza ed hanno un'ideologia effettualmente fascista, ed anche
la violenza e la barbarie altrui eccitano e scatenano, e' necessario ed
urgente che il movimento per la pace e la giustizia esca dall'ambiguita',
rompa ogni complicita' con i provocatori, si opponga decisamente a tutti
coloro che teorizzano e praticano e provocano la lesione fisica,
l'umiliazione morale e la degradazione intellettuale di esseri umani.
*
Per opporsi alla guerra si deve essere costruttori di pace; per opporsi
all'ingiustizia si devono avere condotte giuste, per opporsi ai poteri
violenti occorre la scelta della nonviolenza.
Come diceva Gandhi, tra i mezzi e i fini vi e' lo stesso rapporto che tra il
seme e la pianta.
Un movimento che sostiene di voler essere per la pace e la giustizia
dovrebbe innanzitutto smetterla di essere ambiguo e complice con scelte e
condotte che sono autoritarie e militariste, irresponsabili e criminali.
Un movimento che sostiene di voler essere per la pace e la giustizia, o fa
la scelta della nonviolenza, o e' solo ipocrita e subalterno, complice della
violenza dominante e dell'ideologia della violenza dominante cui dice di
volersi opporre e che invece avalla, favoreggia e riproduce.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita': non solo l'umanita' nel suo
insieme, ma anche l'umanita' di ciascuno di noi.

2. RIFLESSIONE. TONINO DRAGO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo di cuore Tonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per questo
intervento. Tonino Drago, nato a Rimini nel 1938, docente di storia della
fisica all'Universita' di Napoli, da sempre impegnato nei movimenti
nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei
piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino
Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza
e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983;
L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la
costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997]
Ringrazio di cuore Lidia Menapace, che ha saputo porre un tema politico
importante, che puo' incidere sulla vita politica attuale, nel mentre i
movimenti nonviolenti italiani non riescono a impostare una tematica
politica all'altezza dei tempi (anche se al tempo delle elezioni qualcuno
lancia appelli per votare qualche partito).
La proposta di Lidia si colloca nel quadro politico giusto, quello europeo.
Ormai le strettoie istituzionali della politica sono la', tra euro e
politica produttiva e politica militare.
Su quest'ultima l'Europa sta vivendo un tradimento della sua stessa storia,
quella del 1989; anno in cui i popoli europei piu' oppressi si sono
ribellati nonviolentemente; senza fare carneficine dei vecchi governanti e
neanche dei vecchi nemici, hanno saputo introdurci in un nuovo ordine
mondiale.
Questo sconvolgimento nonviolento della storia mondiale non ha ricevuto
l'attenzione che meritava da parte dei partiti della sinistra, che infatti
ancora ripetono la frase trasognata: "La caduta del muro di Berlino". Eppure
la gente aveva pensato ingenuamente che essi fossero sensibili alla novita'
e li ha mandati al governo in quasi tutta Europa. Al contrario, questi
partiti hanno voluto (Telekom e Nato) la guerra nel Kossovo, proprio laddove
c'era stata una lotta nonviolenta per dieci anni.
E nel bel mezzo di questa guerra, senza discussioni parlamentari, hanno
trasformato l'Europa in una roccaforte del potere mondiale, la quale puo'
muoversi contro qualsiasi popolo: da patto solo difensivo la Nato e'
diventato patto offensivo dotato di strategia nucleare, da usare anche come
primo colpo verso qualsiasi nazione, anche non nucleare.
In piu' per fronteggiare la superpotenza Usa, essi (e anche i partiti che
non sono al governo, vedi Rifondazione) non vedono altra politica che
ricreare un bipolarismo con gli Usa, invece di inaugurare una politica di
difesa alternativa e aprirsi alla collaborazione con i popoli del mondo,
facendo crollare le barriere economiche.
La vicenda dell'ex ministro degli esteri, Ruggiero, e' significativa. Era
sostenuto anche dalla sinistra perche' voleva una alternativa europea
nell'industria aereonautica (Airbus), il settore industriale che piu' di
altri prepara ad una alternativa militare europea. Berlusconi invece l'ha
silurato, perche' dal tempo del G8 di Genova ha deciso di accodarsi alla
superpotenza Usa.
Su questo punto cruciale della nostra politica europea e quindi anche
mondiale, non c'e' un partito che lavori contro il bipolarismo, ne' i Verdi,
ne' Rifondazione. Subiamo la sconfitta politica e culturale di tutta la
sinistra che ha avuto un tracollo di valori.
D'altronde, un partito che facesse una politica coraggiosa, a quali basse
percentuali si ridurrebbe nelle prossime elezioni?
Allora qui c'e' spazio solo per dei movimenti; deve essere un movimento a
lanciare una nuova politica della difesa.
Tra i vari movimenti, i primi a lavorare in questa direzione dovrebbero
essere quelli nonviolenti, perche' essi vogliono ricominciare daccapo la
politica difensiva.
Ma non nascondiamocelo, qui c'e' una divisione profonda tra gli stessi
nonviolenti storici, se si debba fare lavoro prima nei movimenti, e non in
supporto ai partiti esistenti; la scelta del movimentismo non e' indolore.
Ma continuiamo a ragionare per quelli che ci credono.
*
Lidia ha saputo interpretare al meglio la situazione politica ed ha chiarito
il quadro politico. Ma, a mio parere, la sua proposta ha solo approssimato
l'obiettivo.
Mi spiego. Non e' piu' il tempo di alzare le bandiere che caratterizzano
solo noi e poi sfidare la storia, perche' siamo convinti che ci dara'
ragione (cosi' come faceva l'obiettore isolato che veniva condannato da un
tribunale, e cosi' come abbiamo fatto sotto il pericolo della guerra
nucleare).
Invece oggi e' il tempo di trovare dei percorsi di crescita sui quali si
possa costruire collettivamente una nuova realta'. Percio' si tratta di
stabilire degli obiettivi comprensibili da tutti e praticabili nell'arena
politica secondo una progressione.
Allora quali obiettivi europei e poi come realizzare una proposta di
levatura europea?
Cominciamo dalla seconda domanda.
Prima di pensare di lavorare con coalizioni europee (tutte da costruire,
dopo la sconfitta dei partiti verdi), cominciamo a partire da casa nostra,
in Italia, per poi promuoverli o ricongiungerli a quelli di altri in Europa.
Quali obiettivi italiani sul tema della difesa possiamo proporre a livello
europeo?
Molti. Ma per una prima proposta consideriamo che  essi si distriibuiscono
tra due polarita', quella negativa e quella positiva.
Quella negativa, contro l'attuale politica di corsa agli armamenti. Per
questo obiettivo dobbiamo contrastare non tanto il commercio delle armi,
nella speranza che i parlamentari nostri amici strappino un emendamento che
pone qualche vincolo formale ad un fenomeno su cui non abbiamo nessun
controllo. Possiamo mai proporre di fare il commercio delle armi in maniera
pulita? Qui l'obiettivo ristretto ci ha condannato alla sconfitta in
partenza. Purtroppo tante forze movimentiste sono state coalizzate e spinte
su questo obiettivo transeunte e senza quadro politico generale.
Si tratta invece di andare contro la corsa agli armanenti; cioe' cercare
tutte le occasioni per avere la testa della protesta pubblica contro questo
arroccarsi dell'Europa in difesa dei privilegi acquisiti e di quelli
progettabili per il futuro.
In particolare, lotta contro la finanziaria per la parte delle spese
militari; ma non genericamente, alla ricerca di un legame parlamentare che
ci dia la soddisfazione di una caramella della riduzione di qualche
miliardino su voci generiche; ma qualificandola come lotta contro le spese
per tutte le armi offensive: portaerei, cacciabombardieri Efa, ecc.
Ce la facciamo in occasione della finanziaria prossima ad organizzare almeno
una dimostrazione nazionale su questo obiettivo della difesa solo difensiva,
mostrando i conti di quante risorse essa ci farebbe guadagnare, oggi stesso?
Riusciremo a convincere la sinistra (i sindacati in particolare) che non
bisogna protestare genericamente contro la guerra, ma contro l'aggressione
militare e gli strumenti che servono a cio'?
Queste solo le sfide politiche iniziali. In una prospettiva di transarmo,
esse precedono la realizzazione di una difesa nonviolenta europea.
Inoltre la polarita' positiva di costruire un'alternativa alla difesa
attuale, in quello spazio che anche la democrazia solo formale lascia alle
minoranze. Lo si puo' fare dall'alto delle istituzioni e dal basso.
Dal basso. All'interno dell'Italia, sulla difesa sociale c'e' un vuoto
politico pauroso, realizzato da Libera, associazione non nonviolenta, di
quel volontariato che vuole essere amico della polizia, piu' che della
legalita', e quindi piu' che della nonviolenza. Ma questo punto
richiederebbe un discorso a parte. Invece a livello internazionale c'e' una
serie di iniziative, che nel nostro provincialismo linguistico e culturale,
ci fa onore: l'interposizione nonviolenta finora realizzata in Jugoslavia,
in Palestina ed in Iraq e' a buon livello, rispetto a quello internazionale.
Come dice giustamente Tartarini, ci sarebbe da lavorare per un maggiore
coordinamento politico (e formativo, non tanto organizzativo).
*
Ma qui nasce il problema dell'incontro con la politica istituzionale.
Alcuni nonviolenti non fanno che parlare di corpi europei di pace. Eppure da
anni questo obiettivo politico si e' dimostrato spropositato rispetto alla
nostra gamba; perche', come si diceva, l'Europa sta facendo una politica
esattamente contraria; ne' vuole concedere qualche smagliatura ai partiti
minoritari, perche' Verdi o sinistra su questi temi non si battono
fortemente (essendo i poteri militari troppo forti per loro); e perche' nel
Parlamento europeo i deputati di alcune nazioni (Grecia, ad esempio) si
compattano nel contrastare ogni forma alternativa di difesa.
Ne' c'e' un movimento unitario europeo su questo punto.
Ne' c'e' una proposta chiara, perche' finora non c'e' stato ne' un  servizio
civile europeo unitario, nde un progetto politico preciso (fare anche in
Europa i Peace Corps americani, che si dice che siano collegati alla Cia? O
semplicemente una politica giovanile di pace irenica? E comunque che
controllo avremmo sulla sua gestione?).
Da anni si sono indirizzate una gran quantita' di speranze e di energie su
questo obiettivo politico improbabile; mentre invece non si fa attenzione
(incoscienza? o giochi di parrocchia? o incapacita' a fare movimento
politico dal basso?) ai passi enormi compiuti dalla azione di alcuni enti di
servizio civile per una nuova legislazione italiana per una difesa
alternativa.
Oggi in Italia abbiamo ottenuto delle strutture giuridiche, leggi approvate
e che si stanno applicando, non discorsi politici, o accordi di qualche
gruppo, o progetti di leggi future. Le sentenze della Corte Costituzionale
sulla equivalenza dell'esercito non armato con quello armato sono le prime
in Europa. Le leggi conseguenti, approvate dal Parlamento, non hanno eguali
in tutta Europa: le leggi 230/1998 e 64/2001 istituiscono una difesa
nonarmata e nonviolenta.
La quale nella pratica non inizia perche' c'e' una disattenzione totale da
parte dei partiti (e fin qui non ci si meraviglia tanto), ma anche da parte
dei movimenti nonviolenti italiani, vecchi e nuovi; e addirittura anche da
quegli enti di servizio civile, che pure, senza molto aiuto da parte dei
movimenti nonviolenti, avevavano combattuto bene per avere quelle leggi e
quegli articoli sulla Difesa popolare nonviolenta.
Due esempi d'attualita'. In applicazione di quelle leggi si sta per
istituire una Commissione Nazionale per la Difesa popolare nonviolenta (che
quantomeno dara' dei pareri autorevoli su come spendere i duecentomila euro
per attuare la Difesa popolare nonviolenta); e che fa l'Unsc? Gioca al
ribasso e chiede ad ogni ente presente nella Consulta (solo cinque su almeno
300) di indicare qualche esperto della Difesa popolare nonviolenta (perche'
lo Stato, poverino, non conosce nessuno!); e quegli enti stanno al gioco al
ribasso e si danno da fare per indicare gli esperti a loro vicini, senza
avanzare nessuna ipotesi complessiva di progetto e neanche di designazione
finale; la quale ipotesi complessiva ora dipendera' da qualsiasi capriccio
di Giovanardi, o chi per lui.
Cose analoghe sono da ripetere per la formazione degli obiettori in servizio
civile, laddove ci sono tre milioni di euro all'anno; ma ora, per mancanza
di una politica da parte della base, vengono dispersi a pioggia su ogni
ente; cosicche' non ne potra' venire fuori un gruppo professionale di
formatori di obiettori (in barba a tutte le reti di formazione spontanee che
sono sorte dal basso nel passato), ne' una azione pedagogica di influenza
nazionale, ne' una crescita operativa dei movimenti per la pace.
Siamo capaci allora di fare, ad esempio, una manifestazione nazionale su
questo tema (casomai assieme a quello delle spese per la difesa non
difensiva)? O almeno un convegno qualificato, che non sia di parrocchia?
*
In definitiva abbiamo una capacita' di fare politica collettiva, o no?
Con le vittorie che abbiamo ottenuto sappiamo fare politica, almeno quando
abbiamo il pallino in mano? Che dire della cornacchia che ha il formaggio in
bocca e la volpe glielo fa cadere con un invito furbastro?
Se non ci chiariamo le idee su questo punto, poi e' inutile fare appelli ad
un volontarismo eroico infinito; che non appare all'orizzonte, o e' affidato
ai soliti irriducibili. Quando invece la gente attorno a noi ha bisogno solo
che un gruppo le sappia offrire una proposta chiara, per investirci le sue
energie incredibili (ora affogate nella imperante politica di scambio).

3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: PROPOSTE PER UN'EUROPA DI PACE
[Da "Missione oggi" n. 7, dell'agosto-settembre 2003  (sito:
www.saveriani.it/missioneoggi) riprendiamo questa relazione tenuta da Lidia
Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) a un convegno promosso
dalla stessa rivista dei missionari saveriani. Lidia Menapace e' nata a
Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento
cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle
donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La
maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della
donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974;
Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di,
ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Che simboli, immagini, concetti evoca in me la parola "Europa"?
Geograficamente, e' una specie di riassunto del mondo. Con climi diversi,
pianure, fiumi. Niente e' eccessivamente grande. Le montagne piu' alte
restano quelle dell'Himalaya. I fiumi piu' lunghi sono altrove. Da punto di
vista culturale, questo frastagliamento si traduce in complessita',
differenziazione, razionalita'. Eppure, l'Europa non evoca il concetto di
"pace".
E' una storia di differenziazione. Non si potrebbe pensare, ad esempio, di
votare in Parlamento la lingua ufficiale, come si e' fatto negli Stati
Uniti. Erano incerti fra tedesco e inglese. E' passato l'inglese per pochi
voti. Si e' potuto fare tutto cio' perche' l'America e' un continente piu'
raccogliticcio e con delle presenze gia' molto determinate dal punto di
vista del potere. In Europa sarebbe impensabile votare "una" lingua
ufficiale, perche' la differenziazione e' molto radicata. Ci sono almeno
cinque o sei delle grandi lingue del mondo. Anche la razionalita' - cioe'
una certa idea di leggere il mondo secondo criteri universabilizzabili -
sembra nata in Europa.
L'Europa, pero', non e' stato un continente di pace. Al contrario, e' stato
il continente piu' aggressivo di tutto il pianeta. Non solo al suo interno,
ma nell'imperialismo, l'Europa ha battuto tutti gli altri.
Persino le religioni - trasferite dalla loro culla nel sistema politico
europeo con il grande patto tra impero romano e cristianesimo che ha dato il
via alla cristianita' (cioe' alla rappresentazione politica del messaggio
religioso) - hanno sviluppato caratteristiche aggressive nella predicazione.
Il fatto che tutte le ex colonie francesi siano prevalentemente cattoliche e
quelle inglesi prevalentemente evangeliche, dice chiaramente il rapporto di
subordinazione e di reciproco aiuto, sostegno. Questa "poco santa alleanza"
si e' realizzata anche nell'espansione missionaria.
*
La guerra moderna "made in Europe"
Di sicuro, l'unificazione dell'Europa e' di per se' elemento che modifica
gli equilibri politici mondiali. Allora diventa importante esaminare
l'Europa sotto il profilo della sua relazione con la guerra, e dei semi di
pace che ha dentro di se'. Questo e' il terreno sul quale mi muovero'.
Se esamina la propria storia, l'Europa ha prima di tutto da fare un'enorme
autocritica. Perche' la caratteristica della guerra moderna - cioe'
dell'attributo dell'esercizio della violenza legittimato allo Stato - e'
un'idea europea. La guerra preesisteva. C'era una guerra arcaica, che
consisteva in un patto per conquistare un territorio dove poter vivere. Ma
la guerra moderna e' un attributo dello Stato, della sua sovranita'. E'
considerata la legittimazione della violenza, che attribuita allo Stato
viene chiamata "forza"; serve per difendere i propri cittadini dai nemici.
C'e' questo passaggio che e' significativo della sottigliezza giuridica
della cultura europea: le armi sono violenza, l'Esercito e' un'istituzione
violenta, tuttavia quando e' assunta dallo Stato in funzione di tutela della
comunita' di cittadini/e, si chiama "forza" e diventa legittima.
Questa legittimazione avviene persino all'interno perche' gli strumenti
violenti che difendono il singolo cittadino dalla criminalita', si chiamano
"forze dell'ordine". La parola "forza" e' una legittimazione, non solo
un'ipocrisia giuridica, perche' in effetti quando la violenza diventa forza,
ha dei limiti; allo stesso modo, la forza che viene attribuita allo Stato,
ha pure dei confini: e' stata elaborata una teoria, sia in ambito cristiano
che in ambito politico, sulla "guerra giusta". Anche questa e' una
caratteristica delle riflessioni europee.
Quale guerra puo' essere dichiarata "giusta"? Nella tradizione giuridica
prevalentemente europea (diventata poi generale), si dice che quando uno
Stato ha subito un danno - ad esempio, gli e' stato portato via un pezzo del
suo territorio - e in nessun altro modo riesce a recuperarlo, puo'
legittimamente far ricorso alle armi. Questo uso e' legittimo se, nel
riparare il danno, c'e' un certo equilibrio. Il risarcimento deve essere
paragonabile al danno ricevuto.
Messe sotto questo giudizio, gia' la prima ma anche la seconda guerra
mondiale e' dubbio che fossero giuste. Vediamo perche'. Il fatto che
l'Italia volesse o rivolesse nel suo disegno di riunificazione di una
comunita' culturalmente abbastanza omogenea, almeno per tradizione
linguistica, il Trentino e il Friuli Venezia Giulia, era legittimo.
Diplomaticamente, era stata gia' quasi ottenuta. Non per niente Benedetto XV
defini' poi la guerra un'inutile strage. Per altre ragioni, l'Italia entro'
pero' lo stesso in guerra: seicentomila morti, grande indebolimento della
popolazione, altri seicentomila morti per la spagnola. E, gia' che
c'eravamo, abbiamo preso anche il Sud Tirolo. Puo' essere considerato un
risarcimento equo? La conquista di Bolzano non era nei disegni nemmeno del
piu' sfrenato dannunziano. Quindi sotto questo profilo, davvero un'inutile
strage anche solo per l'Italia.
*
Una violenza non legittimabile
La seconda guerra mondiale si conclude con lo sganciamento delle due
atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Questo e' un danno che non consente
risarcimento. Che risarcimento chiedi per duecentomila persone morte e danni
genetici che si ripropongono per generazioni, non si sa fino a quando? Da
quando c'e' l'atomica, la guerra e' uscita dall'orizzonte giuridico della
sua legittimazione possibile. Non ci sono piu' guerre giuste dopo l'atomica.
Perche' potenzialmente si puo' infliggere un danno ad una popolazione, che
non e' misurabile. Che implica le generazioni successive.
Se vogliamo usare la razionalita' europea, c'e' dunque un impegno storico di
definire i conflitti tra gli Stati - per qualsiasi ragione: territoriale,
culturale, religiosa, economica - senza una guerra, perche' c'e' sempre il
rischio dell'atomica. Ci troviamo di fronte ad un evento del tutto nuovo
nella storia del pensiero giuridico. E' venuta meno la possibilita' di dare
anche con sofisticati ragionamenti, con calcoli, ecc. una legittimazione al
passaggio dalla violenza alla forza. La guerra oggi e' dunque solo violenza
non legittimabile.
Questa e' una cosa con la quale l'Europa deve fare i conti. Un'Europa che ha
inventato la guerra moderna, come attributo legittimo degli Stati nella loro
sovranita'. Su questo terreno, deve dunque fare un'autocritica. Bisogna
restituire il maltolto, che in parte con la decolonizzazione e' gia'
avvenuto. Un maltolto piu' profondo, che e' quello dell'uso delle risorse
dei paesi impoveriti dalla nostra rapina, sarebbe un'altra parte di
risarcimento dovuto. Non e' solo un atto di bonta', ma qualcosa di
impegnativo: comporta anche un cambiamento delle relazioni economiche con le
altre aree del mondo.
*
I semi di pace
Dopodiche' non c'e' niente da salvare in Europa dal punto di vista della
pace?
C'e' una curiosa ambiguita' del messaggio cristiano e due movimenti molto
significativi. Il messaggio cristiano e' di per se' un messaggio di pace.
Tuttavia, sposandosi con il potere politico, spesso non ha portato alla
pace. Il patto tra trono e altare ha in parte cancellato questo volto di
pace del cristianesimo. Appunto solo in parte perche' testimonianze hanno
continuato ad agire, non pero' con il volto ufficiale della chiesa o delle
chiese.
Il messaggio cristiano ha dunque bisogno di fare un grande lavoro di
scrostamento e di recupero di una delle sue piu' straordinarie
caratteristiche dal punto di vista della storia: la laicita' delle
istituzioni pubbliche, politiche, dell'autorganizzazione della societa'. Un
elemento che e' invece del tutto assente nelle altre due religioni
monoteiste (ebraismo e islam). E' un tema fondamentale: una delle cose che
l'Europa cristiana potrebbe rivendicare.
Ci sono altri due movimenti che potrebbero essere messi a fondamento di
un'Europa che abbia fatto su di se' una sana autocritica: il movimento
operaio e il movimento delle donne. Entrambi non hanno mai voluto guerre.
Non ne hanno nemmeno mai provocate, a parte qualche caso isolato (ad
esempio, in tempi moderni, la Thatcher). Ma se facciamo un calcolo
proporzionale, siamo sul 3% contro un 97% degli uomini.
Il movimento operaio ha sempre temuto la guerra. Si spacco' in due
all'inizio della prima guerra mondiale. Rosa Luxemburg senti' la prima
guerra mondiale come una tragedia. Disse: "E' impensabile che i due piu'
organizzati proletariati d'Europa - quello francese e quello germanico -
travestiti da militari si sparino addosso agli ordini delle rispettive
borghesie nazionali".
Abbiamo dunque una lunga tradizione di non interventismo nel movimento
operaio, che ha utilizzato tutte le forme dell'azione nonviolenta:
assemblee, manifestazioni, petizioni, scioperi, picchetti, sabotaggio e
boicottaggio. La stessa Rosa Luxemburg pensava che la rivoluzione avrebbe
dovuto essere fatta attraverso uno sciopero generale ad oltranza, nel corso
del quale l'insediamento delle nuove classi avrebbe modificato le relazioni
nella societa'.
Anche il movimento delle donne ha questa stessa caratteristica. Esso
comincio' in Inghilterra con il suffragismo. E Gandhi ha studiato dalle
suffragiste inglesi le forme della lotta nonviolenta. Anche le suffragiste
facevano manifestazioni, sit-in, si legavano alle colonne dei palazzi del
potere. E intervenivano facendo della disobbedienza civile molto attiva. Una
delle prime cose che fecero, fu di occupare le tribune di Whitehall, il
Parlamento inglese, in un giorno in cui si discuteva la legge elegantemente
intitolata "Legge sui bastardi". Allora, buttarono dei volantini sui quali
c'era scritto: "Forse ci sono dei genitori bastardi, ma i figli...".
Suscitarono uno scandalo enorme. Poiche' erano signore della buona societa'
e, come tali, non dovevano nemmeno sapere che nell'Europa vittoriana c'erano
i bastardi.
Le suffragiste americane si sono segnalate invece per aver fatto una catena
di disobbedienza: avevano ospitato gli schiavi neri che scappavano dagli
Stati del Sud. Generalmente, questi schiavi avevano il nome e l'indirizzo di
una donna bianca, che li accoglieva. E dava l'indirizzo di un'altra donna
bianca, fino a quando non arrivavano negli Stati del Nord. E' curioso che
questo movimento delle donne cominci con dei temi relativi alla riproduzione
e con una sorta di alleanza con altri oppressi. Donne e neri, soprattutto
negli Stati Uniti, sono tradizionalmente collegati.
Penso che sia soprattutto questo, cio' che l'Europa debba rivendicare della
propria storia. Deve dire: "Da questi movimenti vengono suggerimenti di
relazioni fra le persone, i generi, le classi, le etnie, le religioni, molto
conflittuali, ma assolutamente contrari alla violenza e alla guerra".
Dunque, sono dei luoghi di studio importanti.
Con la "Convenzione permanente di donne contro le guerre", proponiamo che
l'Europa si costituisca come continente neutrale.
Proprio la sua scienza giuridica, le consente di dire: "Non c'e' piu' guerra
legittima. Io Europa, come continente, ne ho fatte di tutti i colori, e di
questo chiedo perdono; ma, nella mia storia, ho anche due grandi movimenti
che poi si sono diffusi in tutto il mondo, e che hanno radicalmente cambiato
le relazioni: sono molto conflittuali - considerano il conflitto una delle
forze della storia - e hanno usato tutte le forme della lotta nonviolenta".
*
Europa: un continente neutrale
La neutralita', dal punto di vista del diritto internazionale, e' una
decisione soggettiva di un ente giuridico. "Io, Stato, dichiaro che non
faro' guerra; prendo questo impegno davanti alla comunita' internazionale. E
questa fa lo stesso nei miei confronti. Dunque, non ospitero' sul mio
territorio basi militari o passaggi di truppe. E, di conseguenza, la
comunita' internazionale non potra' passare. A mia volta, mi impegno a non
fare politiche aggressive che debbano sfociare nella guerra; se cio' dovesse
avvenire, la comunita' internazionale mi metterebbe delle sanzioni. E' un
sistema di contrappesi giuridici abbastanza significativo. Applicato in
Europa, obbligherebbe la Nato ad andarsene.
Quando c'e' stata l'ultima guerra in Iraq, l'Austria ha dichiarato: "Sono
neutrale". E non e' passato neanche un fucile. Nemmeno il sorvolo dei suoi
territori era consentito.
Nel territorio europeo (non nell'Unione Europea), ci sono gia' quattro Stati
neutrali: la Svizzera, l'Austria, la Svezia e la Finlandia. Che cosa ne
facciamo? Non possono entrare in Europa perche' sono neutrali? Non possiamo
garantire che la loro neutralita' verra' rispettata anche nell'Europa unita?
C'e' gia' stato un ministro degli Esteri italiano, Gianni De Michelis, che
aveva dichiarato che l'Austria, se voleva entrare in Europa, doveva
rinunciare alla neutralita'.
Mi piacerebbe che anche un'Europa non neutrale riconoscesse la neutralita'
degli Stati europei che gia' l'hanno dichiarata. E che poi essa si
sviluppasse in modo da non ostacolare un futuro di neutralita', quando fosse
maturo. So che al momento e' impensabile presentare al Parlamento europeo
una proposta del genere: esso e' infatti larghissimamente orientato verso
l'Esercito europeo di difesa.
Quindi, per il momento, questa proposta non e' attuabile. Ma teniamo sullo
sfondo la nostra decisione: vogliamo un'Europa neutrale. Intanto facciamo
un'Europa che non ostacoli un futuro accesso alla neutralita'. Ad esempio,
facciamo una Costituzione europea dove, all'articolo 1, ci sia il diritto
alla pace.
*
La rivoluzione in ambito Onu
Questo porterebbe ad una significativa correzione nell'ambito delle Nazioni
Unite.
Penso che,  quando l'Europa sara' costituita, chiedera' di entrare all'Onu.
Si stanno costituendo queste mostruose forme non-giuridiche di intervento.
Ad esempio, su Israele ora interviene l'Europa, gli Stati Uniti, forse le
Nazioni Unite... Ma che cosa vuol dire? Il futuro dell'Iraq sara' gestito da
Stati Uniti, la sua coalizione e Onu: che significa? Le Nazioni Unite
vengono degradate ad un ruolo assistenziale, non piu' di direzione politica.
Bisogna uscire da questa logica.
Sono abbastanza vecchia da ricordarmi che, quando la Societa' delle Nazioni
fu sottoposta da parte di Hitler e Mussolini ad attacchi furibondi, e fini'
in pezzi, questo fu uno dei grandi segni della seconda guerra mondiale.
Perche' comunque una sede di comparazione giuridica qualche cosa vale.
Pensate a questa vicenda: con un calciomercato assolutamente sfrenato, gli
Stati Uniti non sono riusciti a comprare voti sufficienti per passare al
Consiglio di Sicurezza: gli ha detto di no il Camerun. Vuol dire che i soldi
non comprano tutto. Vuol dire che il diritto ha una sua forza.
La richiesta dell'Europa di entrare con una nuova identita' collettiva nelle
Nazioni Unite sarebbe l'occasione straordinaria per una riforma dello stesso
Onu. Bisognera' allora ridiscutere la formazione del Consiglio di Sicurezza.
La nostra proposta e' un'Europa unificata, che abbia nella sua Costituzione
il diritto alla pace, con la prospettiva di diventare un continente neutrale
(e percio' un polo di riferimento al mondo di tutti i popoli e i paesi che
vogliono evitare la guerra).
Potrebbe ad esempio ospitare sul suo territorio, visto che ha una grande
tradizione giuridica, tutti i tribunali penali internazionali. Potrebbe
essere il luogo di formazione di una magistratura e di una polizia
internazionale, che intervenga contro i crimini di guerra. In questo senso,
l'avvio del Tribunale penale internazionale - malgrado l'opposizione degli
Stati Uniti - e' significativo. E' un grande segno della forza del diritto.
Cosa proponiamo per le Nazioni Unite? Che la forza dell'Europa rimetta in
discussione le strutture. Chiediamo che il Consiglio di Sicurezza sia tutto
a rotazione. Che l'Assemblea venga dotata di maggiori poteri decisionali.
Che il diritto di veto venga tolto, o venga reinterpretato per quello che
era in epoca romana: non lo detenevano i consoli, ma i tribuni della plebe;
chi aveva gia' il potere, non occorreva che avesse anche il diritto di veto.
Questo potrebbe essere dato ai popoli impoveriti. L'Argentina potrebbe
mettere il veto al Wto, ad esempio.
Alcuni propongono che il Consiglio di Sicurezza diventi il governo del
mondo. Questo mi parrebbe, ora come ora, una fuga in avanti. Si potrebbe
invece cominciare col dire che tutte le agenzie Onu diventino i luoghi in
cui si preparano i futuri governi del mondo. Sulla cultura, sull'infanzia,
sui rifugiati, ecc. si puu' allevare un personale di governo, anche
diplomatico, significativo. Ce n'e' da fare - come vedete - per i prossimi
150 anni...
Non dobbiamo mettere limiti alla nostra fantasia politica.
In questo momento, si soffre soprattutto di una grande asfissia politica:
meschinita' nella politica di tutti i giorni; e grandi gesti di prepotenza
nella politica in cui si decidono le sorti del mondo. Non e' sano. Perche'
induce ad essere o leghisti o imperialisti. Questi sono due eccessi che
ripudio. E' importante stabilire dei territori di possibili conflitti che
vengono tutti analizzati, riconosciuti. E poi ci si impegni per trovare
forme nonviolente per la loro gestione. La pace - che non ha finora alcuna
definizione giuridica positiva (e' solo cessazione della guerra) - potrebbe
diventare "gestione o governo nonviolento dei conflitti".

4. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COINVOLGERE GLI OPPOSITORI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Che voi vogliate coinvolgere i vostri "alleati", associazioni e persone che
vi sono affini, o con cui condividete dei valori, nei piani e nelle campagne
del vostro gruppo e' abbastanza ovvio. Molto probabilmente, pero', non avete
mai pensato alla possibilita' di coinvolgere i vostri potenziali oppositori;
quest'idea puo' apparirvi remota, o persino pericolosa per gli scopi del
vostro gruppo. Ma provate a rifletterci: forse i vostri oppositori possono
aiutarvi in modi a prima vista insospettati. Come scoprirete, collaborare
con persone dagli scopi e dai valori parzialmente diversi dai vostri puo'
tornare a loro e a vostro beneficio. Potete "vincere" entrambi.
*
1) Perche' dovreste provarci
La collaborazione con persone che altrimenti identificate come oppositori
puo' fornirvi numerosi vantaggi. Per esempio, potreste grazie ad essa
rimuovere o neutralizzare una critica altrimenti pesante sul vostro operato;
potreste ottenere degli indizi preziosi sui modi in cui i vostri oppositori
lavorano; potreste ottenere l'accesso ad un gruppo che precedentemente era
del tutto sordo alle vostre proposte; potreste acquisire nuove risorse per
risolvere un problema comune (per risolvere problemi "duri" e difficili sono
necessarie numerose energie); potreste scoprire valori comuni che non
pensavate esistessero; potreste conoscere i vostri oppositori come persone,
e costruire una base di fiducia che vi sara' utile in futuro. E, forse piu'
importante di tutto il resto: coinvolgere i vostri oppositori puo' mutare lo
status quo e farvi avanzare sensibilmente.
*
2) Sapete riconoscere i vostri oppositori?
L'opposizione al cambiamento sociale ha gradi diversi per persone diverse.
Non tutti quelli che vi avversano difenderanno la loro posizione sino
all'ultimo respiro. Coloro che sono parzialmente contrari possono cambiare
idea, e alcuni possono essere contrari semplicemente perche' non hanno
capito che cosa volete, o persino per abitudine: perche' voi siete "x", e
per tradizione essi non usano essere d'accordo con "x"! Parlando con loro,
potreste scoprire che non sono affatto vostri oppositori.
Inoltre, l'opposizione che avete dipende molto dall'istanza di cui vi
occupate. Qualcuno che si oppone all'istanza A potrebbe non opporsi affatto
all'istanza B: su quest'ultima, potrebbe essere il vostro piu' leale
compagno. Percio', fate attenzione alle generalizzazioni.
Infine, l'opporsi non e' eterno per natura: chi la pensa in altra maniera
puo' cambiare opinione. Voi stessi potreste mutare alcune posizioni. Cio'
significa che mantenere relazioni "civili" (non necessariamente amichevoli)
con i vostri oppositori e' piu' spesso una buona idea che una cattiva idea.
Punto chiave da tenere in mente: chi non e' d'accordo con voi non e' per
forza un oppositore.
*
3) Quando coinvolgerli
Tre indicatori per farlo:
- quando le linee comunicative sono ancora relativamente aperte, e in
special modo quando sapete che i vostri oppositori sarebbero disponibili a
parlare con voi;
- quando riconoscete comuni opportunita' e comuni valori (anche se i vostri
oppositori non hanno raggiunto la stessa consapevolezza);
- quando, dal punto di vista dei vostri oppositori, il costo di un
coinvolgimento con voi non appare troppo alto.
Quattro indicatori per non farlo:
- quando e' in corso una sequenza distruttiva, di delegittimazione
reciproca, fra i due gruppi;
- quando le rispettive posizioni sull'istanza sono da ambo le parti
fortemente radicate e tenute, e completamente opposte l'una all'altra;
- quando essi si rifiutano di incontrarvi e/o parlarvi;
- quando le quantita' di tempo ed energia per collaborare con loro sulla
questione sarebbero un costo troppo alto per voi.
Su alcune istanze e' certamente possibile "accordarsi sul fatto di essere in
disaccordo", in modo rispettoso per entrambi i gruppi. E tuttavia ricordate
questo: il fatto che siate in disaccordo ora, non significa che lo sarete
anche la prossima volta.
*
4) Come coinvolgerli
Supponiamo abbiate deciso che non sarebbe un'idea cosi' balzana coinvolgere
i vostri oppositori nella vostra causa. E' positivo che siate aperti a
quest'idea, ma dovete tener presente che camminerete su un terreno che non
vi e' familiare: percio', come vi muoverete?
a) Restringete gli "obiettivi". Chi vorreste coinvolgere? Provate a
selezionare i possibili interlocutori con questi criteri: coloro che hanno
il potere di aiutarvi ad ottenere cio' che volete; coloro che hanno gia'
cooperato con voi in passato; coloro che sono d'accordo su parte delle cose
che dite e fate; coloro che potrebbero muovere verso di voi altri
oppositori; coloro che sembrano avvicinabili, e che voi vi sentite a vostro
agio nell'avvicinare.
b) Chiarificate i vostri scopi prima di procedere. Cosa volete ottenere dal
coinvolgimento? Che aspetto avrebbe un risultato favorevole dell'incontro?
E' bene non aspettarsi la luna, ma qualche scopo piu' terra terra puo'
essere raggiunto: ad esempio, un accordo sul fatto che quel tale gruppo non
si opporra' a voi pubblicamente; un accordo sul provare a fare come dite voi
per un periodo stabilito di tempo, seguito da valutazione imparziale; un
accordo per lavorare insieme su un tema specifico.
*
5) Siete pronti a lavorare con i vostri oppositori?
Puo' non essere facile. Puo' comportare nervosismo, fatica, delusione,
persino rabbia. Potreste fallire, certo.
Percio' riflettete sul tempo e sull'energia che potete investire in questo
tentativo. Fatta questa pausa, se vi sentite ancora intenzionati a provare,
cominciate con l'identificare gli altri portatori di interesse diretto
sull'istanza, oltre a voi ed ai vostri oppositori: ovvero coloro che nella
comunita' soffrono il peso della situazione che state cercando di cambiare,
o ne sono comunque toccati come persone.
Per esempio, se la questione in ballo e' l'inquinamento di un fiume, chi
sono gli altri interessati? Altri inquinatori, oltre a quelli che avete
individuato (i vostri oppositori)? I contadini che irrigano i loro campi ed
abbeverano il bestiame con quell'acqua? I cittadini che vivono nei pressi
del fiume?
E' bene entrare in contatto con questi gruppi e consultarsi con loro per
molte ragioni: perche' potrebbero avere informazioni che voi non avete, e
buone idee per la soluzione del problema che a voi non sono venute in mente;
perche' se non vengono consultati potrebbero irrompere nel processo
risolutivo quando meno ve lo aspettate, e interromperlo; perche' dovranno
comunque vivere con la soluzione che verra' adottata ed hanno tutto il
diritto di essere ascoltati, nonche' di essere coinvolti se lo desiderano.
*
6) Essere informati
Piu' spesso di quanto non si creda, i gruppi si oppongono gli uni agli altri
perche' non hanno accesso alle informazioni chiave sull'istanza. Entrambi
potreste pensare di conoscere i "fatti", ma potreste entrambi sbagliare. I
"fatti" a vostra conoscenza potrebbero essere incompleti, datati,
mistificati o interpretati tendenziosamente. Chiedetevi se avete abbastanza
informazioni accurate per comprendere la questione ed arrivare ad una sua
soluzione.
*
7) Entrare in contatto con i vostri oppositori
Cominciate con lo stabilire le regole dell'incontro: cio' serve a ridurre il
rischio di fraintendimenti e a convincere gli indecisi. Accordatevi sul
luogo dell'incontro, sulla sua durata, su chi partecipera', sulla presenza o
meno di giornalisti, sulla presenza di tecnici non appartenenti ad uno dei
gruppi presenti, ecc. Soprattutto, stabilite insieme in anticipo l'agenda
dell'incontro: che cosa volete discutere, implicando i risultati che sperate
di ottenere.
*
8) Proporre la facilitazione
Un/una facilitatore/facilitatrice potrebbe esservi di grande aiuto nel
dialogo con i vostri oppositori. Questo e' particolarmente vero quando vi e'
alle spalle dell'incontro una vecchia storia di attacchi reciproci, quando
l'istanza muove profondamente le emozioni, quando non ci si fida ancora
abbastanza delle proprie capacita' comunicative.
*
9) Coinvolgere gli altri portatori di interesse diretto
Il modulo d'incontro a due gruppi non e' l'unico a disposizione: altre
persone interessate all'istanza potrebbero entrare proficuamente nel
dialogo. Accordatevi magari dapprima sull'incontro a due e poi, se la cosa
funziona, allargate il vostro tavolo.
*
10) Incontratevi piu' di una volta
Dipende dalle persone coinvolte, dagli scopi che avete, e dalla complessita'
dell'istanza: ma certamente non risolverete la questione al primo incontro.
Riflettete, prima di arrivare al dialogo, sui valori e gli interessi dei
vostri oppositori. Non sarete d'accordo su molte cose, ma cercate le aree in
cui gli interessi ed i valori si incontrano: e' probabile che ne troverete.
Siate cordiali: trattate le altre persone come vorreste essere trattati.
Ascoltate con attenzione e partecipazione.
Fate proposte specifiche e chiare, senza temere di dire cosa desiderate
accada, e perche' (e pianificate in anticipo alternative negoziabili se le
proposte verranno totalmente respinte).
Assicuratevi che molte diverse opzioni vengano vagliate, prima di accordarvi
su qualsiasi cosa.
*
11) Raggiungere l'accordo
Il meglio che potete ottenere e' l'impegno dell'altro gruppo su un
particolare piano d'azione. Per esempio, i vostri ex oppositori sono
d'accordo nel sostenere il vostro programma anti-violenza, o firmano il
vostro appello, o semplicemente non prendono piu' parte sulla questione
sollevata: questi risultati possono sembrarvi piccoli, ma sono molto
importanti, perche' creano un precedente su cui potrete contare in seguito.
Se non ottenete l'impegno sull'azione, potreste raggiungere un accordo di
massima su valori e scopi. I vostri ex oppositori potrebbero dire: "Non
sosterremo il vostro programma anti-violenza, ma lavoreremo anche noi in
questo senso, per ridurre la violenza nella nostra comunita' mediante...
ecc.".
Oppure, se non siete riusciti a spostarli sino all'accordo su valori e
scopi, potreste raggiungere un "accordo di principio" su uno schema
generale, i cui dettagli saranno successivamente all'ordine del giorno di
successivi incontri.
Qualsiasi sia il risultato ottenuto, mettetelo per iscritto. Le parole
scritte, in questi casi, danno ad ambo le parti un senso di chiarezza e
sicurezza. Potete redigere e chiamare l'accordo come preferite, l'essenziale
e' che tutti i presenti lo firmino, e che ne vengano fatte girare copie in
gran quantita'.
*
12) Far funzionare l'accordo
Ora lo avete sulla carta, vero? Bene, scordatevi di aver finito il lavoro.
Adesso dovete persuadere i vostri alleati a sostenere il vostro sforzo,
mostrando loro che l'accordo raggiunto e' un buon punto di partenza.
Qualcuno di essi potrebbe essere sospettoso, e pensare che c'e' qualcosa
sotto (certo che c'e': e' la pratica nonviolenta, ed e' l'occasione buona
per spiegarne loro un po', non vi pare?).
Dovete coinvolgere, se non lo avete gia' fatto, gli altri portatori di
interesse diretto: sono cruciali per il vostro successo, e sono coloro che
vivranno sulla propria pelle la situazione futura, quale essa sia.
Dovete informare l'opinione pubblica di quanto e' avvenuto: naturalmente
giornalisti ecc. potranno meravigliarsi (e malignare) sul fatto che voi ed i
vostri ex oppositori state ora lavorando insieme. Date una spiegazione sul
piano pratico, in termini di pragmatismo, se i media non riescono a capire
altro, o altro non vogliono pubblicare: ma datela. Nel costruire sostegno al
vostro accordo, una comunicazione chiara e' la chiave del successo.
*
13) Strutturare l'accordo
Avete un accordo, e va bene: vi serve una struttura per farlo funzionare, a
breve o a lungo termine? E' probabile di si', ed averla vi evitera' brutte
sorprese (gli ex oppositori che all'ultimo momento si ritirano dal programma
per qualsiasi ragione o, a un certo punto del processo, rigettano l'accordo,
o magari si oppongono di nuovo).
La "struttura" non e' una sede fissa, ne' la nascita di una
super-organizzazione che tenga insieme i due (o piu') gruppi, ma il vedersi
regolarmente, in incontri chiusi o aperti come preferite, con una formale
verifica della situazione a scadenze fisse.
*
14) Monitorare l'accordo
Mettiamo che la struttura stia funzionando. La vostra necessita' e' ora
controllare cio' che accade, ovvero se le cose stanno andando nel modo
previsto dal vostro accordo. Specificatamente, dovete controllare:
- se le parole dei vostri ex oppositori sono in sintonia con le loro azioni:
stanno facendo quello che hanno promesso e sottoscritto?
- se le vostre parole sono in sintonia con le vostre azioni: voi, state
mantenendo l'accordo?
Il "monitoraggio" puo' anche essere inserito nell'accordo stesso, e far
parte della verifica.
*
15) Sommario
Se ce la fate a seguire tutti i passi suggeriti, le possibilita' di arrivare
a dei risultati positivi (dialogo e accordo) con i vostri oppositori sono
davvero buone.
Ricordate che essi saranno proficui a lungo termine, consentendovi di
pianificare ulteriori collaborazioni, e di spostare verso il cambiamento
altri settori della comunita'.

5. RILETTURE. HANNAH ARENDT: POLITICA E MENZOGNA
Hannah Arendt, Politica e menzogna, Sugarco, Milano 1985, pp. 288. Quattro
saggi della grande pensatrice (La menzogna in politica; La disobbedienza
civile; Sulla violenza; Pensieri sulla politica e la rivoluzione), con
un'ampia introduzione di Paolo Flores D'Arcais (quest'ultima poi
ripubblicata dapprima con altri saggi dell'autore presso Marietti, poi in
volumetto a se' stante presso Donzelli).

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 696 del 7 ottobre 2003