[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 689
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 689
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 29 Sep 2003 20:04:20 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 689 del 30 settembre 2003 Sommario di questo numero: 0. Tre comunicazioni di servizio 1. Normanna Albertini: "Combatti la poverta': uccidi un mendicante" (sulla proposta di Lidia Menapace per un'Europa di pace, neutrale e attiva, disarmata e nonviolenta) 2. Peppe Sini: i piedi nel piatto e il cammino da fare (sulla proposta di Lidia e sulle riflessioni di Normanna) 3. Maria G. Di Rienzo: tre storie di donne africane 4. Giovanni Mandorino: a pensar male... 5. Luisa Morgantini: una petizione per la liberazione dei ragazzi palestinesi detenuti 6. Sari Nusseibeh: il muro ha bisogno di tagliare in due anche il nostro campus? 7. David Bidussa: i "nuovi martiri" 8. A Verona la Casa per la nonviolenza compie quindici anni 9. Riletture: Nicole Chevillard, Sebastien Leconte (a cura di), Lavoro delle donne. Potere degli uomini 10. Riletture: Mariella Loriga, L'identita' e la differenza 11. Riletture: Massimo Teodori, Storia delle nuove sinistre in Europa (1956-1976) 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 0. TRE COMUNICAZIONI DI SERVIZIO Settembre e' il piu' affollato dei mesi, ci giunge un carico di posta enorme e ogni giorno dovremmo fare un notiziario di dimensioni sesquipedali per pubblicare solo le cose piu' interessanti ed urgenti fra quante ci giungono; cosicche' se qualcosa, anzi molto, va perso financo per nostra disattenzione o improntitudine, ebbene, portino pazienza i gentili lettori. Abbiamo avuto ancora anche problemi di connessione e di intasamento e puo' darsi che alcune lettere siano andate perse; se si trattava di cose importanti saremmo grati di un nuovo invio. Grazie per il buon cuore, e portino i gentili lettori pazienza. Ancora rammentiamo che noi non inviamo mai allegati: giungono anche a noi numerosi messaggi sospetti e recanti virus, e messaggi recanti virus che si presentano come non sospetti; ci giungono anche messaggi apparentemente da noi stessi provenienti. Ricordiamo ancora, quindi: a) che noi non inviamo mai allegati, se vi giungono messaggi con allegati apparentemente da noi provenienti vi preghiamo di eliminarli senza aprirli poiche' si tratta di virus; b) che e' buona profilassi aggiornare costantemente gli antivirus ed effettuare frequenti scansioni di controllo (come e' noto vi e' la possibilita' di effettuarle anche gratuitamente in rete); c) va da se', infine, che chi ci invia dei testi ci farebbe un regalo grande se - quando e per quanto possibile - ce li mandasse come testo normale all'interno del messaggio anziche' in allegato. Grazie ancora a tutti per la benevola attenzione, e portino, gentili i lettori, pazienza. 1. EDITORIALE. NORMANNA ALBERTINI: "COMBATTI LA POVERTA': UCCIDI UN MENDICANTE" (SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE PER UN'EUROPA DI PACE, NEUTRALE E ATTIVA, DISARMATA E NONVIOLENTA) [Siamo assai grati a Normanna Albertini (per contatti: normanna.a at libero.it) per questo intervento. Normanna Albertini, insegnante nella scuola elementare, e' impegnata nel gruppo di Felina (Reggio Emilia) della Rete Radie' Resch, e quindi in varie iniziative di solidarieta', di pace, per i diritti umani e per la nonviolenza] Concordo pienamente con Lidia Menapace sul fatto che essere neutrali significa prendere posizione e agire nelle varie situazioni in tutti i modi, tranne con le armi. Ma poi mi chiedo: puo' questa Europa permettersi questo? La nostra neutralita' militare presuppone una neutralita' economica e limpidezza etica che, di fatto, non abbiamo. Ecco perche' anche Prodi sostiene che l'Europa "deve" avere un esercito e che "si puo' "(e "si deve") promuovere la pace con le armi. Se ci si sofferma su alcuni articoli della Costituzione dell'Unione europea, si comprende che cio' che si vuole tutelare sono gli interessi economici dell'Europa, non la pace. E' lampante che le missioni militari vi siano contemplate. E vi sono previste persino nella "lotta al terrorismo" sul territorio di paesi terzi. * Sembra che questa Europa debba prepararsi a difendersi militarmente. Da chi? "Combatti la poverta': uccidi un mendicante", scriveva Eduardo Galeano. Questa Europa "deve" prepararsi a difendersi militarmente dai poveri e a difendere i propri interessi nei paesi poveri, anzi: contro i paesi poveri. Neutralita'? La Svizzera e' neutrale? Il cardinale di Kinshasa ha chiesto in questi giorni- lo riferisce padre Zanotelli- un tribunale internazionale per i crimini perpetrati nelle guerre d'Africa ( in Congo, 4 milioni di morti in 5 anni) e che i presidenti del Rwanda e dell'Uganda e i loro generali siano portati davanti al tribunale con gli Usa e l'Inghilterra. Poi ha invocato l'embargo sulle armi all'Uganda e al Rwanda e che i beni rubati ( l'Onu ha nomi e cognomi di chi ha razziato e moltissimi fanno riferimento a banche svizzere) vengano restituiti. La neutralita' della Svizzera e' vera neutralita'? E la nostra ipotizzata neutralita', e' possibile se si va a Cancun con la deliberazione che l'acqua e' merce e non un bene primario, ben sapendo che gia' oggi il 70% dell'acqua commercializzata e' in mano a due multinazionali? Difficile chiamarsi fuori dalla logica militare se come Commissione Europea si preme sui governi che domandano aiuto e finanziamenti perche' cedano le loro risorse idriche alle multinazionali. E come la mettiamo con le sovvenzioni all'agricoltura (350 miliardi di dollari tra Usa e Unione Europea destinati ai propri agricoltori) che "... minano alla base lo sviluppo economico, impediscono alla nostra agricoltura di modernizzarsi, ci obbligano a importare... e provocano l'esodo rurale che va ad aumentare il numero degli abitanti delle bidonvilles", come ha spiegato il presidente senegalese Abdoulaye Wade? Quale dei nostri sindacati e dei nostri partiti politici potrebbe ammettere un dibattito sulla materia? Come possiamo vivere "neutralmente", in pace coi nostri vicini se quotidianamente li rapiniamo? E li rapiniamo assicurandoci anche i 200 miliardi di dollari di interessi annuali sui 2.500 miliardi di dollari di debito totale accumulato dai paesi poveri. Qualcuno se lo ricorda? Qualcuno vuole ricordare che la finanza internazionale non arriva neanche a 50 miliardi di prestiti a quei paesi e che quindi sono i poveri a sovvenzionare i ricchi? Ecco perche' le armi a questa Europa sono essenziali. E la neutralita' inattuabile. * Ma c'e' ancora un altro problema, gravissimo, che, mi pare, non e' entrato nello scambio di idee: il peso della Nato nell'Unione Europea. Anche Prodi dice che l'Europa potra' contare soltanto se sara' al pari militarmente con gli Usa, in una nuova "guerra fredda" che, da Usa/Urss, diventera' Usa/Unione Europea. E il funzionamento della Nato, dopo il vertice di Washington del '99, che trasformo' l'alleanza da difensiva in offensiva, praticamente uno mezzo per affermare gli interessi dei paesi membri in qualsiasi parte del mondo essi li vedano minacciati, comporta un obbligo gravissimo sull'Unione Europea. Nemmeno la piu' vantaggiosa delle Costituzioni potrebbe sostenerne l'impatto. Nel vertice di Praga del 2002, la Nato ha poi sposato la teoria dell'attacco preventivo, ribaltando la strategia dalla difesa all'attacco militare. Il tutto passato senza venir sottoposto alla verifica di nessun parlamento nazionale ne' dei cittadini. E' evidente che gli accordi Nato hanno per i governi nazionali una forza piu' importante delle rispettive norme costituzionali e possono violarle impunemente. Purtroppo, sembra che anche nel centrosinistra europeo abbia preso il sopravvento un accostamento alla linea atlantica, che ha trovato beneplacito in Giscard d'Estaing e Giuliano Amato, disposti a fluidificare le disapprovazioni piu' brusche all'ideologia della guerra preventiva. E' l'esistenza stessa della Nato a impedire la "neutralita'" dell'Europa. * Cio' che doveva essere il fulcro della Costituzione europea e' riassunto nell'affermazione portata avanti dalla campagna italiana perche' entrasse nella Costituzione stessa: "L'Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e dei popoli. L'Europa contribuisce alla costruzione di un ordine internazionale pacifico e democratico. A tale scopo promuove, favorisce il rafforzamento e la democratizzazione dell'Onu e lo sviluppo della cooperazione internazionale". Mi ha impressionato l'accanimento delle alte gerarchie ecclesiastiche e di molti leader politici nella richiesta di una Carta europea con chiara caratterizzazione cristiana. Nessuno scandalo, non una parola, invece, sul valore della pace, accettata solo come obiettivo e, quindi, destituita da guida principale di ogni azione politica. Nessuna pressione, nessuna invocazione ne' richiesta. Eppure, invocare le "radici cristiane", per me credente, cattolica praticante, dovrebbe significare pretendere di fondare la Carta sulla pace, l'amore e la nonviolenza predicate da Gesu' Cristo. Piu' che invocare i crocefissi appesi ai muri. Ma i cristiani d'Europa, come gli europei atei o di altre confessioni religiose, non hanno l'incolpevolezza etica e la "neutralita' economica" per farlo. Cosi', senza queste fondamenta, la neutralita' militare non potrebbe essere altra che quella, opportunistica, che mantiene al sicuro le banche svizzere. 2. EDITORIALE. PEPPE SINI: I PIEDI NEL PIATTO E IL CAMMINO DA FARE (SULLA PROPOSTA DI LIDIA E SULLE RIFLESSIONI DI NORMANNA) L'intervento di Normanna pone con lucidita' e commozione, con dolore e tenerezza, ed insieme con fermezza di sguardo e di dettato, alcune questioni di fondo ed una esigenza fondamentale. Che sono al cuore della proposta di Lidia e sulle quali tutti, Lidia, Normanna, Luciano, Nanni, Angela, Daniele, Enrico, Fausto, e tanti altri ancora, stiamo lavorando - ciascuna e ciascuno coi propri limiti, le proprie contraddizioni, la propria fatica - sovente da molti anni. Gia' altre ed altri lo hanno sottolineato: per costruire la pace occorrono scelte di giustizia e di modello di sviluppo adeguate e coerenti, ed a tutti i livelli: internazionale, degli stati, locali, tanto delle istituzioni quanto della societa' civile, delle comunita' e delle persone. E vi sono nodi che non si possono eludere e che e' bene vengano indicati per quello che sono: ad esempio la Nato, la cui abolizione e' fin dalla sua imposizione una necessita' impellente; e a maggior ragione dopo l''89; e a maggior ragione ancora dopo quel catastrofico '99. * Io, come Normanna, come Lidia, come le altre e gli altri che su questo foglio dicono la loro, condivido quell'opinione di Gianni Rodari: che fatta la diagnosi dei mali del mondo da qualche parte dobbiamo cominciare a riparare. Molte sono le cose che a vari livelli ed in ambiti diversi si possono fare e che molti gia' fanno; e potrei fare un elenco infinito del frugifero e luminoso lavoro di Lidia, di Normanna, di Enrico, di Angela eccetera; pur sapendo quella verita' che appresi da Primo Levi: che la lotta contro il male e' una lotta infinita; ma proprio perche' e' infinita tu arrenderti non devi giammai, e nulla e' inutile di quanto di buono e' fatto. Tra le molte cose mi pare che la proposta di Lidia sia un ottimo punto d'inizio (o di presa, o di attacco, per usare un gergo che m'immagino alpinistico). * Poiche' lo spazio sociale e civile e politico ed istituzionale europeo, ed in esso quell'oggetto per piu' versi ancor misterioso e ameboide ed in fieri che e' l'Unione Europea, e' un contesto dinamico e contraddittorio, e presenta molteplici aspetti favorevoli alla promozione della pace, dei diritti umani, della nonviolenza: come ad esempio il fatto, cruciale, che rispetto ad altre aree del mondo - e certo anche grazie a un privilegio che abbiamo e che non e' innocente ma frutto di quella plurisecolare e attuale rapina che Normanna denuncia - abbia sistemi politici democratici, ordinamenti giuridici statuali fondati sul principio dello stato di diritto, relativamente notevolissime garanzie e immensi spazi espressivi ed operativi per chi gode del beneficio della cittadinanza (una persona come me, per esempio, credo che difficilmente in un luogo non europeo sarebbe ancora vivo e libero e avrebbe a disposizione tutti i vantaggi e i conforti di cui beneficio). Quindi l'Europa puo' essere ed e' un luogo in cui piu' agevolmente che altrove si puo' lavorare a costruire un processo che inveri un'alternativa fondata sulla democrazia e sulla giustizia, sul rispetto e la promozione dei diritti, sulla solidarieta' e la cooperazione internazionale, e - mi si passi il termine confuciano - sulla benevolenza. Non mi si fraintenda: non ho mai creduto ad una pretesa e razzista "superiorita'" europea; e ritengo e sostengo da sempre che molte delle cose che piu' contano (e alla cui scuola e sequela mi sono messo fin dalla mia lontana gioventu') vengono pensate e sperimentate nel sud del mondo, negli infiniti e infinitamente diversi sud del mondo; sto semplicemente constatando un dato di fatto: che l'Europa e' un contesto favorevole per un'azione di pace e per i diritti umani, per l'inveramento della nonviolenza nei rapporti sociali e politici e nella loro codificazione giuridica; e che essa Europa puo' divenire anche nella sua organizzazione istituzionale e politica - oltre che nella sua complessita' culturale e vivacita' civile - un soggetto attivo di tale azione e di tale inveramento. Ed e' urgente qui e adesso iniziare dal punto piu' critico: le politiche della difesa e della sicurezza, l'opposizione alla guerra, la costruzione della scelta di pace con mezzi di pace, il disarmo e la smilitarizzazione, la scelta della nonviolenza proprio nell'ambito in cui si annida il rischio dell'apocalisse per tutti. * "Neutralita' attiva e operante": cioe' disarmo, smilitarizzazione, difesa popolare nonviolenta, corpi civili di pace, "articolo 11" nella Costituzione europea, nonviolenza giuriscostituente, una politica internazionale di cooperazione e di giustizia, di "produzione di pace a mezzo di pace", raccogliendo e inverando l'eredita' feconda del movimento delle donne, del movimento operaio, delle esperienze di Resistenza all'inumano e di liberazione dell'umano, antirazziste ed anticolonialiste, antimperialiste ed ecologiste, di uguaglianza nel riconoscimento delle differenze e di solidarieta' nell'affermazione di tutti i diritti umani per tutte e tutti. Molto c'e' da fare e molto possiamo fare, qui e adesso. Consapevoli certo di tutte le difficolta', di tutte le contraddizioni, di quanto arduo - e ad un tempo urgente - sia il compito, delle profonde trasformazioni che esso implica e con cui deve intrecciarsi e interagire o che deve innescare. Rifiutando ugualmente gli atteggiamenti velleitari e quelli rassegnati, il fatalismo e il fanatismo, l'abulia e l'epilessia che sovente affliggono i movimenti sociali e le persone di volonta' buona, e non di rado li travolgono nell'inane e nel corrotto. Si tratta, quindi, di mettersi in cammino, di non lasciarsi paralizzare, di uscire dalla subalternita'. Con quel pessimismo e quell'ottimismo di cui diceva anche il prigioniero di Turi. Con la saggezza luminosa e la fervida tenacia di Lidia, con la lucidita' di sguardo e l'acuta scienza del cuore di Normanna, con il rigore logico e morale e le ipotesi di lavoro di Nanni (penso anche ad esempio al suo piccolo ma prezioso libro sugli Elementi di economia nonviolenta), e cosi' via. E cosi' via, direbbe Kilgore Trout. 3. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: TRE STORIE DI DONNE AFRICANE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Oggi la causa principale di morte in Africa e' il virus hiv (e' la quarta causa a livello mondiale). Oltre 35 milioni di uomini, donne e bambine/i sono sieropositivi o in aids conclamato. I nuovi casi sono stimati attorno ai 5,4 milioni l'anno. Bambini orfani si trovano a dover provvedere al proprio sostentamento e a quello di sorelle e fratelli minori: a 9 anni si sopravvive vendendo cianfrusaglie davanti ai bar od altri luoghi di intrattenimento per gli adulti; per avere il permesso dai gestori dei luoghi spesso questi bambini e bambine devono sottostare ad aggressioni sessuali. Le comunita' religiose non sembrano aver preso sufficientemente sul serio la situazione, giacche' persiste in esse la percezione che l'hiv/aids tocchi esclusivamente coloro che sono sessualmente promiscui, gli adulteri e le adultere, gli/le omosessuali. Percio' alcune di esse si oppongono alla distribuzione gratuita di preservativi o a qualsiasi altra misura che incoraggi pratiche di autoprotezione. Questa attitudine ha effetti devastanti sulle comunita', e sovente il maggior peso del disastro cade sulle spalle di giovani donne che hanno contratto matrimonio senza consenso personale. Si suppone che una fanciulla ed i suoi genitori debbano sentirsi onorati quando un uomo chiede la mano di lei ed e' assai comune per gli uomini, se si trasferiscono dal loro luogo di nascita, "ordinare a casa" le proprie spose. E' anche usuale che ad uomini divorziati o vedovi vengano offerte ragazze molto giovani: esse non hanno gran voce in capitolo, specialmente se sono "vergini" e non sono mai state sposate prima. I loro genitori possono decidere cio' che vogliono, checche' la figlia pensi. Sebbene le maggiori religioni sostengano che una donna non puo' essere forzata ad un'unione, la pratica e' tutt'altra cosa. Queste sono tre storie che mi sono giunte dalla Tanzania. * Safia - A 14 anni, Safia aveva completato il ciclo primario d'istruzione scolastica (che in Tanzania dura 7 anni: i bambini e le bambine cominciano la scuola al compimento del settimo anno d'eta'). Safia e' di origine araba, e la cultura della sua famiglia non incoraggia le ragazze a studiare dopo la puberta'. Poiche' andava molto bene a scuola, ella avrebbe desiderato proseguire, ma i suoi genitori decisero di sposarla ad un uomo che consideravano devoto e benestante. Costui era di mezz'eta' e aveva un'attivita' in proprio, cosi' i genitori di Safia si sentirono sicuri che egli, una persona seria e posata, avrebbe provveduto adeguatamente alla loro figlia. Safia resto' incinta subito dopo il matrimonio, ma la gravidanza non fu facile, accompagnata da frequenti malesseri. Ricoverata in ospedale, risulto' positiva al test hiv. Com'era possibile che avesse contratto l'infezione, se non aveva avuto rapporti sessuali prima del matrimonio e nessuna trasfusione di sangue od operazione chirurgica? Tutti attorno a lei erano stati molto attenti nel consegnarla "intatta" allo sposo, ma nessuno si era preoccupato della sua salute. La vita di Safia e' rovinata, oltre che dalla malattia, dalla decisione del marito: costui, appreso che era sieropositiva, ha preteso il divorzio. I genitori di lei si dicono dispiaciuti. * Salma - Ha 24 anni, ed e' una delle poche donne che parlano apertamente del proprio vivere con l'hiv. Si e' unita ad un gruppo di persone sieropositive come lei, e lotta contro la malattia con tutti i mezzi a sua disposizione. Come Safia, Salma e' stata costretta a sposarsi a 14 anni dopo aver terminato la scuola. Sua madre era di eta' avanzata, e avendo quest'unica figlia era preoccupata di morire lasciandola senza sostegno alcuno. Salma e' molto bella, e le offerte fioccarono. La madre scelse un uomo d'affari, da poco vedovo. Nessuno sapeva, ne' lui lo disse, che la sua prima moglie era morta di aids. La prima gravidanza di Salma fu normale, ma il bimbo spiro' prima di aver compiuto i tre mesi: senza alcuna ragione apparente, la creatura deperi' e si indeboli' sino a morire. Lo stesso scenario si ripete' con la seconda gravidanza. Nel frattempo, la salute del marito era peggiorata al punto che egli non poteva lasciare il letto. Solo allora egli ammise con la moglie di aver saputo benissimo di essere infetto dal virus e le chiese perdono per averla contagiata. Salma rimase vedova prima di aver compiuto vent'anni; inoltre, i suoi parenti acquisiti si appropriarono alla morte del marito di tutti i beni di lei. E' stata lasciata sola, malata e senza un soldo. Dice che si sta ancora chiedendo perche' ha dovuto essere punita per cio' che non ha fatto, perche' non ha ricevuto alcun risarcimento per essere stata ingannata. * Sabra - E' una giovane professionista, proveniente da una famiglia borghese, i cui genitori erano diventati molto ansiosi ed assillanti rispetto al suo matrimonio. Sabra non era piu' un'adolescente, ed essi temevano che sarebbe rimasta "zitella". Alla fine, un suo coetaneo divenne amico del padre di lei, e chiese la sua mano. Sabra cedette alle pressioni, ma avendo passato i vent'anni, ed essendo quindi un po' piu' avvertita di una quattordicenne, pose un'unica condizione: che sia lei sia lo sposo si sottoponessero al test hiv. I suoi genitori non ne vollero sapere: che cosa avrebbe pensato la famiglia di lui? Non si rendeva conto, Sabra, che una richiesta del genere avrebbe svergognato quell'uomo? Che cosa avrebbe detto la gente, se una cosa simile si fosse risaputa? Ogni volta che Sabra sollevava la questione, i suoi genitori la rimproveravano e chiudevano la discussione urlando: "Ma non capisci? Cosa penserebbe di noi la gente?". E cosi' Sabra si sposo' senza che alcun test venisse fatto: meno di un anno dopo, era vedova. A questo punto scopri' che l'uomo, prima di chiedere la sua mano, si era appena rimesso da una lunga malattia: i sintomi erano chiari, ma nessuno dei suoi parenti gli suggeri' di sottoporsi al test hiv. Alcuni preferirono sostenere che era stato "affatturato" da colleghi di lavoro gelosi del suo successo, ma anche quelli che sospettavano la verita' non ritennero di dover mettere sull'avviso la fidanzata o i di lei genitori. Oggi Sabra vive nella paura, non sapendo se e' stata contagiata o no. Non ha ancora trovato il coraggio di fare il test. Sa anche che molto difficilmente avra' una propria famiglia: nessuno sposa una vedova il cui precedente marito e' morto di aids. "Sono cresciuta sognando il mio futuro, dice, ed ora capisco che non avro' un futuro". 4. EDITORIALE. GIOVANNI MANDORINO: A PENSAR MALE... [Ringraziamo Giovanni Mandorino (per contatti: gmandorino at interfree.it) per questo intervento. Giovanni Mandorino e' una delle piu' rigorose e attive persone impegnate per la nonviolenza, partecipa all'esperienza del Centro Gandhi di Pisa e cura il sito della rivista "Quaderni satyagraha" (pdpace.interfree.it)] Alcune cose a cui forse do' troppa importanza, ma che credo importante non lasciarsi sfuggire a proposito del blackout del 28 settembre 2003. 1) il presidente del gestore nazionale della rete di trasmissione (A. Bollino, nominato due mesi fa a seguito di un distacco programmato senza preavviso che interesso' per non piu' di due ore parte del territorio nazionale) sotto ferragosto, in occasione del blackout nella regione del nord-est degli Stati Uniti affermava, grosso modo letteralmente, che un episodio di quelle dimensioni non sarebbe mai potuto accadere in Italia grazie ai sistemi di controllo automatico della rete elettrica che avrebbero limitato l'impatto di un eventuale distacco accidentale. 2) alle ore 9 del 28 settembre 2003 il giornale radio di Radio3 diffondeva un'intervista al ministro Marzano che addossava tutta la responsabilita` del blackout ad un incidente avvenuto in territorio francese che avrebbe portato al distacco "improvviso" e "contemporaneo" di due collegamenti tra la rete francese e la rete italiana. Si tratta, secondo le informazioni della radio, di collegamenti "in ridondanza" ossia tali che uno dei due entra in funzione in caso di guasto dell'altro. I guasti sarebbero stati cosi' improvvisi e contemporanei da non permettere a nessuno dei sistemi di salvaguardia automatici (di cui al punto 1) di entrare in funzione. Una sola cosa il ministro si premura di dire con chiarezza, non quanto ci vorra` a ripristinare l'erogazione di corrente elettrica ma che la scelta di abbandono del nucleare fatta con il referendum e` stata catastrofica e che bisogna immediatamente costruire nuove centrali. Un espero dell'Enea, intervistato sempre dallo stesso giornale radio esprime meraviglia per le conseguenze del distacco. 3) sempre verso la stessa ora (o poco dopo) il gestore della rete francese comunica che c'e' stato si', alle 3,35 del mattino, un distacco tra rete francese ed italiana ma che e' durato pochi minuti. Si diffonde la voce di eventuali responsabilita` della Svizzera. 4) qualche ora dopo (intorno alle 10,30) Radio Capital manda in onda un'intervista al responsabile della rete di distribuzione del Canton Ticino (Paolo Rossi) che, dicendo di non avere una visione completa di quanto accaduto in quanto non al controllo dei grandi collegamenti internazionali, afferma che, dal suo osservatorio, ha avuto l'impressione che i distacchi della rete italiana da quella europea siano iniziati intorno alle 3 con un distacco di una condotta proveniente dall'Austria e siano solo culminati alle 3,35 quando sono stati distaccati i collegamenti con la Francia. 5) tra tanti esperti qualcuno (ma qui non ricordo davvero chi) osserva che il blackout ha avuto inizio alle 3,35 della notte tra il sabato e la domenica, con un clima ne' particolarmente caldo (condizionatori) ne' particolarmente freddo (riscaldamento) ossia in un momento in cui l'assorbimento di potenza della rete nazionale era probabilmente molto prossimo al minimo, a differenza di quanto accaduto a luglio, quando il blackout si era verificato a fronte di un record di assorbimento nelle ore centrali di un giorno lavorativo. Ventila l'ipotesi che quanto accaduto potesse essere conseguenza del fatto che in quel momento le centrali italiane fossero, in buona parte (diciamo quasi del tutto?), spente. 6) dalle cronache della giornata, mentre sempre nuove voci, dall'amministratiore delegato dell'Enel al presidente di Confindustria a vari uomini politici, si scagliano contro la iattura dell'abbandono del nucleare e il Presidente della Repubblica se la prende con gli amministratori locali che si oppongono alla costruzione di nuove centrali, veniamo a sapere che in alcune zone del Piemonte e del nord la tensione era gia` presente alle 7 del mattino. Mentre al sud, ancora alle 19, in varie zone mancava l'elettricita`. Per la cronaca a Galatina (mio luogo di origine) l'elettricita' e' tornata alle 17,30. Ma come?! La Puglia e` collegata alla Grecia da un elettrodotto a vari KVolt che sfiora Galatina, a meno di cento km c'e` la megacentrale termoelettrica di Cerano (fonte significativa di inquinamento della costa adriatica costruita nonostante un forte movimento popolare di contrasto) e ci vogliono 14 ore per ripristinare la distribuzione elettrica? Una telefonata a casa mi chiarisce la cosa: secondo quanto dichiarato da un responsabile locale, la centrale non poteva essere accesa perche' necessitava essa stessa di corrente elettrica per mettere in funzione i dispositivi di comando e controllo. Un'intervista ad un responsabile nazionale Enel chiarisce definitivamente perche' al centro-sud la distribuzione dell'elettricita' sia ripresa con tanto ritardo: al nord, le centrali idroelettriche hanno potuto essere avviate molto velocemente ed hanno fornito l'energia necessaria al funzionamento di quelle termoelettriche, al sud non ci sono centrali idroelettriche. 7) in tutto questo, non una parola a proposito dei "tetti fotovoltaici" o dei piccoli generatori "casalinghi" disponibili in alcuni prototipi (e forse modelli gia' in commercio da qualche parte) di caldaie a metano per il riscaldamento. 8) tutto quanto sopra si e` verificato nell'arco di (circa) 17 ore dalle 3,30 del mattino di una domenica alle 20 della sera della stessa domenica: il periodo in cui i grandi consumatori di industria e servizi (a differenza dei privati) fanno minore utilizzo dell'energia trasportata dalla rete nazionale. Le fonderie ed altri impianti a ciclo continuo dispongono spesso di propri generatori che la domenica producono energia in esubero rispetto a quella necessaria al funzionamento degli impianti: ad esempio Siracusa, "grazie" alla centrale di autoproduzione della raffineria Erg ha avuto, unica citta` - per quanto e` dato sapere - in Sicilia, l'elettricita' per buona parte della mattinata. Attenti: a pensar male si fa peccato... 5. APPELLI. LUISA MORGANTINI: UNA PETIZIONE PER LA LIBERAZIONE DEI RAGAZZI PALESTINESI DETENUTI [Da Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) riceviamo e diffondiamo questo appello a firmare una petizione per il rilascio dei ragazzi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Luisa Morgantini e' presidente della delegazione del Parlamento europeo presso il Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; un suo profilo, ripreso dal sito www.luisamorgantini.net, e' nel n. 686 di questo foglio] Vi prego di firmare e far firmare la petizione per la liberazione dei ragazzi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Troverete le loro storie nel sito www.dci-pal.org/prisonweb/adoptpris.html; la petizione si firma alla pagina web www.PetitionOnline.com/dcips/petition.html In preparation for the international day of action, scheduled to coincide with the 20 November anniversary of the signing of the UN Convention on the Rights of the Child, DCI/PS has prepared a petition calling for the release of all Palestinian child political prisoners. In the coming 2 months, the Campaign seeks to accumulate 200,000 signatures to the Petition, one signature for each of the estimated 200,000 Palestinian children arrested since the beginning of the Israeli occupation in 1967. Please circulate the Petition as widely as possible. The Petition is available for signing at: http://www.PetitionOnline.com/dcips/petition.html 6. APPELLI. SARI NUSSEIBEH: IL MURO HA BISOGNO DI TAGLIARE IN DUE ANCHE IL NOSTRO CAMPUS? [Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) per averci trasmesso questo appello di Sari Nusseibeh. Sullo stesso argomento si veda anche l'intervento di Luisa riportato nel n. 686 del nostro notiziario. Sari Nusseibeh, presidente dell'Universita' di Al Quds e' "una voce ragionevole e moderata all'interno del conflitto in corso", che ha sempre lavorato per una giusta pace tra il popolo israeliano e quello palestinese. Come e' noto, contro la costruzione del "muro dell'apartheid" e' in corso una campagna di opinione internazionale] L'universita' di Al Quds, il cui campus principale di Abu Dis sta a cavallo della immaginaria linea divisoria municipale che divide Gerusalemme dalla Cisgiordania, e' prossima a essere inclusa nell'inarrestabile campagna del governo israeliano per la costruzione di un muro di separazione. Alcuni dei pesanti macchinari in possesso dell'esercito di israele ora si trovano nelle principali aree sottratte all'universita', al centro del campo di calcio. Questa confisca ha distrutto quasi un terzo dei terreni del campus, con una foresta di pini considerata una rilevante riserva, oltre che aree in cui l'universita' aveva speranze di poter sviluppare strutture sportive e botaniche. L'universita', che ospita quasi seimila studenti, e' stata negli ultimi anni un avamposto nella campagna per incoraggiare la cooperazione universitaria israelo-palestinese. Il campus universitario, per la stragrande maggioranza del tempo negli ultimi tre anni di scontri violenti e sanguinosi e' rimasto in un clima tranquillo, con gli studenti preoccupati solo di avere il permesso per raggiungere il campo e portare a termine le loro ricerche e i loro studi. La devastazione delle aree del campo e e l'erezione di un alto muro di cemento al suo centro, che blocca l'accesso naturale attraverso la valle, non puo' che essere intesa come una dichiarazione di inimicizia e aggressione, oltre che, naturalmente, un fallimento sul piano umano e politico. Questa dichiarazione negativa, scritta in blocchi di cemento di fronte agli studenti, si pone in netta opposizione ai valori positivi di formazione che cerchiamo di promuovere all'universita', come la necessita' di rompere le barriere di inimicizia e costruire ponti di comprensione per rafforzare la prospettiva di pace. Qui all'universita' abbiamo compreso con tristezza che il muro e' un progetto in atto dalle conseguenze irreversibili, un simbolo del fallimento di politicanti e tecnici autoreferenziali. Ciononostante crediamo sia possibile, e necessario, specialmente in questo campus, ridurre i suoi effetti psicologici negativi sulla nostra popolazione studentesca. Il muro potrebbe essere facilmente costruito piu' giu' lungo la valle, o potrebbe essere lo stesso muro a ovest del campus, che e' stato ostacolato dalla municipalita' molto prima della sua costruzione. Il presunto imperativo di sicurezza non sarebbe intaccato da tali aggustamenti. Ma i danni politici e psicologici sarebbero ampiamente ridotti. Aiutateci a instillare un po' di sensibilita' umana e politica nei piani del Dipartimento della difesa. Parlate in nostro favore appellandovi al Ministero attraverso i recapiti che vi forniamo qui di seguito. La vostra voce puo' rendere tutto diverso. Ma anche il vostro silenzio. Per esprimere al ministero della difesa di Israele la propria adesione a questo appello inviare messaggi a: Minister of Defense, telephone: 972(0)3-697-6663, fax: 972(0)3-697-6218, e-mail: sar at mod.gov.il 7. RIFLESSIONE. DAVID BIDUSSA: I "NUOVI MARTIRI" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 settembre 2003. David Bidussa, studioso e saggista di grande finezza e rigore, e' direttore della biblioteca della Fondazione Feltrinelli di Milano. Opere di David Bidussa: Ebrei moderni, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Oltre il ghetto, Morcelliana, Brescia 1992; Il sionismo politico, Unicopli, Milano 1993; Il mito del bravo italiano, Il Saggiatore, Milano 1994; La France de Vichy, Feltrinelli, Milano 1996; Identita' e storia degli ebrei, Franco Angeli, Milano 2000] La figura dell'uomo-bomba ha definito uno scenario della vicenda israelo-palestinese. Tuttavia, la questione dell'uso del proprio corpo come arma non nasce in quel conflitto ne' e' il risultato di un atto di disperazione. O - almeno - non e' solo l'effetto di un meccanismo di disperazione. Nella decisione di usare il proprio corpo come arma - e all'interno del contesto israelo-palestinese - dovremmo leggere piu' aspetti di un conflitto che per brevita' possiamo anche ridurre a quello tra "oriente" e "occidente", coppia oppositiva che non dice granche'. E che, anzi, copre - con una distinzione molto sbrigativa e "veloce" - la fisionomia di una realta' molto piu' complicata. Vale tuttavia la pena di prenderla in considerazione. * La svolta che porta a considerare la totalita' del mondo arabo come "antioccidente", ha uno dei sui passaggi cruciali nella congiuntura algerina. Quando il Fronte islamico di salvezza nazionale (Fis) vinse le elezioni si consumo' una rottura culturale e politica di enorme portata. La vittoria invalidata per la proclamazione dello stato di emergenza da parte degli esponenti del Partito della Rivoluzione al potere dal 1962. Agli occhi del Fis fu quella la riprova che l'Occidente e le sue regole - anche quelle elettorali - fossero intrisi di falsita'. Nel mondo islamico l'ultima possibilita' di congiungersi con l'Occidente si consumo' li' o - almeno - li' si formo' una immagine dell'Occidente come "figura doppia" (Ayman Zawahri, Knights Under the Prophet's Banner, www.fas.oreg/irp/world/para/ayman_bk.html), un Occidente traditore ma anche infido e bugiardo. Lo scontro di civilta' nasce su quest'ultima disillusione. * Quanto alla scelta del "martirio", essa non e' generata dalla disperazione, dalla miseria o dalla poverta', ne' e' la riscossa dell'Oriente contro l'Occidente o la rivincita della tradizione contro la modernita' da parte di un mondo che vuole mantenere inalterata la propria fisionomia e teme costantemente per la propria dissoluzione. A titolo diverso Malise Rythven (Il seme del terrore. L'attentato islamista all'America, Einaudi) e Farhad Khosrokhavar (I nuovi martiri di Allah, Bruno Mondadori) forniscono qualche traccia per tentare di sciogliere questo nodo e individuare alcune risposte non scontate. Entrambi i libri - piu' attento alle dinamiche della sociologia politica il primo, piu' rivolto alla lettura delle dinamiche sociali interne il secondo - permettono di approssimarci a una prima conclusione: esistono due tipi di "martiri". Da una parte, quei giovani diseredati ed esclusi dai benefici della modernita' che versano in una condizione di alienazione. Dall'altra, una minoranza di immigrati che vivono nel cuore stesso dell'Occidente. Questi ultimi appartengono alle nuove classi medie sospese tra Oriente e Occidente. Tra di loro figurano, per esempio, i piloti suicidi del World Trade Center. "Convertiti occidentali" come li ha definiti Magdi Allam sul "Corriere della sera" del 10 settembre scorso. Ma anche "neomartiri", fondatori di una comunita' di musulmani che si oppone a una comunita' di miscredenti. Tuttavia la sfida culturale, emotiva e anche relazionale che sottosta' all'evento dell'uomo-bomba contemporaneo va colta anche per quanto concerne gli effetti che determina sulle forme della morte, sul darsi morte come liberta', sull'uso del corpo come strumento politico. Tutte questi aspetti sono connessi indubbiamente con la crisi della politica come forma della comunicazione verbale e del confronto che conduce alla persuasione mentre riaccreditano la politica come sfera della convinzione. Ovvero come atto in cui la forza di impatto del gesto annichilisce la politica come terreno comunicativo. Va detto, tuttavia, che e' proprio sul terreno comunicativo che quel gesto si consuma, accettandone e rilanciandone la sfida: l'uomo-bomba e' atto di autoriferimento che asserisce cio' che deve dimostrare. * Da questo punto di vista, la morte dell'uomo-bomba sta segnando un segmento rilevante dell'immaginario collettivo, quello relativo alla morte come atto politico o, piu' generalmente, come atto estetico. La morte in questo caso, non riguarda l'atto del morire, ma la sua comunicazione, i preliminari che l'accompagnano, il testamento politico che la connota. Ci sono molti livelli comunicativi che sottostanno alla morte comunicata e poi attuata ma noi - vivi e lontani spettatori - solo a evento avvenuto potremo vedere a ritroso tutti i preliminari di un rituale che ha il suo momento culminante nell'esplosione dell'uomo e che consegna la "morte attuata" alla sola comunicazione filmica. Dopo l'annuncio della propria decisione, la vita biologica dell'uomo-bomba - che di fronte a una telecamera racconta la sua scelta - e' solo l'allegato di un marchingegno a tempo. All'interno di questo quadro, puo' essere interessante isolare alcuni aspetti. Innanzitutto la dimensione della morte volontaria come atto di liberta' e dunque come affermazione dell'Io. Il suicidio - secondo la nota distinzione proposta da Durkheim - puo' essere egoista, altruista o anomico. La raffigurazione con cui si presenta a noi l'atto dell'uomo-bomba sembra poter essere classificata come "altruistica" (ci si immola per qualcosa, al servizio di un ideale, nella convinzione che quell'atto "servira'"). Ma e' poi solo cosi'? In secondo luogo, la scelta dell'atto della morte come messa in scacco dei principi dell'avversario. Quegli stessi principi su cui l'avversario si presenta come vincente. Sotto questo punto di vista, la scelta del "combattente della morte" presenta aspetti su cui vale la pena di riflettere e, comunque, segna un tempo politico che va ben oltre il conflitto israelo-palestinese. * Come nasce la dinamica del "martirio"? Soprattutto quando nasce? Secondo Joyce M. David (Martyrs. Innocence, vengeance and despair in the Middlle East, Palgrave Macmillan, New York 2002) l'atto del martirio ha vari precedenti. Se ne possono individuare alcuni tra gli anni '80 e gli anni '90: il camion bomba che si schianta contro l'ambasciata americana a Beirut il 18 aprile 1983 (63 morti) oppure l'attentato - sempre a Beirut, il 23 ottobre dello stesso anno - all'aeroporto internazionale. Se poi si considerano ancora gli Stati Uniti come obiettivo simbolico, si possono sempre citare gli attentati del 3 ottobre 1999 alle ambasciate Usa di Dar es Salaam (Tanzania) e di Nairobi (Kenya): rispettivamente 11 morti e 213 morti. Il caso che tuttavia pone e propone il paradigma dell'uomo-bomba e' quello di Loula Abboud, palestinese, donna, cristiana, di 19 anni. E' il 20 aprile 1985. Loula si fa catturare durante un'azione di guerriglia dai soldati israeliani nella fascia del Bano meridionale, aspetta che questi siano tanto vicini da renderle impossibile la salvezza e poi si fa saltare in aria. La tecnica dell'uomo-bomba apre a un rapporto costi-benefici non basato sull'individualita' ma sulla comunita'. Nella scelta di Loula si collocano queste coordinate che entreranno successivamente come un'icona del "martire": evacuazione dal proprio territorio (nel suo caso: dal sud del Libano); ricollocamento con il gruppo familiare in altro luogo (a Beirut); recupero delle tradizioni locali e dunque "conversione" verso una riappropriazione ideologizzata e spesso astorica della propria identita' originaria; ritorno sul territorio di origine per combattere. Insomma, non bisogna essere islamici o fedeli in Allah per scegliere il martirio, non e' il dato teologico in se' a definire questa scelta o a fondarla. Inoltre, nel caso di Loula, il suicidio non e' atto di protesta (come per i bonzi in Vietnam o come fu per Jan Palach all'indomani dell'invasione sovietica di Praga) ne' e' "non difesa" del proprio corpo (come predicava la pratica gandhiana della nonviolenza). Piuttosto e' un atto di accusa che ha come oggetto il rapporto tra la difesa del diritto alla vita e l'affermazione dei diritti politici e civili. In qualche modo il gesto dimostra l'impotenza dell'impianto del diritto occidentale e del suo presentarsi come garanzia. In questa sfera, si colloca anche il "sacrificio" del sindacalista coreano a Cancun. * Diverso e' l'uso del proprio corpo come arma di guerra etnica. In questo ambito rientra l'idea di una identita' nazionale che non e' piu' basata sul recupero della lingua e della cultura bensi' sulla comunita' di appartenenza in chiave neo-etnica. L'identita' dunque non come luogo astorico a cui tornare per ritrovare se stessi, ma come insieme di pratiche, di forme, di oggetti, di simboli che un gruppo umano mantiene, crea, modifica, acquisisce e scambia per testimoniare di se'. L'identita' come luogo della trasformazione e non della conservazione. Nel caso del mondo arabo questa differenza e' cio' che distanzia la filosofia politica di Gamal Abdel Nasser quando ipotizza l'unita' del mondo arabo, dalla costruzione della umma in quanto comunita' mondiale musulmana come sostiene, per esempio, Sayid Qutb. Ed e' questo lo scontro che intravede Akbar S. Ahmed, ex ambasciatore pakistano nel Regno Unito (Abkar S. Ahmed, Islam's crossroads: Islamic Leadership, in www.islamfortoday.com/akbar02.htm): uno scontro tra istanza borghese cosmopolitica e occidentalizzata e fasce del radicalismo religioso; uno scontro non solo sociale ma soprattutto culturale in quanto chiama in causa il modello teologico di riferimento. L'ala radicale, infatti, si connota attraverso due pratiche comportamentali: da un lato, una pratica associativa fortemente omofila e maschile, connotata da una dose rilevante di misoginia e calata in una "dimensione combattente" propria delle comunita' maschili; dall'altro, una pratica-percorso di tipo etnocentrico e intollerante anche rispetto alle dissidenze interne. In questo secondo caso, la costruzione della comunita' combattente acquista anche un significato di lotta interna per l'egemonia. E, da questo punto di vista, la scelta del "martirio" e' anche scelta di affermazione e di prestigio: l'attacco frontale e la morte del nemico come strumento di controllo interno. Questa immagine va peraltro connessa a quella del "martire" come guerriero privo di emozione, controllato, votato alla causa, autoelettosi a elite etico-politica. Il "martire" come uomo-macchina richiamerebbe, in breve, l'idea non di un disperato, ma di un neocavaliere il cui gesto catalizza l'egemonia sulla comunita' di appartenenza e cosi' la fonda. Quanto piu' controllo si da' nell'atto di martirio, tanto piu' si azzera la possibilita' dello scontro politico interno. La storia di Mohamad Atta e' da questo punto di vista esemplare. Mohammad Atta, 33 anni, leader del gruppo dei piloti suicidi che mettono in esecuzione il piano dell'11 settembre stende un primo documento volto alla propria autoeducazione al martirio almeno cinque anni prima dell'11 settembre 2001. Una dichiarazione che egli consegna in un manuale per l'azione terroristica che ha i canoni della fisionomia del guerriero (http://abclocal.go.com/ktrk/news/100401_news_will.html). Nello stesso testo sono descritte tutte le pratiche con cui si sarebbe dovuta accompagnare l'inumazione del suo corpo. * Cio' detto, tuttavia, rimangono ancora alcune questioni generali. Dentro la morte eroica, si definisce una dimensione nominale e di dominazione del territorio. La prima guerra mondiale definisce questo tipo di morire e le Resistenze lo incrementano. La figura dell'eroe al di la' del meccanismo della solitudine o della eccezionalita', definisce il luogo patrio perche' la morte dell'eroe lo "nazionalizza" (laddove io muoio, la' e' la patria). Proviamo allora a considerare per contrasto la retorica del partigiano e della scrittura del condannato a morte resistenziale. Nei testi del condannato a morte delle Resistenze c'e' il rimpianto per la propria morte ventura, il saluto agli amici, il bilancio della propria vita. Anche nella scelta resistenziale c'era la messa in conto della morte, come ha sottolineato di recente Claudio Pavone ma essa era una possibilita' iscritta nelle dure leggi del confronto impari. I partigiani, a differenza delle forze di Salo', non avevano luoghi dove tornare la sera a dormire, dove rifocillarsi. I partigiani dovevano arrangiarsi per dormire e per mangiare e sapevano che - se catturati - sarebbero stati fucilati. Ora nella scelta dell'uomo-bomba non si mette in conto questa quotidianita', ma solo la possibilita' di condurre in porto la propria missione senza ritorno. * In questa scelta c'e' molta disperazione, indubbiamente; forse c'e' anche un vissuto che si fonda sull'abolizione di una qualsiasi idea di futuro (anche se l'idea del martirio redentivo testimonia di una visione fondata, anche se solo mitogenicamente, sul futuro in forza di una negazione del presente). Ma quest'immagine e questo costrutto politico e identificativo non dice ancora molte cose. Per di piu' rischia di comunicare solo la dimensione eroizzata del gesto autodistruttivo. E' proprio vero che uccidersi trascinando con se' molti nemici e' un gesto eroico? Ci sono regole che lo definiscono in quanto tale oppure no? Si possono considerare i gesti dell'uso politico del corpo, anzi meglio la trasformazione del corpo in arma politica come la dimensione piu' occidentalizzata e desacralizzata della convinzione teologica e della pratica di fede. C'e' un uso del corpo come segno della passione e della fede (e' il caso del digiuno), oppure l'afflizione del proprio corpo come comunicazione della rinuncia, della sfida al benessere o agli standard. Ma la distruzione del corpo proprio come strumento non di afflizione o di redenzione, ma come arma letale, include l'abbandono di questo terreno. Trasformare il proprio corpo in una bomba implica considerare irreformabili le proprie vittime e ridurle a un puro atto simbolico. Non il corpo degli altri e' il luogo della politica, ma il proprio corpo produce politica. Molte cose stanno in quel gesto. Sicuramente, al fondo, un'istanza nichilista. Ma e' tutto da dimostrare che si dia legame diretto e consequenziale tra nichilismo e disperazione sociale. Al centro della dimensione nichilista legata al martirio presiede l'istanza di onnipotenza, di dominio del corpo degli altri, e di totale amministrazione del proprio. In breve al di la' della retorica, il "martirio" non e' un gesto fondato sul tremore di Dio. Ma sulla convinzione di essere Dio. L'uomo-bomba e' la dichiarazione di qualcuno che si candida a superuomo. Di qualcuno che interpreta quel gesto come obliterazione di ingresso nella sfera del potere e delle figure che lo rappresentano. Non ci parla di un mondo di riscatto, ma solo di una redenzione fondata su una gerarchia di cui noi spettatori siamo dei miseri Venerdi' chiamati ad ammirare i nuovi guerrieri. Qualcosa che appartiene alla famiglia della terza notte di Valpurga piu' che narrarci l'incerta e disperata lotta di emancipazione dei dannati della terra. 8. INCONTRI. A VERONA LA CASA PER LA NONVIOLENZA COMPIE QUINDICI ANNI [Dagli amici del Movimento Nonviolento (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) riceviamo e diffondiamo] Sabato 4 ottobre, San Francesco, il Movimento Nonviolento organizza a Verona una festa per i 15 anni di apertura della Casa per la nonviolenza. Davanti alla sede di via Spagna 8 (vicino alla Basilica di San Zeno), dalle ore 16 in poi, ci saranno tavoli e panche con cibo, vino, torte, musica, giochi per bambini e interventi di amici della nonviolenza. La festa e' organizzata con l'aiuto degli abitanti del quartiere Orti di Spagna. La Casa per la nonviolenza (sede nazionale del Movimento Nonviolento e della redazione di "Azione nonviolenta") e' stata inaugurata nell'ottobre del 1988. Da allora la Casa e' cresciuta grazie al contributo di tanti sostenitori e al lavoro di volontari e obiettori di coscienza. La biblioteca, l'emeroteca, l'archivio ed il centro di documentazione si sono arricchiti di molto materiale, catalogato e consultabile. * Il programma della giornata prevede: - ore 16: apertura della festa con Mao Valpiana, (direttore di "Azione nonviolenta"), giochi per tutti, commercio equo, libri, pesca, fiori, ecc.; - ore 17: rinfresco con torte dolci e salate, tartine, vino, bevande; - ore 18: aperitivo in musica, concerto diretto dal maestro di violino Cweslaw Garyga; - ore 19: riflessioni e pensieri sulla nonviolenza in Francesco d'Assisi, con Paola Forasacco (Associazione studi di antroposofia); e in Aldo Capitini, con Daniele Lugli, (segretario del Movimento Nonviolento); - ore 20: cena libera (eventuale prenotazione); - ore 21: suoniamo, cantiamo e balliamo con Paolo Predieri; - ore 22: buonanotte! * Motivi per fare festa ce ne sono tanti; tutti gli amici sono invitati (in caso di pioggia la festa si fara' all'interno della Casa). Per ulteriori informazioni: Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org 9. RILETTURE. NICOLE CHEVILLARD, SEBASTIEN LECONTE (A CURA DI): LAVORO DELLE DONNE. POTERE DEGLI UOMINI Nicole Chevillard, Sebastien Leconte (a cura di), Lavoro delle donne. Potere degli uomini. Alle origini dell'oppressione femminile, Erre Emme, Pomezia (Roma) 1996, pp. 256, lire 17.000. Una riflessione collettiva sulle origini dell'oppressione delle donne con saggi di Nicole Chevillard, Sebastien Leconte, Stephanie Coontz, Peta Henderson, Monique Saliou, Lila Leibowitz. 10. RILETTURE. MARIELLA LORIGA: L'IDENTITA' E LA DIFFERENZA Mariella Loriga, L'identita' e la differenza. Conversazioni a Radiotre su donne e psicoanalisi, Bompiani, Milano 1980, pp. 162. Trascrizione di un ciclo di conversazioni e interviste radiofoniche del 1979 sul tema "Donne e psicoanalisi"; con l'autrice partecipano Licia Conte, Chiara Dal Canto, Fulvia Selingheri Pes, Bianca Napolitani, Teresa Corsi Piacentini, Mara Selvini Palazzoli, Pier Maria Furlan, Annamaria Fabbrichesi, Lella Ravasi Bellocchio, Sisa Arrighi, Chiara Saraceno, Marina Spreafico, Cecilia Morosini, ed altre donne ancora. 11. RILETTURE. MASSIMO TEODORI: STORIA DELLE NUOVE SINISTRE IN EUROPA (1956-1976) Massimo Teodori, Storia delle nuove sinistre in Europa (1956-1976), Il Mulino, Bologna 1976, pp. 696. Un libro che meriterebbe una ristampa. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 689 del 30 settembre 2003
- Prev by Date: Un'altra Murgia è possibile - marcia pugliese Gravina/Almanura - conferenza stampa
- Next by Date: Fwd: 27 piloti israeliani rifiutano di bombardare aree civili nel territorio palestinese
- Previous by thread: Un'altra Murgia è possibile - marcia pugliese Gravina/Almanura - conferenza stampa
- Next by thread: Fwd: 27 piloti israeliani rifiutano di bombardare aree civili nel territorio palestinese
- Indice: