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La nonviolenza e' in cammino. 631
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 631
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 2 Aug 2003 17:49:49 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 631 del 3 agosto 2003 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: a Korto, a Gladys, a Martha, alla nostra umanita' 2. Eduardo Galeano: crimini 3. Lidia Campagnano: il slenzio devastante del dopoguerra 4. La poesia delle bambole 5. Antonio Tabucchi: i volti della guerra 6. Giancarla Codrignani: la violenza dell'istituzione ecclesiastica 7. Clarisse di Jesi: Chiara d'Assisi e la nonviolenza 8. Donne in nero: "Osiamo la pace, disarmiamo il mondo" 9. Marco Revelli: passare dal pacifismo alla nonviolenza 10. Luca Salvi: il silenzio sulla tragedia dell'Uganda 11. Amnesty International: Congo 12. Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: una mobilitazione per l'Africa 13. Associazione per i popoli minacciati: le donne indigene del Guatemala discriminate e sfruttate 14. Letture: Marco Vozza, Introduzione a Simmel 15. Riletture: Nawal al Sa'dawi, Firdaus storia di una donna egiziana 16. Riletture: Edith Sitwell, Il cantico della rosa 17. La "Carta" del Movimento Nonviolento 18. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: A KORTO, A GLADYS, A MARTHA, ALLA NOSTRA UMANITA' [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Che posto e', un paese in cui l'aspettativa di vita per una persona e' di circa cinquant'anni, in cui 135 bambini vengono alla luce morti ogni mille nascite e in cui solo il 46% della popolazione ha accesso all'acqua potabile? Che posto e', un paese il cui presidente e' accusato dalla Corte Internazionale dell'Aja di aver perpetrato crimini contro l'umanita' per 14 anni? Che posto e', un paese in cui il tasso di alfabetizzazione cala anziche' crescere? Che posto e', un paese la cui gente fugge, all'interno o nei paesi confinanti, da 15 anni? E' un paese in guerra, e si chiama Liberia. * Korto, una donna liberiana di quarant'anni, fuggi' con la propria famiglia e numerose altre all'inizio del 2001 dalla contea di Lofa. Attraversando il fiume Saint Paul si trovo' separata dai suoi due bambini, dalla sorella e dal fratello. Non volendo proseguire senza di loro, resto' indietro, sola nella foresta, per giorni e giorni, girando in cerchio giacche' non conosceva la strada. Alla fine si diresse verso Monrovia, dove sopravvisse vendendo pezzi di carbone. Nel campo profughi di Gbanga, a sud della citta', ritrovo' sua sorella Suah: tutto il resto della famiglia era perduto. Gladys fuggi' nel 1991, con il proprio padre, dalla guerra in Sierra Leone, ma quando attraversarono il confine con la Liberia, si trovarono nel mezzo di un'altra guerra. Gladys fu stuprata dai soldati. Il viaggio verso il campo profughi di Samukai duro' tre anni e prima che potessero raggiungerlo il padre di Gladys mori' per strada. Lei dovette abbandonarlo in una fogna. La fame, il dolore e le privazioni spensero la luce negli occhi di Martha. A 48 anni era quasi cieca, inchiodata su una sedia a rotelle, totalmente dipendente dagli altri profughi del campo di Gbanga. Disse che era rassegnata ad aspettare quietamente la morte, poiche' non aveva piu' nessuno: marito, genitori, figli, parenti... erano tutti morti a causa della guerra. * Penso a Korto, a Gladys, a Martha. Saranno ancora vive? Circa meta' delle donne sopravvissute alla guerra continua in Liberia, dal 1989 ad oggi, hanno subito violenze fisiche e/o sessuali. Una su sei testimonia di essere stata picchiata dai soldati o dai ribelli, legata, rinchiusa sotto sorveglianza, costretta a cucinare per i combattenti e ad occuparsi di altre loro necessita'; un terzo ha subito perquisizioni fisiche umilianti; una su sette e' stata stuprata o forzata a compiere atti sessuali. Meta' di queste donne e' stata testimone di stupri e/o di uccisioni correlate ad essi. Questa e' l'esistenza delle liberiane, da troppo tempo. Ma come vivono, quando hanno una tregua fra le tante sofferenze della guerra? Il loro status varia molto da regione a regione. Quelle che contraggono un matrimonio civile hanno dei diritti (eredita' dal marito, custodia dei figli), quelle che si sposano nel modo tradizionale sono di proprieta' del coniuge, non hanno diritto di ereditare e nessuna potesta' sui figli se restano vedove. La violenza domestica e' ovunque di proporzioni allucinanti. Circa il 50% delle ragazze fra gli 8 e 18 anni viene sottoposta a mutilazione genitale. Le donne non hanno accesso a sistemi di controllo delle nascite, in un sistema sanitario praticamente inesistente, per cui mettono mediamente al mondo 6/7 bambini ciascuna (e le mutilazioni genitali accrescono il tasso di mortalita' da parto e di nati morti). Penso a Korto, a Gladys, a Martha: la Costituzione della Liberia proibisce la discriminazione basata sull'etnia, sul sesso, sulla religione (che nella popolazione liberiana presenta questo quadro: il 74,72% pratica una religione africana tradizionale, il 15,28% e' cristiano, il 10% e' musulmano), sul luogo d'origine e l'opinione politica... non credo abbiano mai avuto modo di accorgersene. * Durante l'aggressione Usa all'Iraq ricevevo dozzine di messaggi frenetici, a volte disperati, spesso urlati: "C'e' da fermare una guerra!", scrivevano comitati, reti, organizzazioni. Dopo la caduta di Saddam Hussein queste persone non mi hanno piu' scritto. Ne ho viste alcune in varie occasioni, e tutte hanno parlato della "sconfitta" del movimento pacifista, delle loro frustrazioni e disillusioni. Io non mi sento sconfitta, ma sono avvilita dal silenzio su Congo, Liberia, Cecenia, ecc. C'e' ancora da fermare la guerra, la, non una, ovunque. Lo dobbiamo a Korto, a Gladys e a Martha. Lo dobbiamo alla nostra umanita'. 2. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: CRIMINI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 luglio 2003. Eduardo Galeano e' nato nel 1940 a Montevideo (Uruguay). Giornalista e scrittore, nel 1973 in seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal suo paese. Ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura. Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le sue opere, fondamentali sono: Le vene aperte dell'America Latina, recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco, Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra gli altri suoi libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes, Mondadori, Milano] Ogni anno i pesticidi chimici uccidono almeno tre milioni di campesinos. Ogni giorno gli incidenti sul lavoro uccidono almeno cinquemila operai. Ogni minuto la miseria uccide almeno venti bambini di meno di cinque anni. Questi crimini, le cui proporzioni vengono dalle stime piu' moderate, figurano nei rapporti di diversi organismi internazionali ma non hanno alcuna pubblicita'. Sono atti di cannibalismo autorizzati dall'ordine mondiale. Come le guerre. Attenzione, i delinquenti sono in circolazione. I piu' temibili non sono quelli che provocano isteria pubblica e fanno guadagnare milionate ai fabbricanti d'armi, alle imprese che vendono sicurezza pubblica e alla stampa che vende insicurezza privata. No: i pericolosi veramente pericolosi sono i presidenti e i generali che sbudellano popoli interi, i re della finanza che sequestrano interi paesi, i potenti tecnocrati che rapinano salari, posti di lavoro, pensioni. Siamo tutti loro ostaggi. * Clarence Darrow, l'inventore del diffuso gioco da tavolo "Monopoli", ha dato la miglior definizione di chi abitualmente appare nelle pagine di cronaca nera dei giornali: "Criminale e' una persona con istinti predatori che non ha sufficienti capitali per fondare una grande impresa". Il mio paese, l'Uruguay, e' in rovina. E' stato svaligiato dai banchieri, non dai borsaioli. Ma la legge castiga con lo stesso minimo di pena, due anni, il borsaiolo che infila la mano in tasca al passeggero di un autobus e il banchiere che ruba mille milioni di dollari. E la pena massima del borsaiolo e' il doppio di quella del banchiere. Per chi comanda non c'e' "tolleranza zero". La ricetta vincente di Rudolph Giuliani, nata per ripulire dai delinquenti le strade di New York e rivenduta al mondo intero, non sbaglia mai. Applica costantemente verso il basso, giammai verso l'alto, la mano dura e il castigo preventivo, piu' o meno la versione poliziesca della guerra preventiva. Trasforma la poverta' in delitto e attribuisce una "condotta protocriminale" soprattutto ai poveri di origine africana o latinoamericana, colpevoli finche' non provino d'essere innocenti. In molti paesi si puo' finire dentro per porto abusivo di pelle. Negli Stati Uniti, ad esempio. Nelle carceri ci sono quattro neri ogni dieci detenuti, fuori c'e' un nero ogni dieci abitanti. E' pericoloso anche essere poveri, si puo' morire giustiziati. Oltre due secoli fa Thomas Paine si chiedeva: "Perche' mai e' cosi' raro che impicchino qualcuno che non sia povero?". La domanda e' rimasta in piedi, ma si e' cambiata la corda con l'iniezione letale. In Texas, per dire un caso, la poverta' di chi ogni anno sale sulla forca non e' solo nelle statistiche. La lontananza dei ricchi dal patibolo si rivela persino nell'ultima cena: nessuno sceglie aragosta o filet mignon, anche se questi piatti sono sul menu' d'addio. I condannati preferiscono salutare il mondo mangiando hamburger e patate fritte, come loro costume. * Di tutte le forme di esercizio professionale dell'assassinio, la guerra e' quella che offre i margini di guadagno piu' alti. E la guerra preventiva e' quella che garantisce i migliori alibi. Come la "tolleranza zero", castiga i piu' indifesi non per cio' che hanno fatto o che fanno, ma per cio' che possono o potrebbero fare. Il presidente Bush non puo' brevettare la guerra preventiva. Altri l'avevano gia' inventata. Alcuni casi non appartengono al passato remoto: Al Capone invio' un sacco di gente da Chicago all'altro mondo perche' e' meglio prevenire che curare, Stalin nel dubbio applico' le purghe, Hitler invase la Polonia proclamando che la Polonia poteva invadere la Germania, i giapponesi attaccarono Pearl Harbour perche' da li' avrebbero potuto essere attaccati. "Ci impongono la guerra", diceva e ripeteva Hitler portando avanti la sua avventura criminale. La maggioranza del popolo tedesco gli credette e lo accompagno'. Anche la maggioranza del popolo americano credette che Saddam Hussein fosse il coautore dell'11 settembre, e che in qualsiasi momento potesse scaraventargli un'atomica all'angolo di casa. I discorsi del potere guerriero non sono cambiati. Continuano a ripetere: il Male ci obbliga a difenderci. L'Iraq non minacciava la pace mondiale nella realta', ma nei discorsi di Bush, Blair e Aznar. Le vere armi di distruzione di massa, alla fine, sono le parole che hanno inventato la loro esistenza. Donald Rumsfeld aveva definito l'Iraq come "un laboratorio per le guerre future". * Make war, not love: mentre gira il mondo predicando l'astinenza sessuale, il presidente Bush progetta nuove operazioni belliche. Come a nove presidenti prima di lui, Cuba gli fa venire il sangue agli occhi. Riferendosi all'Avana, ha detto poco fa: "La miglior maniera di proteggere la nostra sicurezza e' muovere incontro al nemico prima che il nemico arrivi". Specialista in plagio involontario, il presidente stava ripetendo una frase di Stalin: "Dobbiamo eliminare i nostri nemici prima che i nostri nemici eliminino noi". Concetto caro a Al Capone: "Uccidi prima di essere ucciso". La prova che Cuba e' un pericolo e' visibile, nei cinema di tutto il mondo. Nel suo film piu' recente James Bond, sempre perseguitato dalle bombe e dai bikini, penetra all'Avana e vi scopre una clinica segreta ad alta tecnologia, dedicata al riciclaggio dei terroristi. Ci sono altre prove contro altri paesi, tutte ugualmente irrefutabili, e lunga e' la lista dei candidati. Quale sara' la prossima vittima dell'omicidio di massa mascherato da azione umanitaria? Chissa'. Corea del Nord, Siria, Iran... Non e' una scelta facile. A favore dell'Iran opera una ragione, o una tentazione, di grande peso: c'e' la seconda riserva mondiale di gas naturale, di cui si necessita con urgenza. Come il petrolio in Iraq, il gas non sara' mai menzionato dagli invasori, se l'Iran risultera' il paese scelto. Attenzione, pericolo: al passo con cui andiamo, gli esseri umani rischiano di fare la stessa fine disgraziata di molte specie gia' svanite dalla faccia della Terra. * Accade che il presidente del pianeta abbia, come James Bond, licenza di uccidere. E con maggiori motivi: egli incarna il Bene per mandato divino. Il Bene non puo' essere giudicato. Il Tribunale penale internazionale deve occuparsi dei crimini di guerra di Milosevic o di Saddam, e' qui per questo, ma gli strumenti di Dio sono intoccabili. Come tutti i delinquenti, questi arcangeli blindati hanno bisogno di impunita' per lavorare senza sussulti e amarezze. Per garantire l'impunita' della guerra preventiva, niente di meglio che una legge preventiva. Il presidente Bush l'ha firmata il 2 agosto dell'anno scorso, dopo l'approvazione di camera e senato. Porta il numero 107-206 e si chiama Service members protection act. E' la risposta ufficiale alla minacciosa costituzione del Tribunale penale internazionale. La legge vieta di detenere, processare o incarcerare i militari americani, e gli alleati da loro protetti, "specialmente quando operano nel mondo per proteggere i vitali interessi nazionali degli Stati Uniti". E autorizza il presidente "a usare ogni mezzo necessario ed appropriato per liberarli". Non e' stabilita alcuna limitazione all'uso di tali mezzi. Dal punto di vista dell'esperienza storica e della realta' attuale, significa che la legge permette di invadere l'Olanda. Se i giudici del Tribunale penale internazionale si comportano male, sara' legalmente possibile l'invio di truppe nella citta' dell'Aja, per liberare chi sia caduto nelle loro mani. Un paio di versi di Calvin Trillin: "Dio non ha creato alcuna nazione che non meriti la nostra invasione". 3. RIFLESSIONE. LIDIA CAMPAGNANO: IL SILENZIO DEVASTANTE DEL DOPOGUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 luglio 2003. Lidia Campagnano, nata a Verdello (Bergamo), ha vissuto per quasi trent'anni a Milano, e per diciassette ha lavorato nella redazione de "Il manifesto". Ora vive a Roma. Partecipe di aggregazioni e pubblicazioni del femminismo, scrive, in particolare sulla guerra, la Jugoslavia distrutta, la politica e l'ordine 'sentimentale' dei nostri tempi, e tiene seminari e lezioni. Suoi testi sono presenti in numerosi libri collettivi. Inoltre ha pubblicato Gli anni del disordine, La Tartaruga, Milano 1996, e Un dopoguerra ancora, Erga, Genova 2000] In autunno il movimento per la pace chiedera' quasi certamente il ritiro dei soldati italiani dall'Iraq. Forse sara' un po' tardi, a settembre forse quei soldati saranno gia' stati toccati dalla guerriglia irachena, percio' meglio sarebbe se l'opposizione si impegnasse ora, subito, in questa richiesta. Ma non c'e' verso: secondo una pavloviana associazione di idee a una guerra segue il dopoguerra, e dunque quei soldati stanno partecipando a un dopoguerra, non a una guerra. Ed e' in base a questo pregiudizio che l'opposizione diventa flebile. Perche' il dopoguerra, sempre in base a un riflesso mentale pavloviano, e' ricostruzione anziche' distruzione. Cosi' racconta la storia. Il fatto e' che tanto il presente come il recente passato, il decennio delle guerre di ricostruzione (appunto) dell'ordine mondiale, in Africa, in Asia, in Medio Oriente non registrano tanto il lavorio di ricostruzioni vere e proprie quanto il proseguire di una cieca e stolta devastazione di quegli stessi paesi e stati. La loro progressiva riduzione a zone, ad aree. La loro deformazione e desertificazione e regressione, in molti sensi. Gli italiani hanno battezzato il loro intervento in Iraq col nome di Antica Babilonia, la Jugoslavia ha perso il suo nome e viene spesso identificata con i Balcani, la Palestina e' un reticolo mutevole e impazzito di territori senza forma: a regredire e a impoverirsi e' il linguaggio che designava la modernizzazione delle civilta', mentre le carte geografiche si trasformano in mappe dell'invivibilita'. Nel frattempo l'uranio lavora nelle zone bombardate, a indebolire le difese immunitarie degli esseri umani che vi risiedono e a diffondere patologie letali: una devastazione tutt'altro che simbolica, ma anche un segno di maledizione destinato a marchiare quelle stesse zone per un tempo indefinito. Tra l'inquinamento del territorio e l'inquinamento del linguaggio sta la destrutturazione di ogni istituzione, di ogni relazione sociale minimamente consolidata, stili di vita, stili economici, stili di gestione dei poteri, belli o brutti che fossero, e si apre il laboratorio in corpore vili per la sperimentazione di nostalgie tribali e integralismi da un lato, di attivita' di cooperazione internazionale dall'altro, cosi' che insieme al malaffare, e fatte salve le eccezioni lodevoli, cala su quei dopoguerra, a insegnare la convivenza lo sviluppo la democrazia, uno sciame di affamati e affamate di reddito, di giovanile avventura, di buoni sentimenti e di carriera. Cavallette prive di memoria e di immaginazione, il cui pensiero, insieme a quello dei militari in missione di cosiddetta pace, si esprime nelle nuove telenovelas che chiamano i miliziani dell'Uck (Kossovo) con l'affettuoso nome di partigiani. Esiste ancora, qualcosa che si possa chiamare dopoguerra? In Iraq, per ora, si tratta di una sostituzione di granate mortai e bombe al bombardamento totale: non lo vogliono, si direbbe, questo dopoguerra. In Somalia si tratta di un regime dominato dalla licenza di uccidere per chiunque. Un gran silenzio sembra venire dall'Afghanistan. Un silenzio ancor piu' radicale assorda dalla ex Jugoslavia, soprattutto da sud ed e', per usare un pallido eufemismo, silenzio di ogni parvenza di democrazia. Certo e' possibile che, nel diradarsi delle esplosioni, uomini e donne riprendano a inventarsi la vita, miracolosamente, e riprendano la parola e il diritto clandestino al pensiero: cosi' come e' possibile che riprendano, un giorno, le armi. Nella mente si impone comunque quest'immagine in cui il mondo sbiadisce, una zona dopo l'altra, e i dopoguerra sembrano inverni artificiali che calano in successione. Il che accentua e insieme deprime il senso di responsabilita' di questa parte del mondo dalla quale provengono le guerre che costruiscono l'ordine e i dopoguerra che devastano. Siamo a malapena sulla soglia di una conversione a politiche di pace, fino a che simili dopoguerra appaiono tollerabili. 4. ESPERIENZE. LA POESIA DELLE BAMBOLE [Dall'Associazione Pantagruel (per contatti: asspantagruel at virgilio.it) riceviamo e diffondiamo] Presentazione del progetto "La poesia delle bambole", un nuovo percorso di vita nella dignita' del lavoro. * Come nasce l'idea Dai colloqui dei volontari con le detenute all'interno del carcere femminile di Sollicciano, emerge un disagio di tipo economico ma non solo; abbiamo quindi pensato di sopperire a tale situazione unendo un lavoro che venisse retribuito ma che fosse allo stesso tempo creativo e terapeutico. Il risultato e' stata la messa a punto di un corso di formazione di realizzazione di bambole interno alle sezioni femminili del carcere di Sollicciano e poi di un laboratorio. Dalla fine del 2001, coadiuvate dalle operatrici, le detenute si impegnano con entusiasmo nella produzione di morbide bambole in stoffa, gnomi dai lunghi baffi, personaggi delle fiabe ed altro ancora... * Come si sviluppa il progetto Il primo dicembre del 2002 abbiamo presentato il progetto tenendo aperto il nostro centro per l'intera giornata. Gia' avevamo nei mesi precedenti organizzato l'ambiente per accogliere questa iniziativa, e acquistato i materiali necessari per far partire il laboratorio esterno (uno spazio nell'associazione dedicato interamente alle donne di Sollicciano e alle bambole) che va inteso non disgiunto dal laboratorio interno, bensi' la continuazione di un lavoro iniziato in carcere e proseguito all'esterno per le detenute in semiliberta', affidamento al servizio sociale o in fine pena. All'interno del carcere si sono col tempo coinvolte nuove donne ed e' partito nel marzo 2003 un ulteriore laboratorio di "formazione" per le "novizie" che conta 15 di loro. La formazione collateralmente viene fatta anche all'esterno del carcere, nei fine-settimana, nell'associazione stessa, dove le operatrici tengono corsi di bambole aperti a tutti. Alcune delle persone che hanno aderito in passato ai corsi sono tutt'oggi volontarie presso il laboratorio esterno e si incontrano settimanalmente con le detenute che operano in semiliberta' o affidamento; altre di loro coadiuveranno le operatrici all'interno del carcere. Da 3 mesi al laboratorio esterno sono arrivate 3 donne, Gabriella, Gloria e Ijeoma, la prima in semiliberta' e le altre due in affidamento, impegnate in questa attivita' cinque giorni su sette, poi c'e' Peppina che ha concluso la sua pena e presta il suo lavoro due volte la settimana. L'associazione provvede mensilmente a retribuirle e questo da' loro una certa tranquillita' economica oltre che uno spazio in cui e' possibile imparare un lavoro creativo e una possibilita' di reinserimento nella societa' in maniera sana. Se ne aspettano altre due nei prossimi mesi anche se non e' facile sapere quali saranno i tempi di attesa e se le richieste di lavoro presentate dalle detenute saranno effettivamente accettate. L'associazione finanzia il laboratorio esterno grazie ai contributi di 15.000 euro ottenuti dal Cesvot perche' risultata tra i vincitori del bando di concorso "Percorsi di Innovazione"; e di 10.000 euro richiesti alla Provincia ed al Comune di Firenze - Assessorato politiche del lavoro, immigrazione e area carcere - che sono stati in parte deliberati. Anche la Banca Del Vecchio ha recentemente devoluto 1.500 euro per il progetto "La poesia delle bambole" che riceve anche piccole donazioni da altre associazioni e da privati. * Corsi esterni di bambole in stoffa Chiunque sia interessato a partecipare ai nostri corsi di formazione di bambole in stoffa puo' iscriversi presso l'associazione Pantagruel telefonando al n. 055473070 o inviando una e-mail all'indirizzo: asspantagruel at virgilio.it I prossimi corsi sono previsti per settembre. Con lo svilupparsi del nostro progetto avremo sempre piu' bisogno di operatori formati che operino sia all'interno del carcere che all'esterno. * Problemi aperti Sono comunque molti i problemi ancora aperti e ne elenchiamo alcuni sperando di trovare una risposta in persone ed in gruppi che ritengano importante questa iniziativa: - a livello di informazione e' sempre piu' necessario che il progetto venga conosciuto utilizzando i mass-media (depliant, giornali, spazi in internet...); - a livello di commercializzazione dovranno nei prossimi mesi essere trovati spazi in cui i prodotti possano essere conosciuti (negozi, manifestazioni pubbliche...); - a livello economico oltre a nuovi finanziamenti e donazioni dovra' anche essere pensata una nuova forma giuridica (per esempio una cooperativa sociale). A settembre/ottobre faremo un primo bilancio di questi tre anni di lavoro assieme ai soggetti proponenti il progetto, i partners e tutte le persone coinvolte dentro e fuori dal carcere. Per ogni informazione: Associazione Pantagruel e Associazione Il Ramo in Fiore, via A. Tavanti 20, 50134 Firenze, tel. e fax: 055473070, e-mail: asspantagruel at virgilio.it Altre nostre iniziative sono previste sul territorio nei prossimi mesi. Chiunque voglia divulgare il nostro progetto, dare consigli, o farne parte puo' contattarci ai numeri sopraindicati, saremo felici di incontrarvi personalmente e di trovare momenti e spazi di collaborazione. 5. RIFLESSIONE. ANTONIO TABUCCHI: I VOLTI DELLA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 luglio 2003. Antonio Tabucchi e' uno dei piu' noti scrittori italiani ed uno dei piu' apprezzati studiosi di letteratura portoghese] Sulla stampa e in televisione si e' aperta una discussione sullo scandalo che l'immagine puo' provocare, perche' le fotografie dei cadaveri dei figli di Saddam Hussein trucidati dagli americani stanno turbando gli animi sensibili del nostro sensibile occidente. Anche certi parlamentari del governo italiano, cosi' soddisfatti di vedere portare la democrazia in certi paesi a suon di bombe, pare sembrino un po' turbati. Insomma, cosi' no, dicono i sensibili, ma che barbarie. Come a dire: la barbarie si puo' fare, tanto e' l'Iraq, ma farla vedere a noi e' barbaro. Tanta sensibilita' e' commovente. Si tratta in fondo di cadaveri. E nelle guerre di cadaveri ce ne sono a iosa, perche' le guerre prevedono cadaveri, altrimenti non sarebbero guerre. Capisco che ad alcune anime sensibili piacerebbe che i morti apparissero come si deve: composti, educati, puliti, come i cari estinti con l'aria presentabile ai quali i parenti vengono a esprimere il loro cordoglio. Il caro estinto. I morti trucidati invece sono di una maleducazione insopportabile. E capisco anche che le anime sensibili si scandalizzino. Eppure, c'e' qualcosa di didattico in queste immagini che mi pare prezioso con i tempi che corrono. Perche' esse parlano della guerra. Quella vera, che e' sempre sporca. Non quella che i signorini sensibili come noi guardiamo la sera alla televisione. Che naturalmente fa schifo, come sappiamo. E che tuttavia nel suo schifo, quando gli americani lo vogliono, raggiunge un livello ributtante di alta funzione informativa. Mostra a tutti cos'e' la guerra. Quella vera, non quella fatta con le bandierine durante i talk-show serali. Ma questi sono solo i figli di Saddam. Io auspicherei una televisione didatticamente coerente. Perche' ci sarebbero i cadaverini di tanti bambini in Iraq, per scandalizzare ancora di piu' le anime sensibili che si stanno scandalizzando. Ad alcuni manca un braccino, ad altri una gambina o tutte e due, hanno tanto sangue sulla testa, sono proprio un bello schifino. Ma la democrazia che si porta con la guerra ha un prezzo alto, e questo prezzo andrebbe mostrato come fa il telegiornale con gli indici della borsa. Obiettivamente. La funzione della televisione e' questa, magari roba da cretini, come ho sentito dire, ma i cretini sono spesso utili. Come fu quel cretino di Goya, pittore peraltro progressista che pero' si mise a disegnare "I disastri della guerra" di Napoleone, che era un democratico che si prese l'iniziativa di portare la democrazia con il proprio esercito nella penisola iberica di allora, dominata da una famiglia tipo Saddam, che pero' era aristocratica, cattolicissima e godeva dell'appoggio del papato. Concetti di questo genere li avevo gia' espressi in un articolo uscito su "l'Unita'" quando tutto stava ancora per succedere. Era un articolo in cui cercavo di capire le ragioni di Gino Strada, che per libera scelta professionale cerca di riaggiustare gli arti spappolati dalle bombe. Ma chirurghi di guerra come Gino Strada, che descrivono le immagini che ora vediamo, danno fastidio alle anime belle. Per questo il mio articolo parve irriverente. Ad ogni modo si puo' leggere ora sull'argomento un libro appena uscito in Italia di Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri (Mondadori). Di solito ai libri spettano le cosiddette recensioni. Mi spiace per i recensori, ma la migliore recensione a questo straordinario libro sono le foto dei cadaveri dei figli di Saddam mostrati urbi et orbi. Non saprei se sono le fotografie che recensiscono il libro di Susan Sontag o viceversa. Decidete voi, cambiando l'ordine dei fattori il prodotto non cambia. 6. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: LA VIOLENZA DELL'ISTITUZIONE ECCLESIASTICA [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Sono rientrata dalla XL sessione ecumenica del Sae (Segretariato attivita' ecumeniche), che si e' aperta sull'onda emotiva dell'enciclica sull'eucaristia che Giovanni Paolo II ha pubblicato per ridire ai cattolici che e' vietato accostarsi alla comunione della "santa cena" protestante. L'apparente inutilita' di ripetere un divieto si spiega come gesto politico, tenendo conto che il testo e' uscito prima del Kirchentag, la grande assemblea delle chiese che si tiene in Germania, nella quale era prevedibile una forte trasgressione nei confronti di una tradizione destinata a cadere. Racconto questa mia esperienza perche' chi crede nella nonviolenza deve sapere quante sono le forme in cui si deve esercitare e che condizionano uomini e donne per pure ragioni di potere. Infatti, dopo questo episodio interno alla vita delle chiese, ma che appare per tutti palese scelta di chiusura e, quindi, potenzialmente,di conflitto, e' uscita oggi la condanna dell'omosessualita', anch'essa tradizionalmente esclusa dai "retti comportamenti cristiani", ribadita senza riguardi umani (e cristiani) con l'intento di inviare un diktat allo stato, perche' non liberalizzi le "libere unioni" e tantomeno riconosca la legittimita' delle relazioni omosessuali, e di intimidire i parlamentari di appartenenza cattolica. Incomprensione? Rigore? Esigenza di "salvare la fede"? Oppure ricorso al potere e alla divisione per imporre quello che non si e' capaci di argomentare perche' non ci sono piu' argomenti, senza riguardo per le sofferenze che incidono sulla pelle di tante persone? Posso immaginare che entro un numero ragionevolmente breve (o lungo) di anni le prese di posizione autoritarie nell'ambito della fraternita' delle chiese cristiane e, ancor piu', sul riconoscimento dell'amore nelle relazioni interpersonali (la "famiglia" non esiste solo per fini procreativi) e dell'omosessualita' o anche sul celibato obbligatorio saranno ritenute comunemente lesioni dei diritti umani. Tuttavia il giudizio della storia verra' a suo tempo e poco varra' stupirsi allora per la cecita' che ha sostenuto interventi incompatibili con la sostanza del messaggio evangelico. Quello che colpisce oggi e' l'indifferenza nel trascurare la carita' nei confronti di credenti, di amici, di esseri umani colpiti nella loro dignita' di persone. Don Milani aveva avvertito: "l'obbedienza non e' piu' una virtu'". Non lo e' mai stata. Oggi e' dovere di coscienza chiedere sempre conto di prese di posizione che, colpendo alcuni, ledono i diritti di tutti: diritti non solo al rispetto di tutti, ma anche ad avere luoghi in cui chi crede di fare il nostro bene si confronti con noi prima di stroncare avversari che non ci sono, ma che irragionevolmente si creano. E si tratta sempre di creare conflitti. 7. INCONTRI. CLARISSE DI JESI: CHIARA D'ASSISI E LA NONVIOLENZA [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo questo comunicato] Per noi che seguiamo la guerra attraverso il tam tam dei media, per le decine di popoli coinvolti in conflitti dimenticati, per le vittime di ogni parte e colore, la guerra e' ormai una dimensione quotidiana. Anche per Chiara lo era. Nasce in una famiglia di guerrieri. I combattimenti si pongono nel cuore delle citta' e tra le citta' stesse. Chiara cresce in un mondo violento: un tempo di guerra endemica (oggi la chiameremmo infinita). Ogni anno iniziavano nuove campagne tra eserciti o tra citta'. Sono lotte stimolate e rafforzate dalla grande lotta tra impero e papato, tra Gregorio IX e Federico II. Nel contempo ci sono anche le crociate: la grande guerra che vede contrapporsi islam e cristianita'. Alla luce di tutto questo, ci siamo domandate come Chiara pensava se stessa, le sue compagne, la sua vita, la sua esperienza religiosa, all'interno della situazione di guerra del suo tempo. E' ovvio che il tempo di Chiara e il nostro sono profondamente diversi, ma forse Chiara puo' ancora indicarci qualcosa. Il triduo di quest'anno nasce dall'incontro tra la nostra ricerca e il cammino di un frate cappuccino, padre Flavio Gianessi, che si e' chiesto cosa significa pregare per la pace, riflettendo sull'inopportunita' di manifestazioni episodiche e sull'urgenza di pregare per una pace che non abbia bisogno di armi per difendersi. Ci sono infatti cose che la pace non riesce a risolvere (privilegi, ingiustizie, ricchezze...). Se vogliamo veramente pregare per la pace, dobbiamo pregare di cambiare la nostra vita. Cercando la testimonianza di santi che hanno avuto qualcosa da insegnare, padre Flavio ha cominciato a studiare la vita di Santa Chiara. partendo dai racconti della liberazione del monastero e della citta', rispettivamente dai saraceni e da Vitale d'Aversa. Oltre a ripercorrere le coordinate del contesto storico, il triduo intende esplorare come la vita di Chiara e la sua forma vitae, si pongano di fronte ai conflitti. L'attaccamento tenace alla poverta' e alla nonviolenza mostrano un'evidenza luminosa nella vita di Chiara: la nonviolenza non puo' difendere nessun privilegio e nessuna ingiusta ricchezza. La nonviolenza difende solo la poverta', anzi ne e' difesa. Questo valeva per Chiara e vale anche per noi. Su questi temi, in un confronto d'insieme, che possa maturare frutti di pace anche per le nostre vite, accompagnati e guidati da padre Flavio, vi invitiamo a vivere questo triduo, festeggiando Chiara d'Assisi in occasione dell'anniversario del suo transito. Vi aspettiamo, le sorelle clarisse di Jesi * Programma del triduo di Santa Chiara: Jesi, 8-9-10-11 agosto 2003 8-9-10 agosto: - ore 7: canto delle lodi e ufficio delle letture; - ore10,30: gruppo incontro con padre Flavio nel parlatorio del monastero; - ore 17: conferenza pubblica di padre Flavio nella nostra cappella; - ore18: celebrazione eucaristica e canto dei vespri. 11 agosto: - ore 7: canto solenne delle lodi e ufficio delle letture; - ore 10,30: saluto e commiato con padre Flavio; - ore 18: canto dei vespri e solenne concelebrazione eucaristica presieduta da mons. Oscar Serfilippi. 8. INCONTRI. DONNE IN NERO: "OSIAMO LA PACE, DISARMIAMO IL MONDO" [Da Luisa Morgantini (per contatti: e-mail: lmorgantini at europarl.eu.int, tel. 3483921465) riceviamo e diffondiamo] Trecento donne provenienti dai Balcani, dal Medio Oriente, dall'Africa, dall'Asia e dal Sud America, con esperienze di guerra, conflitti etnici e integralismi, si incontrano per la prima volta in Italia, nell'ambito dell'"XI incontro internazionale delle Donne in nero" che si svolgera' a Marina di Massa dal 27 al 31 agosto. L'appuntamento rappresenta un momento unico di conoscenza tra donne provenienti da aree critiche che si confronteranno sulle parole chiave e sulle pratiche politiche delle Donne in nero: no al militarismo come pensiero dominante e modo di risoluzione dei conflitti, no alla guerra come strumento per il superamento di differenze e divergenze. La rete internazionale delle Donne in nero lavora per la costruzione di una politica internazionale delle donne libera da guerre, violenze e poverta'. Il programma dei tre giorni di incontri di Marina di Massa sara' focalizzato su: donne nei luoghi dei conflitti, nazionalismi e militarismo (con un focus su Palestina, Afghanistan, Turchia-Kurdistan, Iraq), il ruolo dei media nella creazione del consenso alle guerre, fondamentalismi, liberta' delle donne e diritti di cittadinanza, il ruolo dell'Europa, i percorsi di nonviolenza (esperienze delle donne africane, afgane, curde e dei Balcani). Sabato 30 agosto alle ore 17 una performance antimilitarista avra' luogo davanti a Camp Darby, il piu' grande arsenale Usa all'estero. La base americana, stretta tra l'aereoporto militare di Pisa e il porto di Livorno, ha sempre giocato un ruolo centrale nelle guerre mediterranee. Come durante l'ultimo conflitto in Iraq - quando il movimento pacifista manifesto' ripetutamente di fronte alla base per chiederne la chiusura - le Donne in nero torneranno a Camp Darby per dire no alle guerre. 9. RIFLESSIONE. MARCO REVELLI: PASSARE DAL PACIFISMO ALLA NONVIOLENZA [Il testo seguente e' un estratto da una intervista a Marco Revelli; lo abbiamo ripreso dalla mailing list di "Attac-Roma" (e-mail: attac_roma at yahoogroups.com), che non cita altra fonte. Marco Revelli e' docente alla facolta' di scienze politiche dell'Universita' di Torino; tra le sue opere: Lavorare in Fiat, Garzanti, Milano 1989; (con Gabriele Polo), Fiat: i relegati di reparto, Erre emme, Roma 1992; Le due destre, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La sinistra sociale, Bollati Boringhieri, Torino 1997; (con Giovanni De Luna), Fascismo/antifascismo, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1995; Fuori luogo, Bollati Boringhieri, Torino 1999; Oltre il Novecento, Einaudi, Torino 2001. Cfr. anche il libro pubblicato per le sue cure e con una sua importante introduzione, T. Ohno, Lo spirito Toyota, Einaudi, Torino 1993; un suo importante saggio e' in Ingrao, Rossanda (et alii), Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995] ... credo ci sia un Rubicone da varcare. Passare dal pacifismo alla nonviolenza. Altrimenti il tema del pacifismo rimane a sua volta un tema di propaganda e di agitazione, ma non di pratica reale. Le bandiere erano un buon confine avanzato, perche' l'idea pacifista si coniugava con un atto: se vuoi poca cosa, ma importante. Ecco. Bisognerebbe andare avanti su quel terreno. Che vuol dire rigorose pratiche nonviolente, che poi sono la condizione per poter smontare le ragioni della guerra anche quando la guerra si ammanta di possibili e ipotetiche buone ragioni (liberare un popolo, interposizioni umanitarie e cosi' via). E non basta bollarle come bugie, bisogna anche far capire che quei problemi si possono e devono affrontare con mezzi alternativi a quello della forza... La nonviolenza e' una condizione di efficacia sia del ragionamento che dell'azione. Il nostro argomento puo' essere totalmente coerente solo se assume l'orizzonte della nonviolenza. Deve diventare la condizione perche' il movimento sia quello che prometteva di essere: una galassia immensa di uomini e donne che vogliono un mondo vivibile, possibile. 10. APPELLI. LUCA SALVI: IL SILENZIO SULLA TRAGEDIA DELL'UGANDA [Ringraziamo Luca Salvi (per contatti: lukesalvi at libero.it) per questo intervento. Luca Salvi fa parte del gruppo di iniziativa territoriale della Banca Etica a Verona; e' impegnato per la pace, la giustizia, i diritti umani] In occasione del recente viaggio di Bush, per qualche giorno l'Africa e' stata al centro dell'attenzione dei media e si e' parlato di lotta alle guerre, alla fame e all'aids. In Congo stanno finalmente arrivando i caschi blu, anche se la situazione resta drammatica. Tuttavia ben pochi, tranne la coraggiosa agenzia missionaria "Misna", parlano delle atrocita' che accadono nel nord-Uganda: da anni in tale regione imperversa il Lord's Resistance Army, guidato da un pazzo visionario, Joseph Kony, che con poche migliaia di seguaci, massacra la popolazione civile inerme e rapisce bambini e bambine per farne soldati e schiave sessuali. Molti missionari e medici che operano nelle zone limitrofe raccontano che i bambini vengono "reclutati" e trasformati in belve feroci drogandoli e facendo loro uccidere i loro stessi familiari o altri bambini, mentre coloro che non vengono massacrati spesso vengono mutilati e costretti a divorare le loro stesse membra. Il tutto viene tollerato o solo minimamente contrastato dal potente esercito ugandese del presidente Museveni, grande alleato dell'America e di Bush. Perche' questo silenzio sull'Uganda? Perche' non cerchiamo di sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica e di fare pressioni sui governi e sull'Onu per l'invio di osservatori internazionali e caschi blu in difesa della popolazione civile? So che le guerre dimenticate sono tante, ma credo che, come societa' civile e movimenti per la pace, non possiamo piu' tollerare il silenzio su una tragedia come quella dell'Uganda. 11. APPELLI. AMNESTY INTERNATIONAL: CONGO [Dalla sezione italiana di Amnesty International (per contatti: press at amnesty.it) riceviamo e diffondiamo. Come i lettori intuiranno da soli non tutto cio' che e' proposto in questo appello ci persuade, e altre e diverse iniziative meriterebbero di essere aggiunte, un esempio delle quali e' l'azione diretta nonviolenta promossa anni addietro dai Beati i costruttori di pace] Alla vigilia del 2 agosto, anniversario dell'inizio del conflitto scoppiato nel 1998, mentre l'attenzione internazionale si concentra sull'insediamento del nuovo governo di transizione e sulla presunta fine della guerra, le atrocita' nell'est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) proseguono. Lo afferma Amnesty International, al termine di una missione di tre settimane nel paese, ribadendo la sempre urgente necessita' di un efficace intervento internazionale. "Molti congolesi hanno un disperato bisogno di pace, che consenta loro di tornare nel paese e iniziare a ricomporre i pezzi delle proprie vite andate in frantumi negli ultimi cinque anni" - ha dichiarato Daniele Scaglione, coordinatore Africa centrale di Amnesty International Italia. "Ma poiche' i massacri, le mutilazioni e gli stupri proseguono nelle regioni dell'Ituri e del Kivu, e' difficile in questo momento per loro credere in una vera pace". A Bunia, capoluogo dell'Ituri, circa 20.000 persone vivono in campi di fortuna sotto protezione militare internazionale. Molti di questi profughi interni sono fuggiti dalla violenza interetnica che ha decimato la popolazione della regione negli ultimi mesi. Tale violenza e' il risultato di una lotta di potere tra le fazioni armate della regione. I loro capi, senza alcun rimorso, hanno strumentalizzato le tensioni tra i due principali gruppi etnici, gli hema e i lendu, per perseguire i propri interessi economici e politici. E' una guerra in cui i civili non sono vittime sfortunate di "danni collaterali" bensi' un bersaglio costantemente ricercato. Il principale intento delle fazioni combattenti e' quello dello sterminio sistematico della popolazione, sulla base dell'identita' etnica. "L'odio reciproco tra i gruppi etnici dell'Ituri, alimentato dai capi politici e delle milizie armate, e' cosi' profondo che ci vorranno anni per porre termine alle tensioni" - ha commentato Scaglione. "Per questo e' essenziale che la comunita' internazionale sia presente in forze, tanto per favorire la riconciliazione quanto, se necessario, per affrontare direttamente le milizie se queste dovessero continuare a uccidere". Nel frattempo, la popolazione civile di Bunia continua a vivere temendo le atrocita' che potrebbero scatenarsi qualora la forza multinazionale a guida francese dovesse ritirarsi, come previsto, il primo settembre, senza essere sostituita da una forza consistente e determinata ad intervenire militarmente per salvare le vite umane. Il 28 luglio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 1493, che estende il mandato della Monuc (la Missione Onu in Congo) fino al 30 luglio 2004 e la autorizza, sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, a ricorrere a tutte le misure necessarie per proteggere la vita della popolazione civile. "Se il sangue dei civili indifesi di Bumia scorrera' ancora una volta a settembre come accadde a maggio, i colpevoli principali saranno i capi delle milizie e le loro bande armate, bambini-soldato compresi, assoldate per eseguire i programmi di odio e pulizia etnica" - ha ammonito Scaglione. "Ma se restera' a guardare e consentira' che tutto questo accada di nuovo, allora anche la Monuc, come incarnazione della volonta' della comunita' internazionale, sara' moralmente colpevole di non aver salvato vite umane. Non e' ancora giunto il momento per la Monuc di 'osservare': grazie al suo mandato, recentemente rafforzato, e' tempo invece che essa agisca, e agisca efficacemente, per impedire ulteriori innumerevoli morti senza senso". Amnesty International ha apprezzato, in linea di principio, l'adozione della Risoluzione 1493 del Consiglio di Sicurezza che ha rafforzato il mandato della Monuc. Tuttavia, il successo della sua presenza nella regione di Ituri dipendera' in larga parte dalla sua capacita' e dalla volonta' politica di sconfiggere militarmente le milizie armate e dalla sua abilita' di costruire buone relazioni con la popolazione locale. Il successo dipendera' anche dalla cooperazione dei principali protagonisti del conflitto armato. Amnesty International ha formulato a tale riguardo le seguenti raccomandazioni urgenti: - la Monuc dovra' attuare in pieno il suo nuovo e piu' ampio mandato, basato sul Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, e intervenire con decisione per proteggere le vite umane; - la Monuc dovra' essere dotata del personale militare, dell'equipaggiamento e dell'addestramento necessari a svolgere il proprio mandato; - la Monuc dovra' essere presente in tutti i distretti di Bumia e, progressivamente, in tutto il territorio della regione dell'Ituri; - la Monuc dovra' avere al proprio interno un adeguato numero di funzionari di collegamento e di assistenza umanitaria di lingua francese, per facilitare le comunicazioni con le comunita' locali; - i governi di Uganda e Ruanda e quello di transizione della Rdc dovranno interrompere ogni appoggio politico e militare ai gruppi armati che operano all'interno del paese e che si sono resi tutti responsabili di gravi abusi dei diritti umani. Amnesty International ha apprezzato inoltre la decisione del Procuratore della Corte penale internazionale di raccogliere informazioni preliminari sui crimini rientranti nella giurisdizione della corte, commessi nell'Ituri dal luglio 2002. Amnesty International auspica che cio' favorisca inchieste e incriminazioni da parte della stessa Corte. Tutte le parti coinvolte nel conflitto della zona orientale della Rdc dovranno fornire la massima cooperazione per assicurare alla giustizia i responsabili di crimini di guerra e crimini contro l'umanita'. Questi crimini comprendono i deliberati attacchi contro i civili sulla base della loro appartenenza etnica, l'incitamento all'odio etnico e l'uso dei bambini soldato al di sotto dei 15 anni di eta'. Infine, Amnesty International chiede che sia istituito un adeguato meccanismo giudiziario per indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse prima del luglio 2002, con l'obiettivo anche in questo caso di assicurare i responsabili alla giustizia. Una sintesi delle conclusioni della missione di ricerca di Amnesty International, Democratic Republic of Congo: mission findings, e' reperibile su www.amnesty.org Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste: Amnesty International Italia, ufficio stampa, tel. 064490224 - 3486976920. 12. APPELLI. ASSOCIAZIONE NAZIONALE AMICI DI ALDO CAPITINI: UNA MOBILITAZIONE PER L'AFRICA [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: capitini at tiscalinet.it) riceviamo e diffondiamo] Domenico Quirico, sulla "Stampa" del 7 giugno 2003, prende spunto dal G8 per ricordare uno degli eccidi in corso nella tribolata Africa, malgrado la presenza ad Evian di quattro paesi africani, invitati ma taciturni sul tema. Si tratta della regione di Ituri, nei Grandi Laghi, dove i miliziani della tribu' Lendu hanno da poco massacrato a colpi di machete e di mitra donne, vecchi e bambini, raggiungendoli persino nelle corsie degli ospedali. A Evian si e' parlato - scrive Quirico - con toni soft di aids, di aiuti, di debiti, ma tutti hanno fatto finta di non ricordare che in quella zona si stanno scannando, da cinque anni, con milioni di vittime, bande criminali, capi fazione, eserciti di bambini, che comprano armi con i tesori della zona, oro, uranio, diamanti e petrolio. Proprio per il controllo del petrolio sono stati sterminati villaggi e citta' della regione di Ituri. Tutto sotto gli occhi di una sparuta guarnigione dell'Onu, impotente, a causa degli interessi contrastanti delle grandi potenze, che manovrano le fazioni in lotta e controllano le ricchezze. Ne abbiamo gia' parlato, ma la situazione e' cosi' scandalosa... che torniamo a chiedere una mobilitazione sull'Africa agli amici della nonviolenza. Prima di tutto per denunciare gli eccidi, gli stupri, le rapine di cui nessuno parla. In piu' per costringere le chiese, i partiti, le associazioni umanitarie, i governi a trovare i mezzi internazionali a intervenire e a cancellare questa autentica vergogna per la civilta' umana. 13. DIRITTI VIOLATI. ASSOCIAZIONE PER I POPOLI MINACCIATI: LE DONNE INDIGENE DEL GUATEMALA DISCRIMINATE E SFRUTTATE [Dalla "Associazione per i popoli minacciati - Gesellschaft fuer bedrohte Voelker" (per contatti: e-mail: info at gfbv.it, sito: www.gfbv.it) riceviamo e diffondiamo] Le donne indigene del Guatemala continuano ad essere discriminate e sfruttate, ne' hanno alcuna possibilita' di partecipare alla vita sociale del paese. Questa e' la terribile conclusione a cui giunge uno studio sulla situazione delle donne indigene del Guatemala. L'Associazione per la protezione delle donne indigene (Defensoria de la Mujer Indigena, Dmi), che ha commissionato lo studio, chiede al governo di impegnarsi finalmente per cambiare questo stato di cose. La terribile situazione delle donne, storicamente radicata, puo' essere cambiata solo attraverso azioni e misure specifiche. L'Associazione per i popoli minacciati-Sudtirolo (Apm) appoggia le richieste della Dmi. Oltre il 45% degli 11,8 milioni di guatemaltechi appartengono ad uno dei 23 gruppi Maya del paese. Oltre la meta' sono donne. Per proteggere i diritti delle donne, il governo ha dovuto impegnarsi nel 1999 a sostenere attivamente la fondazione di Dmi. Quest'impegno era peraltro stato fissato tre anni prima negli accordi di pace firmati tra governo e guerriglia che posero fine a piu' di 35 anni di guerra civile. Nel frattempo il governo non si e' quasi piu' occupato delle donne indigene: "L'esclusione delle donne dalla societa', la mancanza di programmi per la salute, la violenza a cui spesso sono esposte sono solo conseguenze visibili di una situazione al limite della sopportazione", dichiara Juana Vasquez, collaboratrice della Dmi. Juana Vasquez inoltre accusa il governo di ostacolare le pari opportunita' tra uomini e donne e tra etnie diverse. La Vasquez si rivolge anche ai mezzi d'informazione del paese affinche' in futuro informino in modo oggettivo e realistico sulle donne indigene, e non, come attualmente accade, in modo parziale, discriminatorio e unilaterale. 14. LETTURE. MARCO VOZZA: INTRODUZIONE A SIMMEL Marco Vozza, Introduzione a Simmel, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 176, euro 10. Come e' tradizione della collana ("I filosofi") in cui appare, una buona monografia introduttiva alla riflessione e all'opera del grande filosofo e sociologo. 15. RILETTURE. NAWAL AL SA'DAWI: FIRDAUS STORIA DI UNA DONNA EGIZIANA Nawal al Sa'dawi, Firdaus storia di una donna egiziana, Giunti, Firenze 2001, pp. 128, euro 8,50. Un libro di grande valore scritto da una delle figure piu' belle dell'impegno per la dignita' umana. Nawal al Sa'dawi e' nata in Egitto nel 1932, dottoressa, psichiatra, saggista, scrittice, infaticabile attivista per i diritti delle donne, perseguitata, imprigionata, minacciata di morte dai fondamentalisti, costretta all'esilio, rientrata in patria sfidando nuove persecuzioni e reiterate minacce, coraggiosamente impegnata sempre. 16. RILETTURE. EDITH SITWELL: IL CANTICO DELLA ROSA Edith Sitwell, Il cantico della rosa, Guanda, Parma 1970, pp. 184. Una silloge dei "later poems" della poetessa britannica (1887-1964), di grande, addolorata intensita'. 17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 18. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 631 del 3 agosto 2003
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