La nonviolenza e' in cammino. 684



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 684 del 25 settembre 2003

Sommario di questo numero:
0. Comunicazione di servizio
1. Un appello contro la legge Gasparri
2. Piercarlo Racca: la camminata da Assisi a Gubbio
3. Lidia Menapace: ancora per l'Europa neutrale e attiva, disarmata,
smilitarizzata e nonviolenta
4. Peppe Sini: io dico seguitando (sulla proposta di Lidia Menapace)
5. Anna Casalino: la cisterna
6. Adriana Zarri: una buona notizia
7. Mario Lancisi intervista Alessandro Zanotelli
8. Letture: Alma Daddario, Se scrivere potesse dire...
9. Letture: Michael Moore, Stupid White Men
10. Letture: Arundhati Roy, Guida all'impero per la gente comune
11. Riedizioni: Thich Nhat Hanh, Insegnamenti sull'amore
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

0. COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Negli ultimi giorni abbiamo avuto alcuni problemi di connessione ad
internet, ed e' probabile che alcuni messaggi inviati alla nostra redazione
siano andati perduti. Saremmo grati a chi ce ne ha inviati se volesse
inviarceli di nuovo. Grazie.

1. APPELLI. UN APPELLO CONTRO LA LEGGE GASPARRI
[Dall'agenzia Metamorfosi (per contatti: agenzia at studio-metamorfosi.com)
riceviamo e diffondiamo il seguente appello]
La cosiddetta "legge Gasparri" sul sistema radiotelevisivo, approvata dal
Senato, viola lo spirito e la lettera della Costituzione italiana, esprime
il livello di pericolo che stiamo tutti correndo a proposito della liberta'
di informazione.
Non solo e' in gioco il pluralismo dell'informazione (cosa gia' evidente in
atto), ma si precostituisce la sua fine attraverso ulteriori concentrazioni
editoriali e pubbliciatarie.
L'estensione del tetto antitrust dal 30% del solo mercato televisivo al 20%
dell'intero mercato pubblicitario significa dare un colpo mortale
all'informazione indipendente.
Si prevede una Rai privatizzata - cosa che riteniamo assolutamente errata in
linea di principio, poiche' l'intera vicenda mondiale delle privatizzazioni
dei mezzi di comunicazione di massa ha ampiamente dimostrato di condurre
dovunque non a un maggiore pluralismo ma a una formidabile serie di
concentrazioni in poche mani di enormi poteri mediatici- posta sotto il
controllo diretto del potere esecutivo.
Sarebbe la formalizzazione sostanziale di un regime di monopolio informativo
in mano al governo e a privati che sono alleati del governo.
Anche su questi aspetti chiediamo ai parlamentari dell'opposizione di non
ammettere cedimenti tra le loro file.
Essa non tiene assolutamente conto delle indicazioni in materia che il
Presidente della Repubblica affido' alle Camere con il messaggio del 23
luglio scorso, e con le quali anzi si pone in esplicito e clamoroso
contrasto.
Il disegno di legge "Gasparri" ci appare un attacco diretto al pluralismo
informativo-comunicativo e, come tale, costituisce una violazione dei
diritti di tutti, sia di quelli che hanno votato contro, sia di quelli che
hanno votato per Berlusconi (ne siano essi, o meno, consapevoli). E' un
terreno dal quale non si puo' retrocedere. Senza democrazia nella e della
comunicazione non puo' esistere democrazia reale in un paese moderno...
Chiediamo a tutte le forze democratiche, ai lavoratori, agli intellettuali,
ai giornalisti, agli operatori di cultura di mobilitare tutte le forze per
la liberta' d'informazione.
Anche per questa ragione noi confidiamo nel fatto che il Presidente della
Repubblica sapra' valutare il contenuto della legge, quando essa giungera'
sul suo tavolo per la promulgazione, valutarne a fondo la conformita' ai
principi di liberta' e di pluralismo espressi dalla Carta Costituzionale.
Primi firmatari: Alex Zanotelli, Luigi Ciotti, Gino Strada, Giulietto
Chiesa, Antonio Vermigli.
Per adesioni e informazioni: Antonio Vermigli, Rete Radie' Resch di Quarrata
(Pt), tel. 3395910178, e-mail: a.vermigli at rrrquarrata.it

2. EDITORIALE. PIERCARLO RACCA: LA CAMMINATA DA ASSISI A GUBBIO
[Ringraziamo Piercarlo Racca (per contatti: piercarloracca at libero.it) per
aver scritto per il nostro foglio questa testimonianza sulla camminata
Assisi-Gubbio del 3-7 settembre 2003. Piercarlo Racca e' uno dei militanti
"storici" dei movimenti nonviolenti in Italia ed ha preso parte a pressoche'
tutte le esperienze piu' vive e piu' nitide di impegno di pace]
La camminata da Assisi a Gubbio, promossa dal Movimento Nonviolento, che ci
ha visti coinvolti dal 4 al 7 settembre, aveva un preciso significato:
andare oltre Assisi nel senso di offrire anche proposte positive al semplice
"no alla guerra" delle marce per la pace.
Quindi una camminata che permettesse di socializzare, scambiare opinioni,
fare conoscenza ecc.
Ed un convegno in cui formulare proposte nella direzione di un  corpo civile
europeo di pace.
La camminata vera e propria (4 e 5 settembre), che ha coinvolto un centinaio
di persone, e' stata un'esperienza altamente positiva. Erano anni che il
Movimento Nonviolento non  riproponeva una marcia di piu' giorni (l'ultima
era stata la Catania-Comiso nel 1982) dove lo stare assieme significa anche
superare le precarieta' di dove dormire, dove fare la doccia, ecc.
Un dato positivo e' stata sicuramente la varieta' di eta' dei partecipanti,
da gente matura negli anni a bambini in eta' di scuola elementare, famiglie
intere con la gioia di portarsi appresso il proprio cane.
Per me e per molti altri che hanno vissuto l'esperienza delle marce
antimilitariste (1967-1976) questa iniziativa e' stata anche una iniezione
di ottimismo e gioia, scegliere di partecipare significa anche essere
liberi, la consapevolezza di sapere di non essere omologati da questa
societa'.
Nella parte propositiva, vale a dire il convegno finale (6-7 settembre a
Gubbio), non solo abbiamo potuto confrontarci fra il nostro idealismo, cui
mai dobbiamo rinunciare, e la cosiddetta "realpolitik", ma soprattutto siamo
usciti rafforzati nella convinzione che occorre avere il coraggio di
perseverare nelle nostre scelte di nonviolenza.
Tutti quanti nel partecipare e fare nostra questa iniziativa del Movimento
Nonviolento ne siamo usciti arricchiti, questa ricchezza non va dispersa ma
investita rafforzando questa nostra piccola associazione che si chiama
Movimento Nonviolento.
Nelle impressioni, commenti e parole scambiate ritengo senza ombra di dubbio
che i partecipanti siano stati piu' stimolati ad essere presenti a questa
iniziativa dal richiamo della "camminata"  e molto meno dal richiamo del
"convegno", pero' emerge anche che la camminata senza il convegno sarebbe
stata un'iniziativa incompleta, o se vogliamo molto meno politica.
Infine la festa dei 40 anni di "Azione nonviolenta" al teatro comunale e'
stata un successo di creativita' con un buon coinvolgimento del pubblico
presente.
Tutto questo e' anche il nostro modo di fare politica, politica  accessibile
a tutti e non sempre e solo delegata agli specialisti.
Visto il consenso e il successo ottenuto mi auguro che questa iniziativa o
una analoga venga riproposta.

3. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: ANCORA PER L'EUROPA NEUTRALE E ATTIVA,
DISARMATA, SMILITARIZZATA E NONVIOLENTA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Cominciamo ad elencare le proposte sulle quali siamo d'accordo: cio' e' bene
dal punto di vista del metodo, sgombra la mente da parole contrapposte,
mette via una serie di faccende gia' viste oppure ne riparla per andare
avanti, non solo per dirle.
Dunque siamo d'accordo sulla Difesa popolare nonviolenta: anche la
Convenzione di Donne contro la guerra propone un diffuso addestramento di
difesa popolare nonviolenta a livello europeo, anche come strumento utile
per la riconversione di spese militari in spese civili ecc. Lo stesso scopo
ha la proposta di un progetto di protezione civile europea che pure serve
date le vicende climatiche e pure sottrae molti mezzi alle spese militari
(noi proponiamo che la riconversione delle spese militari sia appunto
destinata a finanziare difesa popolare nonviolenta, protezione civile e
servizio civile in modo da non lasciare senza risposta i lavoratori e le
lavoratrici delle fabbriche di armi ecc.). Fino a qui va bene? basta solo
che chi cita difesa popolare nonviolenta, protezione civile, servizio
civile, non dimentichi di citare tra i soggetti favorevoli la Convenzione di
donne contro le guerre. Noi naturalmente ci ricordiamo sempre di citare le
proposte del Centro Sereno Regis ecc.
Le proposte sul fisco vorrei conoscerle meglio.
Noi siamo in genere favorevoli (e questa mi pare una differenza tra alcune e
alcuni di noi) a fissare per legge alcune cose, dato che abbiamo
sperimentato che chi e' forte non ha bisogno della legge, ma chi e' debole
si': abbiamo sperimentato ad esempio che l'aborto sarebbe comunque rimasto
un reato (tranne che come aborto "terapeutico" deciso da altri e non dalla
madre) se non avessimo ottenuto una legge; che la violenza sessuale sarebbe
ancora una oscura vergogna delle donne invece di essere un reato.
A Pechino (1995) abbiamo ottenuto l'assenso dei governi del mondo, contro le
mutilazioni genitali, sulla nostra definizione: "l'integrita' fisica e' bene
non disponibile" e non ne puo' disporre nessuno, ne' il padre o il marito o
l'iman o lo stato o la religione.
Le donne senegalesi hanno cominciato, prendendo spunto da qui, delle
pratiche per liberare le loro sorelle dal  tremendo uso delle mutilazioni
genitali, quelle keniote ottenuto che lo stato dichiari reato tali pratiche,
percio' possono inventare riti gioiosi di passaggio dalla fanciullezza alla
puberta'.
Lo stupro etnico o di guerra, pratica comune che alcuni codici militari
consentivano e alcune culture patriarcali ancora scusano sono diventati
crimine contro l'umanita' dopo l'arrivo alle Nazioni Unite di dieci milioni
di firme raccolte da associazioni di donne in tutto il mondo. Ci siamo mosse
perche' donne bosniache stuprate ci hanno fatto sapere che si sarebbero
suicidate perche' dopo lo stupro le loro famiglie padri mariti e fratelli le
ripudiavano come impure e adultere e la chiesa le incitava a mettere al
mondo gli eventuali concepiti da adottare successivamente.
Donne condannate ad essere lapidate per adulterio sono state salvate da
raccolte di firme, ma non si ha notizia di iniziative di uomini democratici
(dopo Gesu' Cristo) che dicono ai loro simili che non si puo' fare cio':
passa tutto sotto il segno spesso ambiguo e in questi casi del tutto
ipocrita che "e' la loro cultura" (sic!).
Possiamo comunque discutere anche della utilita' relativa di un ancoraggio
di legge.
L'argomento mi pare urgente dato che e' in arrivo una proposta di trattato
costituzionale europeo, e ammaestrata da Maastricht e Schengen e Nizza
vorrei che mi si dicesse come si fa a sottrarsi a un testo che dichiara che
il mercato e' il regolatore supremo: dunque l'Italia non sara' piu' una
repubblica democratica fondata sul lavoro, ma sul mercato, poiche' tutte le
politiche debbono rispondere al mercato; dove non vi saranno piu' servizi
pubblici (scuola, sanita', trasporti) perche' tutto potra' essere
privatizzato, pure l'acqua.
So che un gruppo di parlamentari europei di Rifondazione ha presentato un
emendamento  per introdurre nel trattato costituzionale europeo che
"L'Europa  rifiuta la guerra come strumento ecc.", una specie di art.11: e'
una iniziativa da appoggiare? a noi pare di si'.
Inoltre - che io sappia - l'unico stato europeo che gia' ha un ordinamento
positivo di difesa popolare nonviolenta e' l'Austria, non per caso paese
neutrale.
Ma in generale si ritiene che la neutralita' dei paesi gia' neutrali debba
essere difesa nel progetto europeo, o no? perche' se si', la prospettiva
della neutralita' resta aperta, altrimenti esce di scena definitivamente, e
l'Europa si unifica cancellando il movimento operaio sottoposto al mercato,
lo stato sociale sostituito da una "assistenza moderna" e da servizi a
pagamento, senza citare la cittadinanza sessuata, nessun diritto universale
per chi vi immigra, e anche senza la possibilita' di essere neutrali.
Solo quattro stati europei al mondo, che io sappia, scelsero la neutralita'
per evitare di fare guerre. Insomma dell'Europa resta in piedi il passato
imperiale. Non per nulla il confronto e' tra Bush e Chirac: due imperatori;
e non vorrei dover scegliere Chirac solo perche' e' piu' laico  e
palesemente meno fuori di testa di Bush che adesso si considera anche
campione del "Bene". Avendo tempo potrei anche dedicarmi a convertire i
militari o gli uomini in generale ad essere dolci, gentili, e a praticare
una sessualita' nonviolenta, ma - sorry - davvero: prima vengono le mie
sorelle.

4. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: IO DICO SEGUITANDO (SULLA PROPOSTA DI LIDIA
MENAPACE)
Mi sembra che ampie convergenze nei movimenti per la pace e i diritti
potrebbero raggiungersi - e in qualche misura in non piccole aree sono gia'
raggiunte - sia sulla Difesa popolare nonviolenta, sia sui Corpi civili di
pace, sia sulla proposta di codificazione dell'equivalente dell'articolo 11
nella cosiddetta Costituzione europea di cui - come al solito acutamente -
dice Lidia qui sopra, ma anche su altro ancora, e vorrei provare a formulare
un piccolo elenco parziale e provvisorio, forse non disutile.
a) Politiche e pratiche di disarmo e di riconversione dell'industria
bellica; ed in questo ambito occorrono sia scelte istituzionali, sia scelte
politiche, sia scelte legislative, sia scelte economiche ed ecologiche, sia
scelte sociali e culturali; sia anche, infine e decisivamente, campagne che
queste scelte definiscano con chiarezza e promuovano e sostengano, ed
inverino almeno parzialmente - come dire: in figura e in concreto ad un
tempo -, campagne comprensive di un ampio e variegato ventaglio di
iniziative inclusive anche di azioni dirette nonviolente, poiche' se si
aspetta che sua sponte il potere dominante si orienti in questa direzione
non se ne fara' mai nulla essendo la tendenza piuttosto orientata in senso
inverso; esperienze significative ce ne sono gia', si tratta di rivisitarle
criticamente, illimpidirle ove occorra e potenziarle, estenderle;
b) scelte di smilitarizzazione e di passaggio a forme di difesa civile,
protezione civile, ma meglio e decisivamente: di difesa popolare
nonviolenta; ed al riguardo valorizzare anche quanto gia' e' finanche nel
corpus legislativo italiano;
c) sostegno alle pratiche di obiezione alla guerra e ai suoi strumenti e
apparati; fondando queste pratiche anche precisamente sul rispetto di leggi
fondamentali e imperative, come il preambolo della carta delle Nazioni
Unite, come la Dichiarazione dei diritti umani del '48, come l'opposizione
alla pena di morte (che e' posizione condivisa e qualificante nella e della
Unione europea: e la guerra consistendo nell'uccidere, ne consegue che il
rifiuto della pena di morte implica l'impegno al ripudio della guerra e
quindi anche dei suoi strumenti, apparati e logiche), come anche - nello
specifico delle legislazioni nazionali - nel caso dell'Italia l'art. 11
della Costituzione;
d) collegamento e svolgimento delle pratiche di obiezione alla guerra - e a
i suoi strumenti e apparati -, con programmi costruttivi in termini di
servizio civile locale e internazionale, di welfare state e welfare
community, di pratica della cittadinanza attiva e della solidarieta'
inveratrice di diritti in loco ed internazionale;
e) un programma costruttivo di alternative fin d'ora praticabili: in primo
luogo i Corpi cvili di pace, valorizzando quanto gia' a suo tempo assunto
come impegno dal Parlamento europeo su impulso di Alex Langer e gia'
praticato da molte esperienze di volontariato;
f) adottando la terminologia in uso nella specifica giurisprudenza, tra
posibilita' di belligeranza e scelta del suo opposto, la neutralita' (e,
come e' noto, tertium non datur, checche' ne dicano certi ipocriti
ciarlatani complici delle guerre), promuovere un'iniziativa perche' la
scelta della neutralita' (nel senso forte definito da Lidia, cioe'
gramscianamente "attiva e operante" come e' stato ricordato; e che poi
effettualmente in gran parte coincide con il significato tecnico del termine
giuridico nella sua opposizione polare al termine inverso) non solo venga
salvaguardata per gli stati europei che l'hanno gia' fatta, ma diventi
principio costituente dell"assetto giuridico ed istituzionale europeo;
g) ma ancor piu' decisivo a me pare quanto segue: che diventi
giuriscostituente la scelta della nonviolenza nella pienezza e dirompenza
della sua proposizione come ipotesi non solo metodologica ed organizzativa,
assiologica ed ermeneutica, ma anche politica, giuridica, istitutrice
d'istituzioni oltre che di costumi e condotte;
h) naturalmente questo impegno per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e
disarmista, smilitarizzata e antibellica, solidale e nonviolenta, richiede
altresi' un collegamento forte a scelte di giustizia, ecologicamente
sostenibili, socialmente orientate al riconoscimento e alla promozione dei
diritti umani per tutti gli esseri umani; poiche' e' ovvio che il potere e
l'attivita' miltare sono connessi al potere economico, e a quello politico e
a quello ideologico - oggi si ama dire mediatico, ma ideologico e' piu'
preciso e piu' ampio poiche' in estensione include anche gli "apparati
ideologici di stato" e in profondita' apre al tema decisivo e concreto
quant'altri mai dell'alienazione;
i) ed ovviamente occorrera' altresi' un lavoro educativo, dentro e fuori le
istituzioni e le agenzie della socializzazione, dell'educazione, della
cultura, della ricerca: ed anche in questo ambito proprio all'anno zero non
siamo;
l) occorrera' ovviamente anche ragionare sull'approntamento delle risorse
finanziarie necessarie ed efficienti ad avviare questo processo: cose
ragionevoli hanno scritto gia' altri intervenuti e ad esse rinvio (in
particolare a questo passo dell'intervento di Nanni Salio riportato nel
notiziario di ieri: "poiche' senza un finanziamento serio ogni progetto
rimane lettera morta, una proposta concreta puo' essere quella del 5%:
cerchiamo e/o costruiamo una forza politica che inserisca nel suo programma,
per la prossima legislatura, una riduzione annuale del 5% delle spese
militari per impiegare gli stessi fondi nella costruzione di una forza
nonviolenta di pace, sulla scia di quanto gia' e' stato realizzato: Corpi
civili di pace,  Caschi e  Berretti Bianchi, Operazione Colomba, PBI, Donne
in Nero. Infine, lanciamo una poderosa campagna di contribuzione fiscale:
'Se vuoi la pace, paga per la pace', ovvero finanzia, dal basso, la forza
nonviolenta di pace").
Aggiungerei solo che delle due articolazioni dell'approntamento di tali
risorse (i finanziamenti pubblici, i finanziamenti volontari), ebbene, sul
versante dell'impegno finanziario volontario abbiamo gia' esperienze
significative: dalla campagna di obiezione di coscienza alle spese militari
(e - appunto - per la difesa popolare nonviolenta), alle competenze
acquisite con l'avvio dell'esperienza della banca etica; ergo sul lato
dell'impegno della societa' civile vi e' gia' un patrimonio conoscitivo ed
esperienziale che potra' dare buoni frutti.
Invece sul versante dei finanziamento pubblico credo che dovremmo anche, in
primo luogo, andare a una verifica sia di quanto chiesto, ottenuto,
realizzato e rendicontato da ong, onlus ed altri soggetti ancora che da
lungo tempo per ativita' di pace e solidarieta' attingono variamente e
consistentemente a fondi pubblici (per quanto amaro possa essere fare una
ricognizione critica in tale ambito, cio' e' necessario e propedeutico), sia
delle scelte degli organismi internazionali, dei governi e degli enti
locali; ma occorrera' anche coinvolgere piu' intensamente le grandi
strutture associative, le organizzazioni sindacali, le chiese, e le
fondazioni e le agenzie della ricerca e della cultura.
E mi fermo qui perche' questa schidionata non diventi infinita e ancor piu'
abborracciata di quanto gia' non sia.
Credo che quanto emerso dal convegno di Gubbio, come dalla elaborazione del
movimento delle donne (ed in particolare dalla Convenzione permanente di
donne contro le guerre, nel cui ambito da tempo la proposta di Lidia e'
divenuta riflessione condivisa e ricerca collettiva) e degli altri movimenti
pacifisti e nonviolenti (e decisivo il lavoro della rete impegnata da tempo
per i Corpi civili di pace), e anche dagli interventi apparsi su questo
foglio, di Lidia Menapace, di Enrico Peyretti, di Nanni Salio, e altri spero
seguiranno; cosi' come quanto emergera' dall'assemblea dell'Onu dei popoli
che si svolgera' per iniziativa della Tavola della pace nei giorni
precedenti l'edizione del prossimo 12 ottobre della marcia Perugia-Assisi,
ebbene, offrano ed offriranno utili contributi a una riflessione e a
un'iniziativa indifferibili.
Di mio, per cosi' dire, aggiungerei costi' soltanto una duplice urgenza e un
"pensiero dominante":
- la prima urgenza: non lasciare che nel dibattito sulla cosiddetta
Costituzione europea sia cancellata la voce antimilitarista, disarmista e
nonviolenta delle donne, dei movimenti di solidarieta', pacifisti e
nonviolenti, del sud del mondo martoriato dalle guerre del mercato e dal
mercato delle guerre, del  cosiddetto popolo della pace (trovo peggio che
ambigua la formula della "societa' civile organizzata mondiale", ed altre
similari e correnti, mi si dispensera' dall'usarle); condivido infatti con
Lidia la persuasione che se non riusciamo ad influire sul testo del trattato
ora in discussione poi ci troveremo tutti in condizioni di gran lunga
peggiori;
- la seconda urgenza: non permettere che si arrivi alle elezioni per il
rinnovo del parlamento europeo senza che il tema e la proposta dell'Europa
neutrale (disarmata, smilitarizzata, nonviolenta, costruttrice di pace con
mezzi di pace) e le sue applicazioni (Difesa popolare nonviooenta, Corpi
civili di pace, "articolo 11" nella Costituzione europea, etc.), divengano,
come e' necessario, un elemento centrale del dibattito, dei programmi e
delle scelte delle forze politiche e dei candidati, con esiti impegnativi
per esse ed essi;
- il pensiero dominante: che la nonviolenza sappia divenire principio
giuriscostituente, riconosciutamente fondatrice di convivenza civile,
legislazione ed istituzioni, come e' accaduto ad esempio in Sudafrica - e in
un ambito, il diritto penale, che parrebbe quanto di puo' estraneo alla
nonviolenza come principio giuriscostituente; anche qui esperienze e
riflessioni vi sono, vanno riconosciute, valorizzate, praticate, estese.

5. POESIA E VERITA'. ANNA CASALINO: LA CISTERNA
[Da Anna Casalino, Verso la tundra, Passigli, Firenze 1993, p. 66. Anna
Casalino, poetessa, storica dell'arte, coordinatrice degli "Amici
dell'associazione Centro Montale", promotrice di cultura, vive e lavora a
Roma. Ha pubblicato le raccolte di versi Parole senza inchiostro (1988); La
forma dell'aria (Lacaita, 1990, con prefazione di Maria Luisa Spaziani);
Verso la tundra (Passigli, 1993, con prefazione di Sergio Quinzio); La meta
dell'ombra (Campanotto, 1996); ha condotto un progetto di ricerca sul tema
del museo d'arte per bambini per l'Universita' di Siena, e collabora con
Giovanni Bollea alla definizione di un modello teorico sull'utilizzo del
museo come ambiente di apprendimento per i bambini; su questo argomento ha
recentemente scritto il libro Musei per bambini, Pendragon, Bologna 2002]

Pazientemente contro la tempesta
va la cisterna raccogliendo l'acqua

Non altrimenti - dopo e con sgomento
io nei miei figli vado disperdendo.

6. MAESTRE. ADRIANA ZARRI: UNA BUONA NOTIZIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 settembre 2003.
Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista.
Tra le sue opere segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella,
Assisi; Erba della mia erba, Cittadella, Assisi; Dodici lune, Camunia,
Milano; Il figlio perduto, La Piccola, Celleno.
Adriana Valerio (per contatti: avalerio at unina.it), teologa, e' da piu' di
vent'anni impegnata nel reperire fonti e testimonianze per la ricostruzione
della memoria delle donne nella storia del cristianesimo. Laureata in Storia
e Filosofia e in Teologia (dopo aver conseguito la Licenza a Fribourg in
Svizzera), lavora attualmente alla Federico II di Napoli (cattedra di Storia
del Cristianesimo). Ha diretto per tre anni il "Centro Adelaide Pignatelli
per la ricerca storico-religiosa delle donne" ed e' oggi coordinatrice
italiana dell'Afert (Associazione Femminile europea per la ricerca
teologica) e delegata Onu e affari internazionali per l'"Associazione
Internazionale Giovanna d'Arco" per la difesa dei diritti della donna nella
societa' e nella chiesa. Dirige dal 1990 la collana La Dracma su Donne e
Cristianesimo preso la casa editrice D'Auria di Napoli. Tra le tante
pubblicazioni: Cristianesimo al femminile (Napoli 1990), Domenica da
Paradiso. Profezia e politica in una mistica del Rinascimento (Spoleto
1993), Donna potere e profezia (Napoli 1995), Savonarola. Fede e speranza di
un profeta (Paoline, Milano 1998), Donne in viaggio (Bari-Roma 1999), I
sermoni di Domenica da Paradiso (Firenze 1999), Donne e Religione a Napoli
(con G. Galasso, Franco Angeli 2001).
Anche la redazione di questo foglio si associa alle congratulazioni e agli
auguri ad Adriana Valerio, persona buona e - come dire - maestra di color
che sanno, ed anche di quelle e quelli - come noi - che non sanno ma
cercano]
Una buona notizia: Adriana Valerio e' stata eletta presidente delle teologhe
europee.
L'Italia, pur contando ottimi teologi (e teologhe), non e' mai stata
considerata patria di una grande teologia (paragonabile all'Olanda o alla
Francia o alla Germania). Ragion di piu' per rallegrarci della prestigiosa
carica oggi ricoperta dalla Valerio.
Alla collega (posto che la qualifica di teologa mi competa), amica e omonima
Adriana, tutte le mie congratulazioni e i miei auguri per una proficua
presidenza.

7. RIFLESSIONE. MARIO LANCISI INTERVISTA ALESSANDRO ZANOTELLI
[Dal sito della Rete Radie' Resch (www.rrrquarrata.it) riprendiamo questa
intervista di Mario Lancisi a padre Alessandro Zanotelli.
Mario Lancisi e' giornalista e saggista; studioso del mondo cattolico,
soprattutto fiorentino e toscano, ha pubblicato libri e saggi su don Lorenzo
Milani, Giorgio La Pira, Nicola Pistelli; e' particolarmente benemerito per
gli studi e le raccolte di testimonianze su don Milani. Tra le sue opere: E
allora Don Milani fondo' una scuola, Coines, Roma 1977; (a cura di), Don
Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Dopo la Lettera. Don
Milani e la contestazione studentesca, Cappelli, Bologna 1980; La scuola di
Don Lorenzo Milani, Polistampa, 1997; Il segreto di don Milani, Piemme,
Casale Monferrato (Al) 2002; (con Alex Zanotelli), Fa' strada ai poveri
senza farti strada. Don Milani, il Vangelo e la poverta' nel mondo d'oggi,
Emi, Bologna 2003.
Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, ha diretto per anni la rivista
"Nigrizia" conducendo inchieste sugli aiuti e sulla vendita delle armi del
governo italiano ai paesi del Sud del mondo, scontrandosi con il potere
politico, economico e militare italiano: rimosso dall'incarico e' tornato in
Africa a condividere per molti anni vita e speranze dei poveri, solo
recentemente e' tornato in Italia; e' direttore responsabile della rivista
"Mosaico di pace" promossa da Pax Christi; e' tra i promotori della "rete di
Lilliput" ed e' una delle voci piu' prestigiose della nonviolenza nel nostro
paese. Tra le opere di Alessandro Zanotelli: La morte promessa. Armi, droga
e fame nel terzo mondo, Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia,
Publiprint, Trento 1988; I poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno
1996; Leggere l'impero. Il potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana,
Molfetta 1996; Sulle strade di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita,
Emi, Bologna 1998; Ti no ses mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La
solidarieta' di Dio, Emi, Bologna 2000; R...esistenza e dialogo, Emi,
Bologna 2001; (con Pietro Ingrao), Non ci sto!, Piero Manni, Lecce 2003;
(con Mario Lancisi), Fa' strada ai poveri senza farti strada. Don Milani, il
Vangelo e la poverta' nel mondo d'oggi, Emi, Bologna 2003; Nel cuore del
sistema: quale missione? Emi, Bologna 2003.
Va da se' che su varie opinioni qui sostenute si puo' non essere d'accordo.
E ad esempio chi scrive queste poche righe di presentazione - vecchio
filologo bizantino di scuola feuerbachiana e gia' per anni, decenni fa,
finanche funzionario di partito - qua e la' non lo e', e nel merito di
alcune riflessioni, e nel modo talora apodittico e propagandistico - e
talatra paradossale ed effettistico - di proporle, che certo dipende e
dall'abitudine ai moduli retorici dell'omiletica e dalla "forma-intervista"
giornalistica con quel che di sovente ipersemplificato l'una ed ortativo
l'altra comportano. Ma proprio per questo ci mettiamo all'ascolto delle voci
altrui, per conoscere il punto di vista dell'altro, cogliere cio' che esso
ci reca, e discuterlo in dialogo fecondo. E non vi e' dubbio che Alex
Zanotelli sia autentico un testimone (e Mario Lancisi un acuto, attento -
dell'attenzione di Simone Weil - e straordinariamente sensibile e fededegno
tramite ed accompagnatore). Segnaliamo infine che sara' a giorni il libreria
il nuovo libro di Mario Lancisi, Alex Zanotelli. Sfida alla globalizzazione,
Piemme, Casale Monferrato (Al) 2003, di cui una breve presentazione
dell'autore abbiamo pubblicato nel notiziario di ieri (Giobbe Santabarbara)]
- Mario Lancisi: Chi e' padre Alex Zanotelli?
- Alessandro Zanotelli: Io sono le persone che ho incontrato nella mia vita.
Gli incontri mi  hanno segnato sempre molto. A chi mi chiede da dove derivi
in me la forza per compiere certe scelte radicali rispondo che essa proviene
dagli incontri con la gente. Gli altri sono per me grazia e ricchezza. Il
papa in questi giorni ha usato una bella immagine, quella del bozzolo.
L'uomo e' prigioniero del bozzolo rappresentato dalla classe sociale,
dall'ideologia e dall'ambiente familiare in cui vive. La crescita spirituale
consiste nel rompere il bozzolo in cui ciascuno di noi e' racchiuso. Uno
diventa uomo man mano che riesce a rompere il bozzolo e si apre agli altri.
- M. L.: Nella sua vita di prete e di missionario da cosa e' stato mosso?
- A. Z.: Dalla vocazione. La vocazione e' in definitiva la sequela di Gesu'.
Uno dei punti piu' affascinanti del Vangelo e' la' dove Gesu' spiega che se
uno la sua vita la tiene a denti stretti finira' per perderla mentre se la
"buttera'" per qualcosa di importante allora la conquistera'. La vita e'
bella quando decidiamo di perderla. La gioia la sperimentiamo nella
capacita' di dare. Erich Fromm nell'Arte di amare afferma che le nostre
societa' occidentali sono necrofile perche' non facciamo altro che guardarci
l'ombelico.
- M. L.: Quale e' la sua esperienza personale?
- A. Z.: Le mie radici affondano in un ambiente familiare e paesano molto
chiuso. Sono infatti nato e cresciuto nella Valle di Non, in Trentino,  in
una comunita' montana e in una famiglia che mi hanno dato molto.
L'educazione ricevuta pero' e' stata reprimente, individualista. Anche sul
piano politico quella e' una terra cattolica, democristiana e assai
tradizionalista.
- M. L.: Nei suoi incontri pubblici lei parla spesso di sua madre. Che ruolo
ha avuto nella sua vita?
- A. Z.: La mamma e' stata la persona piu' altruista che abbia mai
conosciuto: la sua vita erano gli altri. Questo e' stato il suo
insegnamento. Nel giorno del matrimonio ha chiesto al Signore che il primo
figlio maschio fosse consacrato a Dio. Piangeva di gioia il giorno della
prima messa. Spesso mi ha ripetuto che e' stato il giorno piu' bello della
sua vita. Insieme con papa', splendida figura di montanaro e di resistente,
e' stato un punto fermo della mia vita. Sono grato ai miei genitori per
avermi seguito con amore grande sulle strade del mondo anche nei momenti
piu' duri e burrascosi.
- M. L.: Dal Trentino agli Usa. Un bel salto.
- A. Z.: Si', a sedici anni, andando a studiare dai Comboniani a Cincinnati,
negli Stati Uniti, dove sono rimasto fino all'ordinazione sacerdotale, a
ventiquattro anni, ho compiuto la prima svolta importante della mia vita.
Quelli americani sono stati otto anni belli ma duri, faticosi. L'America mi
ha affascinato. E' il discreto fascino della borghesia: le cose belle, il
benessere e una cultura disinibita e liberal, difficile da accettare per uno
come me proveniente dal chiuso mondo trentino.
- M. L.: Che cosa degli anni americani l'ha piu' segnato?
- A. Z.: Lo studio della teologia, soprattutto della Bibbia, fatto con il
metodo della critica letteraria, che anticipava le novita' del Concilio
Vaticano II. Da li' e' iniziato un processo di ripensamento della mia fede.
Ma Dio c'e', non c'e'? Tante domande, dubbi, tarli interiori. Mi e' saltato
tutto, non riuscivo piu' a capire nulla. E' stato un processo interiore
molto doloroso. A tal punto che piu' volte, nei momenti di sconforto, finivo
per maledire il giorno in cui mi ero messo a studiare la Bibbia dal punto di
vista della critica letteraria e testuale. E questa crisi interiore avveniva
proprio alla vigilia dell'ordinazione sacerdotale, per cui non sapevo cosa
fare: se mollare tutto oppure andare avanti.
- M. L.: Come ha superato la crisi?
- A. Z.: Pregando molto. Alla fine sono arrivato ad una conclusione molto
importante per me. Se Dio esiste, mi sono detto, non puo' essere che amore e
l'amore non posso scoprirlo che "buttando" la mia vita. E cosi', come dice
il Vangelo, ho deciso di perdere la mia vita per donarla agli altri. Questo
in fondo credo che significhi essere prete.
- M. L.: Dopo l'America, il Sudan, la prima missione. Che ricordi ha?
- A. Z.: Come di un altro passaggio culturale importante della mia vita.
Sono stato sbattuto in un contesto arabo e islamico agli antipodi di quello
americano. Un'esperienza durissima, soprattutto nei primi tre-quattro anni.
Sono stato preso piu' volte dalla voglia matta di scappare. Ma poi ho
resistito. Ho imparato infatti che dalle crisi non bisogna fuggire, ma
rimanerci dentro. Lentamente ho poi scoperto i Nuba, le popolazioni del
Sudan costrette a fare i lavori piu' umili. Tra noi e' sbocciata un'amicizia
molto bella. Cosi' ho chiesto di rimanere in Sudan e per capire meglio la
gente di li' ho chiesto di poter seguire per due anni corsi di
specializzazione sull'Islam. Sono stati due anni bellissimi. Ma quando mi
sentivo pronto e desideroso di tornare in Sudan il governo di quel Paese mi
ha negato il rientro. La mia amicizia con i Nuba era vista in maniera ostile
dal governo.
- M. L.: Dopo il Sudan un altro passaggio importante e' stata la direzione
di "Nigrizia". Che cosa ha significato questa esperienza nella sua vita?
- A. Z.: A "Nigrizia" ho acquisito gli strumenti per capire la politica,
l'economia e la realta' non solo africana. E man mano che sono andato avanti
nella comprensione sono ripiombato in un'altra grave crisi perche' di fronte
ad un mondo politico, economico, finanziario e militarizzato mi sono trovato
davanti il disastro di una Chiesa incapace di denunciare le storture del
mondo e pagare di persona. La mia domanda era: come mai la Chiesa non riesce
a mettere in piedi tentativi di societa' alternative all'Impero, cioe' al
sistema capitalista, che consuma con il suo 20% di persone l'83% delle
risorse del mondo. Uno scandalo dinanzi al quale non potevamo tacere.
- M. L.: Da qui le denunce clamorose di "Nigrizia" contro il commercio delle
armi, il sistema di aiuti della cooperazione al Terzo mondo e cosi' via. Nel
mirino politici importanti come Spadolini, Andreotti, Craxi, insomma il fior
fiore della classe dirigente al governo del Paese. Quando sono iniziate
queste battaglie e come le ha affrontate?
- A. Z.: Tutto e' cominciato nel gennaio 1985 con la pubblicazione
dell'editoriale "Il volto italiano della fame africana", una pesante
denuncia  del sistema di aiuti ai paesi del Terzo Mondo. Scoppio' un
finimondo. Tangentopoli poteva scoppiare allora, c'erano gia' tutti gli
elementi. Dalla fame passammo poi alle armi, ai problemi legati
all'ambiente, insomma mettemmo a nudo il sistema. Spadolini sull'"Espresso"
attacco' pesantemente i cosiddetti "preti rossi". Giunse persino ad
accusarmi di incitamento alla delinquenza terroristica internazionale.
- M. L.: Le reazioni furono enormi e pesanti. Lei come reagi'?
- A. Z.: Provai una grande sofferenza umana. Ricordo ad esempio il vuoto
intorno che mi venne fatto dalla Chiesa: in tre anni di battaglie sono stato
invitato a parlare solo in 4-5 parrocchie. Dal 1985 all'87 sono stato
sballottato da tutte le parti. Ce' stato un mese in cui per venti giorni ho
dormito in treno. A volte mi mettevo a piangere, volevo mollare, mi
ripetevo: "Basta. Non voglio piu' parlare. Sono stufo di beghe, di querele,
di polemiche". Altre volte andavo a piangere in cappella perche' la
preghiera e' anche pianto. E solo davanti a Dio interpellavo la mia
coscienza: "Sono davvero sicuro di aver detto la verita'? E' possibile che
50 milioni di italiani non vedano gli scandali?".
- M. L.: Estromesso da "Nigrizia", nel gennaio del 1990 sbarca a Korogocho,
una delle baraccopoli di Nairobi. Perche'?
- A. Z.: Era gia' da anni che ai miei superiori avevo chiesto di fare
un'esperienza missionaria. Mi sentivo infatti un piccolo borghese, un prete
intellettuale, e sentivo dentro di me l'esigenza spirituale di scendere nei
sotterranei della storia. Con il passare degli anni e' cresciuto in me il
desiderio di andare oltre, di spaccare il mio bozzolo. Ogni vita umana e'
chiamata infatti a fare i salti umani, ad andare sempre piu' in la'. Devo
anche aggiungere che per me andare in missione significa fare quello che ha
fatto Gesu', il quale non ha scelto Gerusalemme ma la Galilea, che era una
terra povera e oppressa dall'imperialismo romano. Alla stregua di Gesu'
Cristo anche i suoi seguaci devono annunciare il Vangelo ai poveri, agli
oppressi, agli emarginati.
- M. L.: E il "salto" di Korogocho, i dodici anni che vi ha trascorso,  che
cosa hanno rappresentato nel suo cammino di uomo e di prete?
- A. Z.: Un'esperienza incredibile, durissima, ma anche una grazia di Dio.
Quando e' venuto a Korogocho l'abate generale dei cistercensi ad un certo
punto mi ha detto: "Tu non ti meriti questa grazia, e' grazia  gratuitamente
data. Devi essere estremamente grato al Signore". E io lo sono perche' per
me Korogocho  e' stato un vero battesimo. E' il battesimo dei poveri come
quello di Gesu' quando entro' nelle acque del Giordano con i poveri della
Galilea.
- M. L.: Che cosa in concreto questo battesimo ha significato per lei?
- A. Z.: Il battesimo dei poveri sconquassa l'anima, fa un male boia, ma e'
anche una grazia perche' uno e' costretto a ripensare a tutto: al suo stile
di vita, alla visione del mondo, alla teologia che ha studiato, al sistema
economico, finanziario e politico. Korogocho spiritualmente mi ha fatto
rinascere e riscoprire la dimensione vera dell'eucarestia e del sacerdozio.
Qui ho imparato che cosa significa essere prete: buttare via la vita, non
appartenersi piu', ma essere "mangiato dai poveri" per cui l'eucaristia non
consiste piu' nel celebrare la messa per gli altri ma diventare pane
spezzato per i poveri e gli oppressi.
- M. L.: Perche' ha deciso di lasciare Korogocho?
- A. Z.: Intanto perche' e' un rischio grosso quello di rimanere a lungo in
situazioni come quelle di Korogocho: il rischio di girare su te stesso, di
fare l'eroe mentre sei la' per camminare con un popolo e aiutarlo ad alzarsi
in piedi. In secondo luogo e' fondamentale non costruire su te stesso per
cui per me e' stato importante convincere i comboniani ad assumere Korogocho
come luogo di missione per dare continuita' all'esperienza da me iniziata.
Scelte come quelle di Korogocho hanno infatti un senso se poi vengono prese
in mano dalle istituzioni. E infatti oggi al mio posto c'e' padre Daniele
Moschetti. Infine, terza ragione, e' stato ritenuto che fosse importante che
io tornassi in Italia in questo particolare momento politico e storico.
- M. L.: Chi e' Dio?
- A. Z.: Intanto vorrei dire che stiamo abusando di Dio: tutti i sistemi
tentano di cooptarlo. Forse ha ragione Beppe Grillo che, durante un incontro
che abbiamo tenuto insieme, ha dichiarato in maniera provocatoria
l'intenzione di depositare il copyright su "Dio" in modo da far pagare un
sacco di soldi a chi lo usa indebitamente. A Korogocho riflettendo sul
distacco di Dio rispetto al dolore e alla miseria ho pensato che forse
l'unico modo di pensarlo e' fare riferimento a una donna. Una donna che puo'
dare alla luce un figlio gravemente  malato ma che poi cerchera' di far di
tutto per guarirlo e  che, se morira' prima di lei, lo terra' tra le sue
braccia e lo cullera'. Penso che anche Dio sia distrutto dal dolore.
Generando l'uomo libero Dio non puo' prenderlo per i capelli: rispetta le
sue decisioni ma e' ferito dalla sua sofferenza.
- M. L.: Nell'inferno di Korogocho ha mai dubitato di Dio?
- A. Z.: Non una ma molte volte. Quando uno si trova in situazioni cosi'
assurde, davanti ad una sofferenza innocente, come e' capitato a me a
Korogocho, il primo dubbio che viene e' proprio su Dio. Perche' uno si
chiede: ma se tu, Dio, ci sei, e' impossibile che  non intervenga di fronte
ad una sofferenza cosi' atroce. Ma oggi Dio e' impotente, e' malato. Potra'
guarire solo quando guariremo noi. Solo noi oggi possiamo far qualcosa. Dio
non puo' piu'. Ognuno di noi e' importante perche' vinca la vita.
- M. L.: Dio non e' onnipotente?
- A. Z.: Piu' ci rifletto e piu' mi convinco che forse Dio non e'
l'onnipotente che pensiamo noi. E' il Dio della croce. Perche' non ha
ascoltato la preghiera di Gesu' morente? E' un mistero. Forse e' un Dio
debole, che si e' autolimitato, che puo' salvarci solo attraverso di noi.
Forse e' un Dio, come ho detto prima, con un volto di donna. Questa
riflessione ci apre all'idea di un Dio tenero, che cammina a fianco del suo
popolo, che soffre per il nostro dolore. Non c'e' nessun deus ex machina che
ci salvera': tocca a noi darci da fare, siamo noi responsabili del nostro
destino.
- M. L.: Nel suo ritorno in Italia quali segni di speranza ha trovato?
- A. Z.: Almeno due, molto importanti: l'esplosione della societa' civile
organizzata e il mutamento antropologico che si e' registrato sulla guerra.
- M. L.: Cominciamo dal primo.
- A. Z.: Non c'e' dubbio che stiamo vivendo un momento epocale. Girando
l'Italia ho potuto incontrare realta' di base bellissime: gruppi,
gruppuscoli, associazioni di tutti i tipi e di tutte le razze. Nessun paese
in Europa ha una tale ricchezza civile. C'e' una societa' civile che si sta
organizzando in tutto il mondo. Il "New York Times" ha scritto che il 15
febbraio 2003, con le manifestazioni sulla pace che si sono tenute in tutto
il mondo, e' nata la seconda superpotenza: l'opinione pubblica, un termine
che a me non piace, al quale preferisco quello di societa' civile
organizzata. Il rischio e' che questa ricchezza rimanga sommersa e non abbia
uno sbocco.
- M. L.: Il problema degli sbocchi chiama in causa la politica. Quale
rapporto tra politica e movimenti?
- A. Z.: Dare uno sbocco politico ai movimenti e' importante. Pero' bisogna
che i movimenti stiano molto attenti a non fare passi falsi che li vincolino
ad una posizione politica determinata e nemmeno devono farsi
strumentalizzare dai partiti. Devono saper costruire un movimento sociale,
che abbia una proiezione politica a partire dal basso e che si proponga di
orientare la politica nazionale al servizio dei ceti deboli.
- M. L.: E la seconda ragione di speranza?
- A. Z.: Per la prima volta nella storia umana l'uomo della strada, che
finora era convinto che una guerra, una volta dichiarata, fosse giusta, oggi
e' preso dal tarlo del dubbio.
- M. L.: Per molti opinionisti la decisione angloamericana di dichiarare
guerra all'Iraq ha rappresentato pero' una sconfitta per il movimento
pacifista.
- A. Z.: No, non sono d'accordo perche' dobbiamo renderci conto che la
mobilitazione per la pace che c'e' stata per scongiurare la guerra e' stata
di dimensioni planetarie: un fenomeno assolutamente nuovo. E anche
originale: si', perche' per la prima volta nell'opinione pubblica si e'
affermata l'idea che la guerra e' una gran balla, che e' fatta per interessi
e non certo per scopi nobili quali la liberta' o la democrazia, e che essa
puo' essere definitivamente cacciata via dalla storia. Insomma nella gente
si e' insinuato il tarlo del dubbio. Cio' rappresenta un salto antropologico
enorme: questo cambio di mentalita', questo tarlo del dubbio e' l'inizio
della fine della guerra. I salti avvengono cosi' dentro la storia. Noi oggi
viviamo un passaggio epocale.
- M. L.: Si puo' fare a meno della guerra?
- A. Z.: E' proprio questo che sta affiorando nella coscienza dell'opinione
pubblica: l'idea cioe' che la guerra e' violenza che genera violenza, la
quale alla fine ci travolgera'. Spero che non sia lontano il tempo in cui
per l'umanita' la guerra possa essere considerata un tabu' come l'incesto,
ad esempio.
- M. L.: Quando e' scoppiata la seconda guerra mondiale lei era ancora un
bambino. Che ricordi ha?
- A. Z.: Ricordi nitidi e terribili. Io sono nato nel 1938, quindi al tempo
della guerra ero davvero piccolo. Pero' mi porto dietro ricordi terribili,
come quando sopra il cielo passavano gli aerei per bombardare: ci si buttava
gia', pancia a terra. Poi la vicinanza dei tedeschi e' stata molto dura.
Ricordo volti di gente distrutta e disperata. La guerra infine l'ho vissuta
attraverso il papa', che e' stato prigioniero dei tedeschi in Francia e ci
ha allevati con i ricordi della sua prigionia, infondendo a noi figli il
senso molto profondo del rifiuto e dell'assurdita' della guerra.
- M. L.: Che idee aveva suo padre?
- A. Z.: Era profondamente cattolico ma anche antifascista. Quando torno'
dalla prigionia scese in piazza per manifestare contro le guardie fasciste e
gli spararono. La pallottola gli e' rimasta dentro il corpo, non se lí'e'
mai voluta togliere, ha finito per portarsela nella tomba.
- M. L.: Come giudica la posizione della Chiesa nei confronti della guerra
in Iraq?
- A. Z.: Una straordinaria posizione. Questa scelta portera' prima o poi a
qualche documento magisteriale in cui, all'opposto del catechismo, si
affermera' che non c'e' piu' alcuna guerra giusta.
- M. L.: Lei e' molto critico con Berlusconi, il governo e il centrodestra.
Poi pero' piu' volte, sulla guerra all'Iraq e sulla legge 185, si e'
incontrato con esponenti della "casa delle liberta'". Perche'?
- A. Z.: Io ho sempre detto che dialogo con tutti perche' certi temi, come
la pace, ad esempio, sono trasversali a tutti gli schieramenti politici.
Credo che occorra uscire dalla logica per cui certe tematiche sono
prerogativa solo delle sinistre. Magari lo fossero?
- M. L.: Quando e' partito per Korogocho in Italia governavano gli uomini
della prima Repubblica, con alcuni dei quali lei ha avuto scontri molto
duri. Al suo ritorno si trova nella seconda Repubblica. L'Italia e'
migliorata? Che differenze coglie tra le due classi dirigenti del Paese?
- A. Z.: L'Italia poteva cambiare con i processi per tangentopoli. Li' c'e'
stata una grande occasione di cambiamento ma purtroppo non e' avvenuta
quella rivoluzione morale e politica che in molti ci aspettavamo. Quando io
ero a Korogocho ho avvertito la novita' che stava producendo l'inchiesta
"Mani pulite" e pensavo "ma che bello!". E' stata una grazia che abbiano
alzato quel coperchio e abbiamo visto la realta' per quella che e'. Il
problema e' stato che dietro "Mani pulite" non e' nato nulla di nuovo in
questo Paese, cioe' voglio dire che non si e' affermato alcun movimento di
trasparenza morale, di ricambio della classe dirigente. Purtroppo ci sono
stati molti riciclati e la politica ha perso una grande occasione di
rinnovarsi in profondita'.
- M. L.: E per quanto riguarda il confronto tra la classe dirigente della
prima e quella della seconda Repubblica quale differenza coglie?
- A. Z.: Io sono nato e cresciuto in un ambiente familiare e personale che
mi faceva guardare con enorme rispetto a deputati e senatori. Quando a
"Nigrizia" fui costretto, in seguito alle polemiche scatenate dai miei
articoli sulle armi e la cooperazione nel mondo, a confrontarmi in pubblici
dibattiti con alcuni parlamentari avevo il terrore addosso. Ricordo pero'
che la paura si tramuto' ben presto in sconcerto.
- M. L.: Perche'?
- A. Z.: Non mi aspettavo onestamente che i politici fossero cosi'
ignoranti. La mia impressione e' che la classe dirigente della prima
Repubblica fosse nel complesso impreparata. Ad eccezione di alcune
personalita', come ad esempio Andreotti, che invece era culturalmente e
politicamente molto preparato.
- M. L.: E la nuova classe dirigente?
- A. Z.: La definirei la business class. Una classe dirigente che nasce
dagli affari, da un mondo nuovo, in cui c'e' facile accesso ai soldi, i
quali schiudono le porte del potere. I nuovi politici in genere sono piu'
arroganti e piu' impreparati rispetto a quelli della prima Repubblica, dove
i due partiti maggiori, il Pci e la Dc, attraverso le loro scuole, sapevano
almeno offrire un minimo di preparazione politica ai propri appartenenti.
- M. L.: Nei suoi scritti talvolta sembra affacciarsi l'idea di un impegno
diretto dei cristiani in politica in quanto credenti, di una sorta di
neo-integralismo di sinistra.
- A. Z.: No, la sua impressione e' totalmente sbagliata. Io sono contro ogni
forma di integralismo. Tra preti e talebani c'e' pochissima differenza: guai
quando arrivano al potere. Sono invece favorevole ad un impegno del
cristiano assieme agli altri uomini.
- M. L.: Cristianesimo e Islam: quale rapporto?
- A. Z.: Confesso che non mi e' stato facile capire la cultura dei fratelli
musulmani. Ci ho impiegato anni. Ho studiato il Corano, l'arabo classico, la
teologia e la mistica islamica. Alla fine mi sono sentito toccato dentro: e'
stata una grande esperienza. Dobbiamo dialogare con l'Altro. Solo attraverso
il dialogo possiamo superare la paura che rischia di prendere le religioni.
E la paura genera il fondamentalismo, che puo' essere superato solo se le
religioni tornano alle loro origini. Ritengo importante la riscoperta della
matrice della nonviolenza presente nelle religioni. La realta' pero' oggi
sembra evidenziare piu' la paura. Basti pensare alle polemiche sulla
costruzione delle moschee. E' una vergogna lo spirito di intolleranza verso
le comunita' di fede che chiedono di poter pregare nella nostra terra. Anche
se sono d'accordo sulla necessita' della reciprocita'. La reciprocita'
implica uno scambio che va nei due sensi. L'esclusivismo sbocca
inevitabilmente nel fondamentalismo.
- M. L.: Quale dovrebbe essere il compito della Chiesa oggi?
- A. Z.: La Chiesa deve tornare al Vangelo. Solo cosi' potra' assolvere alla
funzione di essere coscienza critica della societa'. Una critica chiara,
senza compromessi al sistema politico, economico e culturale dominante. E i
valori che la Chiesa intende proporre li deve proporre con gioia, perche',
come dice Roberto Benigni, la vita e' bella, se vissuta per ideali
importanti, anziche' per i soldi, il successo e il potere. La Chiesa deve
sapere proporre questa alternativa. Penso che spetti alle grandi religioni e
alle Chiese il ruolo di dare un'anima a questo mondo.
- M. L.: Come dare un'anima nuova al mondo?
- A. Z.: Il problema e' quello di far diventare strutturali i valori in cui
crediamo. Farli diventare politica, economia, cultura. Prima di tutto
occorre convertirsi ai valori nuovi ed e' questo un passaggio difficile, ma
la conversione da sola non basta. Io mi posso convertire ai valori piu'
belli, ma se questi rimangono dentro di me il sistema non cambia. E alla
fine il sistema dentro mi riportera' ad essere l'uomo che ero prima della
conversione. Ma tradurre nel sociale i valori in cui crediamo non e' facile.
E' fondamentale saper costruire comunita' alternative al sistema. La Chiesa
inoltre deve affrontare un altro problema: quello di un Vangelo che ci sta
troppo stretto.
- M. L.: A cosa si riferisce?
- A. Z.: Al fatto che su certe tematiche, ad esempio sulla morale sessuale,
la Chiesa e' dura, intransigente, su altre invece chiude uno o addirittura
entrambi gli occhi. Trovo una grave contraddizione ad esempio che una donna
che prende la pillola, secondo l'insegnamento papale, non possa fare la
comunione, mentre un uomo che ha i miliardi in banca, quando c'e' gente che
muore di fame, possa accostarsi tranquillamente all'eucarestia.
- M. L.: In questa Chiesa lei si sente un prete scomodo, messo ai margini?
- A. Z.: No, io mi sento un prete-prete. Ci tengo ad essere prete, non ai
margini ma al centro della Chiesa. Lotto perche' la Chiesa prenda sul serio
il Vangelo e annunci la sua radicalita' al mondo.

8. LETTURE. ALMA DADDARIO: SE SCRIVERE POTESSE DIRE...
Alma Daddario, Se scrivere potesse dire..., Selene Edizioni, Milano 1999,
pp. 112, lire 19.000. L'autrice - giornalista, saggista, drammaturga -
presenta sette scrittrici e ripropone altrettante interviste con esse sulla
loro vita, le loro esperienze, le loro riflessioni: le interlocutrici sono
Anita Desai, l'indimenticabile Natalia Ginzburg, Sahar Khalifa, Dacia
Maraini, Alda Merini, Joyce Carol Oates, Jacqueline Risset. Con prefazione
di Sandra Petrignani.

9. LETTURE. MICHAEL MOORE: STUPID WHITE MEN
Michael Moore, Stupid White Men, Mondadori, Milano 2003, pp. 308, euro 14.
Nonostante il linguaggio insistitamente paradossale e provocatorio,
buffonesco e sovente fin volgare, e' un libro di notevole valore, sia sul
piano analitico che documentario, la cui lettura ci sembra assai utile per
tutte le persone impegnate per la pace e amiche della nonviolenza. L'autore,
come e' noto, e' il prestigioso documentarista impegnato per la pace e i
diritti umani autore di Bowling a Columbine, vincitore al festival di Cannes
nel 2002 e dell'Oscar nel 2003.

10. LETTURE. ARUNDHATI ROY: GUIDA ALL'IMPERO PER LA GENTE COMUNE
Arundhati Roy, Guida all'impero per la gente comune, Guanda, Parma 2003, pp.
176, euro 11. Un raccolta di interventi degli ultimi due anni della
scrittrice indiana impegnata per la pace, l'ambiente, i diritti umani, la
giustizia globale.

11. RIEDIZIONI. THICH NHAT HAHN: INSEGNAMENTI SULL'AMORE
Thich Nhat Hanh, Insegnamenti sull'amore, Neri Pozza, Vicenza 1999, 2003,
pp. 176, euro 7,50. Una bella raccolta di meditazioni del monaco buddhista
vietnamita maestro di nonviolenza.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
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Numero 684 del 25 settembre 2003