La nonviolenza e' in cammino. 648



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 648 del 20 agosto 2003

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: la scelta etica ed ermeneutica della sobrieta'
2. Un incontro e un appello da Assisi a Gubbio
3. Rocco Altieri: presentazione di "Quaderni satyagraha" n. 3
4. Uscire dalla subalternita' al potere militare
5. Maria G. Di Rienzo: come rispondere a situazioni di conflitto
interpersonale in cui vi e' minaccia o presenza di violenza
6. Maria Luigia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro, "Lenguaje y
conocimiento", 1980
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: LA SCELTA ETICA ED ERMENEUTICA DELLA
SOBRIETA'
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Tempo addietro "Azione nonviolenta", la rivista del Movimento Nonviolento,
mi chiese di scegliere una parola da commentare tra quelle che proponeva per
una sua riflessione: scelsi "sobrieta'". Vorrei mantenere il termine per
sottolineare le intenzioni che connetto all'incontro di Gubbio.
Sobrieta' infatti mi sembra parola di giusta misura per indicare il rapporto
tra persone e cose, terra e abitanti, produzione e consumi; ha anche un
suono eticamente gradevole, non severo e punitivo come "austerita'", non
lassista come "consumismo", non  cattedratico. Intendo applicare il termine
sobrieta' (che e' in fin dei conti la traduzione  positiva della coscienza
del limite) alle definizioni di cui ci serviamo.
*
Globalizzazione ad esempio e' un termine non sobrio, bensi' portatore in se'
di una idea di dominio totale sul pianeta, le sue risorse e gli accessi ad
esse da parte di tutti e tutte le abitanti della dolce terra, che ad esse
hanno lo stesso diritto fondamentale e non revocabile da nessuna politica
degna di questo nome. Mi pare da rifiutare e da sostituire con termini piu'
misurati diversificati e locali.
*
Il secondo termine che vorrei usato con sobrieta' e in modo non acritico e'
"comunita' scientifica", locuzione accreditata di una grande carica di
solennita' e autorita'.
A me basta ricordare che i piu' famosi fisici dellanostra epoca inventarono
la bomba atomica, la costruirono e proposero al presidente di allora degli
Usa di usarla avvisandolo che non sapevano che cosa sarebbe successo. Che
famosi chimici dei laboratori Bayer inventarono l'eroina come smisurata e
non sobria ("eroica" appunto, una delle ragioni per cui non mi fido degli
eroismi) sostituta della morfina (scoperta precedentemente e della quale
gia' si conosceva l'effetto di dipendenza): per avere qualcosa di piu'
efficace contro il dolore. Scienziati inventarono i gas (Zyklon B) che
passarono per il camino milioni di ebrei e di oppositori politici, rom e
gay. "Perfezionamenti" dell' atomica sono da attribuirsi a scienziati, come
del resto tutta la fortissima ricerca militare:  vorrei tanto che i
predicatori di turno sempre pronti a condannare donne che abortiscono, che
si prostituiscono, ecc. mettessero tra i delitti da condannare moralmente
senza appello quelli di chi disegna inventa progetta e costruisce armi di
distruzione di massa eventualmente da vendere al dittatore di turno o anche
da usare "democraticamente".
I disastri legati ad applicazioni non sobrie di raffinate tecnologie
scientifiche all'agricoltura non si contano: dalla distruzione di derrate
alimentari prodotte in quantita' commercialmente "esuberanti" (stive cariche
di burro buttato a mare); al disastro della "rivoluzione verde", a Bhopal,
alla mucca che forse per umanizzarla chiamiamo "pazza", alla notizia
orripilante che venti milioni di polli sono stati di recente distrutti in
Olanda perche' colpiti da peste avicola. Gia' l'idea di allevare milioni di
polli reclusi e' disgustosa e basterebbe a far diventare vegetariano
chiunque, se non fosse che anche pere, mele e verdure sono minacciate da
pesticidi, riduzione della biodiversita', interventi genetici scusati con lo
spaccio di bugie: i cibi non mancano, sono mal distribuiti perche' soggetti
solo al profitto: le sementi ogm sono sterili e i contadini indiani
sudamericani africani costretti a ricomprarle ogni anno diventano  schiavi
che lavorano per le multinazionali alimentari. Che gia' hanno dato prova di
se' spacciando prodotti scaduti o non testati, o con effetti devastanti
(Nestle'), o dei quali al massimo dicono senza prove sufficienti che "non
sono dannosi": ma i cibi debbono essere utili, non basta che non facciano
danno.
Una domanda  sobria verso la "comunita' scientifica" si formula cosi': chi
ne fa parte e con quali titoli e criteri di ricerca e  da chi sono pagate le
ricerche? E ancora: perche' dovremmo fidarci della famosa comunita'
scientifica che ci dice che "non  fanno male"? Gia' ci disse che il
talidomide poteva essere preso in gravidanza fino a quando non nacquero
focomelici in Europa e non negli Usa perche' una scienziata  della Fda (Food
and drug agency) ne vieto' l'uso negli Usa appunto. Sembra di poter dire che
la famosa "comunita' scientifica" comprata come niente dalle multinazionali,
dagli stati maggiori ecc. deve almeno sottoporsi al giudizio, esame e
valutazione da parte di luoghi di ricerca pubblici che non perseguano il
profitto ma i diritti, la salute ecc. Le loro opinioni debbono essere rese
pubbliche e l'accesso alle informazioni aperto e largo.
*
Oggi vediamo quasi la fine di un lungo cammino di distruzione della nostra
casa comune, la terra, depredata, resa sterile, incendiata.
Mettiamoci a dire forte: la dimensione degli interventi deve essere
proporzionata, calcolata in modo da non distruggere equilibri vitali, da non
opprimere la terra, l'aria, l'acqua.
E agire di conseguenza chiedendo ai programmi delle forze politiche,
sociali, ecc. che si esprimano chiaramente in proposito.
Chi propone di abbassare i prezzi dei condizionatori o di fare piu' centrali
per l'energia o guerre per conquistare le fonti e'  ubriaco e non sobrio;
chi ha in programma una migliore diversificazione della produzione di
energia pulita, misure per non sprecarla, e per "rientrare"
dall'inquinamento dell'atmosfera va in una giusta  direzione di sobrieta'.
Chi vuole privatizzare l'acqua e' pazzo e sfrenato e prometeico. Chi vuole
che le persone e soprattutto le merci continuino a viaggiare intorno al
mondo deve dire o sapere che non bastera' la terra, percorsa da strade
autostrade treni, bucata da tunnel giganteschi, assordata dall'alta
velocita' ecc. E' una scelta non sobria.
Ogni luogo faccia un inventario di tutto cio' che puo' produrre in quantita'
adeguata ai bisogni non forzati della propria popolazione, si immagazzinino
le derrate che possono essere conservate senza danni e si badi che il lavoro
abbia la giusta rimunerazione ovunque: che cosa prendono come salario quelle
e quelli che lavorano per produrre ananas africani che costano sui nostri
mercati meno delle pere e mele e fragole? che cosa in Argentina, se le pere
da quel paese arrivano sui nostri banchetti a prezzo inferiore alle pere di
produzione locale? e quanti pesticidi conservanti immagazzinamenti in
contenitori pieni di gas, trasporti per nave tir treni ecc. si pagano in
salute e strozzamento dei trasporti?
Sobrieta' chiede informazione e potere di dirigersi nella  propria vita in
modo da non farsi restare in gola i cibi al solo pensare quanta ingiustizia
produciamo per averli sulle nostre mense. Sarebbe meglio fare patti con gli
e le immigrate e stabilire con loro - attraverso cooperative - mercati di
sobrie dimensioni, giusti prezzi e tutela della salute e dei diritti di chi
lavora  e di chi consuma, una specie di commercio equo e solidale piu'
diffuso e meglio partecipato dai migranti.
*
Non bisogna credere del resto che le imprese smisurate  non si paghino.
L'estate in corso ce lo dice e non possiamo accettare storielle e
pannicelli: il patto con la terra deve essere rifatto, facciamo pace con la
terra.
Dove mi trovo arrivano ogni tanto bruschi e rapidi temporali ed eravamo
abituati che quando finiscono si stendono in cielo meravigliosi arcobaleni,
un segnale di pace. Come e' noto, sia nella mitologia greca che nel racconto
biblico l'arcobaleno e' la sciarpa colorata di Giunone stesa ad asciugare
dopo la pioggia dalla sua ancella Iride, oppure e' il segno che le malefatte
dell'umanita' colpite dal diluvio universale sono state pagate e si puo'
fare un patto di pace. Questa estate gli arcobaleni sono stinti e fugaci,
sembrano avvisi tra stanchi dolenti e irati.
Se non siamo capaci di sentimenti piu' nobili e grandi, almeno per paura
delle possibili vendette della terra cerchiamo di mettere rimedio ai guai
che abbiamo fatto.

2. INIZIATIVE. UN INCONTRO E UN APPELLO DA ASSISI A GUBBIO
La camminata nonviolenta da Assisi a Gubbio, assemblea itinerante e
prosecuzione della marcia nonviolenta Perugia-Assisi del Duemila, contro le
guerre gli eserciti e le armi, per la convivenza dei popoli e delle persone,
riproporra' dal 4 al 7 settembre la necessita' e l'urgenza di un salto di
qualita' nel movimento che si oppone o almeno vorrebbe opporsi alle guerre e
alle ingiustizie: il salto di qualita' dalla generica indignazione al
programma costruttivo, il salto di qualita' dalla predicazione astratta alla
pratica concreta, il salto di qualita' dal rimbrotto agli altri
all'assunzione di responsabilitra' personale: proporra' quel passaggio dal
pacifismo generico alla nonviolenza specifica che e', per usare ancora una
volta quell'espressione di Aldo Capitini, il varco attuale della storia.
Ma nulla garantisce che questo appello sia ascoltato, nulla garantisce che
la voce delle persone amiche della nonviolenza sia adeguatamente nitida e
forte. Anzi, in questi ultimi anni insieme e complementarmente a un sempre
piu' banalizzato e talora addirittura insensato uso della parola nonviolenza
si e' andata vieppiu' offuscando nel sentire non solo comune ma dei
movimenti di partecipazione e di solidarieta' la percezione del concetto
della nonviolenza, sostituendosi ad esso - cosi' denso e cosi' impegnativo -
una rappresentazione stereotipata, trivializzata, depauperata, ambigua,
menzognera e fin caricaturale, che della nonviolenza come la pensarono e
praticarono Mohandas Gandhi e Marianella Garcia, Martin Luther King e Danilo
Dolci, Virginia Woolf e Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Albert Luthuli e
Chico Mendes, e' peggio che la parodia, il rovesciamento.
E dunque e' cosa assai buona che il Movimento Nonviolento abbia proposto un
incontro e un cammino come quello che culminera' nell'anfiteatro eugubino:
per fare chiarezza in noi e tra noi, per proporre una parola alta e forte ad
altri. Con umilta' ma senza timidezze.
Amiamo ripetere che solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'; sarebbe
gia' qualcosa se riuscissimo hic et nunc almeno a persuadere quanti vogliono
impegnarsi per la pace e la giustizia a dismettere atteggiamenti e condotte
tuttora anche in questo ambito dominanti palesemente subalterne e fin
omologate e asservite a modelli autoritari, maschilisti, intimamente
militaristi e carrieristi, consumisti e sopraffattori; poiche' solo la
scelta della nonviolenza, della nonmenzogna, della responsabilita', puo'
fornire quel sostrato esistenziale, morale e intellettuale, e costituire
quel programma e quel metodo, che a  noi sembrano indispensabili perche' si
dia un movimento per la pace e la convivenza che di questa qualificazione
svolga ed inveri premesse e fini. E di cui vi e' bisogno estremo.

3. RIVISTE. ROCCO ALTIERI: PRESENTAZIONE DI "QUADERNI SATYAGRAHA" N. 3
[Dal sito pdpace.interfree.it riprendiamo il testo dell'editoriale che apre
alle pp. 7-11 il n. 3, giugno 2003, dell'ottima rivista scientifica
"Quaderni satyagraha. Il metodo nonviolento per trascendere i conflitti e
costruire la pace", volume monografico sul tema La nonviolenza dei popoli
puo' sconfiggere la guerra. Questo volume della prestigiosa rivista e' di
238 pagine, per 15 euro; per contattare direzione e redazione: via Santa
Cecilia 30, 56127 Pisa, tel. 050542573, e-mail: centrononviolenza at libero.it,
sito: pdpace.interfree.it (il sito e' curato da Giovanni Mandorino, e-mail:
pdpace at interfree.it). La rivista e' diretta da Rocco Altieri, condirettori
ne sono Giorgio Montagnoli e Martina Pignatti Morano, vicedirettore
responsabile Francesco Ruotolo; la rivista si avvale di un consiglio
scientifico di cui fanno parte alcune delle piu' prestigiose personalita'
della ricerca nonviolenta italiane e internazionali, da Johan Galtung a
Vandana Shiva. Raccomandiamo vivamente di abbonarsi; l'abbonamento annuo e'
di 30 euro (per due numeri) da versare sul ccp n. 23780562 intestato a Plus,
Pisana Libraria Universitatis Studiorum scrl, Lungarno Pacinotti 43, 56126
Pisa, tel. 0502212056, fax: 0502212945, specificando nella causale
"Abbonamento Satyagraha". Rocco Altieri e' docente di Teoria e prassi della
nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni
satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri: La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998]
Ideato nel semestre che ha accompagnato prima la minaccia e poi lo
scatenamento della guerra contro l'Iraq da parte degli Usa e dei loro
alleati, il terzo quaderno, che ora diamo alle stampe, non poteva sottrarsi
a una necessaria riflessione sulla drammatica attualita'.
Di fronte ad avvenimenti che sembrano ineluttabili, che ne' le massime
autorita' morali, il papa innanzitutto, ne' milioni di uomini e donne che
hanno manifestano per la pace sono riusciti a fermare, puo' determinarsi un
facile scoramento, una disillusione, un senso di impotenza.
Il contributo che noi vogliamo offrire e' una lettura nonviolenta degli
avvenimenti, che dia nuova speranza e slancio di impegno, dando un aiuto
alla ricostruzione di una coscienza storica delle cause della guerra, dei
fattori scatenanti, e dei profondi cambiamenti che bisogna attivare per
poter trascendere i conflitti, costruendo nuove realta' di pace.
Il volume e' costruito in tre parti, che equivalgono ai tre passaggi
necessari per realizzare una trasformazione nonviolenta dei conflitti. E'
uno sviluppo che richiama da vicino la dinamica di un percorso educativo.
Al primo posto abbiamo collocato i contributi che ci aiutano in una critica
ai modelli ideologici dominanti (gli scritti di La Valle, Salio, Oberg,
Galtung, Sertorio).
Seguono i saggi utili a un processo etico-religioso di "coscientizzazione",
di costruzione mentale e interiore di un'azione nonviolenta (gli scritti di
Mattai, Altieri, Peyretti, Belforte-Pelissero, Terry Harris).
Infine, gli studi utili ad attivare alternative funzionali agli istituti
della violenza e della guerra (i saggi di Segre, Baskaran, Grimaldi,
Sanfilippo).
*
Passiamo ad esaminare nel dettaglio i vari contributi.
Raniero La Valle nel saggio su La nascita del nuovo impero analizza gli
elementi di novita' presenti nel documento Strategia della sicurezza
nazionale degli Stati Uniti, varato in America nel settembre 2002, e che a
tutti gli effetti va considerato come il manifesto della Nuova Destra in
quanto, legando insieme aspetti politici, economici e militari in una
filosofia che si puo' definire di "liberismo armato", rappresenta bene
l'ideologia ispiratrice della fondazione dell'impero.
Nanni Salio nel suo Perche' la guerra in Iraq? si interroga su quali sono le
ragioni che stanno alla base di una guerra illegale e dichiarata anzitempo.
Dopo aver scartato le piu' evidenti bugie e le mezze verita', passa in
rassegna le principali ipotesi interpretative e alcuni scenari possibili.
Jan Oberg in Bush prevarra', avra' la meglio o sara' disposto ad ascoltare e
riflettere? affronta la questione del fondamentalismo politico del regime di
Bush, elencando gli effetti distruttivi che esso sta procurando.
Johan Galtung in Usa-Iraq: ci sono alternative e la resistenza e' possibile!
traccia alcuni percorsi possibili per il movimento mondiale di opposizione
alla guerra.
Luigi Sertorio in Guerra e questione energetica: le vie del petrolio e del
nucleare affronta il tema cruciale della questione energetica, spiegando
come sia la scelta del petrolio, sia l'opzione nucleare, abbiano enormi
implicazioni sociali per il futuro della pace nel mondo. Mentre la
transizione al nucleare e' ad uno stadio avanzato in Francia e in Belgio,
gli Stati Uniti sono rimasti ancora largamente dipendenti dalla sorgente
petrolifera. La difesa americana del proprio accesso privilegiato a questa
sorgente si sta mostrando, oramai in tutto il mondo, cruenta, come era stato
anticipato dagli osservatori piu' attenti. Un futuro accesso su larga scala
alla sorgente nucleare da parte degli Stati Uniti portera' con se' nuovi
problemi di ristrutturazione sociale e industriale, legati al fatto che la
rete di distribuzione elettro-nucleare e' diversa dalla rete del petrolio.
Inoltre, i problemi di sicurezza e non proliferazione sono destinati a
crescere nel tempo, coinvolgendo anche gli altri paesi.
Giuseppe Mattai nel suo No alla guerra comunque aggettivata disegna il
quadro teologico e storico di quell'esodo della Chiesa verso la pace, che ha
portato Giovanni Paolo II e milioni di cattolici in tutto il mondo a opporsi
alla guerra.
Rocco Altieri in Il risveglio religioso dei popoli puo' sconfiggere la
guerra, facendo un ampio ricorso alla teoria sociologica e al pensiero
nonviolento, sviluppa un'analisi sul ruolo delle religioni nell'accendere il
fuoco di una rivoluzione mondiale nonviolenta.
Enrico Peyretti in Dieci tesi su religioni, violenza, nonviolenza scruta un
cono d'ombra, spiegandoci quando e perche' le religioni sono una base
culturale fondamentale per giustificare la violenza e come, al contrario,
esse possano divenire protagoniste nel promuovere la cultura della
nonviolenza.
Marta Belforte e Alberto Pelissero nel saggio La nonviolenza nelle fonti
della tradizione indiana indagano il significato profondo della parola
sanscrita ahimsa (che solitamente rendiamo in italiano con nonviolenza) in
tre delle principali tradizioni religiose dell'India: lo yoga, il jainismo,
il buddismo, enfatizzando come l'idea di ahimsa connoti profondamente
l'identita' personale e comunitaria.
Il saggio La nonviolenza nell'Islam di Rabia Terri Harris propone una
lettura degli avvenimenti che sono alle origini della fede islamica,
offrendoci una chiave di lettura nonviolenta. Fondamentale e' l'esatta
comprensione del concetto di jihad che non significa guerra santa, ma lotta
o sforzo, dovendo anche distinguere tra al-jihad al-akbar, la "Lotta
Maggiore", lo sforzo interiore per fronteggiare i nostri istinti piu' bassi,
e al-jihad al-asghar, la "Lotta Minore", lo sforzo esterno volto a
combattere l'ingiustizia sociale. Nella tradizione sufi e' possibile
scoprire la sorgente piu' autentica di una interpretazione nonviolenta
dell'Islam, conforme alla concezione musulmana del potere come servizio
comunitario e impegno per la giustizia.
Enrico Peyretti in un altro suo breve articolo, Il digiuno per la pace,
presenta il senso spirituale del digiuno secondo la Bibbia, il Corano e
Gandhi.
Bruno Segre in La pace la fai con il tuo nemico, di fronte all'inasprirsi
cruento del conflitto israeliano-palestinese, racconta l'esperienza di una
grande utopia realizzata in un villaggio di Israele (Neve' Shalom, in
ebraico, Wahat al-Salam in arabo), dove ebrei, cristiani, musulmani vivono
insieme.
Il professor Antonino Drago ha curato la traduzione di Shanti Sena:
l'esercito della pace del Mahatma Gandhi, realizzando un lavoro di
integrazione di due articoli di M. William Baskaran, usciti su "Gandhi
Marg": Shanti Sena in 20th Century: Challenges and Answers, n. 21,
gennaio-marzo 2000, pp. 419-430, e Mahatma Gandhi's Peace Army: A Paradigm,
n. 23, gennaio-marzo 2002, pp. 429-440. M. William Baskaran, coinvolto
direttamente nel realizzare lo Shanti Sena di Gandhi, vi espone la storia
delle esperienze di questa istituzione nonviolenta, in India e nel mondo.
Indica quale deve essere la preparazione personale adeguata a un simile tipo
di attivita'; confronta gli obiettivi dello Shanti Sena con quanto e' stato
proposto recentemente da parte dell'Onu e di altri organismi internazionali;
ne valuta le prospettive rispetto alla situazione attuale.
Il saggio di Giorgio Grimaldi, Il progetto del corpo civile europeo di pace,
partendo da una riflessione introduttiva sul tema della sicurezza, concepita
in una accezione multidimensionale, e sulla prevenzione dei conflitti
violenti a livello internazionale, illustra il progetto di Corpo civile
europeo di pace, elaborato e approvato dal Parlamento europeo sin dal 1995.
Previsto come organo specifico dell'Unione europea nell'ambito della
politica estera e di sicurezza comune, finalizzato alla prevenzione e alla
gestione dei conflitti e composto da civili (in parte professionisti ed in
parte volontari o obiettori di coscienza), e' rimasto fino ad oggi una
proposta teorica dalle promettenti potenzialita', evidenziate dall'azione
concreta in aree di conflitto di analoghe esperienze promosse dalle ong e da
alcuni stati.
Vincenzo Sanfilippo in Il contributo della nonviolenza al superamento del
sistema mafioso dopo avere individuato alcuni capisaldi del pensiero e del
metodo nonviolento, ivi comprese alcune basi epistemologiche, analizza il
fenomeno mafioso, non tanto come fenomeno criminale, ma partendo
dall'analisi sistemica della societa' meridionale. Vengono cosi'
rappresentati alcuni modelli in cui l'organizzazione mafiosa interagisce con
i sottosistemi, conformando l'intero quadro societario. In un ottica
"trasformativa" viene concentrata l'attenzione sul ruolo centrale del
sottosistema culturale, che, agendo sulla trasmissione delle modalita' di
pensiero, gioca un ruolo frenante o liberante per la consapevolezza degli
attori del sistema stesso. L'attenzione viene posta sulle potenzialita'
(anche sull'intero sistema) di alcuni processi in cui e' coinvolta la
soggettivita' delle persone maggiormente esposte in quanto facenti parte
delle organizzazioni mafiose o in quanto vittime delle stesse. In una
prospettiva di pedagogia nonviolenta e tenendo conto di alcune ricerche in
campo psicologico, viene problematizzato il ricorso al concetto di
legalita'.
Infine, siamo grati a Giorgio Montagnoli, figura singolare di scienziato e
di poeta, per averci fatto il dono di poter pubblicare una breve raccolta di
sue poesie sulla pace: La guerra sara' vinta. Sono testi preparati per il
tradizionale incontro di "poesia per la pace" che alla fine di agosto si
tiene annualmente a Monterchi, dove Vito Taverna ha fondato l'Archivio
nazionale della poesia inedita: Poesie nel cassetto. Come ha scritto Giorgio
nella introduzione alle sue poesie: "Il linguaggio poetico ci permette di
apprezzare aspetti non tecnici del vivere, quali ad esempio la bellezza, la
spontaneita', la gratuita'. Ritrova significati che esulano dall'interesse
pratico, dalla spinta al guadagno e al progresso economico. Riesce a deviare
l'interesse umano: rappresenta quanto e' unico, inaspettato, irripetibile,
meraviglioso, e che sovrasta qualsiasi meta io abbia sognato di raggiungere,
o risultato che mi sia proposto di ottenere. E' un'ottica che riallaccia i
contatti con l'intimo svolgersi dei nostri giorni, restituendo loro pieno
significato".

4. INIZIATIVE. USCIRE DALLA SUBALTERNITA' AL POTERE MILITARE
La proposta che il 4 novembre le persone di volonta' buona impegnate per la
pace promuovano iniziative pubbliche di ricordo delle vittime delle guerre,
e commemorazioni dinanzi ai sacrari e ai monumenti ai caduti, in cui quegli
esseri umani assassinati siano onorati con l'impegno solonne ad opporsi alle
guerre ed ai loro strumenti e apparati; e in silenzio reverente e solenne, e
severo ed austero, con la mera presenza ed ascolto, si smascherino
l'ipocrisia e l'infamia del chiassoso e cialtrone festeggiare le strutture
che quelle persone hanno assassinato; e' proposta che chiama quanti hanno
orecchie per ascoltare a un gesto limpido e corale, di impegno e di esame di
coscienza.
Vorremmo venisse ripresa e riproposta ovunque in Italia l'iniziativa gia'
realizzata lo scorso anno a Viterbo di una cerimonia pubblica il 4 novembre
di deposizione di un omaggio floreale e di un recarsi e sostare in
meditazione composta e silente dinanzi a lapidi e sacelli delle vittime
delle guerre, cola' rinnovando un impegno di pace perche' mai pu' nessuno
quell'atroce sorte debba subire, celebrazione in tutto alternativa alle
fanfare e alle menzogne che connotano le cerimonie in quella data promosse
in complicita' alle strutture che quelle vittime hanno assassinato.
Si puo' e si deve uscire dalla subaternita' al potere militare e promuovere
una coscienza di pace che si traduca - come peraltro gia' previsto nel
corpus legislativo italiano - nella promozione di un modello di difesa - la
difesa popolare nonviolenta - che inveri il dettato costituzionale che
"ripudia la guerra"; e che si traduca altresi' nella decisione del disarmo e
della smilitarizzazione, poiche' le armi servono a uccidere, gli eserciti
servono a uccidere, e uccidere esseri umani e' il crimine piu' grande ed
occorre che si cessi di commetterlo e di permettere che commesso sia; e che
si traduca ancora e infine in aiuto a chi di guerre e violenze e' vittima
presente ancora in vita (o potenziale e di gia' nel terrore) - un aiuto
necessario e urgente affinche' la morte e la sofferenza non lo divori, e con
lui l'umanita' intera.
Si puo' e si deve far cessare l'ignobile festaggiamento delle "forze armate"
che offende le vittime dalle forze armate assassinate; si puo' e si deve
cominciare ad agire, anche con gesti simbolici e memoriali, di
coscientizzazione propria ed altrui, di presa in carico e testimonianza
personale - come appunto anche la realizzazione da parte dei movimenti di
pace, umanitari e per la nonviolenza della commemorazione pubblica delle
vittime delle guerre -  l'idea che il quattro novembre, ricordo che non
cicatrizza della "inutile strage", cessi di essere per i pubblici uffici e
nel comune sentire occasione per una vile idolatria dei poteri uccisori e
delle ideologie della morte, e diventi piuttosto la cerimonia dell'impegno
contro le guerre e contro gli strumenti e apparati alle guerre intesi; la
festa dell'abolizione delle forze armate.
Poiche' - come ha scritto una volta Heinrich Boell - ogni vittima ha il
volto di Abele; e solo costruendo la pace si ricordano e si onorano in
commozione e devozione filiale, fraterna e sororale, le vittime di tutte le
guerre; e solo impedendo nuove guerre si adempie al messaggio che dai luoghi
al ricordo di quelle vittime deputati promana: la voce del coro degli
assassinati, che chiede ancora e ancora pace, e luce, e vita.

5. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COME RISPONDERE A SITUAZIONI DI CONFLITTO
INTERPERSONALE IN CUI VI E' MINACCIA O PRESENZA DI VIOLENZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
E' una richiesta che, durante i seminari, mi viene fatta di continuo: come
rispondere alle varie forme di violenza personale di cui siamo spesso
testimoni?
L'idea di base per la risposta e' che voi avete il diritto di sentirvi
sicuri/e in ogni momento della vostra esistenza. Fermatevi un attimo su
questo punto e ripetetelo a voi stessi/e: voi avete questo diritto, ed esso
comporta il vostro intervento nonviolento per modificare la situazione,
intervento che modellerete creativamente a seconda dei confini personali che
date alle aree di sicurezza ed alle aree di rischio nella vostra vita.
Il primo passo e' riconoscere gli ostacoli che impediscono, in genere, di
sentirsi sicuri e confidenti: la sensazione di isolamento, l'essere
emotivamente vulnerabili a situazioni che rimandano a violenze gia' vissute,
il percepirsi privi di potere, il reiterare linguaggi e comportamenti da
"vittima predestinata".
Non dico che sia un passo facile da compiere, e so per esperienza che
comporta tempo e fatica, ma e' un passo necessario.
A dirigere normalmente le nostre azioni di fronte alla violenza c'e' una
sorta di "bagaglio" che ci portiamo dietro, fatto della nostra storia
personale, delle nostre paure e aspettative, degli stereotipi che nutriamo.
Questo fardello tende a desensibilizzare i segnali di allerta che il nostro
corpo ci manda e distorce o cancella l'impulso di intervenire perche' la
violenza cessi (la cronaca riporta di continuo notizie di aggressioni e
violenze perpetrate sotto gli occhi di numerose persone apparentemente
indifferenti a cio' che accade ad un altro essere umano).
Man mano che ci liberiamo dagli schemi di pensiero/azione che ci bloccano,
dobbiamo riempire i vuoti con schemi di prevenzione e protezione fino ad
interiorizzarli; cio' significa che dopo un po' finiremo per usarli
"automaticamente". Per confrontarci con la situazione violenta ed agire per
modificarla abbiamo bisogno di un luogo sicuro da cui partire, a cui
ancorarci: il nostro personale allarme corporeo provvede questa solida
ancora. Si tratta di una sensazione fisica interiore (la stretta allo
stomaco, la fitta al ventre, il formicolare della pelle, ecc.) che varia da
persona a persona, ma che ha il medesimo scopo di renderci coscienti di un
pericolo. Riconoscere il segnale, entrare in contatto con esso, ci fornisce
una consapevolezza centrata sul corpo, che possiamo usare per proteggere noi
stessi e gli altri.
Lo schema si presenta in questo modo:
1) Io "sento" la violenza, la percepisco. La definizione di essa non viene
dall'esterno, ma da cio' che il mio corpo prova rispetto ad essa.
2) Che diritto ho di intervenire? Intervenendo per prevenire o arrestare la
violenza, io agisco in difesa del mio diritto di sentirmi sicuro/a in ogni
momento della mia esistenza. Operare un intervento nonviolento e' cosa che
io faccio tanto per il mio benessere quanto per quello altrui.
3) Mi impegno a compiere un passo. Ogni ulteriore azione dipendera' dalla
mia percezione del rischio, dai miei sentimenti, e dalle abilita' di
intervento che ho sviluppato.
4) Un intervento nonviolento e' un'avventura in sicurezza. La creativita',
la novita' dell'intervento nonviolento permette la modifica di cio' che si
suppone debba accadere: molti sviluppi sono possibili.
5) L'intervento nonviolento e' immediato. La risposta all'atto violento e'
"qui ed ora" e in questo senso approcci complementari, come la negoziazione
e la mediazione, possono essere piu' appropriati in seguito.
6) L'intervento nonviolento e' partecipazione volontaria, basata sulla mia
scelta: non c'e' nulla che io debba o che sia costretto a fare.
7) L'intervento nonviolento e' non-eroico. E' un'azione ordinaria, compiuta
da una persona comune come me.
8) L'intervento e' nonviolento: i livelli di violenza o di vittimizzazione
non ne vengono incrementati.
*
In genere, noi crediamo di avere a disposizione solo due opzioni: non fare
nulla (il che riflette uno stato di impotenza e/o di negazione) o agire
"eroicamente". Invece, dai piu' piccoli passi a quelli che comportano
maggiori livelli di rischio, noi potremmo andare avanti a creare sistemi di
intervento nonviolento all'infinito.
Ecco di seguito un'ipotesi della progressione nell'intervento (ricordate che
e' solo un esempio, sforzatevi di immaginare cosa potreste aggiungervi).
Siete in presenza di un atto violento: una molestia, un'aggressione fisica o
verbale, ecc.:
- Prestate attenzione a cio' che accade: vedete cio' che sta accadendo,
"sentite" il pericolo.
- Interrompetevi: smettete di fare cio' che state facendo e portate l'atto
di cui siete testimoni al centro della vostra attenzione.
- Chiamate aiuto: le altre persone vicine a voi, la polizia. Suonate
l'allarme.
- Giratevi o muovetevi in direzione della violenza: e' probabile che cio' vi
faccia sentire piu' sicuri che voltare le spalle o fuggire.
- Osservate: guardate e fate in modo che il vostro guardare sia manifesto,
evidente. Parlate di cio' che vedete con le persone vicine, con i passanti.
- Testimoniate: prendete note mentali o scritte. Chi sta dicendo che cosa?
Chi sta facendo che cosa? Memorizzate la sequenza degli eventi.
- Entrate nella scena facendo domande: "Cosa stai facendo?", "Sai cosa stai
facendo?". Oppure, alla persona vittimizzata: "Hai bisogno di aiuto?", "Ti
senti male?". Fare domande ci aiuta a capire cosa sta succedendo ed a sapere
con chiarezza se il nostro aiuto e' necessario e/o desiderato. In alcuni
casi, potete usare formule di comando: "Smetti di picchiare questo bambino",
facendo attenzione a pronunciare la frase in modo non minaccioso (urlare
"Smettila o ti ammazzo", per esempio, da' per sicura l'escalation della
violenza). Le domande sono invece l'offerta di una mano tesa, e tendono a
ridurre il rischio. Un altro modo ancora di entrare nella scena e' dire agli
attori come vi sentite, cosa provate: "Mi fa male vedere questo".
- Distraete: siate teatrali, create una scena alternativa. Usate l'umorismo.
Parodiate o ripetete male quello che avete udito (serve ad esempio a
togliere potere agli insulti). Fate rumore, cantate, fischiate, ondeggiate a
passo di danza, siate "folli". Fate domande che non c'entrano nulla: "Scusi,
questa e' la fermata del 53?", "Hai da accendere?". Se riuscite ad attrarre
l'attenzione su di voi che declamate poesie in un locale pubblico, che fate
capriole in una piazza, o che vi mettete a ballare il tip tap nell'atrio
della scuola, e' facile che l'azione violenta si interrompa.
- Rispecchiate: imitate quello che vedete accadere come in una pantomima.
Questo puo' aiutare le persone coinvolte nell'azione violenta a vedere
l'assurdita' dello schema in cui sono incastrate.
- Create un'alternativa positiva: se non siete da soli, abbracciate le
persone che vi accompagnano, dite loro ad alta voce quanto le amate o le
apprezzate. Mostrate come la situazione potrebbe essere (ad esempio,
qualcuno sta maltrattando la propria fidanzata e voi abbracciate e baciate
la vostra).
- Prendete il centro della scena intensificando la vostra azione: se stavate
parlando, parlate piu' forte. Se stavate leggendo, cominciate a leggere a
voce alta.
- Mostrate quanto la violenza vi annoia: questo funziona bene quando lo
schema violento vi e' familiare, si ripete spesso. Sbadigliate, dicendo:
"Ancora? Ci risiamo? Che noia!".
- Descrivete cio' che vedete: "Questo sembra doloroso", "Mi pare che lei/lui
non voglia farlo", "Mi sembra che lui/lei non voglia questo". Aspettate una
risposta, ripetete la domanda se la risposta non arriva.
- Usate il vostro corpo: mettetelo in mezzo, per esempio camminando fra due
persone.
*
Spesso e' importante essere persistenti: ripetete le vostre domande o le
vostre azioni.
Non abbiate paura di essere ridicoli o di essere giudicati strambi: fate
cio' che vi sentite di fare accordando la vostra azione al vostro senso di
sicurezza personale ed alle vostre capacita' di intervento.

6. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO,
"LENGUAJE Y CONOCIMIENTO", 1980
[Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate
da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro.
Maria Luigia Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle
principali collaboratrici di questo foglio. Ha organizzato a Viterbo insieme
ad altri il "Tribunale per i diritti del malato"; assistente sociale, ha
svolto un'esperienza in Germania nell'ambito dei servizi di assistenza per
gli emigrati italiani; rientrata in Italia si e' impegnata nel settore
educativo; per dieci anni ha prestato servizio di volontariato in una
casa-famiglia per l'assistenza ai minori; dal 1987 e' insegnante di ruolo
nella scuola per l'infanzia; ha preso parte a varie iniziative di pace, di
solidarieta', per i diritti; ha tenuto relazioni a convegni e corsi di
aggiornamento, e contribuito a varie pubblicazioni.
Emilia Ferreiro, argentina, docente in Messico, pedagogista illustre, e' una
delle piu' grandi studiose viventi del processi di alfabetizzazione; e' di
fondamentale importanza il suo contributo sul tema dell'apprendimento della
lettura e della scrittura da parte dei bambini. Tra le opere di Emilia
Ferreiro si veda in primo luogo l'ormai classico volume scritto insieme ad
Ana Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti,
Firenze 1985.
Jean Piaget (di cui Emilia Ferreiro e' stata allieva  e collaboratrice, e su
cui ha scritto vari saggi) e' nato a Neuchatel nel 1896 e scomparso a
Ginevra nel 1980; e' uno dei maestri della psicologia contemporanea, i suoi
studi di psicologia, sui processi cognitivi, sull'infanzia,
sull'epistemologia, costituiscono contributi fondamentali in questi campi.
Per una prima introduzione cfr. il libro-intervista di taglio divulgativo
curato da Richard Evans: Jean Piaget, Cos'e' la psicologia, Newton Compton,
Roma 1989 (il libro contiene anche alcuni scritti di e su Piaget, la nota
Autobiografia, ed una bibliografia generale); tra le opere su Jean Piaget
come punto di partenza segnaleremmo AA. VV., Jean Piaget e le scienze
sociali, La Nuova Italia, Firenze 1973. Ovviamente la bibliografia di e su
Piaget e' immensa.
Noam Chomsky e' nato a Philadelphia nel 1928. Illustre linguista, docente
universitario al Mit di Boston, e' uno degli intellettuali americani piu'
prestigiosi. Da decenni impegnato per i diritti civili e dei popoli, contro
la guerra e l'imperialismo. Tra le opere di Noam Chomsky, relativamente agli
scritti di linguistica e filosofia del linguaggio (ma non solo) qui
segnaliamo: L'analisi formale del linguaggio, Filosofia del linguaggio, La
grammatica trasformazionale-generativa, problemi di teoria linguistica, La
grammatica trasformazionale-generativa. Saggi espositivi, Saggi di
fonologia, tutti presso Boringhieri, Torino;  Le strutture della sintassi,
Intervista su linguaggio e ideologia, entrambi presso Laterza, Bari;
Conoscenza e liberta', Riflessioni sul linguaggio, entrambi presso Einaudi,
Torino; Forma e interpretazione, Regole e rappresentazioni, entrambi presso
il Saggiatore, Milano; Linguaggio e problemi della conoscenza, presso Il
Mulino, Bologna; per quanto riguarda gli scritti di intervento civile
segnaliamo almeno I nuovi mandarini, La guerra americana in Asia,
Riflessioni sul Medio Oriente, tutti presso Einaudi, Torino; La quinta
liberta', Alla corte di re Artu', Illusioni necessarie, tutti presso
Eleuthera, Milano; Anno 501: la Conquista continua, I cortili dello zio Sam,
Il club dei ricchi, tutti presso Gamberetti, Roma; La societa' globale (con
Heinz Dieterich), presso La Piccola, Celleno (Vt); Linguaggio e liberta', La
fabbrica del consenso, Sulla nostra pelle, Atti di aggressione e di
controllo, 11 settembre, Dopo l'11 settembre, presso Marco Tropea, Milano;
Il conflitto Israele-Palestina e altri scritti, presso Datanews, Roma; Il
potere dei media, presso Vallecchi; Il potere, prersso gli Editori Riuniti,
Roma; Guerra ed economia criminale presso Asterios, Trieste. Opere su Noam
Chomsky: la monografia migliore e' di J. Lyons, Chomsky, Fontana Press,
London 1991. In italiano esistono molti studi su Chomsky linguista e sulla
grammatica generativa trasformazionale, ma a nostra conoscenza non c'e' una
monografia complessiva su Chomsky come intellettuale pacifista ed attivista
per i diritti umani e dei popoli.
Interessante ed utile il volume che raccoglie il dibattito su e tra Jean
Piaget e Noam Chomsky, con contributi di vari altri studiosi: Theories du
langage. Theories de l'aprentissage, Seuil]
Data di edizione: ottobre 1980. Tipo di documento: conferenza in convegno;
testo dattiloscritto. Titolo: Lenguaje y conocimiento. Luogo di edizione:
Mexico. Pagine 24. Fonte: Semana de Piaget, organizzata dalla Universidad
Pedagogica Nacional e dalla Direccion General de Educacion Especial. Mexico,
ottobre 1980. Lingua: spagnolo. Abstract: il testo pone le domande
fondamentali sulla relazione tra linguaggio e conoscenza, individua le
caratteristiche peculiari del linguaggio che ne fanno un oggetto complesso,
tratteggia l'evoluzione degli studi linguistici realizzati da Piaget e nel
Centro Internazionale di Epistemologia Genetica.
*
Sintesi
Nell'impostare il discorso epistemologico sulle relazioni tra linguaggio e
conoscenza si evidenzia la netta opposizione che contrappone le posizioni
teoriche di Piaget all'empirismo logico, per il quale si fa esplicito
riferimento a B. Russel, R. Carnai, W. Quine.
Vengono schematicamente definiti nodi fondamentali su cui si centrano le due
posizioni.
"Per l'empirismo logico (...) la nostra conoscenza del mondo muove dai dati
sensoriali, che sono la materia prima della conoscenza. Quando a questi dati
sensoriali aggiungiamo le parole che li denotano abbiamo le parti elementari
del sistemo che sono i "termini derivati dall'osservazione". Ma come dai
"dati d'osservazione" non puo' scaturire il ragionamento logico, non possono
scaturire le regole di deduzione ne' l'evidenza logica, e' necessario
aggiungere un'altra fonte di conoscenza alla conoscenza sensoriale,
considerata come primaria. Questa nuova fonte e' il linguaggio; piu'
specificamente la sintassi logica del linguaggio" (p. 1).
Per Piaget, invece, "il linguaggio non costituisce l'origine della logica ma
(...), al contrario, il linguaggio e' strutturato dalla logica." (p. 2). O
meglio, "l'origine della conoscenza, di ogni conoscenza, si situa
nell'azione, nell'azione e nei processi di coordinamento tra le azioni; non
nell'azione isolata, bensi' nei processi di strutturazione che si realizzano
a partire dall'azione. (...) Nei termini della risposta piagettiana [al
problema dell'origine della conoscenza logico-matematica] la logica e'
anteriore al linguaggio; e' anteriore al linguaggio perche' procede
dall'azione; c'e' un'anteriorita' genetica dell'azione rispetto al
linguaggio e della logica che nasce dall'azione rispetto alla logica
implicata nel linguaggio".
Tuttavia questa risposta non chiude tutti i problemi, ma molti ne apre.
Almeno quattro domande fondamentali sussistono a questa risposta.
1. "Quali sono le condizioni che rendono possibile l'acquisizione del
linguaggio? (...) Sebbene l'organizzazione senso-motoria sia sicuramente un
requisito dell'acquisizione del linguaggio, (...) bisogna mostrare
esattamente (...) i nessi di filiazione [con l'una o l'altra delle
acquisizioni senso-motorie] e non semplicemente segnalare un antecedente
cronologico" (p. 3).
2. "Quali sono le relazioni tra i livelli di organizzazione del linguaggio e
i livelli di organizzazione del pensiero"? (p. 3).
3. "Esistono livelli di pensiero che necessitano del linguaggio?" (p. 3).
Il linguaggio, nel pensiero di Piaget, e' condizione necessaria ma non
sufficiente per la costituzione delle operazioni formali.
4. "Esisteranno problemi cognitivi che sorgono a causa del linguaggio? In
altri termini: il linguaggio non costituira' un certo 'spazio di problemi
cognitivi'? (...) Non saranno esattamente i problemi cognitivi che sorgono a
proposito dell'acquisizione del linguaggio quelli che determinano la zona
privilegiata di problematizzazione cognitiva in questo periodo? E se cio'
fosse cosi', quale sarebbe la relazione tra questi problemi cognitivi
relativi all'acquisizione del linguaggio e lo sviluppo operatorio stesso?"
(p. 5).
*
Il testo prosegue individuando alcune caratteristiche del linguaggio che lo
rendono peculiarmente un oggetto complesso.
- "Il linguaggio assolve una funzione comunicativa innegabile. (...)
Inoltre, il linguaggio si apprende in un contesto di comunicazione e gli
studi contemporanei sulla relazione madre-bambino, sul dialogo preverbale e
sopra il dialogo prelinguistico all'inizio dell'acquisizione del linguaggio
mostrano molto chiaramente come entrambi i partecipanti al dialogo
progrediscano reciprocamente realizzando inferenze, facendo congetture,
tentando di arrivare ad accordi su un lessico comune. Questi lavori ci danno
una immagine che non ha niente a che vedere con l'immagine classica
dell'acquisizione del linguaggio secondo la quale il bambino non farebbe
nulla di piu' che ripetere il modello sonoro che ha ascoltato da parte degli
adulti e, nel migliore dei casi, associarlo ad un qualche referente presente
e denotato nel momento dell'emissione" (p. 6).
- Il linguaggio "contribuisce all'identificazione nazionale e
all'identificazione di gruppi socioculturali" (. 6).
Questa dimensione ha un impatto rilevante nella vita scolastica "dove
situazioni di rifiuto o discriminazione linguistica possono comportare
difficolta' di apprendimento assolutamente innegabili" (pp. 6-7).
- "Il linguaggio costituisce, inoltre, uno strumento privilegiato di
rappresentazione" (p. 7).
Esso partecipa della "funzione semiotica" (definita come "quella che ci
consente di operare con sostituti" p. 7) insieme al gioco simbolico,
all'imitazione differita e all'immagine mentale, ma si differenzia da queste
per diversi aspetti. In primo luogo e' sociale e non individuale, come
l'immagine mentale; inoltre, "i segni linguistici costituiscono un sistema"
(p. 7).
In funzione del carattere "bifasico" (F. De Saussure) dei segni linguistici
essi partecipano dei due sistemi: quello fonetico, che afferisce ai
significanti, e quello semantico che, afferendo ai significati, impatta
sulle diverse possibili visioni del mondo. "Qui sorgono le classiche domande
se sia il linguaggio che crea la nostra visione del mondo, imponendo le
distinzioni che dobbiamo fare, oppure se vi siano requisiti cognitivi
universali che impongono una certa organizzazione ai linguaggi naturali. Se
ci sia un'organizzazione del mondo previa al linguaggio o se sia il
linguaggio ad organizzare il mondo" (pp. 9-10).
- Il linguaggio "non e' semplicemente un insieme di parole" (p. 10), ma
anche un insieme di regole di composizione e di strutture sintattiche.
- Il linguaggio puo' essere oggetto di conoscenza e di riflessione
metalinguistica, piuttosto che mero strumento di comunicazione.
"Questa riflessione metalinguistica presuppone una presa di coscienza di
questo oggetto, cio' che Piaget chiama, in lavori degli ultimi anni, un
processo di tematizzazione, definita come una concettualizzazione cosciente
che trasforma in oggetto di riflessione cio' che era strumento di azione"
(p. 10).
*
In funzione della complessita' del linguaggio "e' necessario precisare a
cosa ci stiamo riferendo ogni volta che diciamo che stiamo parlando del
linguaggio" (p. 10).
In questa prospettiva si passa in rassegna l'evoluzione dell'approccio di
Piaget allo studio del linguaggio, e l'evoluzione degli studi connessi al
linguaggio realizzati nel Centro Internazionale di Epistemologia Genetica,
precisando che "il contributo personale di Piaget sul linguaggio non e'
comparabile a quello che egli realizzo' in altri campi; senza dubbio, i
contributi della psicolinguistica genetica sviluppati a Ginevra e ispirati
alla teoria di Piaget, sono invece importanti nel quadro della
psicolinguistica attuale" (p. 10).
L'elaborazione di Piaget e della sua scuola, viene articolata in due grandi
periodi.
Il primo si colloca all'inizio della sua opera di psicologo, quando il suo
interesse verteva sul linguaggio "come manifestazione di cio' che egli
chiamava allora l''intelligenza verbale'. I suoi due primi libri si
intitolano Il linguaggio e il pensiero nel bambino e Il giudizio e il
ragionamento nel bambino e entrambi portano lo stesso sottotitolo: Studi
sulla logica del bambino. Questo sottotitolo mostra chiaramente quale sia
l'intenzione di questi due libri. Nel primo libro Piaget studia gli
interscambi verbali tra bambini dai 4 ai 7 anni, fa una classificazione
dettagliata dei 'perche'' infantili, studia la comprensione verbale e le
spiegazioni verbali dei bambini. E' la' che propone la nozione di linguaggio
egocentrico, nozione che diede luogo a una incredibile quantita' di
controversie e fraintendimenti. I fraintendimenti sulla nozione di
egocentrismo provengono, come sempre, da una incomprensione delle intenzioni
epistemologiche dell'investigazione psicologica di Piaget (...). Perche'
l'egocentrismo di cui parla Piaget non si definisce fondamentalmente per le
caratteristiche linguistiche ma per la posizione del soggetto rispetto
all'assunzione di conoscenza. L'egocentrismo e' l'indifferenziazione del
punto di vista proprio da quello degli altri, o la indifferenziazione tra
l'attivita' propria e le trasformazione dell'oggetto; e' la difficolta' di
coordinare differenti prospettive sulla stessa realta' ed e' precisamente
per questa difficolta' di coordinare prospettive che si adotta il punto di
vista proprio sull'oggetto come se fosse l'unico, esattamente perche' si
ignora che e' solamente un punto di vista possibile all'interno di una
molteplicita' di prospettive" (pp. 11-12).
Con gli studi successivi, testimoniati dalla pubblicazione della trilogia
composta da La nascita dell'intelligenza, La costruzione del reale e La
formazione del simbolo, arriva ad "affermare che la logica procede
dall'azione e non dal linguaggio. E' a partire da allora che il linguaggio
e' rimosso, negli studi piagettiani, dalla posizione centrale che occupava
(...) e rimane subordinato all'analisi dell'azione. E' molto interessante
vedere come anche gli inizi del linguaggio siano considerati in termini di
azione da Piaget. Per esempio, (...) ne La formazione del simbolo, dice
testualmente: 'La denominazione non e' la semplice attribuzione di un nome,
ma l'enunciato di una azione possibile'. In questo modo vincola le prime
parole apprese con gli schemi di azione e non con le proprieta' oggettive
del referente, cioe' dell'oggetto in questione.
In questa epoca inoltre si produce l'abbandono dei metodi puramente verbali
di intervista che avevano caratterizzato il metodo clinico al suo inizio. Il
metodo clinico si trasforma in metodo critico, conservando gli elementi
positivi della conversazione libera con il bambino ma aggiungendovi un dato
molto importante, una situazione nella quale in bambino possa agire; a
partire da allora le risposte verbali sono considerate allo stesso livello
della manipolazione nel bambino e non come un tipo privilegiato di risposta.
A partire da allora Piaget non studia piu' il linguaggio come tale. Questa
e' la fine della prima epoca" (pp. 12-13).
*
La seconda epoca inizia intorno agli anni 1965-1968, si colloca nel contesto
della scuola di Piaget e deriva dalla confluenza di due fatti. "La
rivoluzione prodotta nella psicolinguistica dalle teorie grammaticali di
Noam Chomsky" (p. 13) e la costituzione di un gruppo di psicolinguistica
nell'Universita' di Ginevra, con la presenza di Hermine Sinclair e di cui fa
parte sin dall'inizio Emilia Ferreiro.
"Questo gruppo si costituisce su basi completamente differenti da quelle
iniziali; cioe', invece di studiare il linguaggio per comprendere il
pensiero, che era l'intento iniziale di Piaget, a partire da questo momento
si comincia a studiare il linguaggio sulla base di una teoria dello sviluppo
del pensiero.
Ci sono molti punti della teoria di Chomsky che risultano convergenti con la
teoria di Piaget" (. 13):
- l'anticomportamentismo radicale;
- il ruolo creativo del soggetto;
- "la congiunzione tra la formalizzazione rigorosa (...) e la ricerca di
metodi di ricerca non tradizionali" (p. 14);
- "la possibilita' di porre in parallelo un'analisi strutturale dello
sviluppo del pensiero con un'analisi strutturale del linguaggio (lo
strutturalismo chomskiano e' piu' vicino a quello piagettiano, e differisce
dalla linguistica strutturale perche' e' uno strutturalismo
trasformazionale)" (p. 14);
- "la ricerca di universali linguistici (...) che, deplorabilmente, conduce
Chomsky all'innatismo, introducendo qui il punto piu' grave di divergenza
con la teoria di Piaget" (p. 14).
Il gruppo di psicolinguistica dell'Universita' di Ginevra trascura la
questione dell'innatismo come questione da cui si possa prescindere e di
fatto inverificabile e si concentra sui "problemi di acquisizione di
strutture sintattiche nel bambino" (p. 14), (la forma passiva, le relazioni
temporali, le subordinate relative, le condizionali), per poi passare ad
altri aspetti, quali la ricerca "sui valori 'aspectuales' del verbo, sui
modificatori del sostantivo, sull'utilizzazione di presupposizioni nel
dialogo, sugli inizi dell'interazione verbale madre-bambino e sulla
possibilita' di riflessione metalinguistica" (p. 15).
Gia' dai primi lavori "apparvero linee molto chiare di convergenza tra certi
momenti privilegiati di organizzazione del linguaggio e gli stadi conosciuti
dell'organizzazione cognitiva. Siamo molto lontani dal potere stabilire una
teoria dell'acquisizione del linguaggio che possa integrarsi con la teoria
dello sviluppo cognitivo" (p. 15). Cio' anche perche' il periodo di maggior
rilevanza per lo sviluppo del linguaggio, quello compreso tra i 2 e i 4
anni, e' quello meno studiato dall'analisi piagettiana.
"In cambio, cio' che comincio' ad emergere chiaramente, gia' a partire dal
lavoro sulle relazioni temporali, fu la possibilita' di comprendere che tipo
di problemi cognitivi comportasse l'acquisizione del linguaggio. Alla
visione semplicista delle cose secondo la quale le operazioni si
costituiscono seguendo una linea di sviluppo autonomo e una volta costituite
si applicano alla soluzione di diversi problemi, e' necessario opporre la
visione dialettica dello sviluppo secondo la quale la resistenza
dell'oggetto rispetto allo schema assimilatore e' tanto essenziale quanto
l'assimilazione stessa, assimilazione senza la quale l'oggetto non puo'
convertirsi in oggetto di conoscenza. E' in questa prospettiva che si fa
strada la possibilita' di una soluzione differente al problema delle
relazioni tra sviluppo cognitivo e sviluppo del linguaggio: non si tratta di
ridurre il linguaggio al pensiero (riduzione parallela alla riduzione
neopositivista della logica al linguaggio), ma di far derivare entrambi,
tanto il linguaggio che la logica, dall'organizzazione generale delle azioni
e dai processi di riequilibrazione" (p. 16).
Afferma Piaget nella prefazione a Les relations temporelles dans le language
de l'enfant: "Potrebbe succedere che, in tutti i domini contemporaneamente,
quando si pone un problema comune sotto una forma piu' o meno isolabile o
mescolata con altre, il soggetto reagisca con lo stesso gioco di
regolazione, con equilibrazione per compensazione delle perturbazioni,
arrivando cosi' a una struttura di grado diverso di generalita', operazione
o funzione preoperatoria. (...) In cio' che riguarda il problema delle
relazioni tra le operazioni o preoperazioni cognitive e il linguaggio,
questo equivarrebbe a dire che le operazioni non guidano il linguaggio dal
di fuori secondo una azione a senso unico, ma che i progressi del linguaggio
sono dovuti ad un meccanismo regolatore o organizzatore ad un tempo interno
e solidale con le altre forme dello stesso processo che agisce allo stesso
livello in altri domini. L'operazione o la preoperazione logica o matematica
costituirebbe allora simultaneamente il risultato di cio' che c'e' di comune
in queste diverse equilibrazioni e la cristallizzazione strutturale di
questo funzionamento nei domini nei quali si converte in un fine in se'
stesso" (p. 16).
La Ferreiro, commentando la citazione, conclude che questo testo permette di
intravedere "la potenza dello schema dell'equilibrazione come schema
esplicativo dello sviluppo" (p. 16).
Per esemplificare questo si avvale di un esempio tratto dall'acquisizione
della lingua scritta, citando il caso di una bambina che disponendo di soli
quattro caratteri, arriva a modificarne l'ordine sequenziale per scrivere
parole diverse rispettando cosi' sia la regola della quantita' minima che la
regola della molteplicita' dei caratteri. Questo esempio di creativita' e'
simile a molti altri di creativita' nel linguaggio, che puo' definirsi come
"produzione di qualcosa di nuovo secondo un sistema di regole. (...) La
produttivita', cioe' la possibilita' di produrre costantemente nuovi
messaggi, e' una delle caratteristiche essenziali dei linguaggi umani. Nel
dominio cognitivo la creativita' e' determinata dall'insieme di relazioni
possibili all'interno di un sistema; e' il livello di strutturazione quello
che varia e quello che conferisce legittimita' alla creazione" (pp. 18-19).
*
Il saggio si conclude individuando il contributo piagettiano
all'esplorazione di nuovi campi di conoscenza, quali la genesi di oggetti
socio-culturali (tra cui la scrittura), in una metodologia di ricerca che
consenta di incontrare l'inaspettato, il non-previsto.
Da ultimo vengono poste due precisazioni.
La prima illustra la differenza tra metodo clinico e metodo critico. La
seconda pone in relazione la creativita' del bambino e i problemi di
apprendimento, sostenendo l'ipotesi che si tratti piuttosto di problemi di
insegnamento, in cui le difficolta' del bambino derivano dall'incomprensione
che ne ha la scuola.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 648 del 20 agosto 2003