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La nonviolenza e' in cammino. 648
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 648
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 19 Aug 2003 20:56:00 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 648 del 20 agosto 2003 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: la scelta etica ed ermeneutica della sobrieta' 2. Un incontro e un appello da Assisi a Gubbio 3. Rocco Altieri: presentazione di "Quaderni satyagraha" n. 3 4. Uscire dalla subalternita' al potere militare 5. Maria G. Di Rienzo: come rispondere a situazioni di conflitto interpersonale in cui vi e' minaccia o presenza di violenza 6. Maria Luigia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro, "Lenguaje y conocimiento", 1980 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: LA SCELTA ETICA ED ERMENEUTICA DELLA SOBRIETA' [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Tempo addietro "Azione nonviolenta", la rivista del Movimento Nonviolento, mi chiese di scegliere una parola da commentare tra quelle che proponeva per una sua riflessione: scelsi "sobrieta'". Vorrei mantenere il termine per sottolineare le intenzioni che connetto all'incontro di Gubbio. Sobrieta' infatti mi sembra parola di giusta misura per indicare il rapporto tra persone e cose, terra e abitanti, produzione e consumi; ha anche un suono eticamente gradevole, non severo e punitivo come "austerita'", non lassista come "consumismo", non cattedratico. Intendo applicare il termine sobrieta' (che e' in fin dei conti la traduzione positiva della coscienza del limite) alle definizioni di cui ci serviamo. * Globalizzazione ad esempio e' un termine non sobrio, bensi' portatore in se' di una idea di dominio totale sul pianeta, le sue risorse e gli accessi ad esse da parte di tutti e tutte le abitanti della dolce terra, che ad esse hanno lo stesso diritto fondamentale e non revocabile da nessuna politica degna di questo nome. Mi pare da rifiutare e da sostituire con termini piu' misurati diversificati e locali. * Il secondo termine che vorrei usato con sobrieta' e in modo non acritico e' "comunita' scientifica", locuzione accreditata di una grande carica di solennita' e autorita'. A me basta ricordare che i piu' famosi fisici dellanostra epoca inventarono la bomba atomica, la costruirono e proposero al presidente di allora degli Usa di usarla avvisandolo che non sapevano che cosa sarebbe successo. Che famosi chimici dei laboratori Bayer inventarono l'eroina come smisurata e non sobria ("eroica" appunto, una delle ragioni per cui non mi fido degli eroismi) sostituta della morfina (scoperta precedentemente e della quale gia' si conosceva l'effetto di dipendenza): per avere qualcosa di piu' efficace contro il dolore. Scienziati inventarono i gas (Zyklon B) che passarono per il camino milioni di ebrei e di oppositori politici, rom e gay. "Perfezionamenti" dell' atomica sono da attribuirsi a scienziati, come del resto tutta la fortissima ricerca militare: vorrei tanto che i predicatori di turno sempre pronti a condannare donne che abortiscono, che si prostituiscono, ecc. mettessero tra i delitti da condannare moralmente senza appello quelli di chi disegna inventa progetta e costruisce armi di distruzione di massa eventualmente da vendere al dittatore di turno o anche da usare "democraticamente". I disastri legati ad applicazioni non sobrie di raffinate tecnologie scientifiche all'agricoltura non si contano: dalla distruzione di derrate alimentari prodotte in quantita' commercialmente "esuberanti" (stive cariche di burro buttato a mare); al disastro della "rivoluzione verde", a Bhopal, alla mucca che forse per umanizzarla chiamiamo "pazza", alla notizia orripilante che venti milioni di polli sono stati di recente distrutti in Olanda perche' colpiti da peste avicola. Gia' l'idea di allevare milioni di polli reclusi e' disgustosa e basterebbe a far diventare vegetariano chiunque, se non fosse che anche pere, mele e verdure sono minacciate da pesticidi, riduzione della biodiversita', interventi genetici scusati con lo spaccio di bugie: i cibi non mancano, sono mal distribuiti perche' soggetti solo al profitto: le sementi ogm sono sterili e i contadini indiani sudamericani africani costretti a ricomprarle ogni anno diventano schiavi che lavorano per le multinazionali alimentari. Che gia' hanno dato prova di se' spacciando prodotti scaduti o non testati, o con effetti devastanti (Nestle'), o dei quali al massimo dicono senza prove sufficienti che "non sono dannosi": ma i cibi debbono essere utili, non basta che non facciano danno. Una domanda sobria verso la "comunita' scientifica" si formula cosi': chi ne fa parte e con quali titoli e criteri di ricerca e da chi sono pagate le ricerche? E ancora: perche' dovremmo fidarci della famosa comunita' scientifica che ci dice che "non fanno male"? Gia' ci disse che il talidomide poteva essere preso in gravidanza fino a quando non nacquero focomelici in Europa e non negli Usa perche' una scienziata della Fda (Food and drug agency) ne vieto' l'uso negli Usa appunto. Sembra di poter dire che la famosa "comunita' scientifica" comprata come niente dalle multinazionali, dagli stati maggiori ecc. deve almeno sottoporsi al giudizio, esame e valutazione da parte di luoghi di ricerca pubblici che non perseguano il profitto ma i diritti, la salute ecc. Le loro opinioni debbono essere rese pubbliche e l'accesso alle informazioni aperto e largo. * Oggi vediamo quasi la fine di un lungo cammino di distruzione della nostra casa comune, la terra, depredata, resa sterile, incendiata. Mettiamoci a dire forte: la dimensione degli interventi deve essere proporzionata, calcolata in modo da non distruggere equilibri vitali, da non opprimere la terra, l'aria, l'acqua. E agire di conseguenza chiedendo ai programmi delle forze politiche, sociali, ecc. che si esprimano chiaramente in proposito. Chi propone di abbassare i prezzi dei condizionatori o di fare piu' centrali per l'energia o guerre per conquistare le fonti e' ubriaco e non sobrio; chi ha in programma una migliore diversificazione della produzione di energia pulita, misure per non sprecarla, e per "rientrare" dall'inquinamento dell'atmosfera va in una giusta direzione di sobrieta'. Chi vuole privatizzare l'acqua e' pazzo e sfrenato e prometeico. Chi vuole che le persone e soprattutto le merci continuino a viaggiare intorno al mondo deve dire o sapere che non bastera' la terra, percorsa da strade autostrade treni, bucata da tunnel giganteschi, assordata dall'alta velocita' ecc. E' una scelta non sobria. Ogni luogo faccia un inventario di tutto cio' che puo' produrre in quantita' adeguata ai bisogni non forzati della propria popolazione, si immagazzinino le derrate che possono essere conservate senza danni e si badi che il lavoro abbia la giusta rimunerazione ovunque: che cosa prendono come salario quelle e quelli che lavorano per produrre ananas africani che costano sui nostri mercati meno delle pere e mele e fragole? che cosa in Argentina, se le pere da quel paese arrivano sui nostri banchetti a prezzo inferiore alle pere di produzione locale? e quanti pesticidi conservanti immagazzinamenti in contenitori pieni di gas, trasporti per nave tir treni ecc. si pagano in salute e strozzamento dei trasporti? Sobrieta' chiede informazione e potere di dirigersi nella propria vita in modo da non farsi restare in gola i cibi al solo pensare quanta ingiustizia produciamo per averli sulle nostre mense. Sarebbe meglio fare patti con gli e le immigrate e stabilire con loro - attraverso cooperative - mercati di sobrie dimensioni, giusti prezzi e tutela della salute e dei diritti di chi lavora e di chi consuma, una specie di commercio equo e solidale piu' diffuso e meglio partecipato dai migranti. * Non bisogna credere del resto che le imprese smisurate non si paghino. L'estate in corso ce lo dice e non possiamo accettare storielle e pannicelli: il patto con la terra deve essere rifatto, facciamo pace con la terra. Dove mi trovo arrivano ogni tanto bruschi e rapidi temporali ed eravamo abituati che quando finiscono si stendono in cielo meravigliosi arcobaleni, un segnale di pace. Come e' noto, sia nella mitologia greca che nel racconto biblico l'arcobaleno e' la sciarpa colorata di Giunone stesa ad asciugare dopo la pioggia dalla sua ancella Iride, oppure e' il segno che le malefatte dell'umanita' colpite dal diluvio universale sono state pagate e si puo' fare un patto di pace. Questa estate gli arcobaleni sono stinti e fugaci, sembrano avvisi tra stanchi dolenti e irati. Se non siamo capaci di sentimenti piu' nobili e grandi, almeno per paura delle possibili vendette della terra cerchiamo di mettere rimedio ai guai che abbiamo fatto. 2. INIZIATIVE. UN INCONTRO E UN APPELLO DA ASSISI A GUBBIO La camminata nonviolenta da Assisi a Gubbio, assemblea itinerante e prosecuzione della marcia nonviolenta Perugia-Assisi del Duemila, contro le guerre gli eserciti e le armi, per la convivenza dei popoli e delle persone, riproporra' dal 4 al 7 settembre la necessita' e l'urgenza di un salto di qualita' nel movimento che si oppone o almeno vorrebbe opporsi alle guerre e alle ingiustizie: il salto di qualita' dalla generica indignazione al programma costruttivo, il salto di qualita' dalla predicazione astratta alla pratica concreta, il salto di qualita' dal rimbrotto agli altri all'assunzione di responsabilitra' personale: proporra' quel passaggio dal pacifismo generico alla nonviolenza specifica che e', per usare ancora una volta quell'espressione di Aldo Capitini, il varco attuale della storia. Ma nulla garantisce che questo appello sia ascoltato, nulla garantisce che la voce delle persone amiche della nonviolenza sia adeguatamente nitida e forte. Anzi, in questi ultimi anni insieme e complementarmente a un sempre piu' banalizzato e talora addirittura insensato uso della parola nonviolenza si e' andata vieppiu' offuscando nel sentire non solo comune ma dei movimenti di partecipazione e di solidarieta' la percezione del concetto della nonviolenza, sostituendosi ad esso - cosi' denso e cosi' impegnativo - una rappresentazione stereotipata, trivializzata, depauperata, ambigua, menzognera e fin caricaturale, che della nonviolenza come la pensarono e praticarono Mohandas Gandhi e Marianella Garcia, Martin Luther King e Danilo Dolci, Virginia Woolf e Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Albert Luthuli e Chico Mendes, e' peggio che la parodia, il rovesciamento. E dunque e' cosa assai buona che il Movimento Nonviolento abbia proposto un incontro e un cammino come quello che culminera' nell'anfiteatro eugubino: per fare chiarezza in noi e tra noi, per proporre una parola alta e forte ad altri. Con umilta' ma senza timidezze. Amiamo ripetere che solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'; sarebbe gia' qualcosa se riuscissimo hic et nunc almeno a persuadere quanti vogliono impegnarsi per la pace e la giustizia a dismettere atteggiamenti e condotte tuttora anche in questo ambito dominanti palesemente subalterne e fin omologate e asservite a modelli autoritari, maschilisti, intimamente militaristi e carrieristi, consumisti e sopraffattori; poiche' solo la scelta della nonviolenza, della nonmenzogna, della responsabilita', puo' fornire quel sostrato esistenziale, morale e intellettuale, e costituire quel programma e quel metodo, che a noi sembrano indispensabili perche' si dia un movimento per la pace e la convivenza che di questa qualificazione svolga ed inveri premesse e fini. E di cui vi e' bisogno estremo. 3. RIVISTE. ROCCO ALTIERI: PRESENTAZIONE DI "QUADERNI SATYAGRAHA" N. 3 [Dal sito pdpace.interfree.it riprendiamo il testo dell'editoriale che apre alle pp. 7-11 il n. 3, giugno 2003, dell'ottima rivista scientifica "Quaderni satyagraha. Il metodo nonviolento per trascendere i conflitti e costruire la pace", volume monografico sul tema La nonviolenza dei popoli puo' sconfiggere la guerra. Questo volume della prestigiosa rivista e' di 238 pagine, per 15 euro; per contattare direzione e redazione: via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa, tel. 050542573, e-mail: centrononviolenza at libero.it, sito: pdpace.interfree.it (il sito e' curato da Giovanni Mandorino, e-mail: pdpace at interfree.it). La rivista e' diretta da Rocco Altieri, condirettori ne sono Giorgio Montagnoli e Martina Pignatti Morano, vicedirettore responsabile Francesco Ruotolo; la rivista si avvale di un consiglio scientifico di cui fanno parte alcune delle piu' prestigiose personalita' della ricerca nonviolenta italiane e internazionali, da Johan Galtung a Vandana Shiva. Raccomandiamo vivamente di abbonarsi; l'abbonamento annuo e' di 30 euro (per due numeri) da versare sul ccp n. 23780562 intestato a Plus, Pisana Libraria Universitatis Studiorum scrl, Lungarno Pacinotti 43, 56126 Pisa, tel. 0502212056, fax: 0502212945, specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha". Rocco Altieri e' docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri: La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998] Ideato nel semestre che ha accompagnato prima la minaccia e poi lo scatenamento della guerra contro l'Iraq da parte degli Usa e dei loro alleati, il terzo quaderno, che ora diamo alle stampe, non poteva sottrarsi a una necessaria riflessione sulla drammatica attualita'. Di fronte ad avvenimenti che sembrano ineluttabili, che ne' le massime autorita' morali, il papa innanzitutto, ne' milioni di uomini e donne che hanno manifestano per la pace sono riusciti a fermare, puo' determinarsi un facile scoramento, una disillusione, un senso di impotenza. Il contributo che noi vogliamo offrire e' una lettura nonviolenta degli avvenimenti, che dia nuova speranza e slancio di impegno, dando un aiuto alla ricostruzione di una coscienza storica delle cause della guerra, dei fattori scatenanti, e dei profondi cambiamenti che bisogna attivare per poter trascendere i conflitti, costruendo nuove realta' di pace. Il volume e' costruito in tre parti, che equivalgono ai tre passaggi necessari per realizzare una trasformazione nonviolenta dei conflitti. E' uno sviluppo che richiama da vicino la dinamica di un percorso educativo. Al primo posto abbiamo collocato i contributi che ci aiutano in una critica ai modelli ideologici dominanti (gli scritti di La Valle, Salio, Oberg, Galtung, Sertorio). Seguono i saggi utili a un processo etico-religioso di "coscientizzazione", di costruzione mentale e interiore di un'azione nonviolenta (gli scritti di Mattai, Altieri, Peyretti, Belforte-Pelissero, Terry Harris). Infine, gli studi utili ad attivare alternative funzionali agli istituti della violenza e della guerra (i saggi di Segre, Baskaran, Grimaldi, Sanfilippo). * Passiamo ad esaminare nel dettaglio i vari contributi. Raniero La Valle nel saggio su La nascita del nuovo impero analizza gli elementi di novita' presenti nel documento Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, varato in America nel settembre 2002, e che a tutti gli effetti va considerato come il manifesto della Nuova Destra in quanto, legando insieme aspetti politici, economici e militari in una filosofia che si puo' definire di "liberismo armato", rappresenta bene l'ideologia ispiratrice della fondazione dell'impero. Nanni Salio nel suo Perche' la guerra in Iraq? si interroga su quali sono le ragioni che stanno alla base di una guerra illegale e dichiarata anzitempo. Dopo aver scartato le piu' evidenti bugie e le mezze verita', passa in rassegna le principali ipotesi interpretative e alcuni scenari possibili. Jan Oberg in Bush prevarra', avra' la meglio o sara' disposto ad ascoltare e riflettere? affronta la questione del fondamentalismo politico del regime di Bush, elencando gli effetti distruttivi che esso sta procurando. Johan Galtung in Usa-Iraq: ci sono alternative e la resistenza e' possibile! traccia alcuni percorsi possibili per il movimento mondiale di opposizione alla guerra. Luigi Sertorio in Guerra e questione energetica: le vie del petrolio e del nucleare affronta il tema cruciale della questione energetica, spiegando come sia la scelta del petrolio, sia l'opzione nucleare, abbiano enormi implicazioni sociali per il futuro della pace nel mondo. Mentre la transizione al nucleare e' ad uno stadio avanzato in Francia e in Belgio, gli Stati Uniti sono rimasti ancora largamente dipendenti dalla sorgente petrolifera. La difesa americana del proprio accesso privilegiato a questa sorgente si sta mostrando, oramai in tutto il mondo, cruenta, come era stato anticipato dagli osservatori piu' attenti. Un futuro accesso su larga scala alla sorgente nucleare da parte degli Stati Uniti portera' con se' nuovi problemi di ristrutturazione sociale e industriale, legati al fatto che la rete di distribuzione elettro-nucleare e' diversa dalla rete del petrolio. Inoltre, i problemi di sicurezza e non proliferazione sono destinati a crescere nel tempo, coinvolgendo anche gli altri paesi. Giuseppe Mattai nel suo No alla guerra comunque aggettivata disegna il quadro teologico e storico di quell'esodo della Chiesa verso la pace, che ha portato Giovanni Paolo II e milioni di cattolici in tutto il mondo a opporsi alla guerra. Rocco Altieri in Il risveglio religioso dei popoli puo' sconfiggere la guerra, facendo un ampio ricorso alla teoria sociologica e al pensiero nonviolento, sviluppa un'analisi sul ruolo delle religioni nell'accendere il fuoco di una rivoluzione mondiale nonviolenta. Enrico Peyretti in Dieci tesi su religioni, violenza, nonviolenza scruta un cono d'ombra, spiegandoci quando e perche' le religioni sono una base culturale fondamentale per giustificare la violenza e come, al contrario, esse possano divenire protagoniste nel promuovere la cultura della nonviolenza. Marta Belforte e Alberto Pelissero nel saggio La nonviolenza nelle fonti della tradizione indiana indagano il significato profondo della parola sanscrita ahimsa (che solitamente rendiamo in italiano con nonviolenza) in tre delle principali tradizioni religiose dell'India: lo yoga, il jainismo, il buddismo, enfatizzando come l'idea di ahimsa connoti profondamente l'identita' personale e comunitaria. Il saggio La nonviolenza nell'Islam di Rabia Terri Harris propone una lettura degli avvenimenti che sono alle origini della fede islamica, offrendoci una chiave di lettura nonviolenta. Fondamentale e' l'esatta comprensione del concetto di jihad che non significa guerra santa, ma lotta o sforzo, dovendo anche distinguere tra al-jihad al-akbar, la "Lotta Maggiore", lo sforzo interiore per fronteggiare i nostri istinti piu' bassi, e al-jihad al-asghar, la "Lotta Minore", lo sforzo esterno volto a combattere l'ingiustizia sociale. Nella tradizione sufi e' possibile scoprire la sorgente piu' autentica di una interpretazione nonviolenta dell'Islam, conforme alla concezione musulmana del potere come servizio comunitario e impegno per la giustizia. Enrico Peyretti in un altro suo breve articolo, Il digiuno per la pace, presenta il senso spirituale del digiuno secondo la Bibbia, il Corano e Gandhi. Bruno Segre in La pace la fai con il tuo nemico, di fronte all'inasprirsi cruento del conflitto israeliano-palestinese, racconta l'esperienza di una grande utopia realizzata in un villaggio di Israele (Neve' Shalom, in ebraico, Wahat al-Salam in arabo), dove ebrei, cristiani, musulmani vivono insieme. Il professor Antonino Drago ha curato la traduzione di Shanti Sena: l'esercito della pace del Mahatma Gandhi, realizzando un lavoro di integrazione di due articoli di M. William Baskaran, usciti su "Gandhi Marg": Shanti Sena in 20th Century: Challenges and Answers, n. 21, gennaio-marzo 2000, pp. 419-430, e Mahatma Gandhi's Peace Army: A Paradigm, n. 23, gennaio-marzo 2002, pp. 429-440. M. William Baskaran, coinvolto direttamente nel realizzare lo Shanti Sena di Gandhi, vi espone la storia delle esperienze di questa istituzione nonviolenta, in India e nel mondo. Indica quale deve essere la preparazione personale adeguata a un simile tipo di attivita'; confronta gli obiettivi dello Shanti Sena con quanto e' stato proposto recentemente da parte dell'Onu e di altri organismi internazionali; ne valuta le prospettive rispetto alla situazione attuale. Il saggio di Giorgio Grimaldi, Il progetto del corpo civile europeo di pace, partendo da una riflessione introduttiva sul tema della sicurezza, concepita in una accezione multidimensionale, e sulla prevenzione dei conflitti violenti a livello internazionale, illustra il progetto di Corpo civile europeo di pace, elaborato e approvato dal Parlamento europeo sin dal 1995. Previsto come organo specifico dell'Unione europea nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune, finalizzato alla prevenzione e alla gestione dei conflitti e composto da civili (in parte professionisti ed in parte volontari o obiettori di coscienza), e' rimasto fino ad oggi una proposta teorica dalle promettenti potenzialita', evidenziate dall'azione concreta in aree di conflitto di analoghe esperienze promosse dalle ong e da alcuni stati. Vincenzo Sanfilippo in Il contributo della nonviolenza al superamento del sistema mafioso dopo avere individuato alcuni capisaldi del pensiero e del metodo nonviolento, ivi comprese alcune basi epistemologiche, analizza il fenomeno mafioso, non tanto come fenomeno criminale, ma partendo dall'analisi sistemica della societa' meridionale. Vengono cosi' rappresentati alcuni modelli in cui l'organizzazione mafiosa interagisce con i sottosistemi, conformando l'intero quadro societario. In un ottica "trasformativa" viene concentrata l'attenzione sul ruolo centrale del sottosistema culturale, che, agendo sulla trasmissione delle modalita' di pensiero, gioca un ruolo frenante o liberante per la consapevolezza degli attori del sistema stesso. L'attenzione viene posta sulle potenzialita' (anche sull'intero sistema) di alcuni processi in cui e' coinvolta la soggettivita' delle persone maggiormente esposte in quanto facenti parte delle organizzazioni mafiose o in quanto vittime delle stesse. In una prospettiva di pedagogia nonviolenta e tenendo conto di alcune ricerche in campo psicologico, viene problematizzato il ricorso al concetto di legalita'. Infine, siamo grati a Giorgio Montagnoli, figura singolare di scienziato e di poeta, per averci fatto il dono di poter pubblicare una breve raccolta di sue poesie sulla pace: La guerra sara' vinta. Sono testi preparati per il tradizionale incontro di "poesia per la pace" che alla fine di agosto si tiene annualmente a Monterchi, dove Vito Taverna ha fondato l'Archivio nazionale della poesia inedita: Poesie nel cassetto. Come ha scritto Giorgio nella introduzione alle sue poesie: "Il linguaggio poetico ci permette di apprezzare aspetti non tecnici del vivere, quali ad esempio la bellezza, la spontaneita', la gratuita'. Ritrova significati che esulano dall'interesse pratico, dalla spinta al guadagno e al progresso economico. Riesce a deviare l'interesse umano: rappresenta quanto e' unico, inaspettato, irripetibile, meraviglioso, e che sovrasta qualsiasi meta io abbia sognato di raggiungere, o risultato che mi sia proposto di ottenere. E' un'ottica che riallaccia i contatti con l'intimo svolgersi dei nostri giorni, restituendo loro pieno significato". 4. INIZIATIVE. USCIRE DALLA SUBALTERNITA' AL POTERE MILITARE La proposta che il 4 novembre le persone di volonta' buona impegnate per la pace promuovano iniziative pubbliche di ricordo delle vittime delle guerre, e commemorazioni dinanzi ai sacrari e ai monumenti ai caduti, in cui quegli esseri umani assassinati siano onorati con l'impegno solonne ad opporsi alle guerre ed ai loro strumenti e apparati; e in silenzio reverente e solenne, e severo ed austero, con la mera presenza ed ascolto, si smascherino l'ipocrisia e l'infamia del chiassoso e cialtrone festeggiare le strutture che quelle persone hanno assassinato; e' proposta che chiama quanti hanno orecchie per ascoltare a un gesto limpido e corale, di impegno e di esame di coscienza. Vorremmo venisse ripresa e riproposta ovunque in Italia l'iniziativa gia' realizzata lo scorso anno a Viterbo di una cerimonia pubblica il 4 novembre di deposizione di un omaggio floreale e di un recarsi e sostare in meditazione composta e silente dinanzi a lapidi e sacelli delle vittime delle guerre, cola' rinnovando un impegno di pace perche' mai pu' nessuno quell'atroce sorte debba subire, celebrazione in tutto alternativa alle fanfare e alle menzogne che connotano le cerimonie in quella data promosse in complicita' alle strutture che quelle vittime hanno assassinato. Si puo' e si deve uscire dalla subaternita' al potere militare e promuovere una coscienza di pace che si traduca - come peraltro gia' previsto nel corpus legislativo italiano - nella promozione di un modello di difesa - la difesa popolare nonviolenta - che inveri il dettato costituzionale che "ripudia la guerra"; e che si traduca altresi' nella decisione del disarmo e della smilitarizzazione, poiche' le armi servono a uccidere, gli eserciti servono a uccidere, e uccidere esseri umani e' il crimine piu' grande ed occorre che si cessi di commetterlo e di permettere che commesso sia; e che si traduca ancora e infine in aiuto a chi di guerre e violenze e' vittima presente ancora in vita (o potenziale e di gia' nel terrore) - un aiuto necessario e urgente affinche' la morte e la sofferenza non lo divori, e con lui l'umanita' intera. Si puo' e si deve far cessare l'ignobile festaggiamento delle "forze armate" che offende le vittime dalle forze armate assassinate; si puo' e si deve cominciare ad agire, anche con gesti simbolici e memoriali, di coscientizzazione propria ed altrui, di presa in carico e testimonianza personale - come appunto anche la realizzazione da parte dei movimenti di pace, umanitari e per la nonviolenza della commemorazione pubblica delle vittime delle guerre - l'idea che il quattro novembre, ricordo che non cicatrizza della "inutile strage", cessi di essere per i pubblici uffici e nel comune sentire occasione per una vile idolatria dei poteri uccisori e delle ideologie della morte, e diventi piuttosto la cerimonia dell'impegno contro le guerre e contro gli strumenti e apparati alle guerre intesi; la festa dell'abolizione delle forze armate. Poiche' - come ha scritto una volta Heinrich Boell - ogni vittima ha il volto di Abele; e solo costruendo la pace si ricordano e si onorano in commozione e devozione filiale, fraterna e sororale, le vittime di tutte le guerre; e solo impedendo nuove guerre si adempie al messaggio che dai luoghi al ricordo di quelle vittime deputati promana: la voce del coro degli assassinati, che chiede ancora e ancora pace, e luce, e vita. 5. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COME RISPONDERE A SITUAZIONI DI CONFLITTO INTERPERSONALE IN CUI VI E' MINACCIA O PRESENZA DI VIOLENZA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] E' una richiesta che, durante i seminari, mi viene fatta di continuo: come rispondere alle varie forme di violenza personale di cui siamo spesso testimoni? L'idea di base per la risposta e' che voi avete il diritto di sentirvi sicuri/e in ogni momento della vostra esistenza. Fermatevi un attimo su questo punto e ripetetelo a voi stessi/e: voi avete questo diritto, ed esso comporta il vostro intervento nonviolento per modificare la situazione, intervento che modellerete creativamente a seconda dei confini personali che date alle aree di sicurezza ed alle aree di rischio nella vostra vita. Il primo passo e' riconoscere gli ostacoli che impediscono, in genere, di sentirsi sicuri e confidenti: la sensazione di isolamento, l'essere emotivamente vulnerabili a situazioni che rimandano a violenze gia' vissute, il percepirsi privi di potere, il reiterare linguaggi e comportamenti da "vittima predestinata". Non dico che sia un passo facile da compiere, e so per esperienza che comporta tempo e fatica, ma e' un passo necessario. A dirigere normalmente le nostre azioni di fronte alla violenza c'e' una sorta di "bagaglio" che ci portiamo dietro, fatto della nostra storia personale, delle nostre paure e aspettative, degli stereotipi che nutriamo. Questo fardello tende a desensibilizzare i segnali di allerta che il nostro corpo ci manda e distorce o cancella l'impulso di intervenire perche' la violenza cessi (la cronaca riporta di continuo notizie di aggressioni e violenze perpetrate sotto gli occhi di numerose persone apparentemente indifferenti a cio' che accade ad un altro essere umano). Man mano che ci liberiamo dagli schemi di pensiero/azione che ci bloccano, dobbiamo riempire i vuoti con schemi di prevenzione e protezione fino ad interiorizzarli; cio' significa che dopo un po' finiremo per usarli "automaticamente". Per confrontarci con la situazione violenta ed agire per modificarla abbiamo bisogno di un luogo sicuro da cui partire, a cui ancorarci: il nostro personale allarme corporeo provvede questa solida ancora. Si tratta di una sensazione fisica interiore (la stretta allo stomaco, la fitta al ventre, il formicolare della pelle, ecc.) che varia da persona a persona, ma che ha il medesimo scopo di renderci coscienti di un pericolo. Riconoscere il segnale, entrare in contatto con esso, ci fornisce una consapevolezza centrata sul corpo, che possiamo usare per proteggere noi stessi e gli altri. Lo schema si presenta in questo modo: 1) Io "sento" la violenza, la percepisco. La definizione di essa non viene dall'esterno, ma da cio' che il mio corpo prova rispetto ad essa. 2) Che diritto ho di intervenire? Intervenendo per prevenire o arrestare la violenza, io agisco in difesa del mio diritto di sentirmi sicuro/a in ogni momento della mia esistenza. Operare un intervento nonviolento e' cosa che io faccio tanto per il mio benessere quanto per quello altrui. 3) Mi impegno a compiere un passo. Ogni ulteriore azione dipendera' dalla mia percezione del rischio, dai miei sentimenti, e dalle abilita' di intervento che ho sviluppato. 4) Un intervento nonviolento e' un'avventura in sicurezza. La creativita', la novita' dell'intervento nonviolento permette la modifica di cio' che si suppone debba accadere: molti sviluppi sono possibili. 5) L'intervento nonviolento e' immediato. La risposta all'atto violento e' "qui ed ora" e in questo senso approcci complementari, come la negoziazione e la mediazione, possono essere piu' appropriati in seguito. 6) L'intervento nonviolento e' partecipazione volontaria, basata sulla mia scelta: non c'e' nulla che io debba o che sia costretto a fare. 7) L'intervento nonviolento e' non-eroico. E' un'azione ordinaria, compiuta da una persona comune come me. 8) L'intervento e' nonviolento: i livelli di violenza o di vittimizzazione non ne vengono incrementati. * In genere, noi crediamo di avere a disposizione solo due opzioni: non fare nulla (il che riflette uno stato di impotenza e/o di negazione) o agire "eroicamente". Invece, dai piu' piccoli passi a quelli che comportano maggiori livelli di rischio, noi potremmo andare avanti a creare sistemi di intervento nonviolento all'infinito. Ecco di seguito un'ipotesi della progressione nell'intervento (ricordate che e' solo un esempio, sforzatevi di immaginare cosa potreste aggiungervi). Siete in presenza di un atto violento: una molestia, un'aggressione fisica o verbale, ecc.: - Prestate attenzione a cio' che accade: vedete cio' che sta accadendo, "sentite" il pericolo. - Interrompetevi: smettete di fare cio' che state facendo e portate l'atto di cui siete testimoni al centro della vostra attenzione. - Chiamate aiuto: le altre persone vicine a voi, la polizia. Suonate l'allarme. - Giratevi o muovetevi in direzione della violenza: e' probabile che cio' vi faccia sentire piu' sicuri che voltare le spalle o fuggire. - Osservate: guardate e fate in modo che il vostro guardare sia manifesto, evidente. Parlate di cio' che vedete con le persone vicine, con i passanti. - Testimoniate: prendete note mentali o scritte. Chi sta dicendo che cosa? Chi sta facendo che cosa? Memorizzate la sequenza degli eventi. - Entrate nella scena facendo domande: "Cosa stai facendo?", "Sai cosa stai facendo?". Oppure, alla persona vittimizzata: "Hai bisogno di aiuto?", "Ti senti male?". Fare domande ci aiuta a capire cosa sta succedendo ed a sapere con chiarezza se il nostro aiuto e' necessario e/o desiderato. In alcuni casi, potete usare formule di comando: "Smetti di picchiare questo bambino", facendo attenzione a pronunciare la frase in modo non minaccioso (urlare "Smettila o ti ammazzo", per esempio, da' per sicura l'escalation della violenza). Le domande sono invece l'offerta di una mano tesa, e tendono a ridurre il rischio. Un altro modo ancora di entrare nella scena e' dire agli attori come vi sentite, cosa provate: "Mi fa male vedere questo". - Distraete: siate teatrali, create una scena alternativa. Usate l'umorismo. Parodiate o ripetete male quello che avete udito (serve ad esempio a togliere potere agli insulti). Fate rumore, cantate, fischiate, ondeggiate a passo di danza, siate "folli". Fate domande che non c'entrano nulla: "Scusi, questa e' la fermata del 53?", "Hai da accendere?". Se riuscite ad attrarre l'attenzione su di voi che declamate poesie in un locale pubblico, che fate capriole in una piazza, o che vi mettete a ballare il tip tap nell'atrio della scuola, e' facile che l'azione violenta si interrompa. - Rispecchiate: imitate quello che vedete accadere come in una pantomima. Questo puo' aiutare le persone coinvolte nell'azione violenta a vedere l'assurdita' dello schema in cui sono incastrate. - Create un'alternativa positiva: se non siete da soli, abbracciate le persone che vi accompagnano, dite loro ad alta voce quanto le amate o le apprezzate. Mostrate come la situazione potrebbe essere (ad esempio, qualcuno sta maltrattando la propria fidanzata e voi abbracciate e baciate la vostra). - Prendete il centro della scena intensificando la vostra azione: se stavate parlando, parlate piu' forte. Se stavate leggendo, cominciate a leggere a voce alta. - Mostrate quanto la violenza vi annoia: questo funziona bene quando lo schema violento vi e' familiare, si ripete spesso. Sbadigliate, dicendo: "Ancora? Ci risiamo? Che noia!". - Descrivete cio' che vedete: "Questo sembra doloroso", "Mi pare che lei/lui non voglia farlo", "Mi sembra che lui/lei non voglia questo". Aspettate una risposta, ripetete la domanda se la risposta non arriva. - Usate il vostro corpo: mettetelo in mezzo, per esempio camminando fra due persone. * Spesso e' importante essere persistenti: ripetete le vostre domande o le vostre azioni. Non abbiate paura di essere ridicoli o di essere giudicati strambi: fate cio' che vi sentite di fare accordando la vostra azione al vostro senso di sicurezza personale ed alle vostre capacita' di intervento. 6. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO, "LENGUAJE Y CONOCIMIENTO", 1980 [Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali collaboratrici di questo foglio. Ha organizzato a Viterbo insieme ad altri il "Tribunale per i diritti del malato"; assistente sociale, ha svolto un'esperienza in Germania nell'ambito dei servizi di assistenza per gli emigrati italiani; rientrata in Italia si e' impegnata nel settore educativo; per dieci anni ha prestato servizio di volontariato in una casa-famiglia per l'assistenza ai minori; dal 1987 e' insegnante di ruolo nella scuola per l'infanzia; ha preso parte a varie iniziative di pace, di solidarieta', per i diritti; ha tenuto relazioni a convegni e corsi di aggiornamento, e contribuito a varie pubblicazioni. Emilia Ferreiro, argentina, docente in Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del processi di alfabetizzazione; e' di fondamentale importanza il suo contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985. Jean Piaget (di cui Emilia Ferreiro e' stata allieva e collaboratrice, e su cui ha scritto vari saggi) e' nato a Neuchatel nel 1896 e scomparso a Ginevra nel 1980; e' uno dei maestri della psicologia contemporanea, i suoi studi di psicologia, sui processi cognitivi, sull'infanzia, sull'epistemologia, costituiscono contributi fondamentali in questi campi. Per una prima introduzione cfr. il libro-intervista di taglio divulgativo curato da Richard Evans: Jean Piaget, Cos'e' la psicologia, Newton Compton, Roma 1989 (il libro contiene anche alcuni scritti di e su Piaget, la nota Autobiografia, ed una bibliografia generale); tra le opere su Jean Piaget come punto di partenza segnaleremmo AA. VV., Jean Piaget e le scienze sociali, La Nuova Italia, Firenze 1973. Ovviamente la bibliografia di e su Piaget e' immensa. Noam Chomsky e' nato a Philadelphia nel 1928. Illustre linguista, docente universitario al Mit di Boston, e' uno degli intellettuali americani piu' prestigiosi. Da decenni impegnato per i diritti civili e dei popoli, contro la guerra e l'imperialismo. Tra le opere di Noam Chomsky, relativamente agli scritti di linguistica e filosofia del linguaggio (ma non solo) qui segnaliamo: L'analisi formale del linguaggio, Filosofia del linguaggio, La grammatica trasformazionale-generativa, problemi di teoria linguistica, La grammatica trasformazionale-generativa. Saggi espositivi, Saggi di fonologia, tutti presso Boringhieri, Torino; Le strutture della sintassi, Intervista su linguaggio e ideologia, entrambi presso Laterza, Bari; Conoscenza e liberta', Riflessioni sul linguaggio, entrambi presso Einaudi, Torino; Forma e interpretazione, Regole e rappresentazioni, entrambi presso il Saggiatore, Milano; Linguaggio e problemi della conoscenza, presso Il Mulino, Bologna; per quanto riguarda gli scritti di intervento civile segnaliamo almeno I nuovi mandarini, La guerra americana in Asia, Riflessioni sul Medio Oriente, tutti presso Einaudi, Torino; La quinta liberta', Alla corte di re Artu', Illusioni necessarie, tutti presso Eleuthera, Milano; Anno 501: la Conquista continua, I cortili dello zio Sam, Il club dei ricchi, tutti presso Gamberetti, Roma; La societa' globale (con Heinz Dieterich), presso La Piccola, Celleno (Vt); Linguaggio e liberta', La fabbrica del consenso, Sulla nostra pelle, Atti di aggressione e di controllo, 11 settembre, Dopo l'11 settembre, presso Marco Tropea, Milano; Il conflitto Israele-Palestina e altri scritti, presso Datanews, Roma; Il potere dei media, presso Vallecchi; Il potere, prersso gli Editori Riuniti, Roma; Guerra ed economia criminale presso Asterios, Trieste. Opere su Noam Chomsky: la monografia migliore e' di J. Lyons, Chomsky, Fontana Press, London 1991. In italiano esistono molti studi su Chomsky linguista e sulla grammatica generativa trasformazionale, ma a nostra conoscenza non c'e' una monografia complessiva su Chomsky come intellettuale pacifista ed attivista per i diritti umani e dei popoli. Interessante ed utile il volume che raccoglie il dibattito su e tra Jean Piaget e Noam Chomsky, con contributi di vari altri studiosi: Theories du langage. Theories de l'aprentissage, Seuil] Data di edizione: ottobre 1980. Tipo di documento: conferenza in convegno; testo dattiloscritto. Titolo: Lenguaje y conocimiento. Luogo di edizione: Mexico. Pagine 24. Fonte: Semana de Piaget, organizzata dalla Universidad Pedagogica Nacional e dalla Direccion General de Educacion Especial. Mexico, ottobre 1980. Lingua: spagnolo. Abstract: il testo pone le domande fondamentali sulla relazione tra linguaggio e conoscenza, individua le caratteristiche peculiari del linguaggio che ne fanno un oggetto complesso, tratteggia l'evoluzione degli studi linguistici realizzati da Piaget e nel Centro Internazionale di Epistemologia Genetica. * Sintesi Nell'impostare il discorso epistemologico sulle relazioni tra linguaggio e conoscenza si evidenzia la netta opposizione che contrappone le posizioni teoriche di Piaget all'empirismo logico, per il quale si fa esplicito riferimento a B. Russel, R. Carnai, W. Quine. Vengono schematicamente definiti nodi fondamentali su cui si centrano le due posizioni. "Per l'empirismo logico (...) la nostra conoscenza del mondo muove dai dati sensoriali, che sono la materia prima della conoscenza. Quando a questi dati sensoriali aggiungiamo le parole che li denotano abbiamo le parti elementari del sistemo che sono i "termini derivati dall'osservazione". Ma come dai "dati d'osservazione" non puo' scaturire il ragionamento logico, non possono scaturire le regole di deduzione ne' l'evidenza logica, e' necessario aggiungere un'altra fonte di conoscenza alla conoscenza sensoriale, considerata come primaria. Questa nuova fonte e' il linguaggio; piu' specificamente la sintassi logica del linguaggio" (p. 1). Per Piaget, invece, "il linguaggio non costituisce l'origine della logica ma (...), al contrario, il linguaggio e' strutturato dalla logica." (p. 2). O meglio, "l'origine della conoscenza, di ogni conoscenza, si situa nell'azione, nell'azione e nei processi di coordinamento tra le azioni; non nell'azione isolata, bensi' nei processi di strutturazione che si realizzano a partire dall'azione. (...) Nei termini della risposta piagettiana [al problema dell'origine della conoscenza logico-matematica] la logica e' anteriore al linguaggio; e' anteriore al linguaggio perche' procede dall'azione; c'e' un'anteriorita' genetica dell'azione rispetto al linguaggio e della logica che nasce dall'azione rispetto alla logica implicata nel linguaggio". Tuttavia questa risposta non chiude tutti i problemi, ma molti ne apre. Almeno quattro domande fondamentali sussistono a questa risposta. 1. "Quali sono le condizioni che rendono possibile l'acquisizione del linguaggio? (...) Sebbene l'organizzazione senso-motoria sia sicuramente un requisito dell'acquisizione del linguaggio, (...) bisogna mostrare esattamente (...) i nessi di filiazione [con l'una o l'altra delle acquisizioni senso-motorie] e non semplicemente segnalare un antecedente cronologico" (p. 3). 2. "Quali sono le relazioni tra i livelli di organizzazione del linguaggio e i livelli di organizzazione del pensiero"? (p. 3). 3. "Esistono livelli di pensiero che necessitano del linguaggio?" (p. 3). Il linguaggio, nel pensiero di Piaget, e' condizione necessaria ma non sufficiente per la costituzione delle operazioni formali. 4. "Esisteranno problemi cognitivi che sorgono a causa del linguaggio? In altri termini: il linguaggio non costituira' un certo 'spazio di problemi cognitivi'? (...) Non saranno esattamente i problemi cognitivi che sorgono a proposito dell'acquisizione del linguaggio quelli che determinano la zona privilegiata di problematizzazione cognitiva in questo periodo? E se cio' fosse cosi', quale sarebbe la relazione tra questi problemi cognitivi relativi all'acquisizione del linguaggio e lo sviluppo operatorio stesso?" (p. 5). * Il testo prosegue individuando alcune caratteristiche del linguaggio che lo rendono peculiarmente un oggetto complesso. - "Il linguaggio assolve una funzione comunicativa innegabile. (...) Inoltre, il linguaggio si apprende in un contesto di comunicazione e gli studi contemporanei sulla relazione madre-bambino, sul dialogo preverbale e sopra il dialogo prelinguistico all'inizio dell'acquisizione del linguaggio mostrano molto chiaramente come entrambi i partecipanti al dialogo progrediscano reciprocamente realizzando inferenze, facendo congetture, tentando di arrivare ad accordi su un lessico comune. Questi lavori ci danno una immagine che non ha niente a che vedere con l'immagine classica dell'acquisizione del linguaggio secondo la quale il bambino non farebbe nulla di piu' che ripetere il modello sonoro che ha ascoltato da parte degli adulti e, nel migliore dei casi, associarlo ad un qualche referente presente e denotato nel momento dell'emissione" (p. 6). - Il linguaggio "contribuisce all'identificazione nazionale e all'identificazione di gruppi socioculturali" (. 6). Questa dimensione ha un impatto rilevante nella vita scolastica "dove situazioni di rifiuto o discriminazione linguistica possono comportare difficolta' di apprendimento assolutamente innegabili" (pp. 6-7). - "Il linguaggio costituisce, inoltre, uno strumento privilegiato di rappresentazione" (p. 7). Esso partecipa della "funzione semiotica" (definita come "quella che ci consente di operare con sostituti" p. 7) insieme al gioco simbolico, all'imitazione differita e all'immagine mentale, ma si differenzia da queste per diversi aspetti. In primo luogo e' sociale e non individuale, come l'immagine mentale; inoltre, "i segni linguistici costituiscono un sistema" (p. 7). In funzione del carattere "bifasico" (F. De Saussure) dei segni linguistici essi partecipano dei due sistemi: quello fonetico, che afferisce ai significanti, e quello semantico che, afferendo ai significati, impatta sulle diverse possibili visioni del mondo. "Qui sorgono le classiche domande se sia il linguaggio che crea la nostra visione del mondo, imponendo le distinzioni che dobbiamo fare, oppure se vi siano requisiti cognitivi universali che impongono una certa organizzazione ai linguaggi naturali. Se ci sia un'organizzazione del mondo previa al linguaggio o se sia il linguaggio ad organizzare il mondo" (pp. 9-10). - Il linguaggio "non e' semplicemente un insieme di parole" (p. 10), ma anche un insieme di regole di composizione e di strutture sintattiche. - Il linguaggio puo' essere oggetto di conoscenza e di riflessione metalinguistica, piuttosto che mero strumento di comunicazione. "Questa riflessione metalinguistica presuppone una presa di coscienza di questo oggetto, cio' che Piaget chiama, in lavori degli ultimi anni, un processo di tematizzazione, definita come una concettualizzazione cosciente che trasforma in oggetto di riflessione cio' che era strumento di azione" (p. 10). * In funzione della complessita' del linguaggio "e' necessario precisare a cosa ci stiamo riferendo ogni volta che diciamo che stiamo parlando del linguaggio" (p. 10). In questa prospettiva si passa in rassegna l'evoluzione dell'approccio di Piaget allo studio del linguaggio, e l'evoluzione degli studi connessi al linguaggio realizzati nel Centro Internazionale di Epistemologia Genetica, precisando che "il contributo personale di Piaget sul linguaggio non e' comparabile a quello che egli realizzo' in altri campi; senza dubbio, i contributi della psicolinguistica genetica sviluppati a Ginevra e ispirati alla teoria di Piaget, sono invece importanti nel quadro della psicolinguistica attuale" (p. 10). L'elaborazione di Piaget e della sua scuola, viene articolata in due grandi periodi. Il primo si colloca all'inizio della sua opera di psicologo, quando il suo interesse verteva sul linguaggio "come manifestazione di cio' che egli chiamava allora l''intelligenza verbale'. I suoi due primi libri si intitolano Il linguaggio e il pensiero nel bambino e Il giudizio e il ragionamento nel bambino e entrambi portano lo stesso sottotitolo: Studi sulla logica del bambino. Questo sottotitolo mostra chiaramente quale sia l'intenzione di questi due libri. Nel primo libro Piaget studia gli interscambi verbali tra bambini dai 4 ai 7 anni, fa una classificazione dettagliata dei 'perche'' infantili, studia la comprensione verbale e le spiegazioni verbali dei bambini. E' la' che propone la nozione di linguaggio egocentrico, nozione che diede luogo a una incredibile quantita' di controversie e fraintendimenti. I fraintendimenti sulla nozione di egocentrismo provengono, come sempre, da una incomprensione delle intenzioni epistemologiche dell'investigazione psicologica di Piaget (...). Perche' l'egocentrismo di cui parla Piaget non si definisce fondamentalmente per le caratteristiche linguistiche ma per la posizione del soggetto rispetto all'assunzione di conoscenza. L'egocentrismo e' l'indifferenziazione del punto di vista proprio da quello degli altri, o la indifferenziazione tra l'attivita' propria e le trasformazione dell'oggetto; e' la difficolta' di coordinare differenti prospettive sulla stessa realta' ed e' precisamente per questa difficolta' di coordinare prospettive che si adotta il punto di vista proprio sull'oggetto come se fosse l'unico, esattamente perche' si ignora che e' solamente un punto di vista possibile all'interno di una molteplicita' di prospettive" (pp. 11-12). Con gli studi successivi, testimoniati dalla pubblicazione della trilogia composta da La nascita dell'intelligenza, La costruzione del reale e La formazione del simbolo, arriva ad "affermare che la logica procede dall'azione e non dal linguaggio. E' a partire da allora che il linguaggio e' rimosso, negli studi piagettiani, dalla posizione centrale che occupava (...) e rimane subordinato all'analisi dell'azione. E' molto interessante vedere come anche gli inizi del linguaggio siano considerati in termini di azione da Piaget. Per esempio, (...) ne La formazione del simbolo, dice testualmente: 'La denominazione non e' la semplice attribuzione di un nome, ma l'enunciato di una azione possibile'. In questo modo vincola le prime parole apprese con gli schemi di azione e non con le proprieta' oggettive del referente, cioe' dell'oggetto in questione. In questa epoca inoltre si produce l'abbandono dei metodi puramente verbali di intervista che avevano caratterizzato il metodo clinico al suo inizio. Il metodo clinico si trasforma in metodo critico, conservando gli elementi positivi della conversazione libera con il bambino ma aggiungendovi un dato molto importante, una situazione nella quale in bambino possa agire; a partire da allora le risposte verbali sono considerate allo stesso livello della manipolazione nel bambino e non come un tipo privilegiato di risposta. A partire da allora Piaget non studia piu' il linguaggio come tale. Questa e' la fine della prima epoca" (pp. 12-13). * La seconda epoca inizia intorno agli anni 1965-1968, si colloca nel contesto della scuola di Piaget e deriva dalla confluenza di due fatti. "La rivoluzione prodotta nella psicolinguistica dalle teorie grammaticali di Noam Chomsky" (p. 13) e la costituzione di un gruppo di psicolinguistica nell'Universita' di Ginevra, con la presenza di Hermine Sinclair e di cui fa parte sin dall'inizio Emilia Ferreiro. "Questo gruppo si costituisce su basi completamente differenti da quelle iniziali; cioe', invece di studiare il linguaggio per comprendere il pensiero, che era l'intento iniziale di Piaget, a partire da questo momento si comincia a studiare il linguaggio sulla base di una teoria dello sviluppo del pensiero. Ci sono molti punti della teoria di Chomsky che risultano convergenti con la teoria di Piaget" (. 13): - l'anticomportamentismo radicale; - il ruolo creativo del soggetto; - "la congiunzione tra la formalizzazione rigorosa (...) e la ricerca di metodi di ricerca non tradizionali" (p. 14); - "la possibilita' di porre in parallelo un'analisi strutturale dello sviluppo del pensiero con un'analisi strutturale del linguaggio (lo strutturalismo chomskiano e' piu' vicino a quello piagettiano, e differisce dalla linguistica strutturale perche' e' uno strutturalismo trasformazionale)" (p. 14); - "la ricerca di universali linguistici (...) che, deplorabilmente, conduce Chomsky all'innatismo, introducendo qui il punto piu' grave di divergenza con la teoria di Piaget" (p. 14). Il gruppo di psicolinguistica dell'Universita' di Ginevra trascura la questione dell'innatismo come questione da cui si possa prescindere e di fatto inverificabile e si concentra sui "problemi di acquisizione di strutture sintattiche nel bambino" (p. 14), (la forma passiva, le relazioni temporali, le subordinate relative, le condizionali), per poi passare ad altri aspetti, quali la ricerca "sui valori 'aspectuales' del verbo, sui modificatori del sostantivo, sull'utilizzazione di presupposizioni nel dialogo, sugli inizi dell'interazione verbale madre-bambino e sulla possibilita' di riflessione metalinguistica" (p. 15). Gia' dai primi lavori "apparvero linee molto chiare di convergenza tra certi momenti privilegiati di organizzazione del linguaggio e gli stadi conosciuti dell'organizzazione cognitiva. Siamo molto lontani dal potere stabilire una teoria dell'acquisizione del linguaggio che possa integrarsi con la teoria dello sviluppo cognitivo" (p. 15). Cio' anche perche' il periodo di maggior rilevanza per lo sviluppo del linguaggio, quello compreso tra i 2 e i 4 anni, e' quello meno studiato dall'analisi piagettiana. "In cambio, cio' che comincio' ad emergere chiaramente, gia' a partire dal lavoro sulle relazioni temporali, fu la possibilita' di comprendere che tipo di problemi cognitivi comportasse l'acquisizione del linguaggio. Alla visione semplicista delle cose secondo la quale le operazioni si costituiscono seguendo una linea di sviluppo autonomo e una volta costituite si applicano alla soluzione di diversi problemi, e' necessario opporre la visione dialettica dello sviluppo secondo la quale la resistenza dell'oggetto rispetto allo schema assimilatore e' tanto essenziale quanto l'assimilazione stessa, assimilazione senza la quale l'oggetto non puo' convertirsi in oggetto di conoscenza. E' in questa prospettiva che si fa strada la possibilita' di una soluzione differente al problema delle relazioni tra sviluppo cognitivo e sviluppo del linguaggio: non si tratta di ridurre il linguaggio al pensiero (riduzione parallela alla riduzione neopositivista della logica al linguaggio), ma di far derivare entrambi, tanto il linguaggio che la logica, dall'organizzazione generale delle azioni e dai processi di riequilibrazione" (p. 16). Afferma Piaget nella prefazione a Les relations temporelles dans le language de l'enfant: "Potrebbe succedere che, in tutti i domini contemporaneamente, quando si pone un problema comune sotto una forma piu' o meno isolabile o mescolata con altre, il soggetto reagisca con lo stesso gioco di regolazione, con equilibrazione per compensazione delle perturbazioni, arrivando cosi' a una struttura di grado diverso di generalita', operazione o funzione preoperatoria. (...) In cio' che riguarda il problema delle relazioni tra le operazioni o preoperazioni cognitive e il linguaggio, questo equivarrebbe a dire che le operazioni non guidano il linguaggio dal di fuori secondo una azione a senso unico, ma che i progressi del linguaggio sono dovuti ad un meccanismo regolatore o organizzatore ad un tempo interno e solidale con le altre forme dello stesso processo che agisce allo stesso livello in altri domini. L'operazione o la preoperazione logica o matematica costituirebbe allora simultaneamente il risultato di cio' che c'e' di comune in queste diverse equilibrazioni e la cristallizzazione strutturale di questo funzionamento nei domini nei quali si converte in un fine in se' stesso" (p. 16). La Ferreiro, commentando la citazione, conclude che questo testo permette di intravedere "la potenza dello schema dell'equilibrazione come schema esplicativo dello sviluppo" (p. 16). Per esemplificare questo si avvale di un esempio tratto dall'acquisizione della lingua scritta, citando il caso di una bambina che disponendo di soli quattro caratteri, arriva a modificarne l'ordine sequenziale per scrivere parole diverse rispettando cosi' sia la regola della quantita' minima che la regola della molteplicita' dei caratteri. Questo esempio di creativita' e' simile a molti altri di creativita' nel linguaggio, che puo' definirsi come "produzione di qualcosa di nuovo secondo un sistema di regole. (...) La produttivita', cioe' la possibilita' di produrre costantemente nuovi messaggi, e' una delle caratteristiche essenziali dei linguaggi umani. Nel dominio cognitivo la creativita' e' determinata dall'insieme di relazioni possibili all'interno di un sistema; e' il livello di strutturazione quello che varia e quello che conferisce legittimita' alla creazione" (pp. 18-19). * Il saggio si conclude individuando il contributo piagettiano all'esplorazione di nuovi campi di conoscenza, quali la genesi di oggetti socio-culturali (tra cui la scrittura), in una metodologia di ricerca che consenta di incontrare l'inaspettato, il non-previsto. Da ultimo vengono poste due precisazioni. La prima illustra la differenza tra metodo clinico e metodo critico. La seconda pone in relazione la creativita' del bambino e i problemi di apprendimento, sostenendo l'ipotesi che si tratti piuttosto di problemi di insegnamento, in cui le difficolta' del bambino derivano dall'incomprensione che ne ha la scuola. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 648 del 20 agosto 2003
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