La nonviolenza e' in cammino. 694



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 694 del 5 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Ermanno Vurticati: sulla proposta di Lidia Menapace
2. Silvano Tartarini: sulla proposta di Lidia Menapace
3. Giovanni Sarubbi: sulla proposta di Lidia Menapace
4. La dichiarazione delle donne delle ong alla conferenza di Pechino del
1995
5. Imma Barbarossa: una riflessione su femminismi, disobbedienza,
nonviolenza
6. Luciano Bertozzi: il rapporto Sipri sul commercio delle armi
7. Riletture: Judith M. Brown, Gandhi
8. Riletture: Elisabeth Burgos, Mi chiamo Rigoberta Menchu'
9. Riletture: Simone Petrement, La vita di Simone Weil
10. Riletture: Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. ERMANNO VURTICATI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Ermanno Vurticati per questo intervento. Ermanno Vurticati e'
un generoso - sebbene ipercritico - sostenitore ed attento lettore del
nostro foglio; ma laconico e pressoche' afasico com'e' (ed eternamente
irresoluto, e misantropo per giunta), e' impresa improba convincerlo a
scrivere qualcosa]
1. Mi sorprende non poco che in molti interventi l'attenzione si focalizzi
sul dito anziche' sulla luna. Perche' la proposta di Lidia Menapace di
un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e
nonviolenta, mi sembra avere proprio il pregio di una chiarezza e coerenza e
complessivita' che pressoche' nessuna delle altre esposte sulle bancarelle
del bazar pacifista possiede.
Poiche' non si limita a proporre un'Europa genericamente di pace, ma appunto
qualifica la scelta di pace con le caratteristiche del disarmo, della
smilitarizzazione, della nonviolenza, della "costruzione di pace a mezzo di
pace", con un "programma costruttivo" alle cui origini c'e' - tra altro - la
riflessione delle donne dell'incontro di Pechino (un evento poco o punto
"mediatizzato", ma aggettante assai piu' di tanti altri incontri forse piu'
roboanti ed ingegnosamente spettacolarizzati, ma di gran lunga piu' poveri e
inadeguati nei contenuti e nelle metodologie).
Poiche' non si limita a indicare un obiettivo, ma cerca di proporre una via,
e costruire uno schieramento. E propone la via della riflessione e
dell'azione politica, di una politica una volta tanto non dereistica e non
subalterna, non cialtrona e non collusa; e propone la costruzione di uno
schieramento che rifugga dalle illusioni velleitarie e dalle pretese
unanimiste, che contrasti i processi compromissori e autoritari che tanto
hanno degradato e depotenziato sia il movimento per la pace che quello
cosiddetto contro la globalizzazione neoliberista. Propone, se afferro bene
il ragionamento, di valorizzare le forme sia organizzative ed operative che
di pensiero e di condivisione sperimentate soprattutto dal movimento delle
donne nel definire una progettualita' e una metodologia complessiva, che
aggreghino e informino un movimento plurale e rigoroso, una rigorosa e
plurale mobilitazione, che per una volta sappia essere non rifiuto astratto
e irresponsabile delle mediazioni, ne' assalto alla diligenza dei soldi
pubblici (e delle carriere e delle prebende), ne' nicchia escapista, ma
soggetto capace di proporre, di determinare e di gestire politiche
pubbliche, assetti istituzionale, codificazioni giuridiche.
Poiche' meglio di altre mi pare cogliere la specificita' europea e
all'interno della specificita' europea la peculiarita' del proceso politico,
istituzionale e giuridico che oggi e' l'Unione europea e che potrebbe
diventare qualcosa di piu' e di meglio solo se vi sara' un protagonismo
consapevole e reciprocamente rispettoso dei popoli e delle culture promosso
dalle istituzioni e dai movimenti sociali di solidarieta' e di liberazione,
per la pace, la democrazia e i diritti.
Infine poiche' non si limita all'alata predicazione, ma propone una
definizione e codificazione giuridica (appunto il vincolo del ripudio della
guerra, che nel linguaggio tecnico del diritto ha un nome preciso:
neutralita'), e il cielo sa quanto vi sia assoluto bisogno che il movimento
per la pace e la giustizia si decida a farla finita con le chiacchiere
generiche e gli inverificabili castelli in aria (che poi servono sovente a
coprire pratiche e contiguita' innominabili ed effettuali
irresponsabilita'), e passare a proposte concrete traducibili in deliberati,
in leggi, in istituti, in "res publica" sia sostanziale che formale (poiche'
senza la formalizzazione anche la sostanza finisce per sgocciolare via, come
spiega quella canzoncina del buco nel secchio).
*
2. Detto in sintesi, e riprendendo cose gia' dette da altre ed altri, e
scusandomi per la ripigliata stracca e il tono tra manualistico e
predicatorio:
- un'Europa di pace, neutrale e attiva, che per legge costituzionale ripudia
la guerra, e interviene in modo nonviolento per la gestione e risoluzione
dei conflitti e per la difesa e promozione dei diritti umani;
- un'Europa che si doti di strumenti di sicurezza e difesa, come di
intervento internazionale, fondati sulla scelta della nonviolenza, ed in
particolare: la difesa popolare nonviolenta, i corpi civili di pace;
- un'Europa che avvii subito smilitarizzazione e sostituzione degli eserciti
con forme di servizio civile (e di protezione civile, e di prevenzione dei
conflitti, e di welfare community globale) nonarmato e nonviolento;
- un'Europa che avvii subito disarmo (anche attraverso percorsi di
transarmo, ma con una rigida scelta di principio e di direzione: quella del
disarmo unilaterale) e riconversione ad usi civili dell'industria bellica;
- un'Europa che nei campi dell'educazione, della salute, dell'assistenza,
del servizio civile; come in quelli dell'informazione, della comunicazione e
della cultura; come nell'economia e nella difesa dell'ambiente e delle
risorse; come nella pubblica amministrazione e nella tutela giuridica dei
diritti umani, promuova e inveri la scelta della nonviolenza come
idea-forza, principio di organizzazione sociale e civile convivenza
democratica e solidale, inveramento dei principi codificati nella Carta
delle Nazioni Unite  e nella Dichiarazione universale dei diritti umani,
proposta giuriscostituente e criterio-base di una politica (e di un assetto
istituzionale, e di un'articolazione e gestione amministrativa) all'altezza
delle sfide poste dalle ingiustizie globali e dalla minaccia della
distruzione del mondo.
*
3. Mi pare cosa buona, vi si aggiunga la mia pietruzza.

2. RIFLESSIONE. SILVANO TARTARINI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Silvano Tartarini (per contatti: bebitartari at bcc.tin.it) per
questo intervento. Lo ringraziamo anche per averci messo a disposizione
questa breve scheda di presentazione: "Silvano Tartarini e' poeta e
costruttore di pace; nato a Forte dei Marmi nel 1947, ha pubblicato Primi
versi e Furto a nessuno, rispettivamente nel 1966 e 1967 (Giardini, Pisa),
Poeti, nel 1992 (Pananti, Firenze) e L'uno e il contrario, nel 1995 (Manni,
Lecce). Con l'inedito L'uno e il contrario e' stato finalista al Carducci
nel 1994; sue poesie sono uscite su "Paragone", "Erba d'Arno", "Pegaso", "
La Contraddizione", "Sinopia" e altri periodici; e' stato tra i fondatori
della rivista "Nativa"; e' stato curatore delle pagine di poesia della
rivista "Sinopia" ed e' redattore - molto assente - del mensile  "Guerre &
Pace". Ha scritto tre saggi critici su Carlo Cassola: uno di questi e' stato
pubblicato negli atti del convegno "Carlo Cassola. Letteratura e disarmo",
Firenze, 4 aprile 1987, un altro e' stato pubblicato dal Comune di Volterra
a seguito del convegno "Volterra per Cassola" del 10 maggio 1996, mentre un
altro servi' per un corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie
organizzato su questo tema dalla Fondazione Bianciardi di Grosseto. Di lui
hanno scritto Romano Luperini, Gianfranco Ciabatti, Giovanni Commare e Carlo
Cassola; si sono altresi' occupati di lui Cesare Garboli e Manlio Cancogni.
E' stato segretario della Lega per Il disarmo unilaterale dal 1984 al 2000;
come segretario della L. D. U., ha lanciato con altri nel 1990 l'iniziativa
"Volontari di pace in Medio Oriente", a cui hanno subito aderito Alberto
L'Abate e Francesco Tullio; sull'esperienza e' poi uscito un "Quaderno della
Difesa popolare nonviolenta": Volontari di pace in Medio Oriente, a cura di
Alberto L'Abate e Silvano Tartarini, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1993. Ha
partecipato all'iniziativa di Mir Sada e nel maggio del 1999 era a Belgrado
bombardata anche dal governo italiano; e' stato in Iraq nel 1990, 1991, 1993
e nel 1998 con l'iniziativa "scudi umani". Ha promosso nel 1999 la
fondazione dell'associazione Berretti Bianchi onlus, di cui e' segretario.
Da alcuni anni coordina il lavoro organizzativo che, recentemente, ha visto
la nascita della Rete italiana dei Corpi civili di pace"]
Dico subito che riguardo alla possibilita' di una modifica migliorativa del
testo della "Costituzione" europea non vedo oggi molte possibilita' e
proprio per questo sono favorevole a sposare qualsiasi proposta che abbia un
minimo di speranza di successo.
La proposta della Menapace ne ha? Francamente non mi pare. Stimo molto la
Menapace, tuttavia la proposta, data la brevita' del tempo che ci rimane,
dovrebbe aver gia' ottenuto il consenso e la partecipazione di diverse
associazioni. Cosa che non mi pare sia avvenuta.
E' vero che non ho seguito tutto il dibattito ed e' possibile che abbia
perso qualche passaggio. Ma se e' come temo, cioe' che su questa strada non
otterremo niente, non rischiamo con il termine "neutrale" di confondere solo
le nostre acque?
Ho appena ricevuto una proposta da parte dell'Eplo ( European Peacebuilding
Liason Office) rivolta alla Rete italiana dei Corpi Civili di Pace affinche'
presenti al governo italiano una proposta di modifica degli articoli 40, 3 e
III art. 212, modifica tesa a  richiedere la costruzione di una Agenzia di
Pace Europea. Anche Agenzia di Pace Europea e' un termine nuovo - almeno mi
pare - per chi finora ha lavorato per i Corpi Civili di Pace. E' da
appoggiare o no? Paolo Bergamaschi sostiene che la proposta e' lodevole ma
non servira' a niente. Io vorrei capire a che dovrebbe servire questa
Agenzia e in che rapporti sarebbe con i Corpi Civili di Pace.
Il 16 ottobre ci sara' un incontro a Bruxelles, dove approfondiremo la cosa.
L'essenziale e' non sprecare inutilmente energie.
*
Ricordo che come segreteria del Forum "Verso i Corpi Civili di Pace",
all'inizio dell'estate, abbiamo inviato una lettera alla Presidenza del
Consiglio e alla Presidenza della Repubblica chiedendo che il tema dei Corpi
Civili di Pace fosse mantenuto ma non all'interno dell'aiuto umanitario,
bensi' all'interno del posto che gli competeva, cioe' della
Sicurezza-Difesa. Le risposte che ottenemmo, anche se la risposta della
Presidenza della Repubblica pareva mostrare piu' disponibilita', non ci
hanno dato speranza che qualcosa venisse modificato nella direzione da noi
indicata. Da allora non mi pare che niente sia cambiato.
Non vorrei dirlo, ma temo che, per ora, dovremo saperci accontentare e
continuare a lavorare per modificare nel futuro i rapporti politici in
favore di una pace nella giustizia. Tuttavia, il dibattito e' stimolante e
serve sempre, purche' non rimanga sempre e solo dibattito. Personalmente, a
un'Europa  neutrale preferisco una Europa partecipe e costruttrice di pace,
perche' credo che sara' molto difficile essere neutrali negli anni che
verranno. Capisco che qui si parla di una neutralita' pro pace e giustizia,
di una solidarieta' attiva che vuole chiudere con una politica estera di
guerra e guardare avanti. Ma resto con le mie perplessita' e non vedo la
necessita' di utilizzare parole non nostre e gonfie di ambiguita', tanto
piu' che la richiesta di un'Europa neutrale non sara' meno difficile da
ottenere della richiesta di un'Europa che ripudia la guerra. I governi che
vanno a costruire questa Europa sognano, purtroppo, una sicurezza basata
sulla forza militare, e quando guardano ai costruttori di pace li vedono
solo come utili portatori d'acqua ben all'interno della loro politica.
*
I limiti dei costruttori di pace sono a tutti noti. Non si riesce a
sconfiggere il nostro particolarismo. I progetti non mancano, ma non si
riesce a costruirli assieme.
Certamente tutto questo non si potra' superare con una proposta, anche se ci
verra' da  persona stimata e autorevole. Ci vorra' costanza e tempo e
lavoro, e ci vorra' l'aiuto delle persone autorevoli.
Quello che manca ancora al mondo della pace e' una sinergia su un progetto
comune. Il tema, invece, e' scritto da tempo nelle cose, ed e' il tema della
sicurezza.
Il progetto dei Corpi Civili di Pace, che e' in itinere, dovrebbe essere il
nostro progetto comune. Invece si continua ancora a vedere i Corpi Civili di
Pace come una delle cose da fare, non come il nostro progetto comune. Io
credo che verra' inevitabilmente il giorno che le persone capiranno che la
sicurezza delle armi non e' sicurezza, tuttavia, quel giorno, se non
troveranno altra sicurezza, rimarranno a quella delle armi.
E' quel giorno che dobbiamo preparare assieme con umilta' e senza inutili
particolarismi e dobbiamo essere puntuali all'appuntamento.
Pazienza se dovremo per un po' camminare fuori delle istituzioni,
l'essenziale e' che si riesca ugualmente a farci sentire e a far crescere le
nostre proposte.
Se l'Europa fara' o non fara' una politica di pace sara' qualcosa che andra'
oltre il testo pur importante della Costituzione, e dipendera' anche da noi
popoli e non solo dai governi, che oggi guardano altrove.

3. RIFLESSIONE. GIOVANNI SARUBBI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Giovanni Sarubbi (per contatti: gsarubb at tin.it) per questo
intervento. Giovanni Sarubbi, amico della nonviolenza, promotore del dialogo
interreligioso, dirige l'eccellente rivista e sito de "Il dialogo"
(www.ildialogo.org)]
La proposta di Lidia Menapace "per un'Europa di pace, neutrale, disarmata,
nonviolenta" ("La nonviolenza e' in cammino" n. 671 del 12 settembre 2003)
mi ha riportato alla mente un capitano dell'esercito italiano che ho
conosciuto quasi trent'anni fa.
Era uno di quelli che aveva cominciato la carriera militare come ufficiale
di complemento. Venendo dal profondo sud, era di Castellammare di Stabia in
provincia di Napoli, ed avendo alle spalle la prospettiva della
disoccupazione, dopo il periodo di leva penso' di rimanere in servizio
permanente effettivo. Faceva il militare per poter continuare a mangiare e
lo faceva nel vero senso della parola. Tutte le mattine chiamava un soldato
a caso della compagnia a lui affidata e lo mandava in cucina dal maresciallo
a prendere qualcosa per lui. E ogni soldato immancabilmente tornava dal
capitano con due grosse buste colme di panini freschi e ancora caldi. La
raccolta di generi di prima necessita' continuava poi con il pieno di
benzina. Durante il terremoto in Friuli nel 1976 dove era di stanza, si
raccontava di interi camion di vettovaglie fatti dirottare nella capaci
dispense del capitano.
Questo capitano era solito ripetere ai suoi soldati una frase che ricordo
ancora oggi: "Nel mondo esistono solo ministeri della difesa. Ma se tutti
debbono difendersi, a cosa servono gli eserciti?". Nessuno sapeva cosa
rispondergli. Lui aveva trovato la sua personalissima risposta che poi e'
quella che ancora oggi spinge centinaia di migliaia di "volontari" ad
arruolarsi per andare in guerra. Lo si fa per fame, quella vera di chi non
sa come sbarcare il lunario, che si salda con la fame di potere che
attanaglia la stragrande maggioranza delle classi dirigenti di tutti i paesi
del mondo. E basta vedere, per esempio, la provenienza geografica dei
volontari italiani che sono andati in Afghanistan o in Iraq per rendersi
conto che i disperati sono una "riserva della guerra" anziche' della pace.
Non c'e' dubbio, allora, che la proposta di Lidia Menapace e' sensata,
largamente condivisibile e puo' diventare sicuramente la bandiera di un
movimento per la pace che voglia avere un minimo di coerenza e voglia
proporre qualcosa che non appaia velleitario o al di fuori delle
possibilita' reali della politica.
*
Bene fa Lidia Menapace a ricordare i precedenti storici o gli attuali stati
neutrali ed il loro ruolo sullo scacchiere internazionale.
Non c'e' dubbio pero' che anche questa proposta di per se' non porra' fine
all'attuale conflagrazione mondiale nella quale ci troviamo, ne'
trasformera' la bozza di Costituzione Europea in uno strumento di pace.
La fine dell'attuale guerra, ne sono convinto, avverra' la' dove essa e'
stata partorita, cioe' negli Stati Uniti d'America. Come cio' avverra'
nessuno puo' dirlo ma e' evidente che fintanto che la Casa Bianca sara'
nelle mani di un gruppo di industriali assetati di sangue, poche sono le
speranze di pace.
Per quanto riguarda la Costituzione europea essa ha il grave handicap di
nascere senza un adeguato supporto politico di massa. La nostra Costituzione
e' invece nata dal travaglio della Resistenza e della lotta contro il
nazifascismo, e fu elaborata da coloro che, fra i comunisti e i cattolici,
potevano a ragione considerarsi i migliori spiriti che il nostro popolo
potesse mettere in campo. Persone, come Dossetti o Pertini, che seppero
trarre dalla tragedia della guerra la forza per dire un basta deciso alla
guerra con l'impareggiabile articolo 11.
Non so dire se la proposta per un'Europa neutrale riesca a smuovere le
coscienze della gente. So di certo, come lo sanno tutti i nonviolenti ed i
sinceri amanti della pace, che non potra' esserci pace senza la
mobilitazione di centinaia di milioni di persone come  e' successo nel
recente passato.
Probabilmente questa proposta potra' acuire le contraddizioni fra le forze
politiche e potra' raccogliere i consensi di chi la guerra la ripudia. E'
pertanto una proposta che va sostenuta e che sosterremo.

4. DOCUMENTI. LA DICHIARAZIONE DELLE DONNE DELLE ONG ALLA CONFERENZA DI
PECHINO DEL 1995
[Riproduciamo di seguito la Dichiarazione delle donne delle organizzazioni
non governative (ong) alla Conferenza di Pechino promossa dall'Onu, dichiara
zione redatta il 15 settembre 1995. La traduzione, a cura di Marcella
Mariani, e' tratta da "Il paese delle donne"]
A dieci anni di distanza dalla Conferenza di Nairobi, nessun governo ha
applicato pienamente le "Forward looking Strategies". Viviamo in un mondo
segnato dall'aumento di poverta', ineguaglianza, ingiustizia,
disoccupazione, una crescita economica che produce distruzione ambientale,
guerra, sessismo, razzismo, xenofobia, omofobia e altre forme di
discriminazione e violenza contro le donne. Inoltre, l'intrecciarsi di
genere, etnia e poverta' concentrano forme di discriminazione per molte
donne di colore.
Noi donne delle ong del mondo, ricche della nostra diversita', ci siamo
incontrate, insieme ai nostri governi, in una grande conferenza globale,
sempre per far luce sulle questioni delle donne e delle barriere esistenti,
al fine di raggiungere eguaglianza, sviluppo e pace.
Noi crediamo che questi obiettivi possano essere raggiunti se si porra' fine
all'oppressione delle donne e delle bambine, attraverso la piena
partecipazione delle donne stesse nelle decisioni a livello nazionale e
internazionale, e con la trasformazione delle strutture sociali, economiche
e politiche che oggi sono le responsabili della perpetuazione di poverta',
razzismo, ineguaglianza, ingiustizia, disoccupazione, violenza e guerra.
*
Alla soglia del cinquantesimo anno dalla costituzione delle Nazioni Unite, a
dispetto dei numerosi impegni presi dagli stati membri, i diritti umani
riguardanti le donne non sono ancora stati rispettati, difesi e definiti
come inalienabili, indivisibili, universali.
Le risorse sono state abbondantemente sperperate nelle spese militari senza
ottenere ne' pace ne' sicurezza in cambio.
Il modello di sviluppo dominante e l'economia di mercato globale genera una
grande quantita' di beni materiali per pochi e l'impoverimento di molti, fa
aumentare il numero dei senza casa, il razzismo e la degradazione
ambientale, incoraggia un surplus di consumi e la proliferazione delle armi;
depaupera le nostre risorse naturali, inquina aria, acqua e suolo, e
contribuisce alla violazione dei diritti civili, economici e politici delle
donne.
Il modello di crescita attuale non riesce a venire incontro ai bisogni
materiali e spirituali dei popoli.
Le donne sono le maggiori produttrici di ogni economia, ma molto del nostro
lavoro non viene riconosciuto ed e' sottovalutato.
Noi svolgiamo i due terzi del lavoro mondiale mentre guadagniamo solo il 5%
delle entrate, il nostro lavoro rappresenta un sostegno invisibile per la
prosperita' del mondo.
La globalizzazione delle cosiddette "economie di mercato" del mondo e'
ovunque causa dell'aumento della femminizzazione della poverta'.
Cio' viola la dignita' e i diritti umani, l'integrita' del nostro ecosistema
e dell'ambiente e rappresenta una seria minaccia per la nostra salute.
L'economia globale governata da istituti finanziari internazionali - il Wto,
Organizzaizone mondiale del commercio - e le corporazioni transnazionali
impongono programmi di aggiustamento strutturale per i paesi del sud e
ristrutturazioni economiche nei paesi del nord in nome dell'equilibrio
fiscale. Il risultato e' stato l'aumento della poverta', del debito, della
disoccupazione. Le riduzioni che ne sono venute nei programmi e servizi
sociali, nell'area della salute, dell'educazione e della casa, vanno a
colpire proprio quelle persone che si intenderebbe aiutare.
I media, controllati da corporazioni multinazionali agiscono come strumento
di controllo sociale, negando alle donne il diritto ad una libera
comunicazione.
Sostenute dalla saggezza delle piu' anziane tra noi, ispirate dalle donne
native dei diversi paesi, caricate di energia dalla gioventu' e sostenute
dalla nostra sorellanza noi invochiamo la fine di queste condizioni e
rifiutiamo di accettarle come inevitabili per il futuro dell'umanita'.
I diritti delle donne sono diritti umani.
*
Ci rivolgiamo a tutti i governi:
- Per riconoscere e garantire a tutte le donne uguale diritto a un decente
standard di vita, salute, acqua e aria pulita, cibo sufficiente, vestiario e
sanita', un'abitazione adeguata, adeguata sicurezza e assicurazione sociale,
educazione e assistenza legale, cosi' come stabilito nell'accordo
dell'International Covenant of Economic, Social and Culture Rights.
- Per un'azione immediata riguardo alla cancellazione dei debiti
multilaterali, per rafforzare la responsabilita' delle istituzioni
finanziarie internazionali e assicurare che tutti gli accordi di lavoro
internazionali rispettino la legislazione sui diritti umani, gli standard
internazionalmente riconosciuti in materia di lavoro e la protezione
dell'ambiente. I diritti economici sono diritti umani.
- Per porre fine ai movimenti migratori, all'accumulo e commercio di scorie
radioattive rischiose e tossiche.
- Per promuovere e usare scienza e tecnologia per scopi di pace, centrati
sulla persona e sullo sviluppo sostenibile e ecologicamente sano.
- Per incoraggiare, e non ostacolare, la libera espressione, la piena
partecipazione e il pieno accesso delle donne disabili in organizzazioni
governative e non governative locali, nazionali, internazionali.
- Per riconoscere e incrementare iniziative di donne povere ed emarginate,
includendole a pieno titolo nella pianificazione e distribuzione delle
risorse.
- Per non equivocare o imporre credenze religiose o pratiche che
appartengono alle tradizioni in modo da negare alle donne loro diritti umani
inalienabili. Noi chiediamo anche l'abolizione di tutte quelle leggi e
pratiche che negano alle bambine e alle donne uguali diritti e non
consentono uguali diritti in questioni di successione ed eredita'.
- Per rettificare le leggi sulla proprieta' intellettuale cosi' da rendere
le donne indigene le prime beneficiarie dell'uso commerciale della loro
conoscenza.
- Per rifiutare il militarismo in tutte le sue forme e creare una cultura di
pace e di diritti umani. Gli 800 miliardi di dollari che si spendono
annualmente debbono essere riconvertiti per scopi di pace, per trasformare
la produzione militare a fini socialmente utili. I governi debbono abolire
le armi di distruzione di massa vietando esperimenti, vendita e stoccaggio
di materiale nucleare, chimico, biologico e ogni altro armamento. La
produzione, vendita ed uso di tutte le mine anti-uomo devono essere banditi.
Chiediamo che i nostri governi operino insieme al fine di risolvere i
conflitti senza usare la violenza e che essi includano a pieno titolo le
donne nelle iniziative per la costruzione di pace e la risoluzione dei
conflitti.
- Per impegnare le rispettive commissioni a misurare e valutare il lavoro
sottopagato delle donne e a calcolarlo nelle previsioni del Pil di ciascuna
nazione. I modelli dominanti di sviluppo si sono basati sullo sfruttamento
delle risorse del sud da parte del nord e sul trasferimento delle idee,
tecnologie e metodologie dal nord verso il sud. Noi dobbiamo costruire in
base ai modelli alternativi che gia' esistono sia al nord che al sud, che
siano fondati sull'eguaglianza, il reciproco rispetto, una vera
partecipazione, e che tengano conto di tutte le donne. Questi modelli devono
essere economicamente e socialmente equi e rispettosi del contesto
ambientale. Tutti i progetti di sviluppo devono tener conto degli effetti
sulle donne includendo il lavoro aggiuntivo imposto loro da una
insostenibile e inappropriata tecnologia.
*
Le donne delle ong del mondo si appellano a tutti i popoli e governi perche'
riconsiderino e trasformino radicalmente concetti, impostazioni e strutture
nel governare la vita economica e sociale e per agire in base alle nostre
raccomandazioni. Questo processo richiedera' la piena ed uguale
partecipazione di donne di tutte le diversita' di etnie e culture, donne
anziane, donne indigene, donne delle campagne e delle citta', donne
disabili, immigrate ed emigrate, rifugiate, donne profughe, donne di diversi
orientamenti sessuali e tutte le donne emarginate.
Noi chiediamo:
- Accesso per le donne alle strutture politiche a tutti i livelli e un
rafforzamento (empowerment) ai livelli decisionali della politica, in forma
egualitaria. Le istituzioni nazionali ed internazionali devono diventare
responsabili, trasparenti ed avere modalita' di partecipazione aperte. Le
donne devono avere libero accesso alle diverse e pluralistiche risorse
dell'informazione e dei media, che siano culturalmente e linguisticamente
idonei a dare e ricevere informazione. I governi devono sostenere le ong e
garantire la loro piena partecipazione nella pianificazione e sviluppo di
programmi e politiche.
- Riconoscimento, protezione, risarcimento finanziario, altri tipi di
assistenza, status legale per i milioni di donne e bambini, vittime del
nucleare o di altre catastrofi ambientali, molte di esse vittime o orfane
che sono state costrette a diventare immigrate, emigrate, rifugiate,
profughe o forzate a condizioni di schiavitu' sessuale come risultato della
guerra, dell'occupazione straniera, di ingiustizie politiche e
socioeconomiche. Ogni sforzo dovra' essere fatto per proteggere le
popolazioni civili dagli effetti negativi di sanzioni economiche, per
proteggere i loro diritti economici e umani.
- Accesso ad un sistema sanitario universale, di alta qualita', non
discriminatorio, che usi tutte le grandi diverse possibilita' disponibili
nei vari sistemi mondiali in luogo della superdipendenza attuale dai
medicinali che curano in eccesso e ammalano i corpi delle donne. Noi
richiediamo a tutti i governi di patrocinare e sostenere la ricerca nella
prevenzione e cura dell'hiv/aids, per proibire ogni forma di discriminazione
di donne affette da queste malattie, e per garantire loro l'accesso alla
formazione, cura, sostegno e trattamento per hiv/aids.
- Sviluppo e sostegno di azioni positive sia nel privato che nel pubblico
per assicurare l'eguaglianza delle donne.
- Cambiamento da parte dei media dell'uso negativo, sessualizzato,
dell'immagine di donne e bambini e dello sfruttamento che se ne fa; che
venga trasformato in positivo nel rispetto della nostra dignita' e
diversita'.
- Una nuova forma di educazione per tutti i bambini, a cominciare dal primo
livello, per sensibilizzarli riguardo ai diritti umani, alle questioni
relative al genere, alla risoluzione nonviolenta dei conflitti, sollecitando
il bisogno di pace nel mondo.
- Una piena utilizzazione del decennio delle Nazioni Unite per l'educazione
ai diritti umani centrata sulla prevenzione delle violazioni dei diritti
umani contro le donne.
- Nuove e aggiuntive risorse finanziarie e tecniche per utilizzare con pieno
successo i piani e gli impegni assunti in occasione delle Conferenze di
Nairobi, Rio de Janeiro, Vienna, Cairo, Copenaghen e Pechino, affinche' gli
stati membri adempiano gli obblighi assunti con la Convenzione
sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.
*
Noi chiediamo che si ponga fine allo stupro e a tutte le forme di violenza
sessuale, sfruttamento e molestia di donne e bambini, inoltre chiediamo la
fine del traffico delle donne e dei bambini cosi' come del turismo sessuale.
Ci impegniamo per queste trasformazioni in uno spirito di servizio verso
l'umanita' a fianco della gioventu' come agente di cambiamento, avendo a
cuore i nostri figli, nipoti e le future generazioni.
Noi siamo convinte che allorche' le donne otterranno piena ed eguale
partecipazione in tutte le questioni che riguardano il pianeta la pace
potra' essere realizzata ed assicurato il benessere di ciascun individuo.
Noi riaffermiamo che i diritti delle donne sono diritti umani.
Questo documento e' il risultato di tre giorni di consultazioni tra le donne
delle ong presenti a Pechino. Ci auguriamo che rifletta l'essenza del
pensiero delle ong del mondo. Speriamo che gruppi e singole lo approvino e
inviino suggerimenti.

5. RIFLESSIONE. IMMA BARBAROSSA: UNA RIFLESSIONE SU FEMMINISMI,
DISOBBEDIENZA, NONVIOLENZA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo i
seguenti stralci della relazione di Imma Barbarossa al seminario nazionale
di formazione organizzato dal Forum delle donne di Rifondazione comunista su
"Femminismi, disobbedienza, nonviolenza" a Napoli il 12 luglio 2003. A
valutare sulla sola base della sintesi che di seguito riproduciamo, ci
sembrano sintomatiche di profonde ambiguita' ed insufficienze di quel
partito politico certe elusioni o reticenze e il fatto che sembri che possa
essere da taluno ritenuto oggetto di discussione o peggio ancora di
sottovalutazione o addirittura di astensione di giudizio uno scellerato
orrore come la pratica dell'assassinio; e ci sembra che anche questa
relazione (che presenta sia aspetti molto apprezzabili che aspetti invece
discutibili e in qualche punto decisamente inaccettabili) nella sua scarsa
attenzione alla tradizione specifica della teoria e della prassi della
nonviolenza (che pur essendosi sostanziata decisivamente nel movimento delle
donne e nella "corrente calda" della tradizione del movimento operaio, ha
anche altri apporti ed esperienze e riflessioni specifiche che vanno
conosciute e riconosciute senza filtri o strumentalizzazioni) sia
sintomatica della necessita' che quante e quanti vogliono impegnarsi per la
pace e la giustizia si impegnino anche a un accostamento umile, rigoroso e
impegnativo alla nonviolenza nella sua complessita' e nella sua
peculiarita', nella sua dimensione logico-assiologica ed
ermeneutica-metodologica oltre che nelle sue testimonianze storiche ed
esperienze e proposte deliberative, operative, sociali, politiche,
giuriscostituenti. Imma Barbarossa, prestigiosa studiosa e militante
femminista e pacifista, e' impegnata - tra moltissime altre esperienze,
strutture, istituzioni e iniziative (dalla Commissione nazionale per le pari
opportunita' alla Casa delle culture di Bari, dalla Marcia mondiale delle
donne all'Associazione Rosa Luxemburg) - nella Convenzione permanente di
donne contro le guerre; tra le sue opere: (a cura di), La polveriera,
Edizioni La Meridiana, Molfetta (Ba) 2000]
"Il fine corre il pericolo di venire sopraffatto dai mezzi che esso
giustifica" (Hannah Arendt).
... Comincio col prendere le distanze dal termine "femminismi", al plurale.
A mio avviso ci sono piu' teorie, piu' pratiche e piu' movimenti femminili e
femministi, ma qui si tratta di femminismo, come movimento che critica (e/o
abbatte) lo stato di cose esistente, per parafrasare Marx, ossia dello
"spettro" che si aggira nel mondo per abbattere il patriarcato, per citare
scherzosamente ancora i sacri testi, o anche della rivoluzione piu' lunga.
Insomma, in questa accezione, il singolare non mi sembrava frutto di
integralismo.
*
Disobbedienza
Una prima riflessione da fare riguarda il rapporto tra femminismo e
disobbedienza.
Nella tradizione giudaico-cristiana la prima disobbediente, dopo Lucifero
che si ribello' a Dio, fu una donna, ma non Eva in combutta col serpente (ma
chi l'ha detto?), bensi' Lilith che disobbedi' ad Adamo.
Le donne hanno disobbedito al patriarcato a livello individuale, pagando
prezzi carissimi sia per le punizioni maschili, sia per le complicazioni
sentimentali, le depressioni, gli incubi, le complicita'.
Hanno cominciato a disobbedire insieme, a ri/conoscersi, a scavare dentro di
se', a prendere le distanze da modelli sociali ostili o compromissori e
omologanti.
Si sono dovute anche "separare" per ri/conoscersi, per ricostruire
genealogie femminili nel linguaggio, nell'immaginario, nel simbolico, per
costruire percorsi di differenza politica, per affermare una cittadinanza di
genere, per abitare con autorevolezza e dignita' una polis maschile
recintata ed escludente, fino a prendere parola sul mondo.
Ma la disobbedienza non e' solo femminile. L'obiezione di coscienza e'
stata - ed e' - praticata da uomini che non vogliono essere coinvolti in
operazioni di ingiustizia, di oppressione, di guerra, di morte.
Uomini che hanno rivestito ruoli di responsabilita', anche. Funzionari:
parole terribile, se si pensa al suo significato profondo. Individui che
esercitano funzioni, o (perche' no?) che vivono in funzione di strumenti, di
partito, di stato, di gruppi di potere.
Alcuni hanno disobbedito agli ordini: disertori, traditori delle loro
appartenenze. Individualmente, ma anche costruendo organizzazioni di
disertori. Hanno rifiutato. Refuseniks.
Per comprendere pienamente la forza di questa disobbedienza, si deve
ricordare il significato simbolico e quasi sacrale dell'esercito israeliano,
per la cui formazione spese molti articoli Hannah Arendt (ora pubblicati in
Antisemitismo e questione ebraica). Com'e' noto, in Israele il servizio di
leva dura tre anni e coinvolge uomini e donne; ogni cittadino e' riservista,
cioe' deve ripresentarsi a prestare per un certo tempo servizio militare;
ogni soldato/a di leva fa corpo col suo fucile, lo "indossa" anche quando
esce a passeggio. L'esercito israeliano e' come una sorta di riscatto
dall'accusa fatta agli ebrei di avere subito passivamente i pogrom, le
umiliazioni, fino alla Shoah...
*
Nonviolenza
E' necessario sfatare i luoghi comuni sulla nonviolenza come moderatismo.
Spesso, soprattutto a sinistra, si attribuisce alla nonviolenza un carattere
generalizzato di misticismo, spiritualismo, passivita', individualismo,
accettazione dell'esistente. In fondo - si dice - la teoria della
nonviolenza mira ad accettare il sistema dominante.
Certo, esistono interpretazioni testimoniali e totalizzanti della
nonviolenza. Ma - come affermava in una vecchia intervista Roger Garaudy -
la nonviolenza puo' (e deve) essere una strategia rivoluzionaria, che
rifiuta sia il riformismo come gestione migliorata del sistema senza
modifica dei rapporti sociali, sia il marginalismo delle microesperienze
comunitarie parallele ai macrosistemi di oppressione.
Non intendo qui parlare della violenza di stato, la violenza del capitalismo
in "pace" e in guerra, la violenza degli eserciti e degli stati occupanti,
dello sfruttamento e del colonialismo. Ci sono per questi aspetti della
storia occidentale analisi tra noi abbastanza condivise. Come pure non e'
qui in discussione la violenza dei fondamentalismi e del patriarcato antico
e moderno. Ognuna di noi, a partire da se', dalle sue letture, dalle sua
pratiche potrebbe parlarne per ore.
Qui intendo trattare la nonviolenza come progetto rivoluzionario, e quindi
accennare alla critica dei nessi rivoluzione/violenza,
rivoluzione/potere/violenza, e sostanzialmente al rapporto tra mezzi e fini
nella strategia rivoluzionaria.
*
Mezzi e fini
La storia del Novecento (non solo) ci dice che le rivoluzioni si sono
bloccate di fronte alla repressione o non sono riuscite a liberarsi di
quella violenza che avevano adottato come mezzo temporaneo. Il ricorso ai
mezzi violenti riproduce su larga scala il rapporto dominatore/dominato come
pure il ricorso a modelli dell'ideologia dominante (le stesse armi, lo
stesso simbolico, lo stesso sangue) porta a utilizzare il potere statale
cosi' conquistato senza modificarne la natura.
Una strategia di rivoluzione nonviolenta implica un diverso rapporto tra
mezzi e fini, per cui il fine si definisce attraverso i mezzi che si usano.
Se il fine della rivoluzione socialista, ad esempio, e' la liberazione e la
liberta', diventa interessante - mutatis mutandis - ricordare
un'affermazione di Engels (ne L'origine della famiglia, della proprieta'
privata e dello Stato): "la societa' che riorganizzera' la produzione sulla
base di una libera ed ugualitaria associazione di produttori releghera'
tutta la macchina dello stato laddove sara' d'ora in poi il suo posto: al
museo d'antichita'".
E ancora Gramsci: "Se l'individuo per cambiare ha bisogno che la societa'
intera prima sia cambiata, meccanicamente, non si sa per quale fenomeno
soprannaturale, nessun cambiamento avverra' mai".
Ma sicuramente possiamo riandare col pensiero alla famosa affermazione di
Rosa Luxemburg (citata in parte da Eduardo Galeano sul "Manifesto", a
proposito delle recenti repressioni a Cuba, nel'íarticolo stupendo Cuba ci
fa male); Rosa, polemizzando con Lenin e Trockij all'indomani della
rivoluzione del '17, affermava lucidamente: "Senza una liberta' illimitata
di stampa, senza un libero esercizio dei diritti di associazione e di
riunione e' del tutto impossibile concepire il dominio delle grandi masse
popolari", e poi: "La liberta' riservata ai partigiani del governo, ai soli
membri di un unico partito - siano pure numerosi quanto si vuole - non e'
liberta'. La liberta' e' sempre e soltanto liberta' di chi pensa
diversamente" (Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, in Scritti politici, a
cura di Lelio Basso, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976). Fidel e' servito,
come pure certi rifondatori.
Certo, queste citazioni sono selezionate; si potrebbe citare, all'opposto,
"la rivoluzione sta nella canna del fucile" di Mao, o il Fanon del I dannati
della terra; eppure c'e' un movimento nonviolento che ha fatto la storia del
Novecento, e che non intende scomparire dalla nostra storia, e cioe' il
movimento operaio. Scioperi, boicottaggi, picchetti, opposizione alle guerre
"dei padroni", con sabotaggi e noncollaborazione a tutti i livelli furono le
"armi" del movimento operaio disarmato.
Il vecchio saggio di Nicola Badaloni, Considerazioni di un marxista sui
rapporti tra marxismo e nonviolenza (contenuto negli atti del convegno
Marxismo e nonviolenza, Editrice Lanterna, Genova 1977) insiste sul nesso
tra fascismo/autoritarismo/violenza, antifascismo/democrazia/nonviolenza,
attraverso il protagonismo della classe operaia, come soggetto attore di un
conflitto liberatorio per l'umanita'.
Badaloni osserva, a proposito di violenza e nonviolenza: "Dietro
l'incapacita' di valutare i rapporti di forza si nascondono, oltre che
l'impotenza, il sogno e l'utopia. D'altronde, pero', dietro il loro
esclusivo privilegiamento, sta in agguato lo stalinismo, in cui l'eredita'
dello sviluppo industriale e la necessita' di non rimanere indietro su
questo piano per non essere piu' deboli, soffocarono lo sviluppo armonico
della societa' e uccisero la tolleranza".
A proposito di stalinismo, sul rapporto tra stato socialista e repressione,
sicuramente il punto di riferimento piu' forte sta nelle riflessioni di
Christa Wolf, scrittrice comunista che non e' mai passata "dall'altra
parte": sia il volume autobiografico Che cosa resta, o il romanzo Il cielo
diviso, sia la sublime metafora di Cassandra, storia di una citta' pacifica
accerchiata dall'imperialismo guerriero, che piano piano introietta i metodi
del nemico invasore e diventa una sorta di stato di polizia.
Sul versante del femminismo "liberale" (come impropriamente viene definito
da alcune/i), ovviamente c'e' Virginia Woolf con Le tre ghinee: "Poiche'
siamo diversi, i nostri metodi saranno diversi, il modo migliore per
aiutarvi a prevenire la guerra non e' di ripetere le vostre parole e seguire
i vostri metodi, ma di trovare nuove parole ed inventare nuovi metodi".
Sul rapporto tra rivoluzione e lotta armata, cito, fra i tanti, Marcos e il
suo discorso al'íarrivo della marcia zapatista a Citta' del Messico.
*
Stiamo al presente
Sento a volte aleggiare fra di noi una sorta di diffidenza nei confronti
della nonviolenza come strategia rivoluzionaria, con dei distinguo tra
violenza degli oppressi (o dei popoli oppressi) e violenza degli oppressori
(o popoli oppressori).
Credo che occorra fare chiarezza: la realta' in cui viviamo e' cambiata
radicalmente rispetto a 30 o 40 anni fa.
Esiste una oppressione capitalistica e neoliberista generalizzata. Le lotte
per l'indipendenza nazionale sono spesso sfociate nella formazione di
staterelli e guerre civili al loro interno, o hanno dato luogo ai
nazionalismi del cosiddetto terzo e quarto mondo. Sulle lotte feroci
all'interno dello stesso territorio ha speculato l'impero occidentale (Urss
compresa) con l'invio di armi e il sostegno al dittatore di turno. Si e'
creato l'ossimoro della "guerra umanitaria" e della esportazione armata
della democrazia.
Ex-Jugoslavia, Afghanistan, Iraq. Ora tutti/e abbiamo sotto gli occhi la
tragedia della Cecenia e del popolo palestinese. Situazioni molto diverse,
ma dove alcune organizzazioni hanno scelto la pratica degli attentati
suicidi/omicidi, e la politica del colpire al cuore non solo il potere
oppressore e i suoi eserciti, ma anche la societa' civile del governo
oppressore. Ora non so nemmeno se fra noi c'e' accordo sul considerare
nefasta la scelta dei guerriglieri ceceni e palestinesi, e non voglio qui
entrare nel merito.
Voglio ribadire, con Hannah Arendt (Sulla violenza, in AA. VV., Violenza o
nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1991) che "La sostanza stessa dell'azione
violenta e' governata dalla categoria mezzi-fine, la cui caratteristica
principale, se applicata agli affari umani, e' sempre stata che il fine
corre il pericolo di venire sopraffatto dai mezzi che esso giustifica e che
sono necessari per raggiungerlo. Dato che il fine dell'azione umana, a
differenza dei prodotti finali della manifattura, non puo' mai essere
previsto in modo attendibile, i mezzi usati per raggiungere degli obiettivi
politici il piu' delle volte risultano piu' importanti per il mondo futuro
degli obiettivi perseguiti".
*
Violenza e potere
Sulle riflessioni profonde che Hannah Arendt fa riguardo al rapporto tra
violenza e potere, su cui tornero', mi preme qui accennare ad un
ragionamento della Arendt su Marx: "Certamente Marx era consapevole del
ruolo della violenza nella storia, ma questo ruolo era per lui secondario;
non la violenza ma le contraddizioni inerenti alla vecchia societa' ne
provocavano la fine. L'emergenza di una nuova societa' era preceduta, non
causata, da esplosioni di violenza, che egli paragonava alle doglie del
parto che precedono, ma naturalmente non ne sono la causa, l'evento della
nascita organica". Continua Arendt: "Il potere e la violenza sono opposti:
dove l'una governa in modo assoluto, l'altro e' assente. La violenza compare
dove il potere e' scosso, ma lasciata a se stessa finisce per far scomparire
il potere. Questo implica che non e' corretto pensare all'opposto della
violenza in termini di nonviolenza, parlare di potere nonviolento e' di
fatto una ridondanza. La violenza puo' distruggere il potere; e'
assolutamente incapace di crearlo" (ibidem). Nel linguaggio femminista si
dira': "Il massimo di autorita' col minimo di potere".
Ancora su mezzi e fini (posto che la violenza sia un mezzo e il potere il
fine), cito ancora da Arendt: "Inoltre, il pericolo della violenza, anche se
si muove consapevolmente in un quadro non estremistico di obiettivi a breve
termine, sara' sempre quello che i mezzi sopraffacciano il fine. Se gli
obiettivi non sono raggiunti rapidamente il risultato non sara' la semplice
sconfitta ma l'introduzione della pratica della violenza in tutto l'insieme
della politica. L'azione e' irreversibile, e il ritorno allo status quo in
caso di sconfitta e' sempre improbabile. La pratica della violenza, come
ogni azione, cambia il mondo, ma il cambiamento piu' probabile e' verso un
mondo piu' violento".
*
Una sorta di emancipazione armata
"Lanam fecit, domum servavit". La casa, i lavori donneschi, l'accudimento
sono stati per le donne elementi di una sorta di destino sociale. Passare
dal domestico al protagonismo sociale ha significato per le donne un enorme
passo avanti, ma ha dovuto passare attraverso le forme della socialita' e
della cittadinanza maschile: il lavoro e l'esercito.
A proposito dell'esercito, un'analisi del protagonismo delle donne e' assai
complessa. C'e' indubbiamente nell'arruolamento delle donne una forma di
omologazione. Essere pari agli uomini, definirsi sulla misura maschile,
essere all'altezza. Ne abbiamo parlato a sufficienza, sottoponendo anche a
dura critica il concetto di parita'.
La madre romana che onora il figlio morto in guerra per la patria, la
soldata, la pilota che lancia le bombe sono figure emblematiche della
introiezione della cifra dei valori maschili, allo stesso modo delle
crocerossine che alleviano le ferite inferte dai loro eserciti. Su questo
siamo tutte d'accordo.
Dove nasce il problema? Nasce con la presenza delle donne negli eserciti di
liberazione, nella lotta armata, nelle organizzazioni terroristiche. Ora se
la lotta armata mira a colpire o postazioni militari o singole persone (come
nel caso delle Br) considerate simboli del potere o del riformismo complice
col potere (ho sempre detto che in realta' si colpivano persone in carne e
ossa), quando ci si fa esplodere in un autobus o in un concerto rock, si
toglie la vita per seminare il terrore. Nel caso palestinese, il potere
dello stato israeliano non viene affatto colpito, anzi si rafforza, si
finisce col consegnare la causa del popolo palestinese nelle mani di Bush.
Non siamo piu' alla lotta armata, siamo all'annientamento indiscriminato di
civili e alla distruzione di una generazione di giovani palestinesi.
Qui indubbiamente, come anche nel caso della Cecenia, le donne si
considerano uscite dalla minorita', non piu' relegate a piangere i morti, ma
protagoniste esse stesse di una "morte onorata". Le giovanissime vedove
cecene prendono il posto dei guerriglieri. La politica si e' militarizzata,
gli oppressi hanno introiettato una sorta di disprezzo per il corpo, per la
vita, per le relazioni umane.
*
Che cos'e' la politica
E' la fine della politica; la politica viene delegata a quel simulacro di
trattative di Abu Mazen, mentre i combattenti si addestrano alla morte.
Condannarli/e? Non e' questo il punto: il punto e' lottare per la
smilitarizzazione della vita e della politica, la demistificazione
dell'aureola di eroe e del misticismo sacrificale.
Personalmente ritengo che líunica pratica politica efficace sia la
costruzione di forme sociali di palestinesi e israeliani, che vanno
sostenute, aiutate, costruite anche da parte nostra.
Toglierci le divise dalla testa, i fucili dal cuore. Aiutare la
disobbedienza israeliana. "La disobbedienza su larga scala costringera' il
governo a iniziare un dialogo con i palestinesi" (da uníaffermazione di un
refusenik).
Non si tratta qui di condannare nemmeno la resistenza del popolo iracheno
agli eserciti invasori. Si tratta innanzitutto di condannare l'invasione
anglo-americana, e quindi, qui da noi come soprattutto negli Usa, costruire
una obiezione di massa al militarismo, una cultura della diserzione,
dell'abbandono degli eserciti, della decostruzione dell'orgoglio patriottico
e della sacra missione del soldato. Il movimento pacifista, nelle sue varie
anime, puo' impegnarsi a fare questo, e lo sta facendo.
Il nostro agire politico deve andare in questa direzione. Senza
infingimenti, senza ambiguita', senza timidezze, subalternita' e
complicita'. Senza timore di essere "equidistanti". Prendere parte si deve,
ma "non si puo' smantellare la casa del padrone con i suo stessi mezzi".
Vale anche qui. E' una scelta etica e politica insieme. Ma che sarebbe la
politica senza l'etica? Una tecnica per conquistare il potere? Ma quale
potere? Potere di fare cosa?
Qui ritorniamo all'inizio, a quando dicevamo che sono i mezzi che
costruiscono i fini. Allora la nostra asimmetria vale anche rispetto al
movimento e sta anche qui, nella demistificazione di un codice
maschile/virile che rischia di perpetuarsi, esso si', come un valore
assoluto.
Ma anche qui forse siamo sulla buona strada.

6. MONDO. LUCIANO BERTOZZI: IL RAPPORTO SIPRI SUL COMMERCIO DELLE ARMI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 ottobre 2003. Luciano Bertozzi e'
ricercatore, giornalista, saggista, si occupa da molti anni di rapporto
nord/sud, corsa agli armamenti, diritti umani; collaboratore di Amnesty
International e di varie esperienze impegnate per la pace e i diritti; tra
le sue opere: I bambini soldato, Emi, Bologna 2003]
Le vendite mondiali di armi nel lustro 1998-2002 sono state pari a 92,5
miliardi di dollari costanti, cioe' depurati dall'inflazione. Il dato e' uno
dei piu' significativi contenuti nell'ultimo annuario del Sipri, autorevole
centro studi sul disarmo di Stoccolma. Tali vendite non si riferiscono
all'intero commercio di armi, ma riguardano solo i maggiori sistemi d'arma
(aerei, elicotteri, carri armati, cannoni, navi, ecc.).
Il Sipri nel suo Yearbook 2003 fornisce un quadro dettagliato dei maggiori
fornitori ed acquirenti di armi.
Gli Usa sono il paese leader nelle vendite: 38 miliardi di dollari, il 41%
del totale. Il primo posto e' dovuto in gran parte alle vendite della fine
degli anni '90. I suoi principali clienti sono Taiwan (4,8 miliardi), Egitto
(3 miliardi), Arabia Saudita (2,9 miliardi), Turchia e Giappone (2,8
miliardi), Regno Unito (2,6 miliardi), Israele (2,3 miliardi) e Sud Corea
(2,2 miliardi). Gran parte di questi paesi sono in stato di tensione o
addirittura di guerra. Washington, pero', ha dovuto subire un dispiacere,
anche nel 2002 cosi' come nell'anno precedente e' stata la Russia in testa
alla classifica delle vendite annuali stilata dal Sipri. Ad ogni modo la
lotta al terrorismo e' stata utilizzata da Bush per ridurre talune
restrizioni sulle esportazioni militari.
Al secondo posto in questa poco lusinghiera classifica e' posizionata la
Russia con quasi 21 miliardi. La fetta di torta di Mosca e' pari al 22% del
totale e le sue vendite sono in continua crescita, grazie agli
importantissimi contratti stipulati con Cina (8,2 miliardi nel quinquennio)
ed India (3,9 miliardi). Con importi minori seguono Iran, Algeria, Grecia,
Siria e Yemen. Pur di non farsi scappare clienti la Russia ha consentito
all'India di esportare missili antinave coprodotti con New Delhi a paesi
terzi. Inoltre e' da registrare un accordo con Israele che consente alle
industrie militari russe il diritto di ricevere partecipazioni industriali e
royalties in future modernizzazioni israeliane.
Al terzo posto la Francia 8,3 miliardi (9% dell'export). I suoi principali
clienti sono, rispettivamente, Taiwan, Emirati Arabi Uniti, Pakistan,
Brasile e Turchia. Parigi, per non perdere due mercati importanti,
rifornisce sia India sia Pakistan, due paesi sull'orlo di un conflitto
nucleare.
Al quarto posto c'e' la Germania che sorpassa il Regno Unito. I suoi
principali clienti? Turchia (quasi 1 miliardo) e Israele. Non male per un
governo composto da socialdemocratici e verdi. Nelle posizioni di rincalzo
ci sono l'Ucraina, che non ha altro da vendere che le armi dell'ex impero
sovietico; l'Italia che guadagna un posto e sale dall'ottavo al settimo, con
1,8 miliardi. Seguono poi Cina; Olanda, Bielorussia, Svezia ed Israele
(dodicesima posizione con 900 milioni).
Un tale livello di spesa e' uno scandalo.
I soldi per garantire la dignita' della vita ad una moltitudine di esseri
umani non ci sono mai, mentre per comprare ordigni non ci sono problemi.
L'aver accordato la priorita' dell'agenda politica alla "lotta al
terrorismo" e non alla lotta alla fame ed alle malattie ha consentito a
molti paesi proprio l'incremento delle spese militari, che hanno raggiunto,
ad esempio negli Usa, livelli mai visti.
"I Paesi occidentali - ha affermato Lewis, appresentante Onu per la lotta
all'Aids - sono capaci di trovare 200 miliardi di dollari per combattere la
'guerra al terrorismo' ma non riescono a racimolare il denaro per fornire
trattamenti retro-virali a tutti quelli che in Africa ne hanno bisogno". L'
operazione, utile contro l'Aids, costerebbe appena 6 miliardi di dollari.

7. RILETTURE. JUDITH M. BROWN: GANDHI
Judith M. Brown, Gandhi. Prigioniero della speranza, Il Mulino, Bologna
1995, pp. 596, lire 60.000. Una assai utile monografia.

8. RILETTURE. ELISABETH BURGOS: MI CHIAMO RIGOBERTA MENCHU'
Elisabeth Burgos, Mi chiamo Rigoberta Menchu', Giunti, Firenze 1987, pp.
XXIV + 304, lire 15.000. Rigoberta Mechu' racconta la sua vita.

9. RILETTURE. SIMONE PETREMENT: LA VITA DI SIMONE WEIL
Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994, pp. XXIV +
688, lire 85.000. Una fondamentale biografia.

10. RILETTURE. ELISABETH YOUNG-BRUEHL: HANNAH ARENDT
Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt. Per amore del mondo, Bollati
Boringhieri, Torino 1990, 1994, pp. 642, lire 40.000. Una fondamentale
biografia.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 694 del 5 ottobre 2003