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La nonviolenza e' in cammino. 620
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 620
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 22 Jul 2003 20:31:16 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 620 del 23 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Amnesty International: un appello per i detenuti di Guantanamo Bay 2. Tre lezioni dal popolo sardo 3. Lidia Menapace: gli esiti delle privatizzazioni, nelle ferrovie 4. Orsola Casagrande: David Kelly, una morte che accusa 5. Elettra Deiana: una lettera alle parlamentari e ai parlamentari 6. Yael Meroz: pace e' dialogo 7. Danilo Dolci: aver fiducia 8. Hans Jonas: il vecchio tetro Hobbes 9. Luciana Castellina ricorda Nora Fumagalli 10. Rossana Rossanda ricorda Nora Fumagalli 11. Valentino Parlato ricorda Franco Rodano 12. Letture: Ursula K. Le Guin, La salvezza di Aka 13. Letture: Silvia Vegetti Finzi, Anna Maria Battistin, L'eta' incerta 14. Riedizioni: Marvin Harris, La nostra specie 15. Riletture: Ernesto Balducci, Gandhi 16. Riletture: Ernesto Balducci, Francesco d'Assisi 17. Riletture: Ernesto Balducci, Giorgio La Pira 18. La "Carta" del Movimento Nonviolento 19. Per saperne di piu' 1. APPELLI. AMNESTY INTERNATIONAL: UN APPELLO PER I DETENUTI DI GUANTANAMO BAY [Dall'ufficio stampa di Amnesty International (per contatti: tel. 064490.224, 348-6974361, e-mail: press at amnesty.it, sito: www.amnesty.it) riceviamo e diffondiamo] La sezione italiana di Amnesty International ha lanciato un appello, indirizzato al presidente degli Usa George W. Bush, affinche' i sei detenuti di Guantanamo Bay per i quali e' previsto l'avvio di un procedimento ai sensi dell'Ordine militare del 13 novembre 2001, siano sottoposti a procedure eque e in linea col diritto internazionale. Moazzam Begg, Feroz Ali Abbasi, David Hicks e altri tre detenuti le cui generalita' non sono state rese note, rischiano di essere processati di fronte a una commissione militare, che ha il potere di condannarli a morte senza il diritto di ricorrere in appello. Amnesty International ritiene che l'Ordine militare debba essere revocato immediatamente e che qualsiasi processo celebrato di fronte a una commissione militare violi gli standard internazionali in materia di diritti umani. Piu' di 650 persone, di 40 paesi diversi, sono detenute a Guantanamo Bay senza accusa ne' processo. Molte di esse si trovano da oltre un anno in condizioni che possono definirsi crudeli, inumane e degradanti. Non hanno accesso ad avvocati ne' alle famiglie, sono continuamente sottoposte a interrogatori e tenute in piccole celle anche per 24 ore al giorno. Alcune hanno piu' volte tentato il suicidio. L'appello di Amnesty International puo' essere sottoscritto on-line all'indirizzo: www.amnesty.it/primopiano/usa_guantanamo_bay/ 2. EDITORIALE: TRE LEZIONI DAL POPOLO SARDO La lotta del popolo sardo contro le servitu' energetiche e militari e' la nostra lotta. L'opposizione del popolo sardo a fare dell'isola l'armadio da scheletri in cui collocare le scorie nucleari millenariamente avvelenatrici e' la nostra opposizione. L'opposizione del popolo sardo ai poligoni ed alle altre servitu' che militarizzano, colonizzano, minacciano e uccidono, e' la nostra opposizione. La resistenza del popolo sardo a un modello di sviluppo e di gestione del territorio e delle relazioni sociali fondato sulla devastazione e sull'oppressione, sullo sfruttamento e sull'onnicidio, e' la nostra resistenza. Questa resistenza, questa opposizione, questa lotta, propongono altresi' piu' generali indicazioni sulle quali varra' la pena di soffermarci a considerare. La prima: poiche' nessun luogo del mondo deve esere ridotto a immondezzaio dei dissennati e venefici consumi altrui, e poiche' nessuna popolazione deve subire la violenza di essere discarica e cavia degli altrui privilegi e violenze, la questione dei rifiuti altamente tossici pone l'esigenza che si cessino quelle produzioni e quei consumi che tali scorie producono; e che si cessi di scaricare su altri i residui cotaminanti e letali fin qui prodotti da un modello di sviluppo e di consumi la cui violenza e' ogni giorno vieppiu' palese. L'esito della lotta del popolo sardo contro le scorie nucleari deve essere che le scorie nucleari esistenti devono essere gestite in modo democratico, quindi informato e consapevole, pubblicamente e collettivamente discusso e deciso, con scelte condivise di corresponsabilita' comune; e che si cessi di produrne altre. La seconda: che l'attivita' militare e' un male in se'. Essa e' finalizzata ad eseguire uccisioni durante le guerre ed a prepararne durante le pause tra una guerra e l'atra. Le strutture e gli strumenti alla guerra finalizzati sono costantemente cogentemente omicidi. Cosicche' l'unica posizione ragionevole in materia di "politica della difesa" e' il disarmo, il disarmo unilaterale (anche perche' saranno solo atti unilaterali di disarmo che potranno dare inizio a un disarmo generalizzato); l'abolizone degli eserciti e la cessazione della produzione oltre che del commercio e dell'uso delle armi; la scelta di un modello di difesa fondato sulla difesa popolare nonviolenta, sulla partecipazione democratica, sulla cooperazione tra i popoli, sull'affermazione intransigente di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani, e primo e basilare di tali diritti e' quello a non essere uccisi (cosicche' l'uccidere, e massime la guerra che e' l'uccidere sulla massima scala, e' sempre inammissibile, e' sempre nemico dell'umanita' intera, e' sempre il crimine piu' grande). La terza: che il modello di sviluppo dominante, fondato sulla massimizzazione del profitto a scapito della natura e delle persone, della civile convivenza e delle generazioni future, e' un modello di sviluppo criminale e criminogeno; e che occorre quindi un'alternativa radicale: fondata sulla solidarieta' tra le persone e tra i popoli, tra l'umanita' e la natura, tra le generazioni presenti e future; fondata su scelte di giustizia, sul "principio responsabilita'". Per sostenere la lotta del popolo sardo segnaliamo come utile punto di riferimento il comitato "Gettiamo le basi" (per contatti: e-mail: comitatoglb at katamail.com, o anche: caomar at tiscali.it, tel. 070823498, o anche: 3386132753). 3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: GLI ESITI DELLE PRIVATIZZAZIONI, NELLE FERROVIE [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] So che in genere si ama discutere di privatizzazione (liberalizzazione, ecc.) in generale e un po' in astratto, e quasi a mo' di principio. Credo sia un atteggiamento non proficuo e che puo' generare confusione. Bisogna stabilire dei criteri. A me pare che sarebbe giusto sostenere che debbono essere "spazi pubblici", intendendo con cio' gestiti o in proprieta' o sotto controllo pubblico (federale, statale, regionale, municipale, ecc.), i servizi che servono alla collettivita' (energia, trasporti, scuola, sanita', pubblica amministrazione) mentre altre attivita' possono essere lasciate al mercato. Privatizzare i servizi generali significa mettere alcuni aspetti dei beni comuni sotto il controllo del mercato con le sue forme storicamente determinate. Cio' stravolge il significato del servizio stesso, che infatti assume tutto il linguaggio, la nomenclatura e la logica dell'impresa: la scuola, l'ospedale, le carceri, i treni diventano "imprese". Non si tratta di mere modificazioni terminologiche ma sostanziali. Ma - ci si potrebbe chiedere - e se poi funzionasse? ad esempio un ospedale che ricoverasse soltanto secondo i limiti dei rimborsi che puo' avere dalle assicurazioni che ciascuno sottoscrive? E lo stesso le pensioni? e la scuola? Non occorre fare l'esperimento dato che il primo significativamente in atto e' molto negativo: da quando le ferrovie sono state privatizzate vanno molto peggio, proprio sotto il profilo di servizio. * La stazione ferroviaria, che e' un luogo pubblico, viene chiusa molte ore al giorno e non puo' essere usata di notte; non vi sono fontanelle in molte stazioni anche grandi: chi vuole un po' d'acqua deve comprare dalle macchinette (se funzionano) acqua minerale sempre costosa e con spreco; l'obliterazione dei biglietti mette a confronto con le famose macchinette gialle delle quali una su tre di solito non funziona, e obbligano i viaggiatori e le viaggiatrici a maratone lungo i binari. Naturalmente ci chiamano "clienti", e mi illudevo che cosi' avremmo sempre avuto ragione. Invece no: luoghi tempi e modalita' per far valere le proprie ragioni e richiedere il risarcimento di danni (rimborsi di biglietti, ritardi, informazioni eccetera) sono complicati e non sempre a disposizione. Essendo una grande utente del treno noto un peggioramento continuo. I e le ferroviere sono - e' vero - meglio vestiti e riforniti di una divisa sempre in ordine, ma non possono piu' dare informazioni perche' le ferrovie non sono piu' un corpo di vari addetti che compongono il benessere di chi viaggia: sono segmenti di operazioni ciascuna delle quali risponde solo del suo pezzetto. Capita con sempre maggiore frequenza che i bagni siano sporchi o guasti, che le porte, i finestrini, l'aria condizionata eccetera, funzionino poco e male: se si chiede al ferroviere risponde che al massimo puo' appiccicare un foglietto con su' scritto "guasti", ma non fare arrivare il rilievo a risoluzione perche' le pulizie e la manutenzione sono appaltate ad esterni e non vi e' comunicazione col personale, e in ogni caso non vi e' nessuna relazione funzionale. Cio' vale per le pulizie, ed e' gia' abbastanza spiacevole; ma se vale anche per la manutenzione diventa anche pericoloso. In conclusione, gli e le addette alle pulizie delle stazioni - che da giorni scioperano dato che le ferrovie non pagano quanto pattuito con le imprese che hanno vinto gli appalti al minimo - ci dicono che il tutto non funziona se non sfruttando la fame di lavoro e la pazienza di chi viaggia. Credo che bisognerebbe fare causa comune e dire che anche in questi settori bisogna andare oltre il precariato e ricostituire un servizio pubblico controllabile e giudicabile dal pubblico. La farsa sull'ospitalita' di Trenitalia e altre baggianate copiate dal trasporto aereo non sono utili e fanno anche ridere o imprecare; sorprende soprattutto la dizione: "si augura di ospitarvi ancora a bordo dei suoi treni", perche' e' ipocrita chiamare ospitalita' qualcosa pagata, e i treni non sono delle ferrovie, ma dei contribuenti. 4. UCCISIONI. ORSOLA CASAGRANDE: DAVID KELLY, UNA MORTE CHE ACCUSA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 luglio 2003. Orsola Casagrande e' corrispondente del giornale dalla Gran Bretagna. David Kelly e' lo scienziato britannico recentemente trovato morto in circostanze di cui si usa scrivere "da chiarire", e che invece sono chiarissime] Tony Blair dal Giappone ha chiesto rispetto per il professor Kelly ("un uomo che ha dato molto") ammonendo la stampa dal cessare speculazioni e illazioni. Peccato che a dare il via a illazioni e speculazioni siano stati proprio i superiori di Kelly, al ministero della difesa, che l'hanno dato impietosamente in pasto alla stampa indicandolo come la "fonte anonima" citata dal giornalista della Bbc Andrew Gilligan. La gola profonda che sconfessava il governo, ma soprattutto Blair, per quella sua insistenza sulla capacita' di Saddam Hussein di attivare le armi chimiche e batteriologiche in suo possesso "nel giro di 45 minuti". Sono stati proprio quei "45 minuti" a far nascere dubbi sulla credibilita' del dossier sull'Iraq che il premier inglese ha usato per convincere il parlamento che la minaccia Saddam era reale e imminente e che solo la guerra avrebbe potuto eliminarla. "45 minuti" che a molti (forse anche allo stesso Kelly) nei servizi segreti, come tra chi (analisti, scienziati e ispettori) si occupa da sempre di armi di distruzione di massa e di Saddam, hanno fatto arricciare il naso. Una boutade che aveva uno scopo preciso: spaventare i deputati e l'opinione pubblica inglese. Convincere anche i piu' scettici che non c'era piu' tempo, che Saddam aveva il dito sul bottone e andava fermato. Una forzatura, ma che certo aveva radici nelle informazioni fornite dall'intelligence britannica. Almeno questo volevano farci credere Blair e il suo fedele collaboratore, Alistair Campbell, l'uomo che il premier ha voluto direttore del settore comunicazione di Downing Street. Tutto era andato liscio, forzature comprese. Fino a quando, sempre piu' forti, hanno cominciato a levarsi le proteste e i malumori dei servizi segreti ai quali non era piaciuta la scaltrezza con cui i politicanti avevano usato le loro informazioni. I se e i forse erano spariti dai dossier ufficiali sull'Iraq, c'erano solo certezze, compreso l'uranio comprato dal Niger. La guerra ha per un po' sopito quei malumori: il paese ritrovava una pur precaria unita' nella consapevolezza che bisognava "sostenere i ragazzi al fronte". Ma poi, a guerra finita (secondo Bush), le polemiche sono esplose e le bugie sono saltate fuori. Ed e' scattata la controffensiva di Blair e dei suoi: la credibilita' del premier e del governo va difesa. Costi quel che costi. Si e' partiti dall'attacco, durissimo, alla Bbc, quindi alla caccia alle streghe per cercare il colpevole: colui che aveva detto che quei "45 minuti" erano una balla. Non per sbugiardarlo, sbattendogli in faccia la prova che Saddam avrebbe davvero potuto usare le armi chimiche in breve tempo. Semplicemente per processarlo pubblicamente per aver osato criticare il governo e il suo leader. Che sono infallibili (in questo Blair ricorda molto l'unto dal signore Berlusconi) e quindi non vanno mai criticati: se sbagliano, come ha detto il premier al congresso Usa, sara' la storia a perdonarli. Forse Blair non aveva calcolato l'eventualita' di dover fare i conti con un cadavere. Ma adesso quel morto c'e' e pesa. E soprattutto esige risposte. 5. DOCUMENTAZIONE. ELETTRA DEIANA: UNA LETTERA ALLE PARLAMENTARI E AI PARLAMENTARI [Riceviamo e diffondiamo questa lettera aperta inviata alcuini giorni fa da Elettra Deiana alle parlamentari e ai parlamentari che aderirono mesi fa alla Coalizione contro la guerra in Iraq. Elettra Deiana (per contatti: deiana_e at camera.it), parlamentare, e' da sempre impegnata per la pace e i diritti] Care colleghe, cari colleghi, segnalo alla vostra attenzione il fatto seguente, che molto ha a che fare, a mio giudizio, con l'impegno contro la guerra all'Iraq che nei mesi scorsi abbiamo condiviso. In questi giorni verra' discusso in sede referente presso le commissioni Esteri e Difesa della Camera il DL n. 165/2003 relativo a "Interventi urgenti a favore della popolazione irachena nonche' proroga della partecipazione italiana a operazioni militari internazionali". Seguendo una assai negativa prassi che purtroppo si e' ormai consolidata, tutte le missioni militari italiane all'estero vengono discusse, senza alcune distinzione sulla eventuale diversita' di natura che possono presentare, in un unico contenitore legislativo e pressoche' esclusivamente sotto il profilo del finanziamento o del rifinanziamento. Come si evince dal decreto in questione, questo avviene inopinatamente anche per l'invio del contingente in Iraq, che e' gia' peraltro partito da tempo dall'Italia ed e' gia' quasi operativo nel teatro di sua destinazione, nel sud dell'Iraq. Come ben sapete, circa la natura di questa missione italiana si sono moltiplicati i distinguo da parte di esponenti del governo e in particolare dei responsabili degli Esteri e della Difesa, il primo tendente a accentuare il carattere umanitario, il secondo quello di ristabilizzazione democratica, quindi piu' poliziesco-militare, della missione. A tutt'oggi ne' il Parlamento ne' l'opinione pubblica sanno bene quale sia il vero carattere e quali siano le reali finalita' della missione. Il DL pertanto vuole ratificare l'esistenza di qualcosa che continua a non avere una precisa definizione. Inoltre la drammatica evoluzione del dopo guerra in Iraq nonche' le burrasche politico-istituzionali che hanno investito direttamente i due protagonisti della guerra, il presidente Bush e il premier Blair, accusati nei loro Paesi di aver falsificato, manipolato, inventato le prove sull'esistenza delle armi di distruzione di massa in Iraq, avrebbero sicuramente richiesto un nuovo passaggio di discussione in Parlamento, perche' fosse piu' chiaro e precisato il profilo della missione e soprattutto, alla luce del nuovo contesto internazionale, per valutare se non fosse il caso di soprassedere completamente dall'invio, impegnandosi, anche a livello di presidenza italiana dell'Unione Europea, a lavorare intensamente per una soluzione che investisse direttamente la responsabilita' dell'Onu nel cercare una soluzione di transizione per l'Iraq. In questo contesto, l'invio delle truppe italiane, oltre a rappresentare un gravissimo atto di reiterazione dell'appoggio del nostro Paese alla guerra contro l'Iraq, oltre a far svolgere ai nostri militari il ruolo di truppe occupanti, coinvolgendo l'Italia in un'avventura che sempre piu' chiaramente mostra i segni dell'intervento neo-coloniale ed esponendo anche a gravi rischi la vita dei soldati la' inviati, conferma una sempre piu' accentuata linea di tendenza da parte del governo di depotenziamento del ruolo e delle funzioni del Parlamento. Vi invito pertanto a riflettere sulla necessita' di criticare fortemente la presentazione di questo decreto calderone da parte dell'esecutivo, pretendendo che l'invio delle truppe italiane in Iraq sia oggetto di uno specifico e approfondito iter di discussione parlamentare, distinto e separato da quello delle altre missioni, che non dia per scontato e assodato il gia' avvenuto ma che lo rimetta liberamente in discussione come e' necessario e urgente che avvenga alla luce di tutto quello che sta avvenendo. Molto cordialmente, Elettra Deiana 6. TESTIMONIANZE. YAEL MEROZ: PACE E' DIALOGO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il testo dell'intervento di Yael Meroz, pacifista israeliana, al convegno svoltosi a Teramo il 9 maggio 2003 sul tema "Futuro senza guerre - costruiamo insieme"] Il "conflitto israelo-palestinese". Quale pesantezza mi suscitano queste tre parole. Sono cosi' pesanti che mi fanno venir voglia di piangere. Perche' cosi' tanto e' cambiato negli ultimi quattro anni? Che cos'e' che non ha funzionato? Che cosa posso fare io per cambiare le cose? Per portare avanti un futuro migliore per quella terra inquieta? Per far capire alla mia gente che questo governo israeliano sta proiettando, verso il mondo intero, un'immagine di Israele totalmente diversa da quella che era in passato (o almeno vorrei crederlo), un Israele che e' talmente intrappolato nella sua mentalita' di vittima, che non riesce a rovesciare il regime di generali che l'ha dominato per troppo tempo. Questo mio intervento consiste in due elementi: in primo luogo, vi vorrei raccontare della difficolta' di gente come me, che si oppone al governo israeliano, di far sentire le loro voci all'interno della societa' israeliana ma anche, molto spesso, in quella ebraica nelle varie parti del mondo. Noi rappresentiamo le voci che fanno sentire gli israeliani e gli ebrei "scomodi". Il nostro tentativo di far vedere loro quello che essi si rifiutano di vedere porta a uno scontro abbastanza forte. E da qui voglio arrivare al mio secondo punto: la mancanza del dialogo tra israeliani ed ebrei stessi, il rifiuto di ascoltare le voci scomode, e' all'origine della difficolta' degli israeliani ad ascoltare i "veri altri", i palestinesi. Magari e' qui che possiamo trovare un po' di speranza: se riusciamo a portare avanti un dialogo tra gli ebrei e gli israeliani stessi, forse questo potra' spingere un dialogo tra i due popoli che ne hanno bisogno. * E quindi comincio. Io ho un problema: non posso piu' esprimere liberamente la mia opinione su quello che sta succedendo, soprattutto perche' quest'opinione non appoggia il governo israeliano o il "popolo israeliano". Piu' che parlare di quello che penso e come credo sia possibile raggiungere "la luce alla fine del tunnel", vorrei rivolgere qualche parola ai miei amici in Israele. Poche parole da qualcuno che ci tiene, da qualcuno che "si macchia della colpa" di parlare da un paese straniero. Vorrei sottolineare questo punto perche' mi e' parso di capire attraverso molti amici israeliani che, da quando ho lasciato Israele, avrei perso il diritto di esprimere la mia opinione sulla "situazione" (un termine neutrale usato da molti israeliani per descrivere l'escalation di violenza degli ultimi tre anni). L'accusa principale contro gli ebrei o gli israeliani critici d'Israele e' di "lavare i panni sporchi in pubblico" (o a volte, ci chiamano anche "self-hating jews", ebrei che odiano se stessi). Chiaramente, il mio diritto di parlare non sarebbe stato "perso" se la mia opinione o le mie affermazioni fossero state di incondizionato e pieno appoggio verso il governo israeliano e la sua politica nei territori occupati palestinesi. Qualunque sia il caso, credo fermamente e con tutto il cuore che ebrei e israeliani, dovunque essi siano, abbiano il diritto di dire quello che pensano - pro o contro - sulle politiche dello Stato di Israele. Questo e' particolarmente vero considerando il fatto che Israele aspira a essere il principale, e anche unico, rappresentante degli ebrei, non solo in Israele ma anche nella diaspora. Le azioni e le decisioni del governo israeliano hanno un impatto enorme sulla vita degli ebrei e degli israeliani, ovunque essi si trovino nel mondo. Si potrebbe pensare che non dovrebbe essere cosi', ma di fatto lo e'. E' un dato di fatto che i leader delle comunita' ebraiche siano continuamente invitati ai talk-show e alle discussioni politiche per parlare (solitamente a favore di Israele) del conflitto. E' un dato di fatto che durante periodi di alta tensione del conflitto (che si parli degli attentati terroristici o delle incursioni o delle uccisioni mirate), venga alimentato il clima di antisemitismo in Europa e peggiorino i rapporti tra le comunita' ebraiche e islamiche nel mondo. Per questo motivo gli ebrei e gli israeliani della diaspora hanno il diritto di esprimere le loro opinioni nei confronti di Israele, siano esse positive o negative. So benissimo che essere lontana da Israele e dal clima di pericolo e terrore "renda la critica piu' facile", come mi e' stato spesso detto. Ma in realta' credo fermamente che essere lontani da Israele (nel mio caso dal 1999) e dalla trappola della paura e dell'odio, mi abbia permesso di formulare una prospettiva diversa. Una prospettiva - e vorrei enfatizzare questo punto - che non ha intaccato la mia identita' di ebrea o di israeliana (dopo tutto e' quello che sono e quindi lo abbraccio di buon grado). Invece, credo che io abbia avuto la possibilita' di formare le mie idee politiche, che non sono necessariamente filo-palestinesi (come potrei essere definita o bollata da molti israeliani), ma piu' filo-umani. Questa umanita', inutile dirlo, include sia israeliani che palestinesi. Credete che sia facile per me vedere cio' che sta succedendo alla societa' israeliana? Quella che e' stata la "mia societa'" fino a poco tempo fa. Credete che io sia contenta di vedere che il paese stia soffrendo della piu' grande crisi economica e sociale della sua storia? Svegliatevi! Le critiche di persone come me sono critiche rivolte al governo, che per qualche ragione ha deciso di trascinarci tutti verso il baratro. Per qualche fervente religioso messianico, che e' riuscito a manipolare le vostre piu' profonde e spaventose paure e a risvegliare "la mentalita' del ghetto" dimenticata da molto tempo. Sono piu' che sicura che sia stata questa paura, questa mentalita' del ghetto che ha fatto vincere le elezioni a Sharon. Non voglio che questo sia un saggio apologetico. Non voglio chiedere scusa per l'opinione che ho scelto di coltivare ed esprimere in questo messaggio. Ma credo che gli israeliani debbano accettare e rispettare il fatto che noi abbiamo il diritto di parlare, anche quando questo vuol dire criticare pesantemente il governo israeliano. Io allora, cosa posso fare, dal mio piccolo spazio nel mondo, per salvare il sogno di coesistenza tra israeliani e palestinesi? Di certo non tanto. Ma avrei un punto di partenza dal quale iniziare, un punto che credo sia stato (e' tuttora e lo sara' in futuro) la base fondamentale per lo sviluppo del rapporto, che sia basato sulla fiducia, l'aiuto reciproco e la solidarieta'; e questa base e' il dialogo e lo scambio faccia a faccia. E' proprio il dialogare che ha cambiato la mia vita e il mio punto di vista sul conflitto e sulla pace della quale tutti parlano. * Il mio primo incontro con "veri" palestinesi (non quelli che gli israeliani vedono ogni giorno in televisione, i politici da una parte e i terroristi, o guerriglieri se volete, dall'altra) avvenne durante il mio terzo anno di universita', durante una serie di incontri sponsorizzati dal "Truman Institute for Peace" e organizzati dall'Universita' ebraica assieme all'Universita' palestinese di Gerusalemme, Al-Quds, diretta dal dottor Sari Nusseibeh. Gli incontri ebbero luogo in un hotel di Gerusalemme Est (nel quartiere palestinese della citta' vecchia). Ogni incontro cominciava con una lezione su un argomento (riguardante il conflitto), seguito da un dibattito e poi da una cena. Devo ammettere che la cena era la parte piu' divertente e importante della serata, e non perche' mangiavamo gratis, ma perche' era durante le cene che avevo piu' possibilita' di parlare di cose di tutti i giorni con i palestinesi, studenti proprio come me. In questo modo ho scoperto l'essere umano dietro i titoli dei giornali. Comunque, la svolta decisiva della mia vita fu quando partecipai a due seminari della durata di tre giorni ciascuno, organizzati dalla "School of Peace" di Neve' Shalom - Wahat El-Salam (letteralmente vuol dire Oasi della Pace, una comunita' rara in Israele composta di famiglie ebree e arabe). Questi due weekend mi permisero di incontrare dei palestinesi in un contesto piu' profondo e personale al di fuori dall'ambito accademico. Recentemente ho letto un articolo sul "Jerusalem Post" che descriveva l'incontro tra insegnanti palestinesi ed israeliani in questi ultimi tempi. Il modo in cui quell'incontro veniva descritto sul giornale e i sentimenti espressi sia dagli israeliani che dai palestinesi mi sembravano molto familiari, anche se bisogna dire che questo incontro ha avuto luogo in un contesto politico molto piu' teso e con cattivi sentimenti, mentre io ho avuto l'opportunita' di partecipare a questo genere di incontri e di dialogo durante gli anni di "pace". L'articolo iniziava dicendo che "era la prima volta che loro (gli israeliani) incontravano dei palestinesi che erano loro pari, professionalmente e socialmente. Per molti palestinesi, invece, era la prima volta che incontravano ebrei israeliani senza divisa militare". Infatti questi incontri, per gli insegnanti, ma posso dire anche nella mia esperienza, riescono a creare una sensazione di eguaglianza. A Neve' Shalom non c'erano occupanti e occupati (nel senso letterale della parola) nelle classi, ma solamente due gruppi di persone che provavano ad andare d'accordo. Non sto dicendo che durante questi due weekend non vi erano momenti difficili. In effetti ce ne sono stati alcuni e non soltanto quando si simulavano i negoziati di pace, ma anche nei gruppi uni-nazionali (dove israeliani e palestinesi discutevano tra di loro) vi erano complicazioni. Erano domande che toccavano questioni emotive come il senso di colpa collettivo, la vergogna, il cercare di capire chi e' il colpevole e nello stesso tempo tentare di capire le paure dell'altro, che uscivano continuamente. La cosa importante non era il mettersi d'accordo su chi avesse torto o su chi si dovesse vergognare, ma il fatto che queste questioni potevano essere discusse apertamente. Abbiamo ascoltato noi stessi e abbiamo controllato le nostre paure e preoccupazioni e - cosa piu' importante - abbiamo ascoltato "l'altro". Allo stesso tempo rimaneva la questione pratica e politica del raggiungimento di un accordo - accettato all'unanimita' - che doveva essere risolta. Non era affatto un compito facile e non sono nemmeno sicura che alla fine fossimo stati tutti d'accordo sul risultato finale. Ciononostante e considerando il fatto che avevamo avuto cosi' poco tempo a disposizione, sono piu' che certa che un accordo sarebbe stato raggiunto con il consenso di tutti i partecipanti. Comunque, quello che voglio dire e' che l'enorme rilevanza di quei weekend era senza ombra di dubbio il lato umano. Erano le facce, i sorrisi, la rabbia, la timidezza e la sofferenza che mi hanno permesso di attribuire ai palestinesi un volto umano. Erano vulnerabili, pieni di paure e di domande proprio come noi. Allora, chiederete, qual e' il significato di questi incontri e di questo dialogo per il futuro? E come e' possibile portare un cambiamento attraverso il dialogo? * Torno alla domanda e ai problemi che menzionavo all'inizio: il problema grande degli israeliani e' che si rifiutano di ascoltare. E' forse possibile che un israeliano stia ad ascoltare un palestinese quando si rifiuta di ascoltare un israeliano con una opinione diversa? Il dialogo esiste purtroppo solo tra chi e' gia d'accordo, "Gush Shalom" parla con "Jewish Voice for Peace" e le "Donne in nero" parlano con gli "Ebrei contro l'occupazione". Quello che vorrei fare e' seminare i semi del dialogo con gente che non e' necessariamente d'accordo con me, o meglio, con gente che si rifiuta di darmi l'opportunita' di esprimere la mia opinione o di ascoltarmi. Mi rendo conto che questo aspetto puo' sembrare marginale, ma aprire il dialogo tra israeliani ed ebrei in generale e accettare la legittimita' dell'opinione dell'"altro" potrebbe facilitare il dialogo con "l'altro" concreto: il palestinese. La mia esperienza personale e il mio incontro con "l'altro" e' stata una vera svolta; mi ha aperto interamente un nuovo concetto di pace. Pace non e' solo "free trade zones" (aree di libero scambio commerciale), pace non e' nemmeno niente piu' terrorismo, o niente piu' stato di guerra. Pace e' coesistenza che permette alla gente di vivere con dignita'. Pace e' ascoltare e non delegittimare, anche se quello che dice "l'altro" ti fa sentire un po' scomodo e non a tuo agio. Pace e' accettare che anche "l'altro" ha sentimenti ed e' intelligente abbastanza per avere una visione politica sul mondo. Pace e' dialogo. 7. MAESTRI. DANILO DOLCI: AVER FIDUCIA [Da Danilo Dolci, Conversazioni, Einaudi, Torino 1962, p. 31. Su Danilo Dolci riportiamo ancora una volta la seguente sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita"] Aver fiducia non significa caricare le persone di pesi che non possono portare. 8. MAESTRI: HANS JONAS: IL VECCHIO TETRO HOBBES [Da Hans Jonas, Organismo e liberta', Einaudi, Torino 1999, p. 169. Hans Jonas e' nato a Moenchengladbach nel 1903, e' stato allievo di Heidegger e Bultmann, ed uno dei massimi specialisti dello gnosticismo. Nel 1933 si e' trasferito dapprima in Inghilterra e poi in Palestina, dal 1949 ha insegnato in diverse universita' nordamericane, dedicandosi a studi di filosofia della natura e di filosofia della tecnica. E' uno dei punti di riferimento del dibattito bioetico. Al suo "principio responsabilita'" si ispirano riflessioni e pratiche ecopacifiste, della solidarieta', dell'etica contemporanea. E' scomparso nel 1993. Opere di Hans Jonas: sono fondamentali Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1993; la raccolta di saggi filosofici Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna 1994; Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino 1997; Organismo e liberta', Einaudi, Torino 1999; una raccolta di tre brevi saggi di autobiografia intellettuale e' Scienza come esperienza personale, Morcelliana, Brescia 1992. Si vedano anche Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il melangolo, Genova 1995, e La filosofia alle soglie del Duemila, Il melangolo, Genova 1994; cfr. anche Lo gnosticismo, Sei, Torino 1995. Un utile libro di interviste e conversazioni e' Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino 2000. Opere su Hans Jonas: si veda la parte su Jonas in AA. VV., Etiche della mondialita', Cittadella, Assisi 1996, e la bibliografia critica li' segnalata. Per un profilo sintetico ed una ampia nota bibliografica, cfr. anche Giovanni Fornero, Jonas: la responsabilita' verso le generazioni future, nella Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, volume decimo, Tea, Milano 1996] Il vecchio tetro Hobbes si e' mostrato informato infinitamente meglio degli specialisti dell'informazione, quando ha affermato che e' stata la paura di una morte violenta e il bisogno di pace ad avere condotto gli uomini allo stato contrattuale della comunita' e a continuare a tenere insieme il corpo politico. Per quanto unilaterale, la sua teoria e' valida nell'ascrivere l'agire umano all'aspirare a un qualche bene, anche se questo non e' altro che la conservazione della vita o addirittura soltanto l'evitare il male supremo. 9. LUTTI. LUCIANA CASTELLINA RICORDA NORA FUMAGALLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 luglio 2003. Luciana Castellina, militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative dell'impegno pacifista in Europa. La gran parte degli scritti di Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante, e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari; in volume segnaliamo Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona, e il recentissimo (a cura di), Il cammino dei movimenti, Intra Moenia, Napoli] A molti dei lettori del "Manifesto" il nome di Nora Fumagalli forse dice poco. Perche' Nora non ha mai gravitato nella nostra area e perche' il suo ruolo piu' importante l'ha svolto nel tempo che precedette il '68, quando un gran numero degli attuali lettori del quotidiano non era politicamente ancora nato. Ma ne scrivo su queste pagine, ora che e' mancata - ieri a Milano, la sua citta' - perche' per certi versi mi sembra di poter dire che senza compagne come lei una storia come quella del "Manifesto" sarebbe stata difficile da immaginare. Voglio dire che molti di noi (io di sicuro) sarebbero stati diversi, piu' poveri e anche meno curiosi e intraprendenti se non ci fossero stati quel tipo di quadri comunisti che ora non rintraccio piu' da nessuna parte. Dipende molto anche, certo, dal carattere straordinario di quegli anni '60, un decennio ricchissimo di novita' che consenti' un eccezionale accumulo di cultura politica e di forza. Nora ne fu una interprete di grande intelligenza: era responsabile della commissione femminile della grande federazione del Pci milanese, all'apparenza simile al quadro burocratico dell'epoca, particolarmente diffidente verso gli intellettuali; e anzi forse anche piu' brusca e autoritaria. Ma aveva capito che occorreva aprirsi a quanto di nuovo stava bollendo nella societa' italiana e la linea ufficiale del partito che indicava la necessita' di un rapporto con i cattolici lei la applico' senza tatticismi, con assoluta spregiudicatezza, stabilendo un vero dialogo con una serie di figure femminili della citta', innanzitutto quelle dell'Universita' Cattolica e fra tutte ricordo Luisa Muraro, che lei "scovo'" e poi con cocciuta perseveranza comincio' ad invitare alle nostre iniziative, non strumentalmente ma perche' davvero curiosa di questo "diverso" dalla nostra cultura, pronta a mettersi lei stessa in discussione e non solo a "reclutare" al Pci. La morte di Nora, che poco fa mi ha comunicato suo fratello Marco, mi addolora, e rattristera' molte altre compagne che hanno condiviso le esperienze di allora. 10. LUTTI. ROSSANA ROSSANDA RICORDA NORA FUMAGALLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 luglio 2003. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Nora Fumagalli e' stata la compagna dalla testa piu' libera della federazione milanese negli anni ormai lontani nei quali ne facevo parte. La ricordo soprattutto alla fine dei '50 e nei primi '60, quando crescevano gli interrogativi sul che fare e chi essere in una citta' come Milano, investita dal boom economico, invasa dalle migrazioni meridionali, prima culla del centrosinistra. Tre punti sui quali si delineava la prima vera lotta politica fuori del vecchio gruppo dirigente. Lei era piena di curiosita' verso chi non la pensava come gli Alberganti e Brambilla e Vaiia, persone oneste e tutte d'un pezzo ma rigidissime e quindi diffidenti, difendeva chi in federazione e nella Camera del Lavoro scalpitava, e ne era un poco penalizzata. Non tanto perche' violasse una disciplina - era manifestamente una compagna comunista per nascita vita e lavoro - ma perche' era davvero una aliena in una comunita' militante dal mattino alla sera assolutamente impermeabile e coriacea nei confronti di pulsioni e stimoli culturali. Non so se questa natura le venisse dal padre, pittore e comunistissimo, ma spericolato e appassionato. Non e' stata dei nostri, perche' anche di noi dubitava per problematicita', chissa' se avevamo, oltre che ragione, la capacita' di trascinare il partito, tenere assieme tutti - bisogno primario nella base comunista, che appare anche oggi ai suoi flebili eredi piu' importante che l'avere una linea giusta o sbagliata. Gran parte della federazione di Milano esito' a cacciarci, e chi lo fece - gruppo dirigente a parte - lo fece soprattutto perche' rompere era pericoloso. Nora era fra quelli che ci avrebbero voluto piu' prudenti e pazienti, ma alla segreteria dicevano che di noi non si poteva fare a meno. Era intrigata tra appartenenza e laicita', e piena di domande, e avrebbe voluto essere piu' forte. Ma soprattutto era instancabilmente curiosa, attratta da quel che nasceva alle frontiere o fuori o accanto, dubbiosa della sua propria formazione e preparazione, un piede dentro e un piede fuori dalle mura. Aveva gli occhi chiari e interrogativi, la bocca piegata al sorriso anche su di noi e su di se'. Delle donne di quella generazione, che era anche la mia, e' stata fra le piu' generose e limpide, cosa che non le ha facilitato nulla. La ricorderemo in molti come una parte di noi che e' andata perduta. 11. MEMORIA. VALENTINO PARLATO RICORDA FRANCO RODANO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 luglio 2003. Valentino Parlato, tra i fondatori del "Manifesto", rivista prima e quotidiano poi, e' uno dei piu' prestigiosi intellettuali della sinistra italiana. Franco Rodano, come ognun sa, e' stato uno dei pensatori politici piu' influenti della cultura italiana del Novecento] Vent'anni fa, il 21 luglio del 1983, moriva Franco Rodano e oggi, nell'ondata del postmoderno e nel decadimento politico e culturale della sinistra, il suo nome ha un suono tra i piu' anziani e solo tra rari giovani. Del tutto diversa era la situazione quando noi anziani di oggi eravamo giovani. Allora l'uomo Franco Rodano suscitava fascino, in verita' un po' enigmatico: questa persona coltissima e profondamente cristiana, che politicamente era comunista e non per ragioni di classe, ma piuttosto di liberazione dell'uomo. Con una scomunica ad personam, poi ritirata ai tempi di Giovanni XXIII, ma sempre cristiano e comunista, limpidamente, senza mai nessuna confusione democristiana. Un uomo di ottime frequentazioni cattoliche e laiche - era sodale di Raffaele Mattioli, l'illuminato presidente della Comit -, ma che ha sempre rifiutato la cosiddetta ascesa sociale: mai parlamentare, mai presidente di un qualche ente, ma sempre e solo Franco Rodano, ricercato, discusso, ma sempre apprezzato, anche dagli avversari. Anche di lui va detto "lo stile e' l'uomo". E il suo era uno stile produttivo di pensiero, suscitatore di discussioni e ricerche. Aveva cominciato, giovanissimo, al Liceo Visconti di Roma, dove ostentava ("fiammeggiante" diceva Giorgio Coppa allora mio capo alla Cna) il distintivo dell'azione cattolica, fondatore del Movimento dei comunisti cattolici, ispiratore del crociano "Spettatore italiano" e direttore di "Dibattito politico", rivista alla quale collaboravano i giovanissimi Giuseppe Chiarante e Lucio Magri e poi, negli anni "60, fondatore con Claudio Napoleoni della prestigiosa "Rivista trimestrale". Un grande lavoro, un capitale di pensiero, oggi piuttosto trascurato. La questione cattolica - se ne parla anche oggi in rapporto alla difficile Costituzione europea - rimane centrale, culturalmente e politicamente. E davanti a questo problema il lavoro di Rodano puo' aiutare. Di fronte alla questione cattolica, Rodano non e' affatto un sostenitore del "compromesso storico", che per certi significava il degrado della grande questione nell'ambito riduttivo della "solidarieta' nazionale", una mezzadria con la Dc. In un articolo apparso tempo fa su "Critica marxista", Lucio Magri da' una interpretazione convincente del pensiero di Franco Rodano: "Il rapporto con la Chiesa, sia come comunita' di fede che come istituzione, senza mediazioni di un partito cattolico... rappresentava un'occasione e una garanzia per depurare il movimento comunista non solo dell'ateismo scientista, ma anche di una visione totalizzante della rivoluzione politica e sociale (il mito del regno dei cieli sulla terra e di una storia senza alienazioni)... Corrispettivamente il movimento comunista era il portatore necessario di una trasformazione della societa' che non si presentasse... come inveramento e compimento della razionalita' illuministica, della rivoluzione borghese, ma anche e soprattutto come loro rovesciamento dialettico, e percio' offrisse un fondamento storico e materiale ad un mondo in cui la persona umana diventasse centro e misura, liberata dalla reificazione capitalistica, e percio' stesso base reale di un pieno sviluppo di un cristianesimo, non integralista, ma consapevole, diffuso, praticabile". La posizione di Rodano e' radicalmente e discutibilmente antiborghese e percio' piuttosto eversiva in un'epoca di borghesia trionfante. Questo il terreno di lavoro anticipato da Rodano, certamente discutibile, ma oggi nel postfordismo e nella crescita del lavoro cosiddetto cognitivo, puo' essere piu' realistico di quanto non fosse venti anni fa: come a dire che l'uomo non e' solo quel che mangia e che tra la struttura e la sovrastruttura i rapporti sono assai piu' complessi di quanto non fosse nel marxismo che abbiamo imparato da giovani. Soltanto che oggi attraversiamo una fase di crisi politica e culturale nella quale il valore piu' alto e' la forza, cioe' la guerra diffusa a tutti i livelli. Contro gli Hobbes di oggi forse Franco Rodano puo' darci un aiuto. Questo penso oggi, ma tanti anni fa quando fui invitato a cena da Franco Rodano, insieme con Aniello Coppola, e quella cena era un po' un esame d'ammissione, ritengo di essere stato bocciato. 12. LETTURE. URSULA K. LE GUIN: LA SALVEZZA DI AKA Ursula K. Le Guin, La salvezza di Aka, Mondadori, Milano 2002, 2003, pp. 256, euro 4,05. Un recente romanzo della grande autrice di sf. Nella narrativa d'anticipazione - science fiction, ma anche speculative fiction - le scrittrici femministe hanno trovato una forma letteraria in cui esprimere analisi e proposte di grande rilevanza. La Le Guin (che, come e' noto, e' anche un'acuta studiosa e docente) e' altresi' l'autrice di opere cospicue come La mano sinistra delle tenebre e I reietti dell'altro pianeta. 13. LETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI, ANNA MARIA BATTISTIN: L'ETA' INCERTA Silvia Vegetti Finzi, Anna Maria Battistin, L'eta' incerta, Mondadori, Milano 2000, 2003, pp. , euro 9,40. Le autrici guidano alla comprensione della situazione adolescenziale. 14. RIEDIZIONI. MARVIN HARRIS: LA NOSTRA SPECIE Marvin Harris, La nostra specie, Rizzoli, Milano 1991, 2002, pp. 434, euro 9,60. Un bel libro del grande antropologo. 15. RILETTURE. ERNESTO BALDUCCI: GANDHI Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1988, pp. 188. L'indimenticabile padre Balducci, di cui anche in queste belle monografie senti ancora la voce, il gesto e l'impegno (e ti verrebbe da dire: l'impeto), l'amicizia. 16. RILETTURE. ERNESTO BALDUCCI: FRANCESCO D'ASSISI Ernesto Balducci, Francesco d'Assisi, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989, 1990, pp. 224. Dei molti libri su Francesco, questo resta uno dei piu' appassionanti per un avvio allo studio. 17. RILETTURE. ERNESTO BALDUCCI: GIORGIO LA PIRA Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1986, pp. 192. Non solo uno studio profondo, ma una testimonianza grande. 18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 19. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 620 del 23 luglio 2003
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