La nonviolenza e' in cammino. 633



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 633 del 5 agosto 2003

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: indignazione
2. I quaderni di "Azione nonviolenta"
3. Guenther Anders: tesi sull'eta' atomica
4. Norberto Bobbio: il volto di un bambino
5. Paulo Freire: amore e coraggio
6. Virginia Woolf: due frammenti da "Una stanza tutta per se'"
7. Maxine Kumin: dopo l'amore
8. Pier Mattia Tommasino presenta "Istruzioni per un genocidio" di Daniele
Scaglione
9. Riletture: Jose' Antonio Castorina, Emilia Ferreiro, Marta Kohl de
Oliveira, Delia Lerner, Piaget-Vigotsky: contribuciones para replantear el
debate
10. Riletture: Emilia Ferreiro, Clotillde Pontecorvo, Nadja Moreira, Isabel
Garcia Hidalgo, Cappuccetto rosso impara a scrivere
11. Riletture: Marina Formisano, Clotilde Pontecorvo, Cristina
Zucchermaglio, Guida alla lingua scritta
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: INDIGNAZIONE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Davvero non posso trattenere ogni giorno una rinnovata indignazione per la
situazione in Iraq: uccisi i due figli di Saddam e un nipotino di 14 anni,
tenuti prigionieri e inseguiti come selvaggina i suoi sostenitori.
Vedo che qualcuno con acre cinismo dice "Anche Mussolini fu ammazzato e
appeso in piazza". Non vedo perche' si debbano seguire i cattivi esempi. E
in ogni modo sull'uccisione di Mussolini senza processo e della Petacci la
condanna fu molto diffusa anche tra gli appartenenti alla Resistenza, e
soprattutto non fu un ordine di un governo.
Una delle cose piu' gravi delle atroci vicende cui oggi assistiamo quasi
senza sorpresa e' che un capo di stato nel corso del suo legittimo mandato
ordina di uccidere a vista i suoi nemici dopo la conclusione della guerra. E
quanto ai prigionieri della precedente, quella in Afghanistan, viola tutte
le convenzioni e adesso dichiara che i detenuti a Guantanamo saranno
giudicati da un tribunale segreto e se capita anche condannati a morte,
tranne i due sudditi inglesi per i quali vige evidentemente un diritto
speciale. Un tribunale segreto? sarebbe l'Inquisizione, oppure la Gpu,
oppure il Kgb?
La distruzione di ultime vestigia di civilta' giuridica continua senza
opposizione, e quella che c'e' vien censurata.
Gli Usa sono una grande nazione ricca di tradizioni di ogni genere: ma un
glorioso passato non mette nessuno al riparo da rischi mortali e involuzioni
paurose. Anche la Germania e' una grande nazione con tradizioni culturali,
giuridiche e politiche eccellenti, la filosofia moderna, la musica,
eccetera: cio' non la mise al riparo dal nazismo; anche l'Italia e' una
nobile nazione ricca di tradizioni umane, culturali e artistiche eccellenti:
ma cio' non ci mise al riparo dal fascismo.
A certe cose bisogna opporsi subito e subito gridare "nessuno uccida Caino"
dato che Saddam sia Caino.
I prigionieri di guerra sono protetti dal diritto internazionale e qualsiasi
accusa mossa a una entita' collettiva e' giuridicamente obbrobriosa: In
Italia certo furono perseguiti e condannati per crimini dei fascisti, ma
individualmente e su basi per lo piu' dimostrate (salvo possibili errori
giudiziari, sempre rimediabili dove non esiste la pena di morte).
Una delle prime azioni del governo della Liberazione fu del resto un'ampia
amnistia per crimini commessi durante la guerra.

2. STRUMENTI. I QUADERNI DI "AZIONE NONVIOLENTA"
[Dalle Edizioni del Movimento Nonviolento (per contatti: tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito:
www.nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]
La collana dei Quaderni, che si affianca al mensile "Azione nonviolenta", e
ne riprende in modo piu' approfondito e organico alcuni temi, intende
fornire a quanti si riconoscono nella posizione nonviolenta o vi sono
orientati, degli strumenti immediati e agili di documentazione e di
riflessione sugli aspetti piu' rilevanti del dibattito e dell'iniziativa
nonviolenta in Italia e nel mondo.
Direttore responsabile e' Pietro Pinna; direttore editoriale e' Mao
Valpiana.
Sono usciti finora, tutti richiedibili al prezzo unitario di 2 euro, i
seguenti quaderni:
1) Giovanni Salio, Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?
2) Giuliano Pontara, Il satyagraha;
3) Jeremy Bennet, La resistenza contro l'occupazione tedesca in Danimarca;
4) Lorenzo Milani, L'obbedienza non e' piu' una virtu';
5) Skodvin Magne, Resistenza nonviolenta in Norvegia sotto l'occupazione
tedesca;
6) Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza;
7) Jean Marie Muller, Significato della nonviolenza;
8) Jean Marie Muller, Momenti e metodi dell'azione nonviolenta;
9) Charles Walker, Manuale per l'azione diretta nonviolenta;
10) Campagna osm, Paghiamo per la pace anziche' per la guerra;
11) Domenico Gallo, Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza;
12) Leonardo Basilissi, I cristiani e la pace;
13) Pat Patfoort, Una introduzione alla nonviolenza;
14) Martin Luther King, Lettera dal carcere di Birmingham;
15) Lev Tolstoj, La legge della violenza e la legge dell'amore (quaderno
doppio, 4 euro);
16) Giovanni Salio, Elementi di economia nonviolenta;
17) AA. VV., Dieci parole della nonviolenza.
I quaderni possono essere ordinati, al costo di 2 euro a quaderno, alla
redazione di "Azione nonviolenta", anche per e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, e verranno inviati in contrassegno. Oppure versare
l'importo sul ccp n. 10250363 intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna
8, 37123 Verona.
Per informazioni e contatti: "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123
Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it,
sito: www.nonviolenti.org

3. MATERIALI. GUENTHER ANDERS: TESI SULL'ETA' ATOMICA
[Ancora una volta ripubblichiamo questo breve ma capitale testo di Guenther
Anders. Ancora una volta proponendolo a tutti i nostri interlocutori come
una occasione di riflessione e come uno strumento ermeneutico. Guenther
Anders e' stato forse il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e
tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che
mettono in pericolo la sopravivvenza stessa della civilta' umana. Insieme a
Hannah Arendt, ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli
ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire.
Il testo riprendiamo dall'appendice all'edizione italiana del libro di
Guenther Anders, Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und
Nagasaki, apparso col titolo Essere o non essere, presso Einaudi, Torino
1961, nella traduzione di Renato Solmi (questo maestro grande e generoso che
cogliamo l'occasione per salutare). Come li' si specifica, queste Tesi sull'
eta' atomica sono "un testo improvvisato dall'autore dopo un dibattito sui
problemi morali dell'eta' atomica organizzato da un gruppo di studenti
dell'Universita' di Berlino-Ovest, e uscito nell'ottobre 1960 nella rivista
"Das Argument - Berliner Hefte fuer Politik und Kultur" [nota del
traduttore]". Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders"
significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui
scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero cognome) e' nato a
Breslavia nel 1902, fu allievo di Husserl e si laureo' in filosofia nel
1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli
Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel
1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato
contro la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e'
uno dei maggiori filosofi contemporanei. Opere di Guenther Anders: Essere o
non essere, Einaudi, Torino 1961; La coscienza al bando. Il carteggio del
pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino
1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima
ovvero: la coscienza al bando); L'uomo e' antiquato, vol. I (sottotitolo:
Considerazioni sull'anima nell'era della seconda rivoluzione industriale),
Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e'
antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla distruzione della vita nell'epoca
della terza rivoluzione industriale), Bollati Boringhieri, Torino 1992,
2003; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea d'ombra, Milano 1990;
Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi figli di Eichmann,
Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e legittima difesa, Edizioni
Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si vedano inoltre:
Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo, Spazio Libri,
Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993. In rivista testi
di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea
d'ombra", "Micromega". Su Anders cfr. ora la bella monografia di Pier Paolo
Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati
Boringhieri, Torino 2003]

Tesi sull'eta' atomica
*
Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e'
cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque
momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel
giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni
momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti.
Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e'
l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita'
dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine
stessa.
 *
Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come
"dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato
il problema morale fondamentale: alla domanda "Come dobbiamo vivere?" si e'
sostituita quella: "Vivremo ancora?". Alla domanda del "come" c'e' - per noi
che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo
che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei
tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo".
Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci
apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l"apocalissi da noi stessi creata,
siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
*
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella
situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale
situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un
inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente
dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette
azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
*
Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o
quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi
atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di
tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici
dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e
manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si
tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta
e spreco di tempo.
*
Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers
fino a Strauss suona: "La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata
solo con la minaccia della distruzione totale". E' un argomento che non
regge. 1) La bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui
non c'era affatto il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un
potere totalitario. 2) L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio
atomico; oggi e' un argomento suicida. 3) Lo slogan "totalitario" e' desunto
da una situazione politica, che non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma
continuera' a cambiare; mentre la guerra atomica esclude ogni possibilita'
di trasformazione. 4) La minaccia della guerra atomica, della distruzione
totale, e' totalitaria per sua natura: poiche' vive del ricatto e trasforma
la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare, nel preteso interesse
della liberta', l'assoluta privazione della stessa, e' il non plus ultra
dell'ipocrisia.
*
Cio' che puo' colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non
badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle "cortine". Cosi',
nell'eta' finale, non ci sono piu' distanze. Ognuno puo' colpire chiunque ed
essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli
effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale,
ma morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l'orizzonte di cio' che ci
riguarda, e cioe' l'orizzonte della nostra responsabilita', coincida con
l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe' che
diventi anch'esso globale. Non ci sono piu' che "vicini".
*
Internazionale delle generazioni. Cio' che si tratta di ampliare, non e'
solo l'orizzonte spaziale della responsabilita' per i nostri vicini, ma
anche quello temporale. Poiche' le nostre azioni odierne, per esempio le
esplosioni sperimentali, toccano le generazioni venture, anch'esse rientrano
nell'ambito del nostro presente. Tutto cio' che e' "venturo" e' gia' qui,
presso di noi, poiche' dipende da noi. C'e', oggi, un'"internazionale delle
generazioni", a cui appartengono gia' anche i nostri nipoti. Sono i nostri
vicini nel tempo. Se diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si
appicca anche al futuro, e con la nostra cadono anche le case non ancora
costruite di quelli che non sono ancora nati. E anche i nostri antenati
appartengono a questa "internazionale": poiche' con la nostra fine
perirebbero anch'essi,  per la seconda volta (se cosi' si puo' dire) e
definitivamente. Anche adesso sono "solo stati"; ma con questa seconda morte
sarebbero stati solo come se non fossero mai stati.
*
Il nulla non concepito. Cio' che conferisce il massimo di pericolosita' al
pericolo apocalittico in cui viviamo, e' il fatto che non siamo attrezzati
alla sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe.
Raffigurarci il non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e'
gia' di per se' abbastanza difficile; ma e' un gioco da bambini rispetto al
compito che dobbiamo assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche' questo
nostro compito non consiste solo nel rappresentarci l'inesistenza di
qualcosa di particolare, in un contesto universale supposto stabile e
permanente, ma nel supporre inesistente questo contesto, e cioe' il mondo
stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa "astrazione totale" (che
corrisponderebbe, sul piano del pensiero e dell'immaginazione, alla nostra
capacita' di distruzione totale) trascende le forze della nostra
immaginazione naturale. "Trascendenza del negativo". Ma poiche', come
homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre il nulla
totale), la capacita' limitata della nostra immaginazione (la nostra
"ottusita'") non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di
rappresentarci anche il nulla.
*
Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra epoca:
"Noi siamo inferiori a noi stessi", siamo incapaci di farci un'immagine di
cio' che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo "utopisti a
rovescio": mentre gli utopisti non sanno produrre cio' che concepiscono, noi
non sappiamo immaginare cio' che abbiamo prodotto.
*
Lo "scarto prometeico". Non e' questo un fatto fra gli altri; esso
definisce, invece, la situazione morale dell'uomo odierno: la frattura che
divide l'uomo (o l'umanita') non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra
il dovere e l'inclinazione, ma fra la nostra capacita' produttiva e la
nostra capacita' immaginativa. Lo "scarto prometeico".
*
Il "sopraliminare". Questo "scarto" non divide solo immaginazione e
produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita' e produzione.
Si puo' forse immaginare, sentire, o ci si puo' assumere la responsabilita',
dell'uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto
piu' grande e' l'effetto possibile dell'agire, e tanto piu' e' difficile
concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu' grande lo "scarto",
tanto piu' debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone
premendo un tasto, e' infinitamente piu' facile che ammazzare una sola
persona. Al "subliminare", noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo
per provocare gia' una reazione), corrisponde il "sopraliminare": cio' che
e' troppo grande per provocare ancora una reazione (per esempio un
meccanismo inibitorio).
 *
La sensibilita' deforma, la fantasia e' realistica. Poiche' il nostro
orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti)
e l'orizzonte dei nostri effetti e' ormai illimitato, siamo tenuti, anche se
questo tentativo contraddice alla "naturale ottusita'" della nostra
immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua
naturale insufficienza, e' solo l'immaginazione che puo' fungere da organo
della verita'. In ogni caso, non e' certo la percezione. Che e' una "falsa
testimone": molto, ma molto piu' falsa di quanto avesse inteso ammonire la
filosofia greca. Poiche' la sensibilita' e' - per principio - miope e
limitata e il suo orizzonte assurdamente ristretto. La terra promessa degli
"escapisti" di oggi non e' la fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri
normali (dipinti, cioe', secondo la prospettiva normale): benche' realistici
in senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche' sono in
contrasto con la realta' del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente
dilatati.
*
Il coraggio di aver paura. La viva "rappresentazione del nulla" non si
identifica con cio' che si intende in psicologia per "rappresentazione"; ma
si realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non
corrispondere alla realta' e al grado della minaccia, e' quindi il grado
della nostra angoscia. - Nulla di piu' falso  della frase cara alle persone
di mezza cultura, per cui vivremmo gia' nell'"epoca dell'angoscia". Questa
tesi ci e' inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che
noi si possa realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi
viviamo piuttosto nell'epoca della minimizzazione e dell'inettitudine
all'angoscia. L'imperativo di allargare la nostra immaginazione significa
quindi in concreto che dobbiamo estendere e allargare la nostra paura.
Postulato: "Non aver paura della paura, abbi coraggio di aver paura. E anche
quello di far paura. Fa' paura al tuo vicino come a te stesso". Va da se'
che questa nostra angoscia deve essere di un tipo affatto speciale: 1)
Un'angoscia senza timore, poiche' esclude la paura di quelli che potrebbero
schernirci come paurosi. 2) Un'angoscia vivificante, poiche' invece di
rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3) Un'angoscia
amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio' che potrebbe
capitarci.
*
Fallimento produttivo. L'imperativo di allargare la portata della nostra
immaginazione e della nostra angoscia finche' corrispondano a quella di cio'
che possiamo produrre e provocare, si rivelera' continuamente
irrealizzabile. Non e' nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di
fare qualche passo in avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci
spaventare; il fallimento ripetuto non depone contro la ripetizione del
tentativo. Anzi, ogni nuovo insuccesso e' salutare, poiche' ci mette in
guardia contro il pericolo di continuare a produrre cio' che non possiamo
immaginare.
*
Trasferimento della distanza. Riassumendo cio' che si e' detto sulla "fine
delle distanze" e sullo "scarto" tra le varie facolta' (e solo cosi' ci si
puo' fare un'idea completa della situazione), risulta che le distanze
spaziali e temporali sono state bensi' "soppresse"; ma questa soppressione
e' stata pagata a caro prezzo con una nuova specie di "distanza": quella,
che diventa ogni giorno piu' grande, fra la produzione e la capacita' di
immaginare cio' che si produce.
*
Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo
diventati maggiori di cio' che possiamo concepire (sentire, o di cui
possiamo assumerci la responsabilita'), ma anche maggiori di cio' che
possiamo utilizzare sensatamente. E' noto che la nostra produzione e la
nostra offerta superano spesso la nostra domanda (e ci costringono a
produrre appositamente nuovi bisogni e richieste); ma la nostra offerta
trascende addirittura il nostro bisogno, consiste di cose di cui non
possiamo avere bisogno: cose troppo grandi in senso assoluto. Cosi' ci siamo
messi nella situazione paradossale di dover addomesticare i nostri stessi
prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo addomesticato finora le
forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi cosiddette "pulite",
sono senza precedenti nel loro genere: poiche' con essi cerchiamo di
migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe' diminuendo i loro effetti.
L'aumento dei prodotti non ha quindi piu' senso. Se il numero e gli effetti
delle armi gia' oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della
distruzione del genere umano, l'aumento e miglioramento della produzione,
che continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu' assurdi; e
dimostrano che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa
hanno prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della
concorrenza - ha perduto ogni senso. Piu' morto che morto non e' possibile
diventare. Distruggere meglio di quanto gia' si possa, non sara' possibile
neppure in seguito.
*
Richiamarsi alla competenza e' prova d'incompetenza morale. Sarebbe una
leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i "signori
dell'apocalissi", quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a
posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu' di
noi all'altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare
l'inaudito meglio di noi, semplici "morituri"; o anche solo che siano
consapevoli di doverlo fare. Assai piu' legittimo e' il sospetto: che ne
siano affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo
incompetenti nel "campo dei problemi atomici e del riarmo", e invitandoci a
non "immischiarci". L'uso di questi termini e' addirittura la prova della
loro incompetenza morale: poiche' in tal modo essi mostrano di credere che
la loro posizione dia loro il monopolio e la competenza per decidere del "to
be or not to be" dell'umanita'; e di considerare l'apocalissi come un "ramo
specifico". E' vero che molti di loro si appellano alla "competenza" solo
per mascherare il carattere antidemocratico del loro monopolio. Se la parola
"democrazia" ha un senso, e' proprio quello che abbiamo il diritto e il
dovere di partecipare alle decisioni che concernono la "res publica", che
vanno, cioe', al di la' della nostra competenza professionale e non ci
riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non si
puo' dire che cosi' facendo ci "immischiamo" di nulla, poiche' come
cittadini e come uomini siamo "immischiati" da sempre, perche' anche noi
siamo la "res publica". E un problema piu' "pubblico" dell'attuale decisione
sulla nostra sopravvivenza non c'e' mai stato e non ci sara' mai.
Rinunciando a "immischiarci", mancheremmo anche al nostro dovere
democratico.
*
Liquidazione dell'"agire". La distruzione possibile dell'umanita' appare
come un'"azione"; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E'
giusto? Si' e no. Perche' no?
Perche' l'"agire"" in senso behavioristico non esiste pressoche' piu'. E
cioe': poiche' cio' che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come
tale dall'agente, e' stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal
lavorare; 2) dall'azionare.
1) Lavoro come surrogato dell'azione. Gia' quelli che erano impiegati negli
impianti di liquidazione hitleriani non avevano "fatto nulla", credevano di
non aver fatto nulla perche' si erano limitati a "lavorare". Per questo
"lavorare" intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella
fase attuale della rivoluzione industriale) in cui l'eidos del lavoro rimane
invisibile per chi lo esegue, anzi, non lo riguarda piu', e non puo' ne'
deve piu' riguardarlo. Caratteristica del lavoro odierno e' che esso resta
moralmente neutrale: "non olet", nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo
lavoro puo' macchiare chi lo esegue. A questo tipo dominante di prestazione
sono oggi assimilate quasi tutte le azioni affidate agli uomini. Lavoro come
mimetizzamento. Questo mimetizzamento evita all'autore di un eccidio di
sentirsi colpevole, poiche' non solo non occorre rispondere del lavoro che
si fa, ma esso - in teoria - non puo' rendere colpevoli. Stando cosi' le
cose, dobbiamo rovesciare l'equazione attuale ("ogni agire e' lavorare")
nell'altra: "ogni lavorare e' un agire".
2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio' che vale per il lavoro, vale a
maggior ragione per l'azionare, poiche' l'azionare e' il lavoro in cui e'
abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello
sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta', si puo' fare in tal
modo pressoche' tutto, si puo' avviare una serie di azionamenti successivi
schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In
questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e'
piu' un lavoro (per non parlare di un'azione). Propriamente parlando non si
fa nulla (anche se l'effetto di questo non-far-nulla e' il nulla e
l'annientamento). L'uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora
necessario) non si accorge piu' nemmeno di fare qualcosa; e poiche' il luogo
dell'azione e quello che la subisce non coincidono piu', poiche' la causa e
l'effetto sono dissociati, non puo' vedere che cosa fa. "Schizotopia", in
analogia a "schizofrenia". E' chiaro che solo chi arriva a immaginare
l'effetto ha la possibilita' della verita'; la percezione non serve a nulla.
Questo genere di mimetizzamento e' senza precedenti: mentre prima i
mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima designata dell'azione, e
cioe' al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a proteggere gli
autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire all'autore
di sapere quello che fa. In questo senso anche l'autore e' una vittima; in
questo senso Eatherly e' una delle vittime della sua azione.
*
Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci
istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche' oggi le menzogne
non hanno piu' bisogno di figurare come asserzioni ("fine delle ideologie").
La loro astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento
davanti a cui non puo' piu' sorgere il sospetto che possa trattarsi di
menzogne; e cio' perche' questi travestimenti non sono piu' asserzioni.
Mentre le menzogne, finora, si erano camuffate ingenuamente da verita', ora
si camuffano in altre guise:
1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno
l'impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta', hanno
gia' in se' il loro (bugiardo) predicato. Cosi', per esempio, l'espressione
"armi atomiche" e' gia' un'asserzione menzognera, poiche' sottintende,
poiche' da' per scontato, che si tratta di armi.
2) Al posto di false asserzioni sulla realta' subentrano (e siamo  al punto
che abbiamo appena trattato) realta' falsificate. Cosi' determinate azioni,
presentandosi come "lavori", sono rese diverse e irriconoscibili; cose'
irriconoscibili, e diverse da un'azione, che non rivelano piu' (neppure
all'agente) quello che sono (e cioe' azioni); e gli permettono, purche'
lavori "coscienziosamente', di essere un criminale con la miglior coscienza
del mondo.
3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche' l'agire si traveste
ancora da "lavorare", e' pur sempre l'uomo ad essere attivo; anche se non sa
che cosa fa lavorando, e cioe' che agisce. La menzogna celebra il suo
trionfo solo quando liquida anche quest'ultimo residuo: il che e' gia'
accaduto. Poiche' l'agire si e' trasferito (naturalmente in seguito
all'agire degli uomini) dalle mani dell'uomo in tutt'altra sfera: in quella
dei prodotti. Essi sono, per cosi' dire, "azioni incarnate". La bomba
atomica (per il semplice fatto di esistere) e' un ricatto costante: e
nessuno potra' negare che il ricatto e' un'azione. Qui la menzogna ha
trovato la sua forma piu' menzognera: non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani
pulite, non c'entriamo. Assurdita' della situazione: nell'atto stesso in cui
siamo capaci dell'azione piu' enorme - la distruzione del mondo - l'"agire",
in apparenza, e' completamente scomparso. Poiche' la semplice esistenza dei
nostri prodotti e' gia' un "agire", la domanda consueta: che cosa dobbiamo
"fare" dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo usarli solo come
"deterrent"), e' una questione secondaria, anzi fallace, in quanto omette
che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre agito.
*
Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l'espressione
"reificazione" non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi' dire,
"agire incarnato", poiche' essa indica esclusivamente il fatto che l'uomo e'
ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell'altro lato
(trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe' del
fatto che cio' che e' sottratto all'uomo dalla reificazione, si aggiunge ai
prodotti: i quali, facendo qualcosa gia' per il semplice fatto di esistere,
diventano pseudopersone.
*
Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi
principii. Cosi', per esempio, il principio delle "armi atomiche" e' affatto
nichilistico, poiche' per esse "tutto e' uguale". In esse il nichilismo ha
toccato il suo culmine, dando luogo all'"annichilismo" piu' totale.
Poiche' il nostro agire si e' trasferito nel lavoro e nei prodotti, un esame
di coscienza non puo' consistere oggi soltanto nell'ascoltare la voce nel
nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri
lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel
trasferimento: e cioe' nel compiere solo quei lavori dei cui effetti
potremmo rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e
nell'avere solo quei prodotti la cui presenza "incarna" un agire che
potremmo assumerci come agire personale.
*
Macabra liquidazione dell'ostilita'. Se il luogo dell'azione e quello che la
subisce sono, come si e' detto, dissociati, e non si soffre piu' nel luogo
dell'azione, l'agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire
subire senza causa riconoscibile. Si determina cosi' un'assenza d'ostilita',
peraltro affatto fallace.
La guerra atomica possibile sara' la piu' priva d'odio che si sia mai vista.
Chi colpisce non odiera' il nemico, poiche' non potra' vederlo; e la vittima
non odiera' chi lo colpisce, poiche' questi non sara' reperibile. Nulla di
piu' macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l'amore
positivo). Cio' che piu' sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima,
e' quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del
colpo.
Certo l'odio sara' ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara'
quindi prodotto come articolo a se'. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al
caso, s'inventeranno) oggetti d'odio ben visibili e identificabili, "ebrei"
di ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche' per poter odiare
veramente occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest'odio non
potra' entrare minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e
proprie: e la schizofrenia della situazione si rivelera' anche in cio', che
odiare e colpire saranno rivolti a oggetti completamente diversi.
*
Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna
aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse
potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta
probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver
ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della
catastrofe, si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore
degli uomini, la massima cinica: "Se siamo disperati, che ce ne importa?
Continuiamo come se non lo fossimo!".

4. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO: IL VOLTO DI UN BAMBINO
[Da Norberto Bobbio, Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994, p.
154. Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909, antifascista, filosofo della
politica e del diritto, e' autore di opere fondamentali sui temi della
democrazia, dei diritti umani, della pace. E' uno dei piu' prestigiosi
intellettuali italiani viventi. Opere di Norberto Bobbio: per la biografia
(che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia
italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De
Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997;
tra i suoi libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure
piu' alte dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr.
almeno Italia civile, Maestri e compagni, Italia fedele, La mia Italia,
tutti presso l'editore Passigli, Firenze. Per la sua riflessione sulla
democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa';
Eguaglianza e liberta'; tutti presso Einaudi, Torino. Sui diritti umani si
veda L'eta' dei diritti, Einaudi, Torino 1990. Sulla pace si veda Il
problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna, varie
riedizioni; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?,
Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A
nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica e cultura,
Einaudi, Torino 1955, 1977; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti,
Milano 1990; Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1993. Opere
su Norberto Bobbio: segnaliamo almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo
militante, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Piero Meaglia, Bobbio e la
democrazia: le regole del gioco, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2000]
Per convincersi della sostanziale unita' del genere umano non c'e' bisogno
di escogitare argomenti filosofici. Basta guardare il volto di un bambino in
ogni parte del mondo.

5. MAESTRI. PAULO FREIRE: AMORE E CORAGGIO
[Da Paulo Freire, L'educazione come pratica della liberta', Mondadori,
Milano 1973, 1977, p. 117. Paulo Freire e' nato a Recife (Brasile) nel 1921;
nel 1961 ha fondato il Movimento di cultura popolare, cominciando ad
elaborare ed applicare il metodo di alfabetizzazione legato al suo nome; nel
1964 dopo il colpo di stato militare e' imprigionato; successivamente e'
costretto all'esilio; tra i massimi esperti di problematiche educative (con
particolar riferimento al Sud del mondo), ha continuato la ricerca e
l'attivita' di alfabetizzazione in varie parti del pianeta; e' deceduto nel
1997. Opere di Paulo Freire: La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano
1980; L'educazione come pratica della liberta', Mondadori, Milano 1977;
Pedagogia in cammino, Mondadori, Milano 1979. Cfr. anche il libro-intervista
a cura di Edson Passetti, Conversazioni con Paulo Freire, Eleuthera, Milano
1996. Opere su Paulo Freire: Moacir Gadotti, Leggendo Paulo Freire, Sei,
Torino 1995; Leandro Rossi, Paulo Freire profeta di liberazione, Edizioni
Qualevita, Torre dei Nolfi 1998; ovviamente di Freire si occupano pressoche'
tutti i manuali recenti di teoria e storia della pedagogia contemporanea.
Per un rapido avvio alla conoscenza cfr. anche Stefano Del Grande (a cura
di), Memorabilia: Paulo Freire, fascicolo monografico del "Notiziario Cdp"
n. 161, gennaio-febbraio 1999, Centro di documentazione di Pistoia]
L'educazione e' un atto di amore, percio' un atto di coraggio. Non si puo'
aver paura del dibattito, dell'analisi della realta'. Non si puo' sfuggire
alla discussione creatrice, se non si vuole trasformare tutto in una farsa.

6. MAESTRE. VIRGINIA WOOLF: DUE FRAMMENTI DA "UNA STANZA TUTTA PER SE'"
[Da Virginia Woolf, Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993, p.
23 e p. 90. Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento,
nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali
di grande rilievo, oltre alle sue opere letterarie scrisse saggi di cui
alcuni fondamentali per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E'
uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di
liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state
tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi  (in due volumi,
comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora
Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro)
e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla
Newton Compton di Roma. Tra i saggi due sono particolarmente importanti per
una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993;
Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987. Numerosissime sono le opere su
Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti,
Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia,
Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980. segnaliamo
anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in
Mimesis, Einaudi, Torino 1977]
Ma, direte, Le abbiamo chiesto di parlare delle donne e il romanzo - cosa
c'entra avere una stanza tutta per se'?
(...) La liberta' intellettuale dipende da cose materiali. La poesia dipende
dalla liberta' intellettuale. E le donne sono sempre state povere, non solo
in questi ultimi duecento anni, ma dall'inizio dei tempi. Le donne hanno
avuto meno liberta' intellettuale dei figli degli schiavi ateniesi. Percio'
le donne non hanno avuto uno straccio di opportunita' di scrivere poesia.
Per questo ho insistito tanto sul denaro e sulla stanza tutta per se'.

7. POESIA E VERITA'. MAXINE KUMIN: DOPO L'AMORE
[Da AA. VV. (a cura di Nadia Fusini e Mariella Gramaglia), La poesia
femminista, Savelli, Roma 1974, p. 167; la poesia che riportiamo reca in
calce la data del 1970. Poetessa americana nata nel 1925, Maxine Kumin, come
recita la nota di presentazione contenuta in questa antologia di testi
poetici del movimento femminista (soprattutto americani) "ha pubblicato
molti libri tra cui The privilege, Up country, Trough dooms of love, e libri
per bambini. Insegna"; piu' recentemente ha pubblicato tra l'altro Nurture
(1989); Looking for luck: poems (1992); Connecting the dots: poems (1996);
oltre a varie raccolte di versi ha pubblicato anche opere narrative e
saggistiche]

Dopo, il compromesso.
I corpi ritornano nei loro confini.

Queste gambe, ad esempio, sono mie.
Le tue braccia ti riaccolgono.

Cucchiai delle nostre dita, le labbra
riconoscono i loro padroni.

Le lenzuola sbadigliano, una porta
si schiude per inerzia

e da sopra discende
un aereo cantilenando.

Niente e' cambiato, salvo che
c'e' stato un momento in cui

il lupo, il lupo maligno
che aspetta l'io al varco

s'abbandono' lieve, e s'addormento'.

8. LIBRI. PIER MATTIA TOMMASINO PRESENTA "ISTRUZIONI PER UN GENOCIDIO" DI
DANIELE SCAGLIONE
[Dal quotidiaiano "Il manifesto" del 31 luglio 2003. Pier Mattia Tommasino
collabora al quotidiano citato. Daniele Scaglione e' impegnato in Amnesty
International, della cui sezione italiana e' stato presidente]
Alla luce della visita che Bush ha condotto in vari paesi africani, per
estendere anche all'Africa il nuovo ordine mondiale, sarebbe utile sfogliare
Istruzioni per un genocidio, di Daniele Scaglione, appena pubblicato dalle
Edizioni Gruppo Abele (pp. 160, euro 12).
Tra l'oblio totale dell'Africa, e il vagheggiamento letterario degli
afflitti di mal d'Africa che, nella loro nostalgia di scrittori-viaggiatori,
cercano di "vomitare questa sporca anima europea", vi sarebbe una terza
possibilita'. La prefazione di Mimmo Candido individua questa terza via
proprio nel libro-ricerca di Scaglione.
Scrive l'autore: "L'11 settembre del 2001 l'attentato al World Trade Center
ha causato la morte di 2.893 persone. Dal 6 aprile al 19 luglio del 1994 e'
come se in Rwanda le Twin Towers fossero state abbattute tre volte al
giorno. Tre volte al giorno, entrambe le torri distrutte, per 104 giorni di
fila". Questa sembra la linea adottata dall'autore, linea di denuncia e
memoria di un massacro che non puo' essere dimenticato, soprattutto ora che
gli Usa tornano, con la loro prepotenza, a dettare legge e promettere aiuti
nel continente africano.
A quasi dieci anni dal massacro rwandese, l'autore ricostruisce il genocidio
del 1994, "secondo solo a Auschiwitz", ripercorrendo la storia del paese
dall'indipendenza ai giorni del massacro, e mette in luce la connivenza
dell'Occidente e le conseguenze di quel massacro, ad esempio la guerra nel
Congo (oggi di estrema attualita', accanto alla situazione liberiana, alle
rivolte in Burundi, agli scioperi in Nigeria) e la sconfitta dell'Onu come
organo "portatore di pace".
Scaglione, presidente di Amnesty International per quattro anni, ed esperto
del "paese dalle mille colline", svela come le divisioni etniche siano state
portate alle estreme conseguenze dal colonialismo, tedesco prima e belga
poi, che ha consegnato il potere nelle mani della minoranza tutsi, potere
rovesciato dagli hutu che prenderanno il comando dopo la "rivoluzione
sociale" del 1961, proclamando la Repubblica del Rwanda, guidata da
Kayibanda e in seguito dal corrotto Habyarimana, con l'aiuto del clan Akazu
e della Francia di Mitterand.
L'autore, forse immedesimandosi troppo nella figura di Romeo Dallaire, il
generale "inascoltato" che guidava i caschi blu in Rwanda, denuncia le colpe
dell'Onu (nelle persone di Boutros Ghali, Kofi Annan, Iqbal Riza, Maurice
Baril) definendole "crimini politici", della chiesa cattolica rwandese e
degli Usa, cosi' solletici a preventivare guerre ma non a prevenire
massacri, che non sono riusciti o non hanno voluto, dopo le sconfitte
dell'Unosom in Somalia, sradicare l'Hutu Power e fermare il genocidio dei
tutsi.
Al catastrofico fallimento dell'Unamir avrebbe contribuito l'ingerenza della
Francia che, per confermare la propria presenza nella ricca zona dei Laghi,
ha trasformato in pochi anni il piccolo paese centro africano in un arsenale
da guerra.
La causa del genocidio non fu "uno scontro folle di risentimenti tribali",
come fu detto dai mezzi di distrazione di massa occidentali, ma una
pianificazione raffinatissima che utilizzo' radio, giornali e cantautori
(alla stregua di Julius Streicher che dalle pagine del suo "Der Stuermer"
incitava allo sterminio degli ebrei) per fomentare tutte le classi sociali e
fornire le liste dei tutsi da uccidere. Il genocidio era ben noto, ma fu
ignorato anche da altre nazioni europee, compresa l'Italia, che furono
scrupolosissime a evacuare i loro connazionali dalla capitale Kigali, e a
dimenticare le migliaia di rwandesi che finivano sgozzati sotto i machete
degli interhamwe, ubriachi di birra di banane.
Scaglione, dotato di una distesa narrazione piu' che di fine analisi
politica, ci lascia con il suo libro anche un tentativo di analisi del ruolo
degli attivisti per i diritti umani, che ha tutto il sapore del mea culpa:
"Noi di Amnesty International siamo stati colti impreparati dai fatti del
Rwanda, forse perche' impegnati allo spasimo a indagare le violazioni dei
diritti umani in tutto il mondo non ne abbiamo colto la specificita',
l'unicita'. Probabilmente non abbiamo ancora riflettuto a sufficienza su
quale lezione dovremmo trarre da quell'evento".
Il lettore potrebbe chiedersi in che direzione si rivolga la riflessione di
Kofi Annan su quegli eventi. Secondo quanto riporta un'intervista fatta per
il "New Yorker" di Philip Gourevitch e apparsa in Italia su "Internazionale"
(18-23 aprile 2003), le reazioni di Annan, che visito' il Rwanda nel 1998,
furono contrastanti. Prima espresse il suo cordoglio: "Dobbiamo ammettere
che il mondo ha abbandonato il Rwanda in quel periodo di malvagita'", ma a
chi commentava il fatto che l'allarme di Dallaire fosse stato lanciato tre
mesi prima del genocidio, rispose: "E' aria fritta e rifritta". Il suo
imbarazzo fu risolto un anno dopo quando dichiaro' il suo fallimento: "A
nome delle Nazioni Unite riconosco questo fallimento ed esprimo il mio piu'
profondo rimorso".
Ci concediamo ancora una nota di Scaglione che, in questi tempi di caccia
alle streghe saracene e di crociata culturale, dovrebbe far riflettere:
"L'unica comunita' religiosa che sin dall'inizio contrasto' senza ambiguita'
il genocidio fu quella musulmana".

9. RILETTURE. JOSE' ANTONIO CASTORINA, EMILIA FERREIRO, MARTA KOHL DE
OLIVEIRA, DELIA LERNER: PIAGET-VIGOTSKY: CONTRIBUCIONES PARA REPLANTEAR EL
DEBATE
Jose' Antonio Castorina, Emilia Ferreiro, Marta Kohl de Oliveira, Delia
Lerner, Piaget-Vigotsky: contribuciones para replantear el debate, Paidos,
Mexico 1996, 1998, pp. 142. Quattro interventi nati dall'Incontro
latinoamericano di didattica della lingua scritta tenuto a Montevideo nel
1993.

10. RILETTURE. EMILIA FERREIRO, CLOTILDE PONTECORVO, NADJA MOREIRA, ISABEL
GARCIA HIDALGO: CAPPUCCETTO ROSSO IMPARA A SCRIVERE
Emilia Ferreiro, Clotillde Pontecorvo, Nadja Moreira, Isabel Garcia Hidalgo,
Cappuccetto rosso impara a scrivere, La Nova Italia, Scandicci (Fi) 1996,
pp. XIV + 330 + un disk allegato. Alcuni esiti di una ricerca
sull'acquisizione della lingua scritta in diversi contesti linguistici ed
educativi.

11. RILETTURE. MARINA FORMISANO, CLOTILDE PONTECORVO, CRISTINA
ZUCCHERMAGLIO: GUIDA ALLA LINGUA SCRITTA
Marina Formisano, Clotilde Pontecorvo, Cristina Zucchermaglio, Guida alla
lingua scritta, Editori Riuniti, Roma 1986, 1992, pp. 128, lire 15.000. Un
agile, utile libro per insegnanti della scuola elementare e dell'infanzia.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 633 del 5 agosto 2003