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La nonviolenza e' in cammino. 647
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 647
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 19 Aug 2003 00:06:45 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 647 del 19 agosto 2003 Sommario di questo numero: 1. Etty Hillesum: e sotto i nostri occhi 2. Silvia Marcuz: tempo di nonviolenza 3. Per fermare e impedire le guerre sono indispensabili disarmo e smilitarizzazione 4. Maria G. Di Rienzo: cio' che abbiamo imparato 5. Enrico Peyretti: Europa 6. Claudio Ragaini: alcuni operatori di pace del Novecento, secolo di guerre e di speranza 7. Luigi Cavallaro: Joan Robinson e la piena occupazione 8. Emiliano Brancaccio: Joan Robinson e una politica economica alternativa 9. Hannah Arendt: la perdita 10. Simone Weil: tutta la societa' 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. ETTY HILLESUM: E SOTTO I NOSTRI OCCHI [Da Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001, p. 65 (e' un brano da una lettera dal campo di Westerbork dell'8 giugno 1943). Etty Hillesum e' nata nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo "altro" e' possibile, Apeiron, Sant'Oreste (Rm) 2002 (catalogo della mostra svoltasi a Roma nel 2002)] Il cielo e' pieno di uccelli, i lupini violetti stanno la' cosi' principeschi e cosi' pacifici, su quella cassa si sono sedute a chiacchierare due vecchiette, il sole splende sulla mia faccia e sotto i nostri occhi accade una strage, e' tutto cosi' incomprensibile. 2. INIZIATIVE. SILVIA MARCUZ: TEMPO DI NONVIOLENZA [Ringraziamo Silvia Marcuz (per contatto: smarcuz at libero.it) per questo intervento. Silvia Marcuz e' impegnata nell'esperienza della Carovana della pace che nel settembre 2003 attraversera' l'Italia per promuovere una coscienza di pace, solidarieta', nonviolenza] Siamo i giovani della Carovana della pace 2003 che a settembre insieme ad alcuni missionari comboniani gireranno parte dell'Italia per "Osare un tempo nuovo". Anche noi saremo ad Assisi il 4 settembre per la partenza della camminata Assisi-Gubbio, anzi abbiamo scelto di iniziare il nostro cammino insieme al vostro cammino. Questa scelta nasce dalla convinzione che non vi puo' essere un tempo nuovo senza che sia anche un tempo in cui la (il)logica della violenza venga stravolta nella logica nonviolenta della forza della verita', della coscienza, dell'amore, della festa, della sobrieta'. della giustizia, della liberazione, del potere di tutti, della bellezza, della persuasione. Alleghiamo il comunicato che illustra questa nostra nuova avventura che partira' insieme al Movimento Nonviolento per percorrere percorsi diversi, costruendo pero' la stessa strada di pace. Un fraterno abbraccio e buon cammino. * Osare un tempo nuovo. Carovana della pace 4-15 settembre 2003 La Carovana della pace, che nel 2002 ha toccato dieci citta' italiane proponendo il tema "La pace nelle nostre mani: non solo utopia", si rimette in cammino per ascoltare ed incontrare le attese della gente, le speranze dei poveri e raccogliere i tanti semi di impegno attivo che testimoniano che il nuovo e' possibile. A 40 anni dalla Pacem in terris urge osare un tempo nuovo per tutti. I documenti, gli slogan, le azioni si riciclano e si archiviano; molte parole sono state dette in difesa della pace, della giustizia e della verita', ma il ritmo e le attese dei popoli molte volte non vengono ascoltati; la logica del nemico e della guerra continua a crescere creando un divario sempre piu' evidente tra l'umano e il non umano, il cittadino e lo straniero, la legalita' e il "lecito opportunismo", l'aiuto ai poveri e la distribuzione delle ricchezze, la verita' e la "giusta menzogna", la vera pace e la corsa armata per garantire i propri interessi. Osare un tempo nuovo e' ridurre questo divario con la forza dell'incontro e della responsabilita' comune, del farsi carico comunitario del cambiamento, della distribuzione equa dei beni e della costruzione attenta, fedele e quotidiana della vita per tutti. I 20 giovani che formeranno la carovana della pace partiranno il 4 settembre da Assisi incontrando alcune realta' di base, associazioni, gruppi e singole persone attraverso l'Italia: da Napoli (5-7 settembre) a Roma (8-11 settembre), Montesole e Marzabotto (12 settembre), Barbiana e Quarrata (13 settembre), Brescia (14 settembre). Il 15 settembre saranno a Limone per fare memoria attiva e celebrare la profezia del missionario Daniele Comboni. Si vogliono mettere in ascolto e al servizio: passeranno per i quartieri delle citta', formeranno punti d'ascolto (tende del vangelo), pregheranno con gruppi parrocchiali, proporranno incontri di formazione popolare sulla Pacem in terris, spezzeranno il loro tempo nelle "citta'" fuori le mura, provocheranno a forme di solidarieta' attiva in difesa dei piu' deboli. Tocca a noi osare un nuovo tempo. Per superare l'indifferenza di molti e le alienazioni di massa, osiamo insieme il tempo della responsabilita' attiva e quotidiana. Incontrarci nel volto dell'altro e cogliere che abbiamo in comune la sete di pace vera, ci porta ad assumere scelte impegnative e quotidiane. Due proposte d'azione viaggiano con la carovana, perche' tutti le raccolgano: - reagire con indignazione e scelte concrete alla gestione inumana del fenomeno immigrazione (vedi documento "Non molesterai il forestiero: un decalogo per aiutare gli immigrati oggi" al link www.giovaniemissione.it/news/decalogo_immigrazione.htm); - opporsi all'espansione non democratica del Wto a Cancun, verso un sistema internazionale giusto, equo e sostenibile nelle relazioni commerciali, economiche e finanziarie (vedi sito della campagna "Questo mondo non e' in vendita" www.campagnawto.org). Invitiamo ciascuno a "fare carovana" con noi: esserci, condividere, tessere trame solide di impegno nel locale e di partecipazione creativa e' il minimo che possiamo fare perche' vinca la vita. "La pace rimane solo suono di parole, se non e' fondata su quell'ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verita', costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carita' e posto in atto nella liberta'" (Pacem in Terris, 89). Per informazioni: www.giovaniemissione.it Per qualunque tipo di spiegazione, di informazione e quant'altro, potete contattarci: missionari comboniani, p. Dario e fr. Claudio, via S. Giovanni da Verdare 139, 35137 Padova, tel. 0498751506, e-mail: gimpadova at libero.it; Silvia Marcuz: cell. 3332398351, tel. 044520687, e-mail: smarcuz at libero.it; Diego Bortolotto: tel. 0445606153, cell. 3476048608, e-mail: diego.bortolo at libero.it 3. EDITORIALE: PER FERMARE E IMPEDIRE LE GUERRE SONO INDISPENSABILI DISARMO E SMILITARIZZAZIONE La marcia Peugia-Assisi specifica per la nonviolenza svoltasi nel settembre 2000 poneva un messaggio e un obiettivo preciso: "Mai piu' eserciti e armi". Poiche' per impedire la guerra sono indispensabili disarmo e smilitarizzazione, essendo eserciti ed armi di essa strumenti e condizione. Quell'obiettivo, e quel percorso, riprende in settembre, dal 4 al 7, con la camminata nonviolenta da Assisi a Gubbio, che della Perugia-Assisi del 2000 e' la prosecuzione diretta (per informazioni e adesioni: e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org); e verra' riproposto ancora il 4 novembre dalle iniziative pacifiste e nonviolente che commemorando tutte le vittime di tutte le guerre col motto "Ogni vittima ha il volto di Abele" ricorderanno che le vittime delle guerre sono uccise in primo luogo dalle armi e dagli eserciti, e che l'unico modo per rendere omaggio alla loro memoria e' impegnarsi per abolire le guerre, e per abolire le guerre occorre cessare di produrre armi e di organizzare, addestrare ed usare persone per usarle. Poiche' le armi servono a uccidere, gli eserciti servono a uccidere, uccidere esseri umani. Ed occorre dunque scegliere: tra le armi e gli eseciti da un lato, e il diritto alla vita dell'umanita'. La nonviolenza e' questa scelta necessaria. 4. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: CIO' CHE ABBIAMO IMPARATO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] La nonviolenza ci ha costretto a chiederci: Cos'e' il potere? Ed ha mostrato che pensare ad esso come a potenza militare e' un errore. La nonviolenza ci ha insegnato un modo diverso di guardare al potere. Se definiamo quest'ultimo come "la capacita' di raggiungere uno scopo", vediamo che i piu' potenti eserciti del mondo sono incapaci non solo di provvedere sicurezza alle nazioni, ma anche di ottenere il semplice e brutale scopo della nostra sottomissione alle logiche di dominio. La nonviolenza ci ha mostrato la forza della verita'. Ogni persona ha desiderio di verita' e ne detiene una parte: e' naturale per ogni persona voler essere trattata in maniera giusta ed onesta. Quando la verita' viene negata dalle menzogne, le persone si sentono violate. E quando reclamano insieme la verita', esse esprimono un grande, irresistibile potere. La nonviolenza ci ha infatti anche insegnato che le persone hanno potere. Non importa quanto umili o povere, quando esse si levano contro l'ingiustizia, con il rumore o con il silenzio, con il gesto quotidiano o l'azione di massa, sono potenti. La nonviolenza ci ha dimostrato che i governi si reggono sul consenso dei governati. Governi incompetenti, tirannici e corrotti si affidano alla passiva accettazione di questi ultimi. Ma se i governati cominciano a resistere, anche i tiranni si indeboliscono e cadono. La nonviolenza ci ha insegnato che un desiderio indomabile di liberta' e giustizia abbatte l'oppressione. La nonviolenza ci ha insegnato l'importanza di preparare le persone alla resistenza ed all'azione: per creare un cultura persistente di pace non possiamo affidarci all'improvvisazione. Ogni comunita', ogni chiesa, ogni scuola, ogni gruppo deve divenire il luogo in cui passo dopo passo le visioni e le tecniche sviluppano il cambiamento. La nonviolenza ci ha mostrato che un cambiamento sistemico e' un processo organico in divenire che deve interessare tutti i fondamenti dell'oppressione in una societa'. Far cadere una struttura oppressiva dev'essere immediatamente seguito dalla costruzione di una struttura di condivisione. Questo non accade per magia, ma per saggezza e perseveranza: educarsi, praticare la risoluzione nonviolenta dei conflitti, lottare per la giustizia, celebrare le differenze, proporre leggi di riforma, praticare l'azione diretta... abbiamo mille modi per dare il nostro contributo. La nonviolenza ci ha insegnato a rileggere la storia. Troppo di quello che ne abbiamo appreso a scuola e' centrato su guerre e battaglie, e minimizza la molteplicita' di episodi e movimenti nonviolenti. E solo la nonviolenza puo' essere la levatrice del nuovo mondo che vogliamo far nascere, un mondo in cui ad essere onorate siano la verita', la bellezza, la relazione. 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: EUROPA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario] Il papa ripete la richiesta che la Costituzione europea dica espressamente che l'Europa ha radici cristiane. A parte altri aspetti della questione trattati in altri luoghi e momenti, presento questa considerazione: il mondo impoverito accusa, insieme all'Europa, il cristianesimo per le ingiustizie compiute diffusamente nel mondo, e lo vede come una religione essenzialmente europea. Se i cristiani vogliono dissociarsi dalle iniquita' storiche compiute dal mondo ricco, sarebbe opportuno che, senza ignorare la reale componente cristiana della storia europea, essi non esaltino e non costituzionalizzino questa componente, come se fosse innocente, ma ripensino criticamente la storia europea e le sue responsabilita', anche cristiane. Questo sarebbe un nuovo vero contributo cristiano all'Europa giusta. 6. RIFLESSIONE. CLAUDIO RAGAINI: ALCUNI OPERATORI DI PACE DEL NOVECENTO, SECOLO DI GUERRE E DI SPERANZA [Questo articolo di Claudio Ragaini (per contatti: clragaini at stpauls.it) e' apparso su "Letture" n. 590 dell'ottobre 2002. lo riprendiamo dal sito www.stpauls.it/letture. Claudio Ragaini, laureato con una tesi sul pacifismo, e' giornalista e scrittore, fa parte della direzione di "Famiglia cristiana", e' stato docente di giornalismo alla Scuola superiore di comunicazioni sociali dell'Universita' cattolica, consigliere nazionale di Mani tese; tra le sue pubblicazioni: Giu' le armi! Teodoro Moneta e il progetto di pace internazionale, Franco Angeli; Don Tonino, fratello, vescovo, Paoline] "Secolo dell'orrore", come e' stato chiamato, di guerre laceranti di dittature e genocidi, il secolo di Auschwitz e di Hiroshima, il Novecento lascia dietro di se' una scia di ferite le cui conseguenze ancora oggi continuano a minare la coesistenza di intere popolazioni. Ma, letto in controluce, il Novecento e' stato anche il secolo che piu' di ogni altro ha saputo sviluppare, come un antigene, una forte ideologia di pace che nel corso degli anni, pur attraverso le esperienze dolorose di molti conflitti e i fallimenti di molte imprese, e' andata consolidandosi e ramificandosi in teorie e prassi innovative, dando origine a movimenti di massa e di opposizione alla guerra nel nome di una consapevolezza nuova, continuamente rigenerata, secondo cui la pacifica convivenza planetaria non e' piu' un miraggio astratto, un ideale meramente teorico, ma una costruzione le cui fondamenta posano su categorie quali la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani, la tutela dell'ambiente, la nonviolenza. Come scrive Peppe Sini in un suo recente saggio (Annuario della pace 2002, Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace), "Il Novecento non e' solo il secolo dell'orrore, ma anche il secolo della resistenza all'orrore. Non e' solo il secolo delle guerre, ma anche della resistenza alla guerra. Non e' solo il secolo della disperazione, ma anche della speranza e della responsabilita', dell'inizio della lotta nonviolenta per un'umanita' di liberi ed uguali". * Il premio Nobel per la pace Questo cammino e' segnato dall'operato e dal pensiero di molte personalita' che hanno consacrato alla causa della pace la loro vita, pur attraverso percorsi e motivazioni diverse. Non tutte comprese, molte osteggiate, altre completamente ignorate nella storia di quello che e' considerato il massimo riconoscimento ufficiale in materia: il Premio Nobel per la Pace, istituito, come le altre sezioni, a partire dal 1901. Basti dire che nell'elenco non figurano i nomi di Gandhi e di Tolstoj che alla storia del pacifismo hanno legato la loro eredita' spirituale, mentre sono presenti discussi segretari di Stato e uomini politici, scelti in funzione di strategie e tatticismi non sempre chiari. * Tolstoj Ma proprio da Tolstoj, morto nel 1910, vorremmo iniziare questa sintetica carrellata, poiche' il grande scrittore russo illumino' con la sua pedagogia pacifista il volgere del secolo, incarnando, soprattutto nell'estremo arco della sua vita, posizioni di una radicalita' totale, frutto di una sofferta religiosita', nel rifiuto della guerra e di ogni forma di violenza, che lo misero in polemica persino con alcuni esponenti del pacifismo ufficiale europeo di quei tempi. In Resurrezione, egli sintetizza in cinque punti il Discorso della montagna, proclamando la prima delle verita' universali: "L'uomo non solo non deve uccidere il proprio simile, suo fratello, ma nemmeno adirarsi con lui, ne' accusarlo, ne' disprezzarlo. E se egli si adira con qualcuno deve riconciliarsi con lui prima di offrire qualche dono a Dio, cioe' prima di unirsi a Dio con la preghiera". E' il conflitto tra coscienza e istituzioni che egli affronta nel saggio Il regno di Dio e' in voi, che lo porta a teorizzare il rifiuto del servizio militare, e persino la diserzione, come e' nello scritto Delenda Carthago che, tradotto in Italia per la rivista pacifista "Vita Internazionale", procuro' il suo sequestro da parte della polizia e un processo per apologia di reato al suo gerente, nell'anno delle cannonate di Bava Beccaris (1898). * Ernesto Teodoro Moneta In questi anni che aprono le porte al Novecento, tra avventure coloniali e fermenti nazionalistici, il pacifismo europeo vive una sua stagione impegnata, fatta di convegni, proclami e comitati, sulla scia degli ideali cosmopoliti diffusi da esponenti di primo piano del movimento pacifista come l'inglese Hodgson Pratt e il ricordo ancora lacerante dei feriti e delle vittime delle battaglie risorgimentali. Non per nulla il primo Nobel per la Pace viene assegnato nel 1901 a Jean Henri Dunant e Frederic Passy, svizzero il primo, francese il secondo: l'uno promotore della Croce Rossa, l'altro fondatore della Lega internazionale per la pace e la Societa' per l'Arbitrato. E su questa scia riceveranno il prestigioso riconoscimento altri promotori di ideali pacifisti la baronessa Bertha Sophie Felicita von Suttner (1905), instancabile animatrice di tutti i consessi pacifisti, Theodore Roosevelt (1906) ed Ernesto Teodoro Moneta (1907), l'unico italiano nella storia del Nobel a essere insignito del prestigioso riconoscimento. Combattente garibaldino, giornalista (per quasi trent'anni direttore del quotidiano milanese "Il Secolo", poi fondatore della rivista "Vita Internazionale", quella del processo a Tolstoj) Moneta fu esponente di primo piano del pacifismo italiano dell'inizio del secolo, ma espresse anche, nelle sue posizioni, le tensioni e le lacerazioni di un'epoca sospesa tra i grandi aneliti universalistici e le spinte nazionaliste post-unitarie che lo portarono, ormai alla conclusione della sua vita, a sostenere l'intervento nella grande guerra, con grande scandalo dei suoi amici pacifisti. Il suo progetto di pace universale non prescindeva dall'amore di patria e dalla costruzione di un mondo fondato sulla giustizia e la crescita morale. * La prima guerra mondiale La prima guerra mondiale spazzo' dall'orizzonte internazionale i sogni di pace coltivati nell'arco di un ventennio, mise a tacere le voci che ancora auspicavano il prevalere della ragione sulla forza. Il belga Henri La Fontaine, presidente del Bureau international de la paix e promotore della Corte internazionale di giustizia, fu l'ultimo a ricevere il Nobel della Pace (1913) prima che il mondo sprofondasse nella guerra e il Premio rimanesse congelato per molti anni, con poche significative eccezioni: la Croce Rossa nel 1917, il presidente americano Thomas Wilson, l'ideatore dei 14 punti per la pace (1919), il francese Leon Victor Auguste Bourgeois, uno dei padri fondatori della Societa' delle Nazioni (1920). * Albert Schweitzer Ma intanto le vie della pace prendevano altre direzioni, dalle costruzioni teoriche del diritto internazionale e dai congressi si calavano nella realta' della vita, incrociavano i bisogni della povera gente, dei rifugiati, dei dimenticati lontani. Gia' da alcuni anni un giovane medico alsaziano, teologo protestante e valente musicista, aveva lasciato l'Europa per inseguire il suo sogno di filantropo di costruire un ospedale nella foresta africana per curare i malati di lebbra e lo aveva realizzato nel Gabon, a Lambarene', sulle rive di un fiume, dove trascorreva la sua vita, in compagnia del suo fedele organo. Si chiamava Albert Schweitzer e il mondo imparo' a conoscerlo quando, oramai alla fine della sua lunga vita, ricevette il riconoscimento del Premio Nobel per la Pace (1952). Lascio' pagine lungimiranti nelle quali denunciava il pericolo di un'involuzione dell'umanita' e il pericolo di un'autodistruzione: "Soltanto un sistema di pensiero nel quale l'atteggiamento del rispetto per la vita diventi una forza ha la capacita' di far sorgere in questo mondo un'epoca di pace. Ogni tentativo solo diplomatico di raggiungere la pace non e' coronato da successo". * Gandhi In tutt'altra parte del mondo, in quegli anni di interludio tra le due guerre, un piccolo e coraggioso avvocato indiano, Mohandas Gandhi, l'esile corpo vestito di una semplice tunica e di poveri sandali, appoggiato a un lungo bastone, percorreva il suo Paese predicando il valore della nonviolenza (ahimsa) e della verita' (satyagraha) come metodo di lotta contro la sopraffazione e l'ingiustizia, che egli stesso aveva sperimentato durante il suo soggiorno giovanile in Sudafrica, vittima della discriminazione razziale. La sua azione di risveglio della coscienza popolare indiana, pagata con la prigione, i digiuni e infine la stessa sua vita, porto', come si sa, l'intero Paese ad affrancarsi dal giogo coloniale britannico e costituisce, nella storia del pacifismo del secolo passato, uno dei punti piu' alti e significativi. * La nonviolenza in cammino La dottrina nonviolenta predicata da Gandhi non fu una costruzione sistematica, ma una ricerca costante della Verita', attraverso il sacrificio e l'impegno personale. "La nonviolenza", scrive in un testo raccolto nel libro Teoria e pratica della nonviolenza, "e' legge della razza umana ed e' infinitamente piu' grande e potente della forza bruta. Essa non puo' essere di nessun aiuto a chi non possiede una fede profonda nel Dio dell'Amore". L'eredita' gandhiana, anche attraverso l'opera di suoi discepoli come Vinoba Bhave, Lanza del Vasto e altri, si e' ramificata come un seme prodigioso, alimentando le generazioni future e dando origine a correnti di pensiero e movimenti nonviolenti che oggi si ispirano al suo esempio. Molti dei personaggi che negli anni piu' recenti hanno scritto la storia del pacifismo contemporaneo, da Aldo Capitini (fondatore del Movimento nonviolento per la pace e della marcia Perugia-Assisi) a Martin Luther King, martire della lotta alla segregazione razziale, fanno riferimento all'insegnamento gandhiano. * Dopo Auschwitz e Hiroshima Gli anni oscuri dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale sembrarono seppellire le idee di pace in una notte senza fine, testimoniata dal lungo silenzio dei Premi Nobel per la Pace; ma da quell'abisso sembro' riemergere una coscienza nuova dell'umanita' nella forza dell'organizzazione internazionale (e' del 1945 la nascita dell'Onu) e della solidarieta' fra i popoli. A Parigi un giovane prete francescano, gia' partigiano e deputato del Parlamento, solleva l'opinione pubblica per dare una casa ai senzatetto e fonda una comunita' per i disastrati della vita. Si chiama Henri Groues e diventera' famoso nel mondo per le sue Comunita' Emmaus col nome di Abbe' Pierre. Negli anni sucessivi della guerra fredda, il pericolo di un olocausto nucleare da' voce a personaggi autorevoli, da Bertrand Russell, al gia' ricordato Schweitzer, che richiamano i governi delle grandi potenze al dovere del disarmo, unica via per la costruzione di un mondo senza guerre. * Il Sud del mondo Ancora una volta la pace si coniuga con le realta' nuove della storia: incontra la realta' dei Paesi piu' poveri, quelli che verranno chiamati Terzo Mondo. Gli anni '60 hanno dato il via al periodo della decolonizzazione che ha aperto un nuovo capitolo, ricco di speranze e di crisi nella storia dell'Africa. Nel 1961 il segretario dell'Onu, lo svedese Dag Hammarskjold, muore in un misterioso incidente aereo mentre e' impegnato a risolvere la drammatica situazione del Congo. Gli viene assegnato il Nobel per la Pace postumo, unica eccezione nella storia del Premio. Ci sono autentici eroi della carita' che scrivono stupende pagine di solidarieta' in questo mondo emergente dei poveri: un filantropo francese, Raoul Follereau, gira il mondo per abbracciare i lebbrosi chiedendo alle superpotenze il corrispettivo del prezzo di un aereo da guerra per curarli. * Madre Teresa In India, una suora di origine albanese, Madre Teresa, fondatrice delle Missionarie della carita', raccoglie i derelitti moribondi sui marciapiedi di Calcutta per dar loro il conforto di una dignitosa assistenza nell'estrema ora della vita. Il Premio Nobel nel 1979 ha riconosciuto i suoi meriti umanitari, la Chiesa premia le sue virtu' eroiche e si appresta a beatificarla. C'e' chi si occupa di profughi, come il reverendo belga Georges Henri Pire (Nobel nel 1958) e chi come il vescovo Helder Camara in Brasile sceglie di stare vicino ai poveri delle favelas condividendo le loro sofferenze. * Da Martin Luther King a Nelson Mandela Il mondo scopre la realta' dell'apartheid, non solo in Sudafrica, ma negli stessi Stati Uniti, dove i neri sono discriminati persino nelle scuole. Anche questa e' una sfida nuova per la pace. Alla testa del movimento antisegregazionista americano c'e' un coraggioso ministro della Chiesa battista, Martin Luther King, che forte del suo credo nonviolento mobilita le masse dei suoi fratelli di colore per la difesa dei diritti civili. La sua marcia della liberta', organizzata a Washington nell'agosto 1963, riunisce 250 mila manifestanti pacifici e segna il culmine del suo impegno civile, consacrato dal Nobel per la Pace l'anno successivo e pagato con la vita nel 1968, quando cadra' assassinato per mano di un razzista bianco. Lo stesso impegno che negli anni successivi in Sudafrica e in Rhodesia, per altre vie e con altri mezzi, non sempre pacifici, portera' alla vittoria contro il regime dell'apartheid per la coraggiosa battaglia di leader politici e religiosi di colore come Albert Luthuli, Nelson Mandela e il vescovo anglicano Desmond Tutu, tutti insigniti del Nobel. * Giovanni XXIII e Paolo VI La Chiesa cattolica e' interprete di questa aspirazione universale alla pace: nel 1963, alla vigilia della sua morte, papa Giovanni XXIII pubblica l'enciclica Pacem in terris che si rivela, fin dal prologo, come un documento di eccezionale importanza dottrinale. Contrariamente alla formula tradizionale, e' indirizzata non soltanto alle gerarchie e ai fedeli cattolici del mondo, ma anche "a tutti gli uomini di buona volonta'", di qualunque ideologia o provenienza, e proclama solennemente l'esigenza di una "pace fra tutte le genti, fondata sulla verita', sulla giustizia, sulla liberta'". Quattro anni dopo il suo successore, Paolo VI, nell'anelito costante alla pace che caratterizzo' il suo pontificato (e' del 1967 la fondazione della Commissione Justitia et Pax), esplicita con grande lucidita' nella Populorum progressio i principi cui deve ispirarsi la convivenza umana. La sua analisi e' di un'attualita' sconvolgente e grande la sua eco: "Lo sviluppo e' il nuovo nome della pace", scrive il papa, e lo sviluppo "deve essere integrale, vale a dire volto alla promozione di ogni uomo, di tutto l'uomo". * Da Giorgio La Pira a Tonino Bello Sono questi i punti di riferimento cui si ispireranno negli anni a seguire le correnti di pensiero pacifista del nostro mondo cattolico, espresse dal sorgere di movimenti e associazioni di volontariato sempre piu' numerose e dall'impegno di personaggi simbolo: da La Pira a monsignor Camara, da don Mazzolari a don Milani, da padre Balducci a don Tonino Bello, il popolare vescovo di Pax Christi, autentico interprete di quella "convivialita' delle differenze" che resta la sua definizione piu' schietta della pace. * "Avventura senza ritorno" Ed e' ancora un papa, Giovanni Paolo II, instancabile pellegrino di pace, a ricordarci negli anni piu' recenti, di fronte ai conflitti che vanno sconvolgendo la ex Jugoslavia, il Medio Oriente e l'Africa, che la guerra e' "un'avventura senza ritorno", la pace "esige sempre il rispetto rigoroso della giustizia e, conseguentemente, l'equa distribuzione dei frutti del vero progresso" (Sollecitudo rei socialis). Non si puo' dimenticare, in questa faticosa costruzione di un mondo di pace, l'attivita' di quelle organizzazioni non governative, sempre piu' attive, che svolgono un ruolo di custodi dei diritti umani e che spesso suppliscono alle carenze delle istituzioni internazionali nella composizione dei conflitti: un nome per tutti e' quello della Comunita' di Sant'Egidio di Roma la cui opera di mediazione silenziosa ha permesso di raggiungere la pace nel Mozambico dopo anni di guerra e di contribuire alla soluzione di altre controversie. * Difesa degli oppressi Sempre piu' il cammino della pace va legandosi al rispetto della legalita' e della liberta' dei popoli. Sempre meno il silenzio e l'omerta' riescono a coprire le violazioni dei diritti naturali dell'uomo, anche per l'imporsi di coraggiose forme di denuncia e di lotta. L'ultimo scorcio del secolo fornisce un copioso elenco di personaggi che hanno dedicato la loro esistenza al ripristino della legalita' nei loro Paesi e alla difesa degli oppressi. Pensiamo al sacrificio di monsignor Romero, alle madri dei desaparecidos di Plaza de Mayo, a Perez Esquivel, oppositore della dittatura militare in Argentina e fondatore del movimento ecumenico "Paz y Justicia"; a Rigoberta Menchu' e alla sua opera di difesa degli indios dell'America Latina, al vescovo Carlo Belo, difensore delle popolazioni di Timor, alla birmana Aung San Suu Kyi, che ha patito anni di carcere per la sua fiera opposizione alla dittatura militare nel suo Paese. E quanti altri, che in silenzio, senza i clamori di premi e riconoscimenti, ancora lottano per raggiungere quell'ideale di pace che l'uomo insegue da sempre. * I Premi Nobel per la Pace 1901-2001 1901 - Jean Henri Dunant, Frederic Passy 1902 - Elie Ducommun, Charles Albert Gobat 1903 - Sir William Randal Cremer 1904 - Istituto di diritto internazionale 1905 - Bertha Sophie Felicita von Suttner 1906 - Theodore Roosevelt 1907 - Ernesto Teodoro Moneta, Louis Renault 1908 - Klas Pontus Arnoldson, Fredrik Bajer 1909 - Auguste Marie Francois Beernaert, Paul Henri Benjamin Balluet d'Estournelles de Constant 1910 - Ufficio internazionale permanente per la pace 1911 - Tobias Michael Carel Asser, Alfred Hermann Fried 1912 - Elihu Root 1913 - Henri La Fontaine 1917 - Comitato internazionale della Croce Rossa 1919 - Thomas Woodrow Wilson 1920 - Leon Victor Auguste Bourgeois 1921 - Karl Hjalmar Branting, Christian Lous Lange 1922 - Fridtjof Nansen 1925 - Sir Austen Chamberlain, Charles Gates Dawes 1926 - Aristide Briand, Gustav Stresemann 1927 - Ferdinand Buisson, Ludwig Quidde 1929 - Frank Billings Kellogg 1930 - Lars Olof Nathan (Jonathan) Soederblom 1931 - Jane Addams, Nicholas Murray Butler 1933 - Sir Norman Angell (Ralph Lane) 1934 - Arthur Henderson 1935 - Carl Von Ossietzky 1936 - Carlos Saavedra Lamas 1937 - Cecil of Chelwood 1938 - Ufficio internazionale Nansen per i rifugiati 1944 - Comitato internazionale della Croce Rossa 1945 - Cordell Hull 1946 - Emily Greene Balch, John Raleigh Mott 1947 - Societa' degli amici 1949 - Lord John Boyd Orr Of Brechin 1950 - Ralph Bunche 1951 - Leon Jouhaux 1952 - Albert Schweitzer 1953 - George Catlett Marshall 1954 - Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati 1957 - Lester Bowles Pearson 1958 - Georges Henri Pire 1959 - Philip J. Noel-Baker 1960 - Albert John Luthuli 1961 - Dag Hjalmar Agne Carl Hammarskjold 1962 - Linus Carl Pauling 1963 - Comitato internazionale della Croce Rossa 1964 - Martin Luther King jr. 1965 - Fondo di emergenza delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef) 1968 - Rene' Cassin 1969 - Ufficio internazionale del lavoro 1970 - Norman E. Borlaug 1971 - Willy Brandt 1973 - Henry A. Kissinger, Le Duc Tho 1974 - Sean MacBride, Eisaku Sato 1975 - Andrei Dmitrievich Sakharov 1976 - Betty Williams, Mairead Corrigan 1977 - Amnesty International 1978 - Mohamed Anwar Al-Sadat, Menachem Begin 1979 - Madre Teresa di Calcutta 1980 - Adolfo Perez Esquivel 1981 - Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati 1982 - Alva Myrdal, Alfonso Garcia Robles 1983 - Lech Walesa 1984 - Desmond Mpilo Tutu 1985 - Internazionale dei medici per la prevenzione della guerra nucleare 1986 - Elie Wiesel 1987 - Oscar Arias Sanchez 1988 - Forze di pace dell'Onu ("Caschi Blu") 1989 - Il XIV Dalai Lama (Tenzin Gyatso) 1990 - Michail Sergeevic Gorbaciov 1991 - Aung San Suu Kyi 1992 - Rigoberta Menchu' Tum 1993 - Nelson Mandela, Fredrik Willem De Klerk 1994 - Yasser Arafat, Shimon Peres, Yitzhak Rabin 1995 - Joseph Rotblat, Pugwash Conferences on science and world affairs 1996 - Carlos Felipe Ximenes Belo, Jose' Ramos-Horta 1997 - Campagna internazionale per la messa al bando delle mine, Jody Williams 1998 - John Hume, David Trimble 1999 - Medici senza frontiere 2000 - Kim Dae-Jung 2001 - Nazioni Unite, Kofi Annan 2002 - Jimmy Carter * Alcuni libri sul pacifismo - M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, a cura di G. Pontara, Einaudi, Torino 1973; - E. Melandri, I protagonisti, Emi, Bologna 1984; - P. C. Bori - G. Sofri, Gandhi e Tolstoj, un carteggio e dintorni, Il Mulino, Bologna 1985; - G. Procacci, Premi Nobel per la pace e guerre mondiali, Feltrinelli, Milano 1989; - E. Butturini, La pace giusta, Mazziana, Verona 1993; - R. Venditti, L'obiezione di coscienza al servizio militare, Giuffre', Milano 1994; - C. Ragaini, Giu' le armi! Teodoro Moneta e il progetto di pace internazionale, Franco Angeli, Milano 1999; - Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace 2002, Asterios, Trieste 2001; - A. Schweitzer, La melodia del rispetto per la vita, San Paolo, Milano 2002. 7. DIBATTITO. LUIGI CAVALLARO: JOAN ROBINSON E LA PIENA OCCUPAZIONE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 agosto 2003. Luigi Cavallaro e' un illustre economista e prestigioso intellettuale democratico. Joan Robinson, nata nel 1903, scomparsa nel 1983, e' stata una grande docente di economia a Cambridge, studiosa di straordinario valore e di forte impegno civile. Tra le molte opere di Joan Robinson: Ideologie e scienza economica, Sansoni; L'economia a una svolta difficile, Liberta' e necessita', ambedue presso Einaudi] Ci sono molti modi per ricordare Joan Robinson a cent'anni dalla nascita e venti dalla morte: un convegno, un saggio di dotta dottrina, un numero speciale di una rivista accademica. Qui al "Manifesto" abbiamo pensato a qualcosa di diverso: a Un programma per la piena occupazione, un articolo che ella scrisse nel 1943, nell'infuriare del conflitto mondiale, e che sintetizza in modo lucido e appassionato l'essenza dell'approccio radicale alla "rivoluzione keynesiana". Ci siamo chiesti se, dopo sessant'anni, sia un pezzo da museo o abbia del grano da macinare nel mulino della politica; piu' precisamente, ci siamo domandati se contenga analisi, spunti o proposte che possano contribuire a far uscire la sinistra europea da una sudditanza ormai ventennale nei confronti delle ricette dei banchieri centrali e della comunita' finanziaria e indurla a pensare "un'altra Europa". Con quali priorita', innanzi tutto? Oggi come nel 1943 i governanti promettono che combatteranno la disoccupazione di massa, ma al di la' di vaghe allusioni a programmi di opere pubbliche non ci sono grandi discussioni sui mezzi necessari per adempiere a questa promessa. Paradossalmente, la situazione e' anzi peggiore rispetto a sessant'anni fa, perche' mentre allora la Robinson poteva scrivere che la campagna teorica contro la Treasury View (l'opinione del Tesoro, secondo cui la spesa pubblica non puo' accrescere l'occupazione salvo spiazzare il settore privato) era "quasi interamente vinta", adesso non sono molti quelli che concorderebbero con lei nel ritenere che "la causa fondamentale della disoccupazione di massa sta nell'insufficienza del consumo che non aumenta di pari passo con la crescita della capacita' produttiva". Come spiegare altrimenti le idiozie che si ascoltano quotidianamente sul fronte della riforma previdenziale, al punto che e' toccato ad un sociologo come Luciano Gallino ricordare ai tanti (presunti) economisti che evocare disastri perche' i nuovi nati sono di meno dei futuri vecchi e' una stupidaggine, se si prescinde dall'andamento della produttivita'? Ma supponiamo di (ri)vincere sul piano teorico e che dunque anche per noi l'imperativo sia quello di avere "un approccio costruttivo al problema". "Un Piano Beveridge (o un super-Piano Beveridge)" potrebbe ridisegnare la riforma del sistema previdenziale e sanitario in modo meno delirante di quanto si stia facendo? La cura dell'ambiente, la ricerca sulle fonti alternative di energia e di trasporto, insomma una politica del territorio in senso ampio, sono oggi alla portata dei pubblici poteri europei? Certo, "se settori cosi' ampi di investimento venissero controllati, l'intera struttura della politica dei lavori pubblici verrebbe alterata. Finora i lavori pubblici sono stati invocati come palliativi per stabilizzare il ciclo". Ma "se le sfere principali di investimento fossero sotto il controllo pubblico, operando nel quadro di un piano generale, l'enfasi verrebbe modificata". Il punto, infatti, e' che "anche se il problema della disoccupazione di massa fosse cosi' risolto, si aprirebbe una nuova serie di problemi, perche' non e' affatto semplice rimediare alla disoccupazione lasciando tutto il resto come prima". Ci sarebbe innanzitutto da affrontare "la difficolta' che questa politica comporta per la bilancia commerciale". E' possibile, e in che modo, perseguire la piena occupazione e mantenere in pareggio la bilancia commerciale europea, "da una parte attraverso il controllo e l'incentivazione delle esportazioni e dall'altra parte attraverso un sistema di priorita' per le importazioni" che dia precedenza "ai beni piu' necessari"? E come garantire "il continuo controllo sui movimenti internazionali di capitale, affinche' la politica interna non sia alla merce' di improvvise fughe di fondi speculativi"? In secondo luogo, ci sarebbe il problema dei rapporti di forza. La disoccupazione, infatti, non e' un aspetto accidentale di un'economia capitalistica, ma parte del suo meccanismo essenziale. "La prima funzione della disoccupazione (che e' sempre esistita in forme aperte o nascoste) e' quella di mantenere l'autorita' del padrone sul lavoratore comune. Il padrone e' normalmente in posizione di dire: 'Se non vuoi il lavoro, ci sono molti altri che lo vogliono'. Quando il lavoratore dice 'Se non mi vuoi, ci sono molti altri che mi vogliono', la situazione e' radicalmente mutata". La scomparsa della disoccupazione potrebbe avere un effetto distruttivo sulla disciplina del lavoro (se ne e' gia' avuto piu' che un assaggio nei dintorni del '68), effetto che "in modo diverso e piu' sottile" potrebbe manifestarsi nella difficolta' di "mantenere il valore della moneta", a causa di "una pressione costante sui salari monetari", che potrebbe "far precipitare una violenta inflazione". E allora, e' pensabile oggi una contrattazione collettiva europea che tolga alla Bce il compito di custodire la stabilita' monetaria e le attribuisca il piu' modesto compito di fissare il saggio d'interesse a quel (basso) livello tale che la spesa privata e una spesa pubblica non piu' impastoiata nelle secche del Patto di stabilita' possano garantire il pieno impiego? E' ipotizzabile che una politica dei redditi, accompagnata da forme di pubblicita' dei costi, da divieti di speculare sulla struttura delle passivita' e da programmi generosi di sicurezza sociale, induca i lavoratori a preferire l'arricchimento reale all'illusione monetaria della rincorsa salariale? Non potrebbe essere questa la premessa per l'introduzione di una maggiore flessibilita', che evitando "ostacoli di qualunque provenienza all'introduzione di nuove tecnologie", consenta all'industria privata di procedere "ad un livello alto e stabile di attivita'"? La Robinson concludeva le sue riflessioni con l'auspicio che si affrontasse in modo risoluto "uno sgradevole dilemma": e cioe' "che esiste incompatibilita' tra l'impresa privata non regolamentata e la continua piena occupazione". Se vogliamo evitare "la confusione mentale e il disastro economico e sociale" e non vogliamo "continuare a brancolare nel buio", forse dovremmo dircelo e trarne laicamente le conseguenze. Proviamo a discuterne? 8. DIBATTITO. EMILIANO BRANCACCIO: JOAN ROBINSON E UNA POLITICA ECONOMICA ALTERNATIVA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 agosto 2003. Emiliano Brancaccio, economista, e' estensore della proposta di legge di Attac-Italia per la Tobin tax] Il movimento costretto, dopo la guerra coloniale in Iraq, a tornare sulla terra e a ridimensionare le mire da "seconda superpotenza globale"; le brucianti sconfitte sindacali e referendarie in Francia, Germania e Italia; la triste prospettiva nostrana di un accordo programmatico di bassissimo profilo tra l'Ulivo e il Prc; e, sul versante istituzionale, il totale fallimento della Convenzione europea, incapace di compiere anche un solo passo sulla via dell'unificazione politica. Un simile scenario esige che ci si fermi a riflettere, e il programma per la piena occupazione di Joan Robinson, proposto da Luigi Cavallaro ai fini della progettazione di "un'altra Europa possibile" ("Il manifesto", 3 agosto), rappresenta uno spunto di indubbio valore. Non riusciremo tuttavia a indicare una via d'uscita dall'attuale stato di cose esaminando i fatti dal solo punto di vista della disoccupazione e dei mezzi per fronteggiarla. Dopotutto, la disoccupazione non e' altro che una delle inumerevoli manifestazioni della capacita' dell'odierno capitalismo di generare rabbia e frustrazione a mezzo di sprechi di risorse e inaudite disuguaglianze. La ben nota opinione della Robinson, secondo cui e' sempre meglio essere oggetto di sfruttamento che morire d'inedia disoccupati, potra' dunque considerarsi solo soggettivamente legittima, mentre risulterebbe un'ottima scusa per le peggiori nefandezze (dalla "piena occupazione dei poveri" nell'America clintoniana alle funeste strategie di workfare di Blair e D'Alema), se venisse elevata al rango di proposizione politica. La critica al capitalismo in quanto generatore di iniquita' e inefficienze (la peggiore delle combinazioni possibili) rappresenta pertanto l'unica base credibile su cui poter edificare un progetto alternativo di politica economica. A tal proposito le ricerche di Joan Robinson ci vengono senz'altro in aiuto. Il suo modello analitico (sviluppato tra gli anni '50 e '60 e fondato sull'integrazione tra la teoria keynesiana e l'interpretazione di Marx suggerita da Sraffa) consente infatti di evidenziare una fondamentale contraddizione del capitalismo contemporaneo attraverso l'esplicitazione dei seguenti due punti. Il primo e' che la Robinson aderi' entusiasta alla critica demolitrice di Sraffa alla teoria neoclassica dominante, una critica che ha chiarito in modo inequivocabile come il profitto e la rendita non costituiscano affatto il "prezzo" per il contributo del capitalista alla formazione del prodotto nazionale. Ella sostenne che con questa critica Sraffa era riuscito a "vendicare Marx", avendo dimostrato l'assenza di valide basi analitiche per il pagamento del profitto e della rendita e avendo quindi implicitamente evidenziato la loro intima connessione con il fenomeno dello sfruttamento. Il secondo punto, tuttavia, e' che la Robinson riteneva che il ritmo di accumulazione del capitale dipendesse in ogni caso dal tasso di profitto, nel senso che i capitalisti si rendono disponibili a investire solo se adeguatamente remunerati. Dal modello della Robinson emerge dunque un profitto che risulta privo di giustificazioni sul piano strettamente tecnico-produttivo, ma che preserva al tempo stesso il fondamentale ruolo di motore dell'accumulazione capitalistica. L'origine di una simile contraddizione e' presto detta: i capitalisti dispongono di un accesso privilegiato alla moneta, imprescindibile chiave di attivazione dell'investimento. Tale privilegio si e' oltretutto rafforzato proprio nell'ultimo ventennio. Infatti, a causa di politiche monetarie perennemente restrittive, del divieto per le banche centrali di finanziare direttamente la spesa pubblica e della completa liberalizzazione dei movimenti di capitale, la moneta e' divenuta sempre piu' scarsa, di proprieta' privata ed estremamente mobile. Tra le principali implicazioni di questa tendenza vi e' il fatto che da oltre un ventennio la media dei tassi d'interesse nominali si situa sempre, sistematicamente, al di sopra del tasso medio di crescita del reddito nominale, il che non soltanto contribuisce alla progressiva divaricazione tra redditi da lavoro e da capitale, ma costringe anche i singoli paesi a draconiani avanzi primari pur di contrastare l'esplosione dei debiti pubblici, e inoltre la dice lunga sull'insulsa opinione secondo cui oggi "i tassi d'interesse sono bassi" (bassi rispetto a cosa?). Per giunta, l'accesso privilegiato ai mezzi monetari e finanziari conferisce oggi ai capitalisti il compito pressoche' esclusivo di determinare non solo il livello, ma anche e soprattutto la composizione della produzione: una sorta di "monopolio del futuro" che pregiudica qualsiasi possibilita' di innalzamento del rapporto tra beni pubblici e privati e di riconversione ecologica del'apparato produttivo, e che rinvia quindi all'infinito qualsiasi risposta sensata alla famosa domanda della Robinson: "a che serve l'occupazione?". Joan Robinson evito' sempre di offrire soluzioni univoche e generali alla contraddizione capitalistica, ma non smise mai di sottoporre il sistema di mercato a un continuo, serratissimo confronto con il socialismo di mercato e la pianificazione centralizzata. Dati i tempi e le contingenze, noi qui non oseremo tanto. Tuttavia, una cosa ci pare indiscutibile. Dal controllo dei movimenti di capitale alla democratizzazione dell'operato della banca centrale, gli strumenti in grado di delineare una credibile, razionale proposta di politica economica alternativa sono ben noti, e alla piena portata delle istituzioni europee. Ma la determinazione e la massa critica necessarie per porli in essere potra' derivare soltanto dallo spietato recupero di senso critico nei confronti di un sistema governato da soggetti privi di qualsiasi prerogativa, se non quella di godere di un accesso privilegiato ai mezzi monetari. Resta solo da chiedersi se una tale presa di coscienza si situi al di la' dei desideri e delle possibilita' dell'attuale ceto politico di riferimento, invischiato com'e' nella sindrome del "bilancio in pareggio" e nella (correlata) eccessiva frequentazione dei salotti buoni della finanza. 9. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA PERDITA [Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994, p. 240. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Se paragoniamo il mondo moderno con quello del passato, balza agli occhi in tutta la sua evidenza la perdita di esperienza umana comportata da questo sviluppo. 10. MAESTRE. SIMONE WEIL: TUTTA LA SOCIETA' [Da Simone Weil, La condizione operaia, Edizioni di Comunita', Milano 1952, Mondadori, Milano 1990, p. 306 (il brano che riportiamo e' un frammento dallo scritto del 1941 "Prima condizione di un lavoro non servile"). Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Tutta la societa' dev'essere anzitutto costituita in modo che il lavoro non tenda a degradare coloro che lo compiono. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 647 del 19 agosto 2003
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