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La nonviolenza e' in cammino. 623
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 623
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 25 Jul 2003 19:11:17 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 623 del 26 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: l'amore che cammina e guarisce 2. Gwendolyn Brooks: il "Defender" di Chicago manda un uomo a Little Rock, autunno, 1957 3. Atia Gaheez: grido 4. H. D. (Hilda Doolittle): afa 5. Vinoba: la nostra compassione 6. Martin Luther King: l'alba verra' 7. Bruno Accarino presenta i diari 1950-1973 di Hannah Arendt 8. Ottavio Raimondo presenta "Rigenerare i poteri" di Walter Wink 9. Benedetto Vecchi intervista Mike Davis 10. Letture: Rosalba Conserva, La stupidita' non e' necessaria 11. Riletture: Liana Fiorani, Dediche a don Milani 12. Riletture: Elise Freinet, Nascita di una pedagogia popolare 13. Riletture: Arnold Schoenberg, Lettere 14. Riletture: Arnold Schoenberg, Manuale di armonia 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: L'AMORE CHE CAMMINA E GUARISCE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione questo testo, estratto da una lettera personale. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] "L'amore protegge?", mi hai chiesto, "Come puoi parlare di nonviolenza, suggerendo che l'amore sia protezione, quando gli innocenti vengono feriti e uccisi?". E io chiedo a te: che cosa l'amore dovrebbe proteggere? I nostri corpi, il nostro benessere emotivo e mentale? Probabilmente ciascuna/o di noi, in un momento o l'altro della sua vita, ha urlato questa domanda dentro di se': perche'? Perche' dio, o il fato, ha permesso che capitasse a me? Oppure, ed e' forse la domanda piu' straziante, Se c'e' un dio, come ha potuto permettere che questo accadesse a un bambino? In superficie, sembra che l'amore non protegga, o che protegga arbitrariamente. Ma dentro di me, io non posso ignorare la voce che risponde: "Si', l'amore protegge". Forse cio' che l'amore protegge non sono i nostri corpi, e nemmeno i nostri cuori e le nostre menti. Forse l'amore protegge l'essenza dell'essere umani, la nostra umanita': e persino nelle situazioni piu' orribili, al sicuro fra le braccia dell'amore, la nostra umanita' rimane integra. Anche se siamo violati e feriti, rimane in noi qualcosa di intoccato, di saldo e bello. Il seme di una fenice, o una fenice bambina, una scintilla la cui luce cresce man mano che noi ci facciamo domande, e ogni volta che cerchiamo di dire il nostro cuore, ogni volta che la nostra voce chiede giustizia, anche se in un sussurro. Nonostante il tradimento, la sofferenza, l'angoscia e il dolore, questo nucleo di umanita' non puo' esserci sottratto, ed e' l'amore che lo nutre. Un amore che suona al mio orecchio come un pennino sulla carta, e le parole che verga sono quelle di un poeta che cerca la verita' e vuole dividere cio' che conosce con gli altri. Un amore che fa di ciascuno di noi un dono di sapienza e saggezza, nel mentre condividiamo esperienze, medichiamo ferite, e offriamo la nostra speranza alla comunita' umana: una persona alla volta, un passo alla volta, l'amore cammina e guarisce. * "Io non credo piu' che si possa cambiare nel modo che tu dici, quel sogno e' spezzato", hai aggiunto. Dunque un tempo lo credevi, ma ora quel sogno e' seppellito, e tu l'hai coperto con la terra del tuo dolore, e lo innaffi di lacrime. Presto o tardi, credimi, questo lo indurra' a mettere nuove radici, e tu vedrai i suoi rami slanciarsi verso il cielo: perche' i sogni non possono spezzarsi. Le nostre speranze e le nostre aspettative possono essere crudelmente distrutte, ma i sogni trovano sempre un sognatore che li faccia diventare veri, come forse l'aria cerca i polmoni per respirare nella vita. Ti sei chiesta se quel sogno ti cerca? Forse lo hai seppellito solo perche' mettesse radici, ed ora sta attendendo il tuo segnale per erompere dalla terra. Oserai guardare per sapere se e' cosi'? Probabilmente, i crochi che spuntano sul finire dell'inverno non sono l'unica manifestazione della vita che nasce da un terreno indurito. 2. POESIA E VERITA'. GWENDOLYN BROOKS: IL "DEFENDER" DI CHICAGO MANDA UN UOMO A LITTLE ROCK, AUTUNNO, 1957 [Da AA. VV. (a cura di Gianni Menarini), Negri Usa. Nuove poesie e canti della contestazione negro-americana, Sansoni Accademia, Milano 1969, pp. 92-97. Scrive in una nota il curatre della raccolta: "Il "Defender" e' un quotidiano fondato nel 1905 per difendere i diritti dei neri. Little Rock e' una cittadina dell'Arkansas in cui piu' volte si sono verificati violenti tumulti provocati da razzisti. Un giornalista del "Defender", Alex Wilson, fu selvaggiamente percosso dalla folla davanti a una scuola di Little Rock, mentre agenti di polizia assistevano alla scena senza intervenire; Wilson non si rimise piu' dalle violenze subite e mori' qualche anno dopo". Gwendolyn Brooks, nata a Topeka, Kansas, nel 1917, poetessa afroamericana, testimone dell'altra America, premio Pulitzer nel 1949, nel 1968 "Poet Laureate" dell'Illinois succedendo a Carl Sandburg, e' una delle piu' grandi poetesse americane del XX secolo; con le sue poesie per oltre cinquant'anni ha combattuto contro la poverta', la violenza, il razzismo; e' deceduta ad 83 anni nel 2000] A Little Rock la gente genera Bambini, e si pettina con la riga E legge gli annunci economici, ripara Tetto e serratura. Mentre i crostini si bruciano Una donna annaffia felci. Il tempo rovescia o puntella Le molte, anguste, o piccole premure. A Little Rock la gente canta Inni domenicali come se niente fosse. In mezzo allo sfoggio e al lustro della domenica. E dopo testamento e armonie, Alcuni addolciscono i pomeriggi domenicali Con te' al limone e qualche Lorna Doone. Predi'co E credo che Il prossimo Natale Little Rock si dedichera' All'albero di Natale e ai fronzoli, intessera', Di risa e di stagnola, rapide trame. A Little Rock c'e' il baseball; il Barcarolle. La calura a giugno... le figure in uniforme crude e implacabili E non intellettuali, Che battono il calore e artigliano la polvere dolorante. Il Concerto all'Aperto, sullo speciale prato di crepuscolo... Quando Beethoven e' brutale o sussurra a un'aria leggiadra. Gli spettatori sulle coperte sono solenni, perche Johann si affanna a chinarsi A dir loro che cosa sentire... C'e' anche l'amore a Little Rock. Tenere donne che teneramente Si aprono in gentilezza, O di qualcuno compatiscono la cecita' Di qualcuno attendono il piacere In un Azzurro Tripudio con angosciato rosa alla radice... Per cancellare vecchie semidelusioni. Esse riinsegnano il porpora e il non tetro blu. I terreni ispidi scompaiono. E insicuri Mezzi-possessi a certezze hanno esse assunto. A Little Rock sanno Che non rispondere al telefono e' un modo di respingere la vita, Che e' compito nostro esser coinvolti, compito nostro Coltivare noie e fastidi, essere cortesi Con le menzogne e l'amore e la multiforme imprecisione. Mi gratto la testa, massaggio l'odio-che-avevo. Ammicco oltre il mio taccuino pretenzioso e scribacchiato. La saga per cui sono stato inviato non e' ancor scritta. Perche' c'e' un enigma in questa citta'. La Notizia piu' grossa che non oso Telefonare alla poltrona del Direttore: "Sono uguali alla gente dappertutto". Il Direttore infuriato risponderebbe Con cento Perche' assillanti. E si' e' vero, lanciano sputi e sassi, Rifiuti e frutta a Little Rock. E ho visto la bufera mulinare Su fulgide madonne. E una falce D'uomini tormentare ragazze scure. (I fiocchi e le forcine nei riccioli E le trecce svanite lontano dalla gaiezza). Ho visto il ragazzo scuro sanguinante... Il desiderio di corde e di linciaggio che deploravo. Il piu' bello tra i linciati fu Nostro Signore. 3. POESIA E VERITA'. ATIA GAHEEZ: GRIDO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per aver tradotto ed averci messo a disposizione questa poesia inviatale da Atia Gaheez, una donna afghana] O uomo o mortale orgoglioso lasciami in pace per un po' con i miei sentimenti lasciami uscire da questa gabbia gelida lasciami uscire da questa dolorosa prigione. Se mi lasci libera, io volero' verso i cieli piu' lontani con le ali della poesia, mescolero' la mia voce a quella dei passeri, e cantero' con loro, e gridero' al mondo degli uomini sleali che io sono una donna. Guarda verso di me, guarda verso di noi: siamo esseri umani. 4. POESIE E VERITA'. H. D. (HILDA DOOLITTLE): AFA [Questa poesia di H. D. (cosi' firmava le sue opere Hilda Doolittle), abbiamo ripreso dall'antologia a cura di Tommaso Pisanti, Poesia del novecento americano, Guida, Napoli 1978, pp. 98-99; segnaliamo che una diversa traduzione (ed anche in alcuni punti un diverso testo originale a fronte) e' nell'antologia a cura di Sergio Perosa, Da Frost a Lowell. Poesia americana del '900, Accademia, Milano 1979, pp. 152-153. Hilda Doolittle (1886-1961), poetessa statunitense, partecipo' all'esperienza imagista, dal 1911 si stabilisce in Europa, traduttrice dei classici greci (Saffo ed Euripide, in particolare), ha scritto anche intense poesie sulle sofferenze provocate dalla guerra] O vento squarcia l'afa, tagliala da parte a parte, riducila in brandelli. Frutto non puo' staccarsi per quest'aria cosi' spessa - frutto non puo' cadere nell'afa che preme e ottunde le cime dei peri e arrotonda i tralci dell'uva. Taglia l'afa, attraversala - solcala col tuo aratro, gettala dall'una e dall'altra parte mentre procedi. 5. MAESTRI. VINOBA: LA NOSTRA COMPASSIONE [Da Vinoba, Gandhi. La via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, p. 85. Vinayak Bhave, detto Vinoba, 1895-1982, discepolo e collaboratore di Gandhi, ne prosegui' l'impegno. Promosse grandi campagne nonviolente, la "Societa' per l'elevazione di tutti" (Sarvodaya Samaj), il movimento per il dono della terra ai contadini. Opere di Vinoba: Gandhi. La via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991. Opere su Vinoba: Shriman Narayan, Vinoba, Cittadella, Assisi 1974; Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980. Nella rete telematica: www.mkgandhi-sarvodaya.org/vinoba] La nostra compassione meritera' questo nome solo quando porra' fine alle guerre. 6. MAESTRI. MARTIN LUTHER KING: L'ALBA VERRA' [Da Martin Luther King, La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994, p. 104. Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama. Dal 1955 (il primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di attentati e repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther King: tra i testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994 (edizione italiana curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona 1993; L'"altro" Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993 (antologia a cura di Paolo Naso); "I have a dream", Mondadori, Milano 2001. Opere su Martin Luther King: Arnulf Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di Martin Luther King, Feltrinelli, Milano 1996. Esistono altri testi in italiano (ad esempio Hubert Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a nostra conoscenza sono perlopiu' di non particolare valore: sarebbe invece assai necessario uno studio critico approfondito della figura, della riflessione e dell'azione di Martin Luther King (anche contestualizzandole e confrontandole con altre contemporanee personalita', riflessioni ed esperienze di resistenza antirazzista in America). Una introduzione sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con una buona bibliografia essenziale] L'alba verra'. Delusione, dolore e disperazione sono nati a mezzanotte, ma il mattino viene. "Il pianto puo' durare una notte - dice il salmista - ma la gioia viene col mattino". Questa fede sospende le decisioni disperate e porta una luce nuova nelle buie stanze del pessimismo. 7. RIFLESSIONE. BRUNO ACCARINO PRESENTA I DIARI 1950-1973 DI HANNAH ARENDT [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 luglio 2003. All'articolo e' affiancata una scheda dal titolo "I quaderni di una vita", che di seguito riportiamo: "Il Denktagebuch 1950-1973 di Hannah Arendt, composto di materiali originariamente appartenenti agli "Hannah Arendt Papers" e conservati presso la Biblioteca del Congresso a Washington, e' apparso presso l'editore Piper (Monaco di Baviera) nel 2002, a cura di Ursula Ludz e Ingeborg Nordmann. All'impresa ha collaborato lo Hannah-Arendt-Institut di Dresda. Si tratta di 28 quaderni redatti con cadenza mensile (propriamente non siamo percio' di fronte a un diario), piu' un 'quaderno Kant' che assomma a poco meno di 20 pagine a stampa. L'edizione dei due volumi, per oltre 1200 pagine complessive, e' accompagnata, oltre che dall'indice dei nomi, da un indice analitico e da altri strumenti di orientamento, da due dizionarietti (greco-tedesco e latino-tedesco), stanti la dimestichezza dell'autrice con le lingue classiche antiche e la sua facilita' nell'attingere ai testi originali. Un'edizione impeccabile, di commovente accuratezza, frutto di una dedizione senza riserve costata molti anni di lavoro: un omaggio di due donne a una donna, un atto d'amore alla faccia dei burocrati e dei legislatori che, in Italia e magari anche in Germania, concepiscono la ricerca come ostensione di risultati immediatamente spendibili e come esibizione diuturna di successi e di progressi quantificabili. La sollecita traduzione di opere di questo genere renderebbe leggermente meno amaro lo stato permanente di calamita' cerebrale in cui l'Italia, con i governanti che si ritrova, e' ormai costretta a vivere. Magari i tedeschi ci schifano un po' meno". Bruno Accarino e' docente di etica sociale all'Universita' di Firenze ed autore di numerose pubblicazioni. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Un libro viene frettolosamente archiviato, in genere, non perche' sia irrimediabilmente brutto, ma perche' dice e non dice. Il "diario di pensiero" ultraventennale di Hannah Arendt da' un senso di spaesamento, perche' in esso tutto, anche cio' che e' meno plausibile, reca il segno della radicalita'. Se il 1950 e' la data di partenza, la decisione di mettere mano al diario coincide con il compimento dell'impresa sulle origini del totalitarismo e forse con qualcosa di meno accidentale: un appunto del gennaio del 1953 vede la rottura generazionale novecentesca all'altezza della prima guerra mondiale, ma la coglie come incompiuta perche' "la coscienza della rottura presupponeva ancora la memoria della tradizione e rendeva la rottura, in linea di principio, riparabile". La vera cesura interviene solo dopo la seconda guerra mondiale, "quando non fu piu' registrata affatto come rottura". Cio' significa che sarebbe un vano tentativo attingere al diario per ricavare materiali ulteriori su quella che alcuni considerano la vera svolta biografica di Hannah Arendt: la dissertazione del 1929 sul concetto di amore in Agostino, maturata a cavallo tra il magistero di Heidegger e il rapporto, che non sara' mai di discipulato deferente e oscillera' invece tra il filiale e l'amicale, con Jaspers. Nessun accenno, se ho ben visto, neanche all'entusiasmante biografia di Rahel Varnhagen. Qualche curiosita' avremmo voluto soddisfarla anche in riferimento a quel periodo piuttosto opaco in cui, nell'esilio degli anni '30, la collaborazione con organizzazioni sioniste spinge Hannah in quel territorio politico e morale che accoglie le domande e le lacerazioni, tra gli altri, di Scholem e di Benjamin, e un documento prezioso del quale e' nell'epistolario tra lei e il sionista della prima ora Kurt Blumenfeld (Hannah Arendt - Kurt Blumenfeld, In keinem Besitz verwurzelt [Senza radici], Amburgo 1995). Ma l'arco cronologico del diario significa anche che la presa diretta e' con le opere maggiori, da Vita activa alla fine degli anni '50 a Sulla rivoluzione, da La banalita' del male fino al grande lavoro incompiuto su La vita della mente. Pochissime, invece, le annotazioni personali: si fa eccezione per il secondo marito Heinrich Bluecher (a lui, morto il 31 ottobre 1970, e' dedicata una poesia nel novembre dello stesso anno, e l'ultimo quaderno esordisce con l'epigrafe "Senza Heinrich"), un uomo non assurto agli onori delle cronache filosofiche (almeno una volta, nell'agosto del 1953, viene accomunato a Heidegger come "teologo") perche' probabilmente affetto da horror calami, ma decisivo nella costruzione di un equilibrio psicologico ed esistenziale di Hannah dopo la crisi del matrimonio con Guenther Anders; o per Hermann Broch, morto alla fine del maggio 1951 e ricordato in giugno: il co-protagonista di un'amicizia ironica e sottile, anch'egli analista del totalitarismo, al quale la repentinita' della morte "sottrasse quel po' di amicizia, di ascolto e di vicinanza a cui aveva diritto". Campeggia la figura di Heidegger (ma piu' di lui, senza dubbio, quella di Platone, tallonato senza requie perche' padre indiscusso della filosofia politica occidentale), naturalmente. Reincontrato nel primo viaggio in Europa dopo la fine della guerra, tra il 1949 e il 1950, non si lascia stanare politicamente, benche' nessuna delle sue pagine sia priva di ricadute politiche. Qual e' poi il suo segreto? Ha reso produttiva non la solitudine ma la Verlassenheit, l'abbandono (dicembre 1952). E la Verlassenheit e' sempre, per definizione, religiosa: nella sua forma piu' elementare, e' quella del morire e della non-appartenenza al mondo, l'unica esperienza radicalmente anti-politica. Questa singolarita' non va pero' confusa con l'inconfondibile unicita' e irripetibilita' di ogni uomo singolo, che nella singolarita' puo' solo scomparire perche' in essa non abbiamo piu' nessuno da cui distinguerci. Chi e' solo (monos) non per questo e' anche solitario o abbandonato (eremos): dopo l'incendio del mondo Zeus poteva essere solo, ma non solitario, perche' poteva "essere con se'". * I temi piu' cari si ripresentano con una liberta' di astrazione perfino maggiore di quella a cui una scrittura argomentativamente eccentrica e spiazzante ci aveva gia' abituato. Qui si puo solo segnalare qualche occorrenza piu' insistente di altre. Il rapporto tormentato con Marx, intanto: non si fanno le frittate senza rompere le uova (e' scritto proprio cosi'), e la frittata primaria e' stata, nel caso di Marx, la sostituzione della politica con la storia, con la duplice conseguenza di identificare il lavoro con il produrre e di confondere il lavoro con l'agire. Ma al fondo c'e' l'accettazione acritica dell'immagine hegeliana dell'uomo come di un essere che pone scopi in un modo isolato e che solo dalla necessita' di realizzare questi scopi e' costretto nel mondo degli altri, cioe' dei mezzi. In verita' l'intera vicenda che parte da Ricardo e che si intitola alla teoria classica del valore e' per Hannah o insignificante o fuorviante, e qui non trovo accenti diversi, se non una forte consapevolezza (non sempre presente nei testi editi) della necessita' di misurarsi con l'analisi marxiana della merce. La maledizione che pesa su Marx e' una difficolta' strutturale ad accedere all'orizzonte della pluralita', il che impone di scavare fin dentro il pilastro della sua teoria - la distinzione tra valore d'uso e valore di scambio - per reperire la scaturigine di questa refrattarieta' ai "molti". Non si dovra' dunque ricorrere alla storia del marxismo e alle sue incrostazioni, meno che mai alle esperienze del comunismo storico, per venire a capo del problema: non sono cose, nemmeno per chi vive con buon accasamento l'esilio americano, da propaganda anticomunista spicciola. * In realta' la griglia a cui Hannah sottopone gli autori che incontra, quelli che ama e quelli di cui diffida, e' sempre quella del mondo e, a stretto contatto, quella della storia e della causalita'. Se alle vedute causalistiche e teleologiche, che ci insegnano a concepire la storia come una catena di eventi causalmente e teleologicamente coerente e spiegabile, si tolgono la causa prima e lo scopo ultimo, e' inevitabile che l'intero processo si risolva in un circolo. Perche' allora ci si intestardisce nell'inseguire paradigmi causalistici? Perche', come ha visto quel Nietzsche il cui peso aumenta in modo esponenziale nella seconda parte della biografia intellettuale di Hannah (anche, va detto, grazie a Heidegger), il punto di vista causale viene conservato - nonostante l'eliminazione della causa sui e dello scopo finale - come mezzo per aggirare il nuovo e l'ignoto, il vero depositario dell'evento, e per rifugiarsi in cio' che e' noto e familiare dissolvendo tutti i fattori nuovi e sconosciuti in effetti calcolabili di cause note. * Chi non azzecca l'approccio alla storia sbaglia anche nell'inquadrare il mondo. L'amor mundi e' il criterio che consente di leggere la pericolosita' dell'amore, la piu' antipolitica delle potenze mondane. L'amore e' vita senza mondo: la sua grandezza e la sua tragicita' sono nel creare un nuovo mondo e nell'esserne un nuovo inizio, e nel sancire cosi', tuttavia, la propria fine. Appena questa potenza si impadronisce dell'uomo e brucia l'infra, o che divide e unisce, apre le porte ad una umanita' che e' senza mondo, senza oggetto - l'amato non e' mai un oggetto - e senza spazio. Qui si intravvedono anche le ragioni di una sorprendente sensibilita' per le pagine teologicamente piu' impegnative del nuovo testamento e per l'unicita' della figura di Gesu'. Il quale voleva assumere su di se' non i peccati, come interpreta Paolo, ma le sofferenze degli uomini (aprile 1955). * In tutto questo, poca cronaca politica. Ma folgorante, e molto heideggeriano, e' qualche appunto sull'America, qua e la' accompagnato da citazioni del Federalist: dal tentativo riuscito "to make the world a better place to live in" e' scaturito il fatto che si e' trasformato l'accadere umano nel mondo in modo tale che in esso non potessero piu' penetrare gli eventi. "Nothing ever happens". Ma solo negli eventi, in cui si congiungono gli elementi dell'accadere, riluce il senso dell'accadere: di qui il vuoto di senso della vita americana. Solo gli eventi, non che essere disordinati e fonte di disorientamento, "organizzano" l'accadere e gli danno forma, dando al tempo stesso all'uomo un contegno. Di qui la mancanza di forma della societa' americana e la mancanza di stile degli uomini, di qui la dimensione anarchica della vita privata americana. * Ma l'America ha anche un altro volto, quello di un costituzionalismo vaccinato rispetto a certe insidie europee. Qual e' l'esito politico della critica arendtiana della volonta'? E qual e' il suo bersaglio? Il volontarismo di Rousseau, anzitutto: la sua volonta' non e' una disincarnata ragion pratica kantiana, ma la volonta' di un se' comune, di una particolare comunita' politica. Per Hannah, tuttavia, il passaggio dalla volonta' razionale universalistica alla volonta' del popolo o della nazione non fa che sottolineare l'ostilita' della facolta' di volere alla pluralita'. La filosofia politica di Rousseau tenta di combinare la fisionomia classica del comunitarismo con il linguaggio individualistico moderno della volonta' e del contratto. Ma il cemento tra le due istanze e' il tentativo di Rousseau di eliminare gli effetti corruttori della pluralita'. In questo senso, il linguaggio moderno della volonta' fornisce a Rousseau il vocabolario teorico necessario a superare la pluralita' e a promuovere l'unita' come modello della comunita' politica sana. La volonta' rousseauiana esclude ogni processo di scambi d'opinione e ogni eventuale tentativo di conciliare opinioni diverse: la volonta' e' una e indivisibile. Settembre 1952: la volonta' generale di Rousseau e' forse la piu' micidiale soluzione della quadratura del cerchio, cioe' del problema fondamentale di ogni filosofia politica dell'Occidente: come trasfornare una pluralita' in una singolarita' o, con Rousseau, come "reunir une multitude en un corps". La soluzione e' micidiale perche' il sovrano non e' nemmeno piu' quello che comanda, ma risiede quasi in me stesso, come il citoyen che si contrappone all'homme particulier. Nella rivoluzione americana, invece, la sede del potere era il popolo, ma fonte della legge doveva divenire la costituzione, un documento scritto ed emendabile che non poteva mai essere uno stato d'animo soggettivo come la volonta'. * Grande spregiudicatezza si riscontra, come sempre, nella decisione di affrontare tutti i rischi possibili rasentando i territori del conservatorismo contemporaneo. Cosi' di Edmund Burke viene recepita l'istanza pluralistica ("to act means to act in concert"), certamente pensata, all'origine, in funzione controrivoluzionaria, ma non sgradita a chi, come la Arendt, contesto' accanitamente che il 1789 potesse essere un modello di rottura rivoluzionaria; di Spengler si dice che e' stato l'unico a trarre tutte le conseguenze della secolarizzazione e dell'eliminazione di Dio dalla storia degli uomini e a dare spessore all'eterno ritorno nietzscheano. * Tutti gli steccati cadono quando e' in gioco la possibilita' di perdere, o di conquistare, l'ancoraggio della pluralita. Hannah Arendt non amava la categoria filosofica della coscienza. Il con-scire, cosi' scrive nel diario, e' essenzialmente repentino e privo di continuita'. La trasformazione o la falsificazione della memoria nella coscienza recide la comunicazione dell'uomo con il mondo ed e' percio' il segno dell'isolamento dell'individuo, o meglio dell'imprigionamento dell'individuo in se stesso. Un individuo singolo potrebbe avere coscienza solo se fosse costretto a vivere senza i suoi simili. La memoria e il linguaggio indicano invece, come si legge con allusione all'ultimo scritto di Max Scheler, "la posizione dell'uomo nel cosmo" come una posizione di molti uomini: annunciano la pluralita', individuano la posizione del genere umano nella scala di cio' che appare e di cio' che scompare. La pluralita', in cui compare ogni essente, sembra avere un senso solo nella pluralita' delle generazioni che si succedono, cioe' il senso di rendere possibile la permanenza sulla terra almeno come sopravvivenza del genere umano. * Rimangono sul tappeto le domande che abbiamo imparato a porci da quando Hannah Arendt e' rientrata nel dibattito filosofico. E' difficile dire se il display dei molti diversi, come sono gli individui della Arendt, sia in quanto tale eversivo. Al suo estremismo laico non sempre corrispose una radicalita' di intenzionalita' politica, come dimostra forse non il suo anti-giacobinismo in quanto tale, ma il registro del suo anti-giacobinismo. Proprio perche' il mondo e' stato creato, con una irrisarcibile violenza primigenia che e' l'altra faccia dell'amore, e' possibile che esso sia oggetto di disamore e non di amore - ed e' possibile percio' che si riapra un circuito, questa volta profondamente laico, che dalla capricciosita' imperscrutabile della divinita' creatrice risalga all'ingiustificabilita' e percio' alla criticabilita' del mondo. Il disprezzo del mondo - anche qui c'e' Agostino - tarpa le ali ad ogni ambizione, sia pure, e costringe la liberta' dei moderni ad assumere il volto dell'horror contingentiae e la fisionomia del feticcio della sovranita'. Ma questa idea non e' poi cosi' peregrina, se la contingenza ha le fattezze hobbesiane della morte per mano altrui e se la sua neutralizzazione ha il volto piu' nobile del liberalismo classico. Un modello di autodifesa dalla contingenza e' inoltre quello dell'eccedenza cognitiva dell'altro: e' sempre vero che l'esuberanza di informazioni di cui e' portatore l'altro immette nell'eudaimonia di stampo aristotelico e non in quella, cara ad Epitteto, del "non essere angustiato"? E' del tutto vero che la liberta' negativa e' la zavorra del pensiero occidentale? Ma poi: se si rifiuta l'ancoraggio di un mondo utopico, si respinge anche il potenziale deontico del diritto? Il diritto - massimamente quello naturale - non parla di cio' che e', ma di cio' che dovrebbe essere: ed e' pensabile anche in termini asintotici, come conquista incessante di cio' che non e'. In fondo non ci sono molti altri strumenti per sfuggire alla paralizzante e panica potenza del mondo. 8. LIBRI. OTTAVIO RAIMONDO PRESENTA "RIGENERARE I POTERI" DI WALTER WINK [Ringraziamo padre Ottavio Raimondo (per contatti: sermis at emi.it) per questa presentazione del libro di Walter Wink, Rigenerare i poteri. Discernimento e resistenza, Emi, Bologna 2003, pp. 576, euro 20; per richieste alla casa editrice: Emi, via di Corticella 181, 40128 Bologna, sito: www.emi.it; e-mail: sermis at emi.it. Ottavio Raimondo e' direttore editoriale della Emi, l'Editrice Missionaria Italiana che ha pubbllicato innumerevoli utilissimi libri. Walter Wink e' docente di esegesi biblica all'Auburn Theological Seminary di New York] "Questa impresa ha impegnato, con alti e bassi, quasi trent'anni della mia vita, mi ha introdotto a studi affascinanti che diversamente non avrei mai abbordato ed e' stata fonte di grande entusiasmo. Spero di riuscire a trasmettere al lettore almeno una parte del senso di questa esaltante avventura intellettuale e spirituale" (dalla prefazione dell'autore). Di quale avventura si tratta? Ce lo dice lo stesso autore sostenendo che "una delle domande piu' urgenti cui il mondo si trova oggi di fronte e' a mio parere la seguente: com'e' possibile opporsi al male senza parteciparvi e senza provocare altro male?" (Dall'introduzione). E', in altre parole, il problema della nonviolenza e della pace. Abbiamo avuto davanti agli occhi, e nel cuore, esempi tragici di questo problema con le guerre della Bosnia, del Kosovo, dell'Irak. In tutti e tre i casi, sebbene in forme diverse, si trattava di opporsi a violenze inaudite, a uomini sanguinari, a dittatori crudeli. E non si e' riusciti a vincere il male se non partecipandovi e provocando altro male, tanto che molti dei protagonisti si chiedono a tutt'oggi: ne valeva la pena? L'attualita' di tale domanda si manifesta anche nel fatto che "e' la violenza, non il cristianesimo, la vera religione dell'America [L'autore e' statunitense]. Diro' tra breve come questo mito della violenza salvatrice sostenga tutto l'impianto della cultura popolare, della religione, del patriottismo e della politica estera americani e come si trovi ravvolto, con le sue spire di serpente antico, intorno alla radice del sistema di dominio, che ha caratterizzato la storia degli uomini sin da molto tempo prima che Babilonia regnasse incontrastata" (introduzione, p. 27). A una domanda esistenziale cosi' profonda, costante, attuale, come risponde la Bibbia? Il cristianesimo non puo' esimersi dal dare oggi una risposta, se non vuol restare fuori dalla storia e diventare puro devozionismo o astratto spiritualismo. Merito dell'autore e' di avere impostato questo studio in modo originale, partendo da alcuni dati biblici che vengono per lo piu' sorvolati: si tratta dei vari accenni che si trovano nel Nuovo Testamento (specialmente nelle Lettere di Paolo e nell'Apocalisse, ma anche nei Vangeli) ai Principati, alle Potesta' e alle Dominazioni (complessivamente "I Poteri"). Secondo la sua interpretazione queste realta' sono realmente esistenti, ma non fuori dalle istituzioni, come loro corrispettivo celeste, ma dentro di esse, come anima di cio' che esteriormente si manifesta. Se nella concezione antica ogni realta' terrena aveva il suo corrispettivo celeste (Cielo) e nella concezione moderna esiste solo cio' che percepiscono i sensi (Terra, in senso materialistico), in una concezione unitaria gli aspetti terreni e quelli spirituali dell'esistenza, Cielo e Terra, si rapportano fra loro come esteriorita' e interiorita' di tutte le istituzioni, politiche, economiche, culturali... La conclusione cui l'autore arriva e' triplice: i poteri sono buoni (creati da Dio), i poteri sono decaduti (per il peccato), i poteri sono redimibili (partecipano alla salvezza degli esseri umani in Cristo). "Queste tre proposizioni devono essere tenute insieme, in quanto ciascuna, presa isolatamente, non soltanto e' falsa, ma e' anche profondamente fuorviante. Non possiamo affermare che i governi, le universita' o le industrie sono buone, a meno che nello stesso tempo non ne riconosciamo la caduta. Non possiamo affermare la loro pericolosita' e il loro carattere oppressivo se non ci ricordiamo che continuano a far parte della creazione buona di Dio. Infine, riflettere sulla creazione e sulla caduta dei poteri puo' voler dire legittimarli e soffocare ogni speranza di cambiamento, a meno che non si affermi nel contempo che tali poteri possono e devono essere redenti" (introduzione, p. 19). Un forte pragmatismo anglosassone e una ferma fede cristiana trovano qui la loro sintesi, che puo' essere utile a chi si pone davanti alle grandi sfide del nostro tempo senza rinunciare ne' alla visione escatologica ne' alla progettualita' storica. Questo libro puo' essere veramente chiamato, come fa spesso l'autore, "una nuova visione": la visione della nonviolenza. Nonviolenza e violenza oggi non si possono mettere a confronto: La nonviolenza ne esce perdente come ne usciva perdente l'energia elettrica messa a confronto con il carbone, ai tempi di Edison e di Marconi. Siamo all'inizio di un cammino lungo. Questo libro ci accompagna. 9. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA MIKE DAVIS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 luglio 2003. Benedetto Vecchi e' redattore culturale del quotidiano "Il manifesto". Mike Davis, statunitense, docente di teoria urbana, e' uno degli studiosi di urbanistica piu' famosi al mondo; scrive abitualmente su "The Nation", "Los Angeles Weekly" e "Los Angeles Times"; riportiamo la scheda pubblicata dallo stesso quotidiano che ricorda le sue opere principali: "Le prime pagine de La citta' di quarzo (edita integralmente dalla Manifestolibri) si aprono con un struggente ricordo di una citta' fondata da un gruppo di socialisti utopici nei pressi di Los Angeles. Ora quel piccolo paese e' una citta' fantasma, ma Mike Davis conosce bene le vicende del movimento operaio americano (il suo primo libro, Prisoner of American Dream, e' un atto d'amore verso le lotte degli operai americani del primo Novecento) e sa bene il filo rosso che rappresenta nella storia degli Stati Uniti. Ma la sua notorieta' viene dai sui studi come urbanista o meglio come storico delle citta'. Di Los Angeles, in primo luogo, a cui ha dedicato, oltra a La citta' di quarzo, anche Geografia della paura (Feltrinelli). Suo e' anche Latinos alla conquista degli Usa (Feltrinelli), accurata analisi delle presenza ispanica negli Stati Uniti. Accattivante e prezioso e' anche Olocausti tardovittoriani (sempre Feltrinelli), una storia dell'intreccio tra calamita' naturali e crescita dell'imperialismo"] Affabile, spiritoso, con quel gusto particolare di mettere insieme i sogni e gli incubi dell'immaginario collettivo analizzando acutamente la societa' statunitense. Si presenta cosi' Mike Davis, l'urbanista americano diventato famoso per la sua storia di Los Angeles - City of Quartz, manifestolibri, e Geografia della paura, Feltrinelli - a Roma in questi giorni per un viaggio di piacere assieme a due figli, ma che ha trovato il tempo di tenere un seminario con Marco d'Eramo oggi a San Lorenzo... E con Davis le parole si sono rincorse le une con le altre, scandagliando gli States dall'europea New York al muro della vergogna posto a segnare la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Ma anche parlando dei suoi prossimi libri - in inverno Feltrinelli pubblichera' la raccolta di scritti Dead Cities, mentre negli Usa sara' pubblicato il suo studio sulla militarizzazione del turismo e un romanzo di fantascienza per teenagers. - Benedetto Vecchi: Sono passati molti anni dall'uscita dalla "Citta' di quarzo". In quel libro, lei affermava che Los Angeles era il laboratorio delle nuove forme di controllo sociale che avevano come sfondo la "privatizzazione dello spazio pubblico". A che punto siamo di quel processo? - Mike Davis: Non si e' mai fermato. Anzi ha subito un'accelerazione. Tutti i fenomeni che in quel libro avevo affrontato - la formazione dei quartieri recintati e guardati a vista dai vigilantes, l'occupazione delle piazze e dei luoghi pubblici da catene di negozi, la cacciata degli homeless dal centro della citta' - non riguardano solo Los Angeles, ma tutte le metropoli del mondo. Sono stato lontano tre anni dalla California e quando sono tornato mi sono imbattuto quasi per caso nella militarizzazione delle grandi strade californiane. Non solo ci sono enormi tabelloni elettronici che ti avvertono ogni chilometro che i tuoi bambini possono essere molestati, rapiti o che puoi essere derubato, ma anche i tanti chekpoint messi dalla polizia a caccia di terroristi. Un altro esempio della militarizzazione della vita pubblica viene dalla ricca borghesia bianca che vive nelle gathered community. In questi quartieri recintati e' trendy acquistare gipponi blindati in dotazione dell'esercito americano. Sono jeep blindate a prova di arma da fuoco, costano tantissimo e sono diventate le macchine piu' vendute tra i professionisti che le usano per andare al lavoro o per fare shopping. In altri termini, per fare attivita' quotidiane si usa un veicolo militare. - B. V.: Leggendo i suoi libri, sorge il sospetto che la citta' sia morta. Si continua certo a edificare, ma lo spazio urbano semplicemente non ha piu' quel ruolo centrale che ha avuto nella modernita'. Al tempo stesso, c'e' chi invece considera le metropoli come uno dei nodi funzionali indispensabili all'economia globale per le infrastrutture e i servizi finanziari, logistici, di progettazione che esse offrono. Lei cosa ne pensa? - M. D.: Sono buone suggestioni. Io pero' distinguerei due aspetti, il primo politico e l'altro socio-economico. Nel 1994 i repubblicani alla camera avevano la maggioranza e proposero una riforma dei distretti elettorali e una legge, poi approvata, che limitava gli investimenti federali in alcune aree urbane a vantaggio di altre. Gran parte dei maggiori fan di queste proposte erano rappresentanti di distretti elettorali di citta' "periferiche". Negli Stati Uniti c'e' un'espressione difficile da tradurre per indicare le citta' di provenienza di questi rappresentanti repubblicani. Si tratta delle cosiddette edge cities, le citta' ai margini, ma che a ben vedere riflettono uno spostamento del potere economico negli Usa. Gli anni Settanta hanno visto una migrazione di professionisti, manager e borghesia bianca dal centro della citta' in periferia. Sono nati nuovi quartieri e piccole citta' sono diventate grandi citta'. Un fenomeno che ha coinvolto tutti gli Stati Uniti. E' ovvio che a un certo punto gli abitanti di quelle nuove aree urbane - in gran parte professioni e manager - abbiano chiesto e ottenuto che affluissero la' i finanziamenti federali per lo sviluppo urbano invece che nelle downtown. Questo ha determinato uno spostamento di potere imponente, che ha rivoluzionato radicalmente il panorama economico, politico e sociale degli Stati Uniti. E ora veniamo all'aspetto socio-economico. Le nuove aree urbane sono tutte uguali. Case monofamiliari a schiera, grandi centri commerciali con sempre le stesse grandi catene di distribuzione. Una uniformita' che ha alimentato la nostalgia per la vita di strada delle downtown. Per soddisfare questa nostalgia e' stato sviluppato un ricco mercato che vende simulacri di vita urbana sotto forma di vestiti e musica. Chi abita in questi sobborghi ha infatti molti soldi da spendere. Cosi' vediamo giovani bianchi che si atteggiano a vivere la dura vita del ghetto: sentono musica rap, si vestono come i neri dei ghetti. Il cantante bianco di rap Eminem e' l'emblema di questa nostalgia dei giovani bianchi per la vita di strada. Ma questa e' un'industria attenta agli umori del mercato. Cosi', accanto a questo fenomeno, c'e' chi propone di costruire nuove citta' ideali, dove si possa respirare il clima del buon vicinato e dove la vita in citta' e' programmata nei minimi dettagli per soddisfare questa nostalgia per la vita urbana dei bei tempi andati. Il successo di film come il Truman show o di citta' come Celebration City si spiega con questa dilagante nostalgia. Per i piu' avventurosi c'e' invece la rioccupazione dei vecchi centri urbani. I pionieri di questa riconquista devono vedersela con il deserto sociale che l'abbandono delle downtown ha provocato. Ma si puo' stare sicuri che anche li' la nostalgia del buon tempo andato potra' trovare soddisfazione. - B. V.: Lei ha sottolineanto che l'aumento della presenza dei latinos negli Stati Uniti potra' portare rappresentanti della comunita' ispanica alla poltrona di sindaco di alcune grosse metropoli. Ma di fronte al giro di vite dopo l'11 settembre, i flussi migratori verso gli Usa sono rallentati o meno? - M. D.: Le cifre, per il momento, dicono il contrario. Quello che e' certo e' che la militarizzazione della frontiera tra Messico e Stati Uniti e' stata completata. Negli Usa, il pericolo di un'invasione dei latinos ha sostituito il terrore per l'invasione dei "gialli". Ragione per cui, le attivita' di controllo alla frontiera sono in mano ai militari, mentre i vigilantes si dilettano a dare la caccia ai latinos che cercano di entrare illegalmente negli Usa, comportandosi spesso come veri e propri squadroni della morte, al punto che il governo messicano ha piu' volte denunciato delle vere e proprie esecuzioni di messicani da parte delle guardie di frontiera o di vigilantes privati. Al dramma di questi uomini e donne, il governo di Washington ci ha aggiunto di suo la tragedia. Con il Patriot Act e la revisione della legge sull'immigrazione moltissimi migranti non hanno semplicemente diritti e la polizia puo' fare quello che vuole. Seconda una statistica redatta dai gruppi per la difesa dei diritti civili sono trenta milioni le persone che potrebbero risultare non gradite in base al Patriot Act. Poco importa se hanno o no la "carta verde", perche' possono essere arrestati e detenuti dalla polizia senza che l'arresto o la detenzione debbano essere resi pubblici. E questo lo ha stabilito la Corte Suprema. - B. V.: Nel suo libro "Olocausti tardovittoriani" spiega la legittimazione iniziale dell'imperialismo come la risposta caritatevole dell'Occidente di fronte alle carestie che hanno colpito l'India e l'Africa tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Questa tensione umanitaria e' stata pero' alla base degli interventi in Kosovo, volto a fermare il genocidio dei kosovari. La strategia di sicurezza nazionale di George W. Bush rappresenta un cambiamento o no? - M. D.: In parte si', ma per comprenderlo appieno occorre accettare l'idea di uno scontro in atto tra due concezioni della politica estera americana, che vede per il momento vincente George W. Bush, il quale sostiene la legittimita' degli Stati Uniti di salvaguardare i propri interessi con ogni mezzo necessario. Ma c'e' anche chi crede che questi interessi si difendano meglio con una politica multilaterale. Le cose piu' deprimenti che mi e' capitato di leggere ultimamente sono uscite su "The Nation". Tutti gli interventi affermavano, chi con piu' vigore, chi piu' timidamente, che bisogna ritornare alle Nazioni Unite e ricostruire l'Onu dopo lo strappo della guerra contro l'Iraq. Nessuno ha messo in discussione l'idea stessa degli interventi armati contro questo o quel paese anche se sotto la copertura dell'Onu. Ho molti dubbi sulla legittimita' morale del Consiglio di sicurezza di decidere cosa va bene a un paese e cosa no, perche' e' il condominio delle nazioni che hanno vinto la seconda guerra mondiale, le quali pensano di essere i depositari del destino del mondo. E tuttavia queste posizioni che trovano ospitalita' su un giornale progressista come "The Nation" fanno parte di quella corrente che potremmo definire del multilateralismo. Questo non significa che i diritti umani non siano importanti. Ma la loro difesa non puo' mai essere slegata da un'analisi dei rapporti di forza tra gli stati e all'interno degli stati. - B. V.: Provocatoriamente si potrebbe dire che molti degli organismi sovranazionali - il Fmi, il Wto, la Banca mondiale - siano stati strumenti indispensabili per affermare il cosidetto "Washington consensus" e che abbiano oramai esaurito il loro compito dopo che quella visione dei rapporti sociali e' diventata dominante a livello mondiale. Cosicche' gli Stati Uniti possono ora tranquillamente farne a meno. Lei che ne pensa? - M. D.: Negli Stati Uniti, dal 1948, il potere militare non poteva essere pensato come separato da quello economico. Gli Stati Uniti erano potenti militarmente e potenti economicamente. Basti pensare al ruolo determinante della ricerca scientifica finanziata dal Pentagono e le loro ricadute civili per quasi cinquanta anni. Ora non e' piu' cosi'. L'economia americana e' fragile e le imprese made in Usa hanno molti concorrenti all'estero. Per tutti gli anni Novanta ci hanno raccontato una bella favola, che parlava della new economy trionfante sulla old economy. La vittoria della prima significava l'anticamera del paradiso. Al di la' di questa visione fantastica, bisogna sapere riconoscere il nucleo di verita' che c'e' in questa favola. La new economy era tutto cio' che aveva a che fare con le alte tecnologie, con la bioingengeria. Insomma, un settore della produzione capitalistica che ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo economico per tutti gli anni Novanta. L'amministrazione Clinton si e' candidata a rappresentare quegli interessi di imprese che giocano su una scacchiera globale, facendo joint venture o alleanze con imprese di altri paesi o intrattenendo buoni rapporti con i governi stranieri perche' ospitano le loro affiliate estere. Quindi la politica estera americana doveva essere multilaterale. Basta vedere la politica di apertura di Clinton nei confronti della Cina o l'iniziale adesione al trattato di Kyoto da parte degli Stati Uniti. George W. Bush e' invece il rappresentante di una certa parte del capitalismo americano. Mi riferisco all'energia, all'agro-business, alle costruzioni. Sono settori economici che hanno paura della globalizzazione, perche' li espone alla concorrenza. Mi sembra quindi che l'attuale amministrazione voglia prendere il testimone di Ronald Reagan e riaffermare la supremazia americana punto e basta. Il Fmi, il Wto e la Banca mondiale sostengono si' il Washington consensus, ma attraverso il multilateralismo. E' ovvio che una parte delle teste d'uovo di Washington li guardi con sospetto. Mi sembra improbabile che saranno cancellati. Ma rimessi in riga si'. In fondo e' quello che sta facendo Bush da quando si e' insediato alla Casa Bianca. 10. LETTURE. ROSALBA CONSERVA: LA STUPIDITA' NON ' NECESSARIA Rosalba Conserva, La stupidita' non e' necessaria. Gregory Bateson, la natura e l'educazione, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996, 1997, pp. XXX + 290. Una educatrice riflette sui contributi che l'opera di Bateson reca alla comprensione del processo educativo. Un libro vivace e utile, che raccomandiamo. 11. RILETTURE. LIANA FIORANI: DEDICHE A DON MILANI Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001, pp. 736, euro 25,82. Una raccolta delle dediche che ogni anno i pellegrini in visita alla tomba di don Lorenzo Milani lasciano sui quaderni del cimitero di Barbiana. 12. RILETTURE. ELISE FREINET: NASCITA DI UNA PEDAGOGIA POPOLARE Elise Freinet, Nascita di una pedagogia popolare, Editori Riuniti, Roma 1973, 1975, pp. XXVIII + 468. La storia della nascita e dello sviluppo ad opera di Celestin Freinet e dei suoi collaboratori del movimento dell'"Ecole moderne". 13. RILETTURE. ARNOLD SCHOENBERG: LETTERE Arnold Schoenberg, Lettere, La Nuova Italia, Firenze 1969, pp. X + 318. Una scelta di lettere che configura quasi un'autobiografia del grande musicista. 14. RILETTURE. ARNOLD SCHOENBERG: MANUALE DI ARMONIA Arnold Schoenberg, Manuale di armonia, Il Saggiatore, Milano 1963, 1997, Net, Milano 2002, pp. XL + 616, euro 14,20. Un vero manuale, ma anche una vera testimonianza. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 623 del 26 luglio 2003
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