Discussione in senato su Cancun e WTO



Vi invio sperando di fare cosa gradita il mio intervento in aula per illustrare la mozione sul OMC di Cancun, che mi vede primo firmatario e alla quale hanno aderito altri 70 senatori.

Francesco Martone

Senato della Repubblica

Seduta del 28 /07/2003

PRESIDENTE. Ha facolta' di parlare il senatore Martone per illustrare le mozioni nn. 168 e 174.

MARTONE (Verdi-U). Signor Presidente, signor Vice ministro, l'odierno dibattito sulla Conferenza di Cancun giunge in una congiuntura estremamente appropriata.

Ci troviamo di fronte ad un passaggio molto importante: dagli incontri delle prossime settimane potrebbero scaturire decisioni assai rilevanti, che possono determinare il successo o il fallimento di Cancun. È proprio per questo che oggi e' importante svolgere un dibattito sulle sfide, sulle potenzialita' e i rischi di un'accelerazione dei processi di liberalizzazione degli scambi commerciali.

Noi non crediamo che Cancun sia soltanto un momento di passaggio intermedio, siamo invece preoccupati per una serie di questioni sulle quali alcuni Paesi vorrebbero prendere una decisione tra qualche settimana, e proprio per questo abbiamo chiesto in settanta parlamentari di discuterne oggi in quest'Aula.

Un esercizio, questo, non formale ma sostanziale, per restituire sovranita' al Parlamento su scelte che troppo spesso vengono prese lontano dalla societa' civile e da queste Aule, nonostante il forte impatto che possono avere sulle prerogative stesse del Parlamento e sui diritti fondamentali dei cittadini.

Ora in quest'Aula si apre uno spazio nel quale possono finalmente trovare rappresentanza le proposte e le piattaforme delle organizzazioni non governative e sindacali, che da anni lavorano sul WTO e dimostrano quotidianamente la loro grande capacita' di mobilitazione, comprensione, analisi e proposta su temi ed emergenze di grande attualita'.

Oggi l'ansia di giungere a un qualsiasi risultato negoziale da proporre come successo a livello mediatico, per tenere in piedi la credibilita' e la legittimita' di un'istituzione che dall'impasse di Seattle non e' in effetti mai piu' uscita, rischia di costruire i presupposti per un sistema internazionale ancora piu' sbilanciato, non trasparente, ed ingiusto in primo luogo nei confronti dei Paesi e dei popoli che dovrebbero esserne i principali beneficiari.

Ci dobbiamo pertanto, signor Vice ministro, interrogare su quali siano le condizioni necessarie affinche' il commercio sia effettivamente una leva, non l'unica, ma essenziale senz'altro, per un modello di sviluppo centrato sullo sradicamento della poverta', sulla sostenibilita' e sull'equita' e giustizia sociale. In poche parole, su un paradigma di sviluppo basato sui diritti fondamentali (come ha voluto spesso e volentieri riaffermare Mary Robinson, allora Segretario della Commissione per i diritti umani dell'ONU).

Per farlo non possiamo pero' non far riferimento a quel luogo, appunto, nel quale l'elaborazione collettiva della comunita' internazionale negli ultimi decenni ha prodotto princi'pi e norme di diritto internazionale che sono il parametro di riferimento imprescindibile: le Nazioni Unite.

Al di la' di considerazioni importanti da fare sulla necessaria riforma istituzionale dell'ONU (non e' questa certo la sede), va sottolineato che l'ONU oltre a istituzione e' anche quell'insieme di regole, di convenzioni, di Carte dei diritti che rappresentano la trave portante e l'architettura fondante della convivenza civile su scala planetaria.

La prima condizione ineludibile, quindi, per chi si appresta ad andare a Cancun e sta seguendo il negoziato e' la riaffermazione necessaria dell'approccio multilaterale. Nella stesura della mozione ci siamo interrogati su cosa puo' venire dopo Cancun, se fosse inevitabile chiedere l'abolizione tout court del WTO, se fosse possibile sostenere il negoziato in corso o se invece fosse opportuno chiedere un rallentamento delle trattative, per recuperare alcuni fattori essenziali quali il superamento del grave deficit democratico che caratterizza non solo l'istituzione WTO in quanto tale, ma anche i suoi rapporti con i Paesi membri, con i Parlamenti e con la societa' civile.

Abbiamo bisogno di tempo per poter comprendere le condizioni alle quali sottoporre i negoziati affinche' siano orientati al fine ultimo, cioe' quello dello sviluppo sociale ed economico, nel rispetto dei diritti fondamentali, e per affrontare i rischi connessi all'allargamento a dismisura della mission originaria del WTO.

In questo senso abbiamo confrontato varie ipotesi, facendo tesoro delle elaborazioni e delle proposte dei movimenti della societa' civile e dei sindacati e siamo giunti alla seguente richiesta. Riteniamo che sarebbe opportuno un rallentamento, anche per capire se il WTO, come anche le altre istituzioni internazionali (Banca mondiale e Fondo monetario internazionale in primis), non necessitino di un profondo ripensamento, di una loro ricollocazione nell'alveo del sistema ONU, magari con il trasferimento delle tematiche commerciali all'UNCTAD, di un'elaborazione delle loro priorita' programmatiche che vada al di la' di un pensiero unico neoliberale che dimostra la sua incapacita' di rispondere alle grandi sfide globali, da quella della stabilita' a quella dell'equita'.

Un multilateralismo, quindi, ripensato, rielaborato e rafforzato, che si traduce in questo caso nel riconoscimento della centralita' degli obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, ed in particolare nell'Obiettivo 8, relativo ad un partenariato globale per lo sviluppo, e nello studio di nuove ipotesi, quali quella di un Consiglio di sicurezza economico e sociale nell'ambito dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

In un partenariato globale per lo sviluppo, il commercio e' considerato in relazione ad altre questioni cruciali, quali la cooperazione allo sviluppo, la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, politiche innovative per la soluzione del debito estero, come procedure eque e trasparenti di arbitrato internazionale, interventi correttivi riguardanti l'instabilita' dei prezzi delle materie prime, l'elaborazione di strumenti politici per prevenire le speculazioni finanziarie e costruire regole per il settore privato.

In secondo luogo, riteniamo necessario e fondamentale per il Governo italiano, in quanto anche Presidente di turno della UE, riaffermare la centralita' dei diritti umani, sociali ed economici degli Stati e dei popoli rispetto alle priorita' di liberalizzazione di Cancun.

Il negoziato WTO, per come si sta profilando, puo' causare un forte arretramento in questo campo, se non addirittura un grave pregiudizio. Sul tema del diritto alla salute ha gia' parlato il collega Tonini. Faccio riferimento anche alla mozione di cui e' primo firmatario il senatore Malabarba, che mi ha chiesto di trattarne brevemente in questa sede.

Siamo molto preoccupati che l'accordo annunciato sulla questione brevetti, altrimenti detta TRIPS ed accesso ai farmaci, segni un forte arretramento rispetto agli impegni presi a Doha. A Doha venne affermato un principio chiaro ed incontrovertibile: quello secondo il quale i TRIPS non devono impedire a tutti gli Stati membri di intraprendere iniziative volte a proteggere la salute pubblica. Si e' affermato che l'Accordo puo' e deve essere interpretato ed attuato in maniera tale da sostenere il diritto dei Paesi membri del WTO di proteggere la salute pubblica e di promuovere l'accesso ai medicinali per tutti.

La pressione di Big Pharma e di Paesi quali gli Stati Uniti ha portato all'adozione di una bozza di compromesso (la bozza Motta), che riteniamo blanda, contraddittoria e volutamente vaga, e quindi soggetta a varie interpretazioni di comodo. Oggi quell'ipotesi e' sottoposta a ulteriori forti limitazioni, ad esempio - come ha detto anche il collega Tonini - rispetto alla lista delle malattie, per le quali si chiede un'eccezione ai TRIPS e si riconosce il diritto ai Paesi di produrre farmaci generici.

Vorremmo sapere da lei, signor Vice ministro, a quale sistema di razionalita' per la salute pubblica risponde la proposta di elencare malattie per le quali non esistono oggi terapie farmacologiche o per le quali i farmaci a disposizione non sono piu' coperti da brevetti, poiche' scaduti, oppure proporre la limitazione dell'eccezione ai TRIPS solo in caso di emergenza, dopo, e non per prevenire lo scoppio di epidemie.

La soluzione proposta come compromesso tra Stati Uniti ed Unione Europea si puo' tradurre in una camicia di forza per i Paesi flagellati dall'AIDS e per le loro prerogative sovrane, gia' minacciate da innumerevoli accordi regionali o bilaterali o di assistenza tecnica messi in campo dagli Stati Uniti.

Oggi quello che chiediamo e', ne' piu' ne' meno, di attuare gli impegni presi a Doha, di non fare della salute una pedina di trattativa per servire gli interessi dei Paesi produttori di medicinali e di promuovere programmi di assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo che siano equilibrati, trasparenti e disinteressati.

Chiediamo che venga respinta la proposta Motta e venga elaborata la proposta formulata dall'OMS di porre un'eccezione all'articolo 30 dell'accordo TRIPS. Vale la pena di ricordare che l'Unione Europea aveva proposto gia' a suo tempo l'OMS come osservatore nell'ambito del WTO.

Nei giorni scorsi lei, signor Vice ministro, ha annunciato, con un certo ottimismo, che gli Stati Uniti accetteranno la proposta fatta dall'Unione Europea sui farmaci. Ora vorremmo sapere qual e' lo scambio che avete negoziato con gli Stati Uniti, cosa rimane della proposta Motta e del ruolo dell'OMS in quanto osservatore in ambito WTO.

L'altro importante dossier negoziale riguarda in qualche maniera il diritto al cibo ed alla sovranita' alimentare, ed il diritto dei Paesi in via di sviluppo di usufruire delle stesse condizioni di accesso ai mercati dei produttori dei Paesi ricchi, in una parola dell'abolizione del dumping e dei sussidi e crediti all'esportazione.

Questa materia nasconde la grave ipocrisia di Paesi produttori, USA e UE in primis, che chiedono oggi ai Paesi in via di sviluppo di aprire ancor di piu' i loro mercati, ma non vogliono rinunciare a sostenere con fondi pubblici i prodotti agricoli nazionali. Noi chiediamo l'abolizione di questa pratica, ma allo stesso tempo garanzie affinche' l'apertura dei mercati non comporti la perdita di sovranita' alimentare per quei Paesi.

Sembra che si stia profilando un accordo tra USA e UE sul tema, che prevede l'omissione di dati quantitativi sull'ammontare dei sussidi che si intende abrogare. Sara' sufficiente? Noi pensiamo di no, ed anzi siamo anche preoccupati dalle richieste statunitensi.

A fronte di una possibile riduzione dei sussidi, gli americani chiedono all'Europa di aumentare l'accesso dei loro prodotti agricoli sul mercato europeo. A quale prezzo? Per caso a costo di allentare i vincoli sugli OGM o di rinunciare al principio di precauzione?

Noi chiediamo chiarezza, chiediamo che venga riconosciuto al protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, entrato in vigore qualche settimana fa, supremazia rispetto alle regole del WTO e che quindi ogni discussione relativa agli OGM e al principio di precauzione riconosca la centralita' della Convenzione sulla biodiversita' e protocolli annessi.

In cambio di queste concessioni di facciata, anzi bifronte, come le facce di Giano, ai Paesi in via di sviluppo si chiede di accettare due cose fondamentali: la prima, che nei negoziati GATS questi Governi accettino di includere l'acqua ed i servizi pubblici essenziali.

Siete in grado di dimostrare che la liberalizzazione e la privatizzazione dei servizi pubblici in quei Paesi porta all'efficienza ed al diritto di accesso per tutti? A quali condizioni? Noi pensiamo, ad esempio, che l'acqua sia un diritto umano, non una merce o un bisogno, e che quindi i Governi ed i Parlamenti abbiano diritto a decidere se ed a quali condizioni mantenere il controllo pubblico. La norma vigente nel WTO del single undertaking, potrebbe portare invece quei Paesi a prendere tutto o lasciare anche le esigue concessioni che si vorrebbero mettere sul tavolo della trattativa.

E cosi' i Parlamenti, come il nostro al quale nulla e' stato comunicato rispetto alle offerte italiane e quindi rispetto ai settori che il Governo intende impegnarsi a liberalizzare, dovranno accettare il fatto compiuto e veder erodere ancor di piu' il loro diritto sovrano di decidere le politiche economiche e commerciali nazionali.

La seconda pedina di scambio e' il rilancio del negoziato sui cosiddetti temi di Singapore, per i quali il commissario Pascal Lamy avrebbe ricevuto pieno mandato a negoziare; i cosiddetti temi di Singapore riguardano soprattutto la liberalizzazione degli investimenti privati, gli appalti pubblici e le norme per la concorrenza.

Ed e' proprio sugli investimenti che si gioca oggi la partita piu' rilevante, poiche' pensiamo che sussista il rischio di creare una situazione di profondo svantaggio per quei Paesi che ne dovrebbero in effetti beneficiare, rilevando inoltre la netta opposizione di ben 77 Paesi in via di sviluppo, il pronunciamento della Camera dei Comuni inglese, e del Bundestag tedesco, nonche' la posizione del Governo belga che di recente hanno posto in questione il mandato di Lamy a negoziare sui Singapore's issues.

Noi non siamo contro un sistema omogeneo e vincolante di norme e regole per il settore privato, ma riteniamo che il WTO, visti i suoi gap e asimmetrie allo stato attuale non sia il luogo adatto e crediamo che prima di procedere in un negoziato sugli investimenti vada svolta una valutazione accurata dei vantaggi che ha portato fino ad oggi l'espansione degli IDE (Investimenti diretti esteri) in termini di lotta alla poverta' ed all'esclusione sociale.

Siamo altresi' convinti che ai Governi dei Paesi in via di sviluppo e non solo debba essere riconosciuto il diritto di mantenere strumenti di controllo pubblico sui flussi di investimenti diretti esteri al fine di orientarli verso il perseguimento degli obiettivi di sviluppo del millennio.

I diritti dell'ambiente e quelli dei lavoratori sono un tema troppo scottante per mantenerlo alto tra le priorita' del dibattito di Cancun. Sappiamo solo che di questo, della relazione che deve intercorrere tra i cosiddetti Accordi multilaterali sull'ambiente (MEAS) e il WTO e tra il WTO e le Norme fondamentali del lavoro, a Cancun non si parlera', per mantenere un canale aperto con i Paesi in via di sviluppo.

Eppure oggi come non mai va affermata la primazia delle Convenzioni sull'ambiente, e delle norme dell'OIL rispetto alla rimozione delle cosiddette barriere non tariffarie. E non e' vero che di questo non si parla: basti appunto far riferimento al tema degli OGM e del principio di precauzione, delle condizioni poste per l'accesso dei prodotti tessili e non solo dei Paesi in via di sviluppo verso i nostri mercati. Risulta infatti chiaro che l'esigenza di una corsa al ribasso dei costi di produzione in quei Paesi, al fine di rendere quei prodotti concorrenziali va tutta a discapito del contenuto "etico" o di diritto di quei prodotti.

Noi non vogliamo sui nostri mercati merci provenienti da zone di libera esportazione o da laboratori clandestini dove i diritti piu' elementari non vengono tutelati. Non e' protezionismo, ma affermazione della centralita' dei diritti umani e del lavoro, diritti universali ed inseparabili.

Su questo, pero', il Governo italiano e l'Unione Europea sono silenti, e per questo noi nella mozione chiediamo che venga riaffermata la prevalenza dei trattati ONU, degli standard fondamentali del lavoro definiti dall'OIL e degli accordi multilaterali sull'ambiente, sostenendo la necessita' di un aggiornamento dell'articolo XX allegato 1a dell'OMC sulle eccezioni generali.

Per concludere, signor Vice ministro, vorrei riprendere il tema con il quale ho iniziato, quello della democrazia non formale ma sostanziale. Prima di continuare ogni forma di negoziato, sara' urgente - al fine di renderlo trasparente, equo, paritario e effettivamente partecipato - rilanciare un programma di democratizzazione e maggior trasparenza del WTO e la riforma del meccanismo di risoluzione delle controversie.

E' urgente abbandonare pratiche, tuttora seguite, quali quella del single undertaking, o quella dei negoziati a porte chiuse, nelle cosiddette Green Room, nei quali spesso e volentieri sono esclusi i Paesi in via di sviluppo, o quella anche recente che attribuisce ai Chair, ai presidenti dei gruppi di discussione, il diritto di finalizzare una posizione politica anche delicata in maniera unilaterale e poco trasparente. E' fondamentale rafforzare gli strumenti messi a disposizione dei Paesi in via di sviluppo per poter comprendere appieno e negoziare alla pari con i Paesi piu' ricchi questioni essenziali per il bene comune dei loro cittadini.

Ci auguriamo che il Senato approvi questa mozione, per riaffermare il suo ruolo di indirizzo politico e di governo sui processi di globalizzazione, e per chiamare il Governo italiano ad una posizione di maggior responsabilita' nei confronti di questioni politiche cruciali; basti ricordarne due: la qualita' e la genuinita' della ripresa del dialogo transatlantico e la scelta tra l'assetto unipolare, multilaterale o multipolare del pianeta nell'era della guerra permanente; le prospettive per le popolazioni impoverite del pianeta di liberarsi finalmente dal peso della poverta', riconoscendo anche il nostro debito ecologico e sociale nei loro confronti.

In ultima analisi, e' intorno a questi temi che si definiscono i termini con i quali rendere operativi principi e diritti troppo spesso rimasti sulla carta; una partita che non ammette giochi al ribasso, in nome di successi effimeri che si tradurrebbero in fallimenti per coloro che da tutto cio' dovrebbero invece trarre beneficio.