La nonviolenza e' in cammino. 623



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 623 del 26 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: l'amore che cammina e guarisce
2. Gwendolyn Brooks: il "Defender" di Chicago manda un uomo a Little Rock,
autunno, 1957
3. Atia Gaheez: grido
4. H. D. (Hilda Doolittle): afa
5. Vinoba: la nostra compassione
6. Martin Luther King: l'alba verra'
7. Bruno Accarino presenta i diari 1950-1973 di Hannah Arendt
8. Ottavio Raimondo presenta "Rigenerare i poteri" di Walter Wink
9. Benedetto Vecchi intervista Mike Davis
10. Letture: Rosalba Conserva, La stupidita' non e' necessaria
11. Riletture: Liana Fiorani, Dediche a don Milani
12. Riletture: Elise Freinet, Nascita di una pedagogia popolare
13. Riletture: Arnold Schoenberg, Lettere
14. Riletture: Arnold Schoenberg, Manuale di armonia
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: L'AMORE CHE CAMMINA E GUARISCE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione questo testo, estratto da una lettera personale.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista
teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche
sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
"L'amore protegge?", mi hai chiesto, "Come puoi parlare di nonviolenza,
suggerendo che l'amore sia protezione, quando gli innocenti vengono feriti e
uccisi?".
E io chiedo a te: che cosa l'amore dovrebbe proteggere? I nostri corpi, il
nostro benessere emotivo e mentale?
Probabilmente ciascuna/o di noi, in un momento o l'altro della sua vita, ha
urlato questa domanda dentro di se': perche'? Perche' dio, o il fato, ha
permesso che capitasse a me? Oppure, ed e' forse la domanda piu' straziante,
Se c'e' un dio, come ha potuto permettere che questo accadesse a un bambino?
In superficie, sembra che l'amore non protegga, o che protegga
arbitrariamente. Ma dentro di me, io non posso ignorare la voce che
risponde: "Si', l'amore protegge".
Forse cio' che l'amore protegge non sono i nostri corpi, e nemmeno i nostri
cuori e le nostre menti. Forse l'amore protegge l'essenza dell'essere umani,
la nostra umanita': e persino nelle situazioni piu' orribili, al sicuro fra
le braccia dell'amore, la nostra umanita' rimane integra.
Anche se siamo violati e feriti, rimane in noi qualcosa di intoccato, di
saldo e bello. Il seme di una fenice, o una fenice bambina, una scintilla la
cui luce cresce man mano che noi ci facciamo domande, e ogni volta che
cerchiamo di dire il nostro cuore, ogni volta che la nostra voce chiede
giustizia, anche se in un sussurro.
Nonostante il tradimento, la sofferenza, l'angoscia e il dolore, questo
nucleo di umanita' non puo' esserci sottratto, ed e' l'amore che lo nutre.
Un amore che suona al mio orecchio come un pennino sulla carta, e le parole
che verga sono quelle di un poeta che cerca la verita' e vuole dividere cio'
che conosce con gli altri.
Un amore che fa di ciascuno di noi un dono di sapienza e saggezza, nel
mentre condividiamo esperienze, medichiamo ferite, e offriamo la nostra
speranza alla comunita' umana: una persona alla volta, un passo alla volta,
l'amore cammina e guarisce.
*
"Io non credo piu' che si possa cambiare nel modo che tu dici, quel sogno e'
spezzato", hai aggiunto.
Dunque un tempo lo credevi, ma ora quel sogno e' seppellito, e tu l'hai
coperto con la terra del tuo dolore, e lo innaffi di lacrime. Presto o
tardi, credimi, questo lo indurra' a mettere nuove radici, e tu vedrai i
suoi rami slanciarsi verso il cielo: perche' i sogni non possono spezzarsi.
Le nostre speranze e le nostre aspettative possono essere crudelmente
distrutte, ma i sogni trovano sempre un sognatore che li faccia diventare
veri, come forse l'aria cerca i polmoni per respirare nella vita.
Ti sei chiesta se quel sogno ti cerca? Forse lo hai seppellito solo perche'
mettesse radici, ed ora sta attendendo il tuo segnale per erompere dalla
terra. Oserai guardare per sapere se e' cosi'? Probabilmente, i crochi che
spuntano sul finire dell'inverno non sono l'unica manifestazione della vita
che nasce da un terreno indurito.

2. POESIA E VERITA'. GWENDOLYN BROOKS: IL "DEFENDER" DI CHICAGO MANDA UN
UOMO A LITTLE ROCK, AUTUNNO, 1957
[Da AA. VV. (a cura di Gianni Menarini), Negri Usa. Nuove poesie e canti
della contestazione negro-americana, Sansoni Accademia, Milano 1969, pp.
92-97. Scrive in una nota il curatre della raccolta: "Il "Defender" e' un
quotidiano fondato nel 1905 per difendere i diritti dei neri. Little Rock e'
una cittadina dell'Arkansas in cui piu' volte si sono verificati violenti
tumulti provocati da razzisti. Un giornalista del "Defender", Alex Wilson,
fu selvaggiamente percosso dalla folla davanti a una scuola di Little Rock,
mentre agenti di polizia assistevano alla scena senza intervenire; Wilson
non si rimise piu' dalle violenze subite e mori' qualche anno dopo".
Gwendolyn Brooks, nata a Topeka, Kansas, nel 1917, poetessa afroamericana,
testimone dell'altra America, premio Pulitzer nel 1949, nel 1968 "Poet
Laureate" dell'Illinois succedendo a Carl Sandburg, e' una delle piu' grandi
poetesse americane del XX secolo; con le sue poesie per oltre cinquant'anni
ha combattuto contro la poverta', la violenza, il razzismo; e' deceduta ad
83 anni nel 2000]

A Little Rock la gente genera
Bambini, e si pettina con la riga
E legge gli annunci economici, ripara
Tetto e serratura. Mentre i crostini si bruciano
Una donna annaffia felci.

Il tempo rovescia o puntella
Le molte, anguste, o piccole premure.
A Little Rock la gente canta
Inni domenicali come se niente fosse.

In mezzo allo sfoggio e al lustro della domenica.
E dopo testamento e armonie,
Alcuni addolciscono i pomeriggi domenicali
Con te' al limone e qualche Lorna Doone.
Predi'co
E credo che
Il prossimo Natale Little Rock si dedichera'
All'albero di Natale e ai fronzoli, intessera',
Di risa e di stagnola, rapide trame.

A Little Rock c'e' il baseball; il Barcarolle.
La calura a giugno... le figure in uniforme crude e implacabili
E non intellettuali,
Che battono il calore e artigliano la polvere dolorante.
Il Concerto all'Aperto, sullo speciale prato di crepuscolo...
Quando Beethoven e' brutale o sussurra a un'aria leggiadra.
Gli spettatori sulle coperte sono solenni, perche Johann si affanna a
chinarsi
A dir loro che cosa sentire...
C'e' anche l'amore a Little Rock. Tenere donne che teneramente
Si aprono in gentilezza,
O di qualcuno compatiscono la cecita'
Di qualcuno attendono il piacere
In un Azzurro
Tripudio con angosciato rosa alla radice...
Per cancellare vecchie semidelusioni.
Esse riinsegnano il porpora e il non tetro blu.
I terreni ispidi scompaiono. E insicuri
Mezzi-possessi a certezze hanno esse assunto.
A Little Rock sanno
Che non rispondere al telefono e' un modo di respingere la vita,
Che e' compito nostro esser coinvolti, compito nostro
Coltivare noie e fastidi, essere cortesi
Con le menzogne e l'amore e la multiforme imprecisione.

Mi gratto la testa, massaggio l'odio-che-avevo.
Ammicco oltre il mio taccuino pretenzioso e scribacchiato.
La saga per cui sono stato inviato non e' ancor scritta.
Perche' c'e' un enigma in questa citta'.
La Notizia piu' grossa che non oso
Telefonare alla poltrona del Direttore:
"Sono uguali alla gente dappertutto".
Il Direttore infuriato risponderebbe
Con cento Perche' assillanti.

E si' e' vero, lanciano sputi e sassi,
Rifiuti e frutta a Little Rock.
E ho visto la bufera mulinare
Su fulgide madonne. E una falce
D'uomini tormentare ragazze scure.
(I fiocchi e le forcine nei riccioli
E le trecce svanite lontano dalla gaiezza).

Ho visto il ragazzo scuro sanguinante...
Il desiderio di corde e di linciaggio che deploravo.
Il piu' bello tra i linciati fu Nostro Signore.

3. POESIA E VERITA'. ATIA GAHEEZ: GRIDO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per aver
tradotto ed averci messo a disposizione questa poesia inviatale da Atia
Gaheez, una donna afghana]

O uomo
o mortale orgoglioso
lasciami in pace per un po' con i miei sentimenti
lasciami uscire da questa gabbia gelida
lasciami uscire da questa dolorosa prigione.

Se mi lasci libera,
io volero' verso i cieli piu' lontani con le ali della poesia,
mescolero' la mia voce a quella dei passeri,
e cantero' con loro,
e gridero' al mondo degli uomini sleali che io sono una donna.

Guarda verso di me, guarda verso di noi: siamo esseri umani.

4. POESIE E VERITA'. H. D. (HILDA DOOLITTLE): AFA
[Questa poesia di H. D. (cosi' firmava le sue opere Hilda Doolittle),
abbiamo ripreso dall'antologia a cura di Tommaso Pisanti, Poesia del
novecento americano, Guida, Napoli 1978, pp. 98-99; segnaliamo che una
diversa traduzione (ed anche in alcuni punti un diverso testo originale a
fronte) e' nell'antologia a cura di Sergio Perosa, Da Frost a Lowell. Poesia
americana del '900, Accademia, Milano 1979, pp. 152-153. Hilda Doolittle
(1886-1961), poetessa statunitense, partecipo' all'esperienza imagista, dal
1911 si stabilisce in Europa, traduttrice dei classici greci (Saffo ed
Euripide, in particolare), ha scritto anche intense poesie sulle sofferenze
provocate dalla guerra]

O vento squarcia l'afa,
tagliala da parte a parte,
riducila in brandelli.

Frutto non puo' staccarsi
per quest'aria cosi' spessa -
frutto non puo' cadere nell'afa
che preme e ottunde
le cime dei peri
e arrotonda i tralci dell'uva.

Taglia l'afa, attraversala -
solcala col tuo aratro,
gettala dall'una e dall'altra parte
mentre procedi.

5. MAESTRI. VINOBA: LA NOSTRA COMPASSIONE
[Da Vinoba, Gandhi. La via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo
(Mi) 1991, p. 85. Vinayak Bhave, detto Vinoba, 1895-1982, discepolo e
collaboratore di Gandhi, ne prosegui' l'impegno. Promosse grandi campagne
nonviolente, la "Societa' per l'elevazione di tutti" (Sarvodaya Samaj), il
movimento per il dono della terra ai contadini. Opere di Vinoba: Gandhi. La
via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991. Opere su
Vinoba: Shriman Narayan, Vinoba, Cittadella, Assisi 1974; Giuseppe Giovanni
Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980.
Nella rete telematica: www.mkgandhi-sarvodaya.org/vinoba]
La nostra compassione meritera' questo nome solo quando porra' fine alle
guerre.

6. MAESTRI. MARTIN LUTHER KING: L'ALBA VERRA'
[Da Martin Luther King, La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994, p. 104.
Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi
all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo
stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama.
Dal 1955 (il primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta
nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti
degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di
attentati e repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther
King: tra i testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994
(edizione italiana curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di
Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona
1993; L'"altro" Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993 (antologia a cura
di Paolo Naso); "I have a dream", Mondadori, Milano 2001. Opere su Martin
Luther King: Arnulf Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di Martin Luther
King, Feltrinelli, Milano 1996. Esistono altri testi in italiano (ad esempio
Hubert Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a
nostra conoscenza sono perlopiu' di non particolare valore: sarebbe invece
assai necessario uno studio critico approfondito della figura, della
riflessione e dell'azione di Martin Luther King (anche contestualizzandole e
confrontandole con altre contemporanee personalita', riflessioni ed
esperienze di resistenza antirazzista in America). Una introduzione
sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con
una buona bibliografia essenziale]
L'alba verra'. Delusione, dolore e disperazione sono nati a mezzanotte, ma
il mattino viene. "Il pianto puo' durare una notte - dice il salmista - ma
la gioia viene col mattino". Questa fede sospende le decisioni disperate e
porta una luce nuova nelle buie stanze del pessimismo.

7. RIFLESSIONE. BRUNO ACCARINO PRESENTA I DIARI 1950-1973 DI HANNAH ARENDT
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 luglio 2003. All'articolo e'
affiancata una scheda dal titolo "I quaderni di una vita", che di seguito
riportiamo: "Il Denktagebuch 1950-1973 di Hannah Arendt, composto di
materiali originariamente appartenenti agli "Hannah Arendt Papers" e
conservati presso la Biblioteca del Congresso a Washington, e' apparso
presso l'editore Piper (Monaco di Baviera) nel 2002, a cura di Ursula Ludz e
Ingeborg Nordmann. All'impresa ha collaborato lo Hannah-Arendt-Institut di
Dresda. Si tratta di 28 quaderni redatti con cadenza mensile (propriamente
non siamo percio' di fronte a un diario), piu' un 'quaderno Kant' che
assomma a poco meno di 20 pagine a stampa. L'edizione dei due volumi, per
oltre 1200 pagine complessive, e' accompagnata, oltre che dall'indice dei
nomi, da un indice analitico e da altri strumenti di orientamento, da due
dizionarietti (greco-tedesco e latino-tedesco), stanti la dimestichezza
dell'autrice con le lingue classiche antiche e la sua facilita'
nell'attingere ai testi originali. Un'edizione impeccabile, di commovente
accuratezza, frutto di una dedizione senza riserve costata molti anni di
lavoro: un omaggio di due donne a una donna, un atto d'amore alla faccia dei
burocrati e dei legislatori che, in Italia e magari anche in Germania,
concepiscono la ricerca come ostensione di risultati immediatamente
spendibili e come esibizione diuturna di successi e di progressi
quantificabili. La sollecita traduzione di opere di questo genere renderebbe
leggermente meno amaro lo stato permanente di calamita' cerebrale in cui
l'Italia, con i governanti che si ritrova, e' ormai costretta a vivere.
Magari i tedeschi ci schifano un po' meno".
Bruno Accarino e' docente di etica sociale all'Universita' di Firenze ed
autore di numerose pubblicazioni.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e
futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano
2003. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth
Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi
critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto
Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli,
Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona
Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996;
Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati,
Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma
1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi
legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con
ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt,
Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv,
Muenchen 2000]
Un libro viene frettolosamente archiviato, in genere, non perche' sia
irrimediabilmente brutto, ma perche' dice e non dice. Il "diario di
pensiero" ultraventennale di Hannah Arendt da' un senso di spaesamento,
perche' in esso tutto, anche cio' che e' meno plausibile, reca il segno
della radicalita'.
Se il 1950 e' la data di partenza, la decisione di mettere mano al diario
coincide con il compimento dell'impresa sulle origini del totalitarismo e
forse con qualcosa di meno accidentale: un appunto del gennaio del 1953 vede
la rottura generazionale novecentesca all'altezza della prima guerra
mondiale, ma la coglie come incompiuta perche' "la coscienza della rottura
presupponeva ancora la memoria della tradizione e rendeva la rottura, in
linea di principio, riparabile". La vera cesura interviene solo dopo la
seconda guerra mondiale, "quando non fu piu' registrata affatto come
rottura".
Cio' significa che sarebbe un vano tentativo attingere al diario per
ricavare materiali ulteriori su quella che alcuni considerano la vera svolta
biografica di Hannah Arendt: la dissertazione del 1929 sul concetto di amore
in Agostino, maturata a cavallo tra il magistero di Heidegger e il rapporto,
che non sara' mai di discipulato deferente e oscillera' invece tra il
filiale e l'amicale, con Jaspers. Nessun accenno, se ho ben visto, neanche
all'entusiasmante biografia di Rahel Varnhagen. Qualche curiosita' avremmo
voluto soddisfarla anche in riferimento a quel periodo piuttosto opaco in
cui, nell'esilio degli anni '30, la collaborazione con organizzazioni
sioniste spinge Hannah in quel territorio politico e morale che accoglie le
domande e le lacerazioni, tra gli altri, di Scholem e di Benjamin, e un
documento prezioso del quale e' nell'epistolario tra lei e il sionista della
prima ora Kurt Blumenfeld (Hannah Arendt - Kurt Blumenfeld, In keinem Besitz
verwurzelt [Senza radici], Amburgo 1995). Ma l'arco cronologico del diario
significa anche che la presa diretta e' con le opere maggiori, da Vita
activa alla fine degli anni '50 a Sulla rivoluzione, da La banalita' del
male fino al grande lavoro incompiuto su La vita della mente.
Pochissime, invece, le annotazioni personali: si fa eccezione per il secondo
marito Heinrich Bluecher (a lui, morto il 31 ottobre 1970, e' dedicata una
poesia nel novembre dello stesso anno, e l'ultimo quaderno esordisce con
l'epigrafe "Senza Heinrich"), un uomo non assurto agli onori delle cronache
filosofiche (almeno una volta, nell'agosto del 1953, viene accomunato a
Heidegger come "teologo") perche' probabilmente affetto da horror calami, ma
decisivo nella costruzione di un equilibrio psicologico ed esistenziale di
Hannah dopo la crisi del matrimonio con Guenther Anders; o per Hermann
Broch, morto alla fine del maggio 1951 e ricordato in giugno: il
co-protagonista di un'amicizia ironica e sottile, anch'egli analista del
totalitarismo, al quale la repentinita' della morte "sottrasse quel po' di
amicizia, di ascolto e di vicinanza a cui aveva diritto".
Campeggia la figura di Heidegger (ma piu' di lui, senza dubbio, quella di
Platone, tallonato senza requie perche' padre indiscusso della filosofia
politica occidentale), naturalmente. Reincontrato nel primo viaggio in
Europa dopo la fine della guerra, tra il 1949 e il 1950, non si lascia
stanare politicamente, benche' nessuna delle sue pagine sia priva di
ricadute politiche. Qual e' poi il suo segreto? Ha  reso produttiva non la
solitudine ma la Verlassenheit, l'abbandono (dicembre 1952).
E la Verlassenheit e' sempre, per definizione, religiosa: nella sua forma
piu' elementare, e' quella del morire e della non-appartenenza al mondo,
l'unica esperienza radicalmente anti-politica. Questa singolarita' non va
pero' confusa con l'inconfondibile unicita' e irripetibilita' di ogni uomo
singolo, che nella singolarita' puo' solo scomparire perche' in essa non
abbiamo piu' nessuno da cui distinguerci. Chi e' solo (monos) non per questo
e' anche solitario o abbandonato (eremos): dopo l'incendio del mondo Zeus
poteva essere solo, ma non solitario, perche' poteva "essere con se'".
*
I temi piu' cari si ripresentano con una liberta' di astrazione perfino
maggiore di quella a cui una scrittura argomentativamente eccentrica e
spiazzante ci aveva gia' abituato. Qui si puo solo segnalare qualche
occorrenza piu' insistente di altre.
Il rapporto tormentato con Marx, intanto: non si fanno le frittate senza
rompere le uova (e' scritto proprio cosi'), e la frittata primaria e' stata,
nel caso di Marx, la sostituzione della politica con la storia, con la
duplice conseguenza di identificare il lavoro con il produrre e di
confondere il lavoro con l'agire. Ma al fondo c'e' l'accettazione acritica
dell'immagine hegeliana dell'uomo come di un essere che pone scopi in un
modo isolato e che solo dalla necessita' di realizzare questi scopi e'
costretto nel mondo degli altri, cioe' dei mezzi. In verita' l'intera
vicenda che parte da Ricardo e che si intitola alla teoria classica del
valore e' per Hannah o insignificante o fuorviante, e qui non trovo accenti
diversi, se non una forte consapevolezza (non sempre presente nei testi
editi) della necessita' di misurarsi con l'analisi marxiana della merce. La
maledizione che pesa su Marx e' una difficolta' strutturale ad accedere
all'orizzonte della pluralita', il che impone di scavare fin dentro il
pilastro della sua teoria - la distinzione tra valore d'uso e valore di
scambio - per reperire la scaturigine di questa refrattarieta' ai "molti".
Non si dovra' dunque ricorrere alla storia del marxismo e alle sue
incrostazioni, meno che mai alle esperienze del comunismo storico, per
venire a capo del problema: non sono cose, nemmeno per chi vive con buon
accasamento l'esilio americano, da propaganda anticomunista spicciola.
*
In realta' la griglia a cui Hannah sottopone gli autori che incontra, quelli
che ama e quelli di cui diffida, e' sempre quella del mondo e, a stretto
contatto, quella della storia e della causalita'. Se alle vedute
causalistiche e teleologiche, che ci insegnano a concepire la storia come
una catena di eventi causalmente e teleologicamente coerente e spiegabile,
si tolgono la causa prima e lo scopo ultimo, e' inevitabile che l'intero
processo si risolva in un circolo. Perche' allora ci si intestardisce
nell'inseguire paradigmi causalistici?
Perche', come ha visto quel Nietzsche il cui peso aumenta in modo
esponenziale nella seconda parte della biografia intellettuale di Hannah
(anche, va detto, grazie a Heidegger), il punto di vista causale viene
conservato - nonostante l'eliminazione della causa sui e dello scopo
finale - come mezzo per aggirare il nuovo e l'ignoto, il vero depositario
dell'evento, e per rifugiarsi in cio' che e' noto e familiare dissolvendo
tutti i fattori nuovi e sconosciuti in effetti calcolabili di cause note.
*
Chi non azzecca l'approccio alla storia sbaglia anche nell'inquadrare il
mondo. L'amor mundi e' il criterio che consente di leggere la pericolosita'
dell'amore, la piu' antipolitica delle potenze mondane. L'amore e' vita
senza mondo: la sua grandezza e la sua tragicita' sono nel creare un nuovo
mondo e nell'esserne un nuovo inizio, e nel sancire cosi', tuttavia, la
propria fine. Appena questa potenza si impadronisce dell'uomo e brucia
l'infra, o che divide e unisce, apre le porte ad una umanita' che e' senza
mondo, senza oggetto - l'amato non e' mai un oggetto - e senza spazio. Qui
si intravvedono anche le ragioni di una sorprendente sensibilita' per le
pagine teologicamente piu' impegnative del nuovo testamento e per l'unicita'
della figura di Gesu'. Il quale voleva assumere su di se' non i peccati,
come interpreta Paolo, ma le sofferenze degli uomini (aprile 1955).
*
In tutto questo, poca cronaca politica. Ma folgorante, e molto
heideggeriano, e' qualche appunto sull'America, qua e la' accompagnato da
citazioni del Federalist: dal tentativo riuscito "to make the world a better
place to live in" e' scaturito il fatto che si e' trasformato l'accadere
umano nel mondo in modo tale che in esso non potessero piu' penetrare gli
eventi. "Nothing ever happens". Ma solo negli eventi, in cui si congiungono
gli elementi dell'accadere, riluce il senso dell'accadere: di qui il vuoto
di senso della vita americana. Solo gli eventi, non che essere disordinati e
fonte di disorientamento, "organizzano" l'accadere e gli danno forma, dando
al tempo stesso all'uomo un contegno. Di qui la mancanza di forma della
societa' americana e la mancanza di stile degli uomini, di qui la dimensione
anarchica della vita privata americana.
*
Ma l'America ha anche un altro volto, quello di un costituzionalismo
vaccinato rispetto a certe insidie europee.
Qual e' l'esito politico della critica arendtiana della volonta'? E qual e'
il suo bersaglio? Il volontarismo di Rousseau, anzitutto: la sua volonta'
non e' una disincarnata ragion pratica kantiana, ma la volonta' di un se'
comune, di una particolare comunita' politica. Per Hannah, tuttavia, il
passaggio dalla volonta' razionale universalistica alla volonta' del popolo
o della nazione non fa che sottolineare l'ostilita' della facolta' di volere
alla pluralita'.
La filosofia politica di Rousseau tenta di combinare la fisionomia classica
del comunitarismo con il linguaggio individualistico moderno della volonta'
e del contratto. Ma il cemento tra le due istanze e' il tentativo di
Rousseau di eliminare gli effetti corruttori della pluralita'. In questo
senso, il linguaggio moderno della volonta' fornisce a Rousseau il
vocabolario teorico necessario a superare la pluralita' e a promuovere
l'unita' come modello della comunita' politica sana. La volonta'
rousseauiana esclude ogni processo di scambi d'opinione e ogni eventuale
tentativo di conciliare opinioni diverse: la volonta' e' una e indivisibile.
Settembre 1952: la volonta' generale di Rousseau e' forse la piu' micidiale
soluzione della quadratura del cerchio, cioe' del problema fondamentale di
ogni filosofia politica dell'Occidente: come trasfornare una pluralita' in
una singolarita' o, con Rousseau, come "reunir une multitude en un corps".
La soluzione e' micidiale perche' il sovrano non e' nemmeno piu' quello che
comanda, ma risiede quasi in me stesso, come il citoyen che si contrappone
all'homme particulier.
Nella rivoluzione americana, invece, la sede del potere era il popolo, ma
fonte della legge doveva divenire la costituzione, un documento scritto ed
emendabile che non poteva mai essere uno stato d'animo soggettivo come la
volonta'.
*
Grande spregiudicatezza si riscontra, come sempre, nella decisione di
affrontare tutti i rischi possibili rasentando i territori del
conservatorismo contemporaneo. Cosi' di Edmund Burke viene recepita
l'istanza pluralistica ("to act means to act in concert"), certamente
pensata, all'origine, in funzione controrivoluzionaria, ma non sgradita a
chi, come la Arendt, contesto' accanitamente che il 1789 potesse essere un
modello di rottura rivoluzionaria; di Spengler si dice che e' stato l'unico
a trarre tutte le conseguenze della secolarizzazione e dell'eliminazione di
Dio dalla storia degli uomini e a dare spessore all'eterno ritorno
nietzscheano.
*
Tutti gli steccati cadono quando e' in gioco la possibilita' di perdere, o
di conquistare, l'ancoraggio della pluralita.
Hannah Arendt non amava la categoria filosofica della coscienza. Il
con-scire, cosi' scrive nel diario, e' essenzialmente repentino e privo di
continuita'. La trasformazione o la falsificazione della memoria nella
coscienza recide la comunicazione dell'uomo con il mondo ed e' percio' il
segno dell'isolamento dell'individuo, o meglio dell'imprigionamento
dell'individuo in se stesso. Un individuo singolo potrebbe avere coscienza
solo se fosse costretto a vivere senza i suoi simili. La memoria e il
linguaggio indicano invece, come si legge con allusione all'ultimo scritto
di Max Scheler, "la posizione dell'uomo nel cosmo" come una posizione di
molti uomini: annunciano la pluralita', individuano la posizione del genere
umano nella scala di cio' che appare e di cio' che scompare. La pluralita',
in cui compare ogni essente, sembra avere un senso solo nella pluralita'
delle generazioni che si succedono, cioe' il senso di rendere possibile la
permanenza sulla terra almeno come sopravvivenza del genere umano.
*
Rimangono sul tappeto le domande che abbiamo imparato a porci da quando
Hannah Arendt e' rientrata nel dibattito filosofico.
E' difficile dire se il display dei molti diversi, come sono gli individui
della Arendt, sia in quanto tale eversivo. Al suo estremismo laico non
sempre corrispose una radicalita' di intenzionalita' politica, come dimostra
forse non il suo anti-giacobinismo in quanto tale, ma il registro del suo
anti-giacobinismo. Proprio perche' il mondo e' stato creato, con una
irrisarcibile violenza primigenia che e' l'altra faccia dell'amore, e'
possibile che esso sia oggetto di disamore e non di amore - ed e' possibile
percio' che si riapra un circuito, questa volta profondamente laico, che
dalla capricciosita' imperscrutabile della divinita' creatrice risalga
all'ingiustificabilita' e percio' alla criticabilita' del mondo.
Il disprezzo del mondo - anche qui c'e' Agostino - tarpa le ali ad ogni
ambizione, sia pure, e costringe la liberta' dei moderni ad assumere il
volto dell'horror contingentiae e la fisionomia del feticcio della
sovranita'. Ma questa idea non e' poi cosi' peregrina, se la contingenza ha
le fattezze hobbesiane della morte per mano altrui e se la sua
neutralizzazione ha il volto piu' nobile del liberalismo classico. Un
modello di autodifesa dalla contingenza e' inoltre quello dell'eccedenza
cognitiva dell'altro: e' sempre vero che l'esuberanza di informazioni di cui
e' portatore l'altro immette nell'eudaimonia di stampo aristotelico e non in
quella, cara ad Epitteto, del "non essere angustiato"? E' del tutto vero che
la liberta' negativa e' la zavorra del pensiero occidentale? Ma poi: se si
rifiuta l'ancoraggio di un mondo utopico, si respinge anche il potenziale
deontico del diritto? Il diritto - massimamente quello naturale - non parla
di cio' che e', ma di cio' che dovrebbe essere: ed e' pensabile anche in
termini asintotici, come conquista incessante di cio' che non e'. In fondo
non ci sono molti altri strumenti per sfuggire alla paralizzante e panica
potenza del mondo.

8. LIBRI. OTTAVIO RAIMONDO PRESENTA "RIGENERARE I POTERI" DI WALTER WINK
[Ringraziamo padre Ottavio Raimondo (per contatti: sermis at emi.it) per questa
presentazione del libro di Walter Wink, Rigenerare i poteri. Discernimento e
resistenza, Emi, Bologna 2003, pp. 576, euro 20; per richieste alla casa
editrice: Emi, via di Corticella 181, 40128 Bologna, sito: www.emi.it;
e-mail: sermis at emi.it. Ottavio Raimondo e' direttore editoriale della Emi,
l'Editrice Missionaria Italiana che ha pubbllicato innumerevoli utilissimi
libri. Walter Wink e' docente di esegesi biblica all'Auburn Theological
Seminary di New York]
"Questa impresa ha impegnato, con alti e bassi, quasi trent'anni della mia
vita, mi ha introdotto a studi affascinanti che diversamente non avrei mai
abbordato ed e' stata fonte di grande entusiasmo. Spero di riuscire a
trasmettere al lettore almeno una parte del senso di questa esaltante
avventura intellettuale e spirituale" (dalla prefazione dell'autore).
Di quale avventura si tratta? Ce lo dice lo stesso autore sostenendo che
"una delle domande piu' urgenti cui il mondo si trova oggi di fronte e' a
mio parere la seguente: com'e' possibile opporsi al male senza parteciparvi
e senza provocare altro male?" (Dall'introduzione). E', in altre parole, il
problema della nonviolenza e della pace. Abbiamo avuto davanti agli occhi, e
nel cuore, esempi tragici di questo problema con le guerre della Bosnia, del
Kosovo, dell'Irak. In tutti e tre i casi, sebbene in forme diverse, si
trattava di opporsi a violenze inaudite, a uomini sanguinari, a dittatori
crudeli. E non si e' riusciti a vincere il male se non partecipandovi e
provocando altro male, tanto che molti dei protagonisti si chiedono a
tutt'oggi: ne valeva la pena?
L'attualita' di tale domanda si manifesta anche nel fatto che "e' la
violenza, non il cristianesimo, la vera religione dell'America [L'autore e'
statunitense]. Diro' tra breve come questo mito della violenza salvatrice
sostenga tutto l'impianto della cultura popolare, della religione, del
patriottismo e della politica estera americani e come si trovi ravvolto, con
le sue spire di serpente antico, intorno alla radice del sistema di dominio,
che ha caratterizzato la storia degli uomini sin da molto tempo prima che
Babilonia regnasse incontrastata" (introduzione, p. 27).
A una domanda esistenziale cosi' profonda, costante, attuale, come risponde
la Bibbia? Il cristianesimo non puo' esimersi dal dare oggi una risposta, se
non vuol restare fuori dalla storia e diventare puro devozionismo o astratto
spiritualismo.
Merito dell'autore e' di avere impostato questo studio in modo originale,
partendo da alcuni dati biblici che vengono per lo piu' sorvolati: si tratta
dei vari accenni che si trovano nel Nuovo Testamento (specialmente nelle
Lettere di Paolo e nell'Apocalisse, ma anche nei Vangeli) ai Principati,
alle Potesta' e alle Dominazioni (complessivamente "I Poteri"). Secondo la
sua interpretazione queste realta' sono realmente esistenti, ma non fuori
dalle istituzioni, come loro corrispettivo celeste, ma dentro di esse, come
anima di cio' che esteriormente si manifesta. Se nella concezione antica
ogni realta' terrena aveva il suo corrispettivo celeste (Cielo) e nella
concezione moderna esiste solo cio' che percepiscono i sensi (Terra, in
senso materialistico), in una concezione unitaria gli aspetti terreni e
quelli spirituali dell'esistenza, Cielo e Terra, si rapportano fra loro come
esteriorita' e interiorita' di tutte le istituzioni, politiche, economiche,
culturali...
La conclusione cui l'autore arriva e' triplice: i poteri sono buoni (creati
da Dio), i poteri sono decaduti (per il peccato), i poteri sono redimibili
(partecipano alla salvezza degli esseri umani in Cristo). "Queste tre
proposizioni devono essere tenute insieme, in quanto ciascuna, presa
isolatamente, non soltanto e' falsa, ma e' anche profondamente fuorviante.
Non possiamo affermare che i governi, le universita' o le industrie sono
buone, a meno che nello stesso tempo non ne riconosciamo la caduta. Non
possiamo affermare la loro pericolosita' e il loro carattere oppressivo se
non ci ricordiamo che continuano a far parte della creazione buona di Dio.
Infine, riflettere sulla creazione e sulla caduta dei poteri puo' voler dire
legittimarli e soffocare ogni speranza di cambiamento, a meno che non si
affermi nel contempo che tali poteri possono e devono essere redenti"
(introduzione, p. 19).
Un forte pragmatismo anglosassone e una ferma fede cristiana trovano qui la
loro sintesi, che puo' essere utile a chi si pone davanti alle grandi sfide
del nostro tempo senza rinunciare ne' alla visione escatologica ne' alla
progettualita' storica. Questo libro puo' essere veramente chiamato, come fa
spesso l'autore, "una nuova visione": la visione della nonviolenza.
Nonviolenza e violenza oggi non si possono mettere a confronto: La
nonviolenza ne esce perdente come ne usciva perdente l'energia elettrica
messa a confronto con il carbone, ai tempi di Edison e di Marconi. Siamo
all'inizio di un cammino lungo. Questo libro ci accompagna.

9. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA MIKE DAVIS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 luglio 2003. Benedetto Vecchi e'
redattore culturale del quotidiano "Il manifesto". Mike Davis, statunitense,
docente di teoria urbana, e' uno degli studiosi di urbanistica piu' famosi
al mondo; scrive abitualmente su "The Nation", "Los Angeles Weekly" e "Los
Angeles Times"; riportiamo la scheda pubblicata dallo stesso quotidiano che
ricorda le sue opere principali: "Le prime pagine de La citta' di quarzo
(edita integralmente dalla Manifestolibri) si aprono con un struggente
ricordo di una citta' fondata da un gruppo di socialisti utopici nei pressi
di Los Angeles. Ora quel piccolo paese e' una citta' fantasma, ma Mike Davis
conosce bene le vicende del movimento operaio americano (il suo primo libro,
Prisoner of American Dream, e' un atto d'amore verso le lotte degli operai
americani del primo Novecento) e sa bene il filo rosso che rappresenta nella
storia degli Stati Uniti. Ma la sua notorieta' viene dai sui studi come
urbanista o meglio come storico delle citta'. Di Los Angeles, in primo
luogo, a cui ha dedicato, oltra a La citta' di quarzo, anche Geografia della
paura (Feltrinelli). Suo e' anche Latinos alla conquista degli Usa
(Feltrinelli), accurata analisi delle presenza ispanica negli Stati Uniti.
Accattivante e prezioso e' anche Olocausti tardovittoriani (sempre
Feltrinelli), una storia dell'intreccio tra calamita' naturali e crescita
dell'imperialismo"]
Affabile, spiritoso, con quel gusto particolare di mettere insieme i sogni e
gli incubi dell'immaginario collettivo analizzando acutamente la societa'
statunitense. Si presenta cosi' Mike Davis, l'urbanista americano diventato
famoso per la sua storia di Los Angeles - City of Quartz, manifestolibri, e
Geografia della paura, Feltrinelli - a Roma in questi giorni per un viaggio
di piacere assieme a due figli, ma che ha trovato il tempo di tenere un
seminario con Marco d'Eramo oggi a San Lorenzo... E con Davis le parole si
sono rincorse le une con le altre, scandagliando gli States dall'europea New
York al muro della vergogna posto a segnare la frontiera tra Messico e Stati
Uniti. Ma anche parlando dei suoi prossimi libri - in inverno Feltrinelli
pubblichera' la raccolta di scritti Dead Cities, mentre negli Usa sara'
pubblicato il suo studio sulla militarizzazione del turismo e un romanzo di
fantascienza per teenagers.
- Benedetto Vecchi: Sono passati molti anni dall'uscita dalla "Citta' di
quarzo". In quel libro, lei affermava che Los Angeles era il laboratorio
delle nuove forme di controllo sociale che avevano come sfondo la
"privatizzazione dello spazio pubblico". A che punto siamo di quel processo?
- Mike Davis: Non si e' mai fermato. Anzi ha subito un'accelerazione. Tutti
i fenomeni che in quel libro avevo affrontato - la formazione dei quartieri
recintati e guardati a vista dai vigilantes, l'occupazione delle piazze e
dei luoghi pubblici da catene di negozi, la cacciata degli homeless dal
centro della citta' - non riguardano solo Los Angeles, ma tutte le metropoli
del mondo. Sono stato lontano tre anni dalla California e quando sono
tornato mi sono imbattuto quasi per caso nella militarizzazione delle grandi
strade californiane. Non solo ci sono enormi tabelloni elettronici che ti
avvertono ogni chilometro che i tuoi bambini possono essere molestati,
rapiti o che puoi essere derubato, ma anche i tanti chekpoint messi dalla
polizia a caccia di terroristi.
Un altro esempio della militarizzazione della vita pubblica viene dalla
ricca borghesia bianca che vive nelle gathered community. In questi
quartieri recintati e' trendy acquistare gipponi blindati in dotazione
dell'esercito americano. Sono jeep blindate a prova di arma da fuoco,
costano tantissimo e sono diventate le macchine piu' vendute tra i
professionisti che le usano per andare al lavoro o per fare shopping. In
altri termini, per fare attivita' quotidiane si usa un veicolo militare.
- B. V.: Leggendo i suoi libri, sorge il sospetto che la citta' sia morta.
Si continua certo a edificare, ma lo spazio urbano semplicemente non ha piu'
quel ruolo centrale che ha avuto nella modernita'. Al tempo stesso, c'e' chi
invece considera le metropoli come uno dei nodi funzionali indispensabili
all'economia globale per le infrastrutture e i servizi finanziari,
logistici, di progettazione che esse offrono. Lei cosa ne pensa?
- M. D.: Sono buone suggestioni. Io pero' distinguerei due aspetti, il primo
politico e l'altro socio-economico. Nel 1994 i repubblicani alla camera
avevano la maggioranza e proposero una riforma dei distretti elettorali e
una legge, poi approvata, che limitava gli investimenti federali in alcune
aree urbane a vantaggio di altre. Gran parte dei maggiori fan di queste
proposte erano rappresentanti di distretti elettorali di citta'
"periferiche". Negli Stati Uniti c'e' un'espressione difficile da tradurre
per indicare le citta' di provenienza di questi rappresentanti repubblicani.
Si tratta delle cosiddette edge cities, le citta' ai margini, ma che a ben
vedere riflettono uno spostamento del potere economico negli Usa.
Gli anni Settanta hanno visto una migrazione di professionisti, manager e
borghesia bianca dal centro della citta' in periferia. Sono nati nuovi
quartieri e piccole citta' sono diventate grandi citta'. Un fenomeno che ha
coinvolto tutti gli Stati Uniti. E' ovvio che a un certo punto gli abitanti
di quelle nuove aree urbane - in gran parte professioni e manager - abbiano
chiesto e ottenuto che affluissero la' i finanziamenti federali per lo
sviluppo urbano invece che nelle downtown. Questo ha determinato uno
spostamento di potere imponente, che ha rivoluzionato radicalmente il
panorama economico, politico e sociale degli Stati Uniti.
E ora veniamo all'aspetto socio-economico. Le nuove aree urbane sono tutte
uguali. Case monofamiliari a schiera, grandi centri commerciali con sempre
le stesse grandi catene di distribuzione. Una uniformita' che ha alimentato
la nostalgia per la vita di strada delle downtown. Per soddisfare questa
nostalgia e' stato sviluppato un ricco mercato che vende simulacri di vita
urbana sotto forma di vestiti e musica. Chi abita in questi sobborghi ha
infatti molti soldi da spendere. Cosi' vediamo giovani bianchi che si
atteggiano a vivere la dura vita del ghetto: sentono musica rap, si vestono
come i neri dei ghetti. Il cantante bianco di rap Eminem e' l'emblema di
questa nostalgia dei giovani bianchi per la vita di strada. Ma questa e'
un'industria attenta agli umori del mercato. Cosi', accanto a questo
fenomeno, c'e' chi propone di costruire nuove citta' ideali, dove si possa
respirare il clima del buon vicinato e dove la vita in citta' e' programmata
nei minimi dettagli per soddisfare questa nostalgia per la vita urbana dei
bei tempi andati. Il successo di film come il Truman show o di citta' come
Celebration City si spiega con questa dilagante nostalgia. Per i piu'
avventurosi c'e' invece la rioccupazione dei vecchi centri urbani. I
pionieri di questa riconquista devono vedersela con il deserto sociale che
l'abbandono delle downtown ha provocato. Ma si puo' stare sicuri che anche
li' la nostalgia del buon tempo andato potra' trovare soddisfazione.
- B. V.: Lei ha sottolineanto che l'aumento della presenza dei latinos negli
Stati Uniti potra' portare rappresentanti della comunita' ispanica alla
poltrona di sindaco di alcune grosse metropoli. Ma di fronte al giro di vite
dopo l'11 settembre, i flussi migratori verso gli Usa sono rallentati o
meno?
- M. D.: Le cifre, per il momento, dicono il contrario. Quello che e' certo
e' che la militarizzazione della frontiera tra Messico e Stati Uniti e'
stata completata. Negli Usa, il pericolo di un'invasione dei latinos ha
sostituito il terrore per l'invasione dei "gialli". Ragione per cui, le
attivita' di controllo alla frontiera sono in mano ai militari, mentre i
vigilantes si dilettano a dare la caccia ai latinos che cercano di entrare
illegalmente negli Usa, comportandosi spesso come veri e propri squadroni
della morte, al punto che il governo messicano ha piu' volte denunciato
delle vere e proprie esecuzioni di messicani da parte delle guardie di
frontiera o di vigilantes privati.
Al dramma di questi uomini e donne, il governo di Washington ci ha aggiunto
di suo la tragedia. Con il Patriot Act e la revisione della legge
sull'immigrazione moltissimi migranti non hanno semplicemente diritti e la
polizia puo' fare quello che vuole. Seconda una statistica redatta dai
gruppi per la difesa dei diritti civili sono trenta milioni le persone che
potrebbero risultare non gradite in base al Patriot Act. Poco importa se
hanno o no la "carta verde", perche' possono essere arrestati e detenuti
dalla polizia senza che l'arresto o la detenzione debbano essere resi
pubblici. E questo lo ha stabilito la Corte Suprema.
- B. V.: Nel suo libro "Olocausti tardovittoriani" spiega la legittimazione
iniziale dell'imperialismo come la risposta caritatevole dell'Occidente di
fronte alle carestie che hanno colpito l'India e l'Africa tra la fine
dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Questa tensione umanitaria e' stata
pero' alla base degli interventi in Kosovo, volto a fermare il genocidio dei
kosovari. La strategia di sicurezza nazionale di George W. Bush rappresenta
un cambiamento o no?
- M. D.: In parte si', ma per comprenderlo appieno occorre accettare l'idea
di uno scontro in atto tra due concezioni della politica estera americana,
che vede per il momento vincente George W. Bush, il quale sostiene la
legittimita' degli Stati Uniti di salvaguardare i propri interessi con ogni
mezzo necessario. Ma c'e' anche chi crede che questi interessi si difendano
meglio con una politica multilaterale. Le cose piu' deprimenti che mi e'
capitato di leggere ultimamente sono uscite su "The Nation". Tutti gli
interventi affermavano, chi con piu' vigore, chi piu' timidamente, che
bisogna ritornare alle Nazioni Unite e ricostruire l'Onu dopo lo strappo
della guerra contro l'Iraq. Nessuno ha messo in discussione l'idea stessa
degli interventi armati contro questo o quel paese anche se sotto la
copertura dell'Onu. Ho molti dubbi sulla legittimita' morale del Consiglio
di sicurezza di decidere cosa va bene a un paese e cosa no, perche' e' il
condominio delle nazioni che hanno vinto la seconda guerra mondiale, le
quali pensano di essere i depositari del destino del mondo. E tuttavia
queste posizioni che trovano ospitalita' su un giornale progressista come
"The Nation" fanno parte di quella corrente che potremmo definire del
multilateralismo. Questo non significa che i diritti umani non siano
importanti. Ma la loro difesa non puo' mai essere slegata da un'analisi dei
rapporti di forza tra gli stati e all'interno degli stati.
- B. V.: Provocatoriamente si potrebbe dire che molti degli organismi
sovranazionali - il Fmi, il Wto, la Banca mondiale - siano stati strumenti
indispensabili per affermare il cosidetto "Washington consensus" e che
abbiano oramai esaurito il loro compito dopo che quella visione dei rapporti
sociali e' diventata dominante a livello mondiale. Cosicche' gli Stati Uniti
possono ora tranquillamente farne a meno. Lei che ne pensa?
- M. D.: Negli Stati Uniti, dal 1948, il potere militare non poteva essere
pensato come separato da quello economico. Gli Stati Uniti erano potenti
militarmente e potenti economicamente. Basti pensare al ruolo determinante
della ricerca scientifica finanziata dal Pentagono e le loro ricadute civili
per quasi cinquanta anni. Ora non e' piu' cosi'.
L'economia americana e' fragile e le imprese made in Usa hanno molti
concorrenti all'estero. Per tutti gli anni Novanta ci hanno raccontato una
bella favola, che parlava della new economy trionfante sulla old economy. La
vittoria della prima significava l'anticamera del paradiso. Al di la' di
questa visione fantastica, bisogna sapere riconoscere il nucleo di verita'
che c'e' in questa favola. La new economy era tutto cio' che aveva a che
fare con le alte tecnologie, con la bioingengeria. Insomma, un settore della
produzione capitalistica che ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo
economico per tutti gli anni Novanta.
L'amministrazione Clinton si e' candidata a rappresentare quegli interessi
di imprese che giocano su una scacchiera globale, facendo joint venture o
alleanze con imprese di altri paesi o intrattenendo buoni rapporti con i
governi stranieri perche' ospitano le loro affiliate estere. Quindi la
politica estera americana doveva essere multilaterale. Basta vedere la
politica di apertura di Clinton nei confronti della Cina o l'iniziale
adesione al trattato di Kyoto da parte degli Stati Uniti.
George W. Bush e' invece il rappresentante di una certa parte del
capitalismo americano. Mi riferisco all'energia, all'agro-business, alle
costruzioni. Sono settori economici che hanno paura della globalizzazione,
perche' li espone alla concorrenza. Mi sembra quindi che l'attuale
amministrazione voglia prendere il testimone di Ronald Reagan e riaffermare
la supremazia americana punto e basta. Il Fmi, il Wto e la Banca mondiale
sostengono si' il Washington consensus, ma attraverso il multilateralismo.
E' ovvio che una parte delle teste d'uovo di Washington li guardi con
sospetto. Mi sembra improbabile che saranno cancellati. Ma rimessi in riga
si'. In fondo e' quello che sta facendo Bush da quando si e' insediato alla
Casa Bianca.

10. LETTURE. ROSALBA CONSERVA: LA STUPIDITA' NON ' NECESSARIA
Rosalba Conserva, La stupidita' non e' necessaria. Gregory Bateson, la
natura e l'educazione, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996, 1997, pp. XXX +
290. Una educatrice riflette sui contributi che l'opera di Bateson reca alla
comprensione del processo educativo. Un libro vivace e utile, che
raccomandiamo.

11. RILETTURE. LIANA FIORANI: DEDICHE A DON MILANI
Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi
(Aq) 2001, pp. 736, euro 25,82. Una raccolta delle dediche che ogni anno i
pellegrini in visita alla tomba di don Lorenzo Milani lasciano sui quaderni
del cimitero di Barbiana.

12. RILETTURE. ELISE FREINET: NASCITA DI UNA PEDAGOGIA POPOLARE
Elise Freinet, Nascita di una pedagogia popolare, Editori Riuniti, Roma
1973, 1975, pp. XXVIII + 468. La storia della nascita e dello sviluppo ad
opera di Celestin Freinet e dei suoi collaboratori del movimento dell'"Ecole
moderne".

13. RILETTURE. ARNOLD SCHOENBERG: LETTERE
Arnold Schoenberg, Lettere, La Nuova Italia, Firenze 1969, pp. X + 318. Una
scelta di lettere che configura quasi un'autobiografia del grande musicista.

14. RILETTURE. ARNOLD SCHOENBERG: MANUALE DI ARMONIA
Arnold Schoenberg, Manuale di armonia, Il Saggiatore, Milano 1963, 1997,
Net, Milano 2002, pp. XL + 616, euro 14,20. Un vero manuale, ma anche una
vera testimonianza.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 623 del 26 luglio 2003