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La nonviolenza e' in cammino. 615
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 615
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 17 Jul 2003 19:50:34 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 615 del 18 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Il 27-31 agosto l'incontro della rete internazionale delle Donne in nero 2. Tiziana Barrucci e Stefano Liberti intervistano Johan Galtung 3. Anna Puglisi, Umberto Santino: appunti sulla ricerca del Centro Impastato su "Donne e mafia" 4. Riletture: Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Introduzione a Abelardo 5. Riletture: Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Le bugie di Isotta 6. Riletture: Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri e Massimo Parodi, Storia della filosofia medievale 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. IL 27-31 AGOSTO L'INCONTRO DELLA RETE INTERNAZIONALE DELLE DONNE IN NERO [Da Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int) riceviamo e diffondiamo il manifesto di convocazione dell'incontro internazionale delle Donne in nero del 27-31 agosto, il cui programma dettagliato abbiamo gia' riportato nel n. 612 del notiziario] Osiamo la pace, disarmiamo il mondo. Marina di Massa, 27-31 agosto 2003. Circa 300 donne provenienti da tutto il mondo, da gran parte dei paesi europei e da molti extraeuropei, dal Medio Oriente all'America, all'Asia, all'Australia, all'Africa si incontreranno a Marina di Massa per l'undicesimo incontro internazionale delle Donne in nero. Fra queste saranno ospitate le donne provenienti dai luoghi difficili: palestinesi, israeliane, afghane, kurde, turche, colombiane, indiane, ugandesi, sudafricane, congolesi, camerunensi, balcaniche. Consistente sara' anche la partecipazione delle donne italiane. La rete internazionale delle Donne in nero opera contro il militarismo, inteso sia come pensiero dominante che come pratica di risoluzione dei conflitti, e contro le guerre come metodo di soluzione delle divergenze e delle differenze. Nel corso negli anni la rete e' andata progressivamente ampliandosi, con la partecipazione sempre piu' consistente di donne dai luoghi di conflitto, che lavorano alla costruzione di relazioni solide che si pongano come base per la risoluzione delle divergenze e per la costruzione di una politica internazionale delle donne libera da guerra, violenze e poverta' per tutte e tutti. Gli incontri della rete, fino ad ora realizzati nella ex-Jugoslavia, costituiscono un momento culmine di questa elaborazione continua che parte dalla pratica della relazione politica tra donne. Essi sono un laboratorio politico ed un territorio sperimentale di elaborazione, in cui centinaia di donne, anche provenienti dai luoghi di guerra, trovano voce, contribuendo a tessere e solidificare la rete. Per informazioni ed iscrizioni contattare: Donne in nero, via IV Novembre 149, Roma, tel. 0669950217, fax: 0669950200, e-mail: segreteriaconvegno at donneinnero.org Vi chiediamo di contribuire alle spese di ospitalita' per una donna proveniente da luoghi di guerra. Potete effettuare versamenti tramite: - bonifico bancario c/c n. 103344 Banca Popolare Etica, Padova, ABI 5018 Cab 12100 specificando nella causale "convegno internazionale"; - versamento postale c/c n. 12182317 intestato a Donne in nero c/c 103344 Banca Popolare Etica specificando nella causale "convegno internazionale". 2. RIFLESSIONE. TIZIANA BARRUCCI E STEFANO LIBERTI INTERVISTANO JOHAN GALTUNG [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 maggio 2002. Gli intervistatori sono giornalisti del quotidiano; Johan Galtung, nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente universitario, consulente dell'Onu, fondatore di "Transcend", autore di molte fondamentali pubblicazioni, e' il piu' noto e prestigioso peace-researcher vivente] Diagnosi, prognosi, terapia: e' a partire da questi tre passaggi che Johan Galtung, cattedratico norvegese con il piglio del medico, si spende da anni per trovare forme creative per la risoluzione delle piccoli e grandi guerre che marchiano a sangue il pianeta. Professore di studi sulla pace presso l'universita' delle Hawaii, l'universita' di Witten/Herdecke (Germania), l'universita' di Tromsoe (Norvegia) e la European Peace University, Galtung ha ricevuto nel 1987 il Nobel alternativo Right Livelihood Award, per il suo impegno nell'educazione alla pace. Nel 1993 ha fondato l'organizzazione Transcend, un network globale di studiosi e attivisti impegnati nell'analisi sul campo e nella ricerca di soluzioni di pace in vari punti caldi del pianeta. Da allora gira incessantemente per presentare e sperimentare le idee e le proposte elaborate da lui e dagli altri membri di Transcend. Lo incontriamo a Roma, alla vigilia di una missione di mediazione a Kabul, dopo una conferenza all'Universita' La Sapienza su "Il mondo dopo l'11 settembre". Ed e' dagli eventi dell'11 settembre che Galtung parte per esporci le sue teorie. - Domanda: Qual e' la sua lettura degli attacchi contro le Torri gemelle e della reazione di Washington? - Risposta: Ritengo sia possibile leggere l'11 settembre e gli eventi successivi come uno scontro tra due sette fondamentaliste: da una parte l'islam wahhabita - che in Arabia Saudita e' religione di stato -, dall'altra il puritanesimo protestante, che e' di fatto il pensiero dominante negli Stati Uniti. Queste due sette, sia pure su fronti opposti, sono speculari, dal momento che presentano un numero inquietante di elementi in comune. - D.: Quali sono questi punti in comune? - R.: Innanzitutto hanno entrambe una visione esclusiva e esclusivista della religione. Tanto i seguaci di Ibn Abd al Wahhab, vissuto nella penisola arabica tra il 1703 e il 1792, quanto i discendenti dei pellegrini puritani giunti in America nel 1620 si ritengono un popolo eletto. I puritani, in particolare, hanno riadattato il mito ebraico della Genesi a proprio uso e consumo: la nuova Sion non era piu' sulle sponde del Mediterraneo, ma dall'altra parte dell'Oceano. Da questo punto ne discende un altro, ugualmente pericoloso e assolutamente comune alle due tendenze: l'idea che il mondo sia diviso in due, tra quelli che aderiscono alla setta e quelli che non vi aderiscono. Quando Bush dice "o con noi o contro di noi" non fa altro che esprimere questo manicheismo patologico, che e' un elemento consustanziale del puritanesimo. Lo stesso puo' dirsi dei proclami di bin Laden contro gli infedeli. Chi non aderisce ai principi della setta e' un nemico, e pertanto deve essere schiacciato. I discorsi di bin Laden e di Bush sono assolutamente speculari. Solo che i due si servono di mezzi leggermente differenti: il primo usa il terrorismo, il secondo il terrorismo di stato. Esiste tuttavia una sfasatura tra queste due tendenze. Se in Arabia Saudita il wahhabismo e' fede di stato - e quindi l'esclusivismo e' accettato ufficialmente - gli Stati Uniti si definiscono un paese libero e tollerante in cui tutte le opinioni hanno diritto di essere espresse... Il predominio della setta puritana si avvale di strumenti piu' raffinati di quelli del wahhabismo. Quindici anni dopo il loro arrivo sulle coste atlantiche, i puritani hanno fondato una facolta' di teologia, nucleo iniziale di quella che sarebbe poi diventata l'universita' piu' importante degli Stati Uniti d'America: Harvard. Questa, che in Occidente e' ritenuta la migliore universita' del mondo - the university of excellence - e' una vera e propria fabbrica di ideologia, da dove vengono diffuse le linee guida del dominio americano. - D.: Tale dominio non si e' pero' basato fino ad oggi su un'alleanza di ferro proprio con il wahhabismo saudita? - R.: Si'. In effetti non e' possibile comprendere l'11 settembre senza analizzare la relazione economica esistente tra gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita. Tra i due e' stato sancito una specie di matrimonio di interesse: da una parte la casa reale - custode dei luoghi sacri e depositaria della purezza dell'islam - si e' sempre impegnata a fornire a Washington petrolio in grandi quantita' e a basso costo; dall'altra gli americani si sono impegnati a pagare il conto e a proteggere eternamente la dinastia al potere a Riyadh. Ma l'oro nero produce ricchezza e la ricchezza e' in opposizione con la visione ascetica della vita, che rappresenta un altro elemento costitutivo del wahhabismo. Se, nonostante questa contraddizione, il matrimonio ha funzionato per diversi anni, la rottura era comunque inevitabile. - D.: Cosa ha provocato questa rottura? - R.: Il punto di passaggio e' stato la guerra del Golfo del 1991 e la successiva permanenza delle truppe americane sul suolo sacro della penisola arabica che, secondo i wahhabiti, non puo' essere calpestato da infedeli. Questo ha fatto vacillare il patto tra Washington e la casa reale, che si trova sempre piu' isolata nel suo paese. Io ritengo che la dinastia dei Saud abbia a tutt'oggi la stessa speranza di vita che aveva lo scia' in Iran nel 1976: al massimo tre anni. Non si puo' non tener conto che quindici dei diciannove attentatori dell'11 settembre erano cittadini sauditi. E che l'attacco contro New York e Washington e' servito anche indirettamente a lanciare un monito alla casa reale. La quale, permettendo alle truppe statunitensi di rimanere nella penisola, aveva tradito i principi del wahhabismo. - D.: La risposta degli Usa agli attentati perpetrati contro il suo territorio da cittadini sauditi e' stata pero' la guerra in Afghanistan... - R.: L'attacco all'Afghanistan e' servito ad avviare la penetrazione statunitense in Asia centrale, una regione ricca di idrocarburi e di gas. Non bisogna dimenticare che gli americani hanno un rapporto morboso, quasi orgasmico, con il petrolio. E che questa amministrazione e' costituita essenzialmente da petrolieri. Pochi sanno che il segretario di stato Colin Powell, di cui tutti conoscono il passato di generale, ha una formazione di geologo del petrolio. Prima di abbandonare i sauditi, Washington deve trovare altre fonti di energia a basso costo. - D./ Pensa che l'amministrazione Bush sapesse in anticipo degli attentati contro il World Trade Center e il Pentagono? - R.: Non credo, come si dice oggi, che il governo americano sapesse e abbia taciuto. Ritengo per' che abbia colto la palla al balzo. L'amministrazione americana ha una lista di obiettivi strategici e l'Afghanistan era in cima a quella lista. L'11 settembre ha fornito il pretesto necessario per lanciare un attacco che era stato pianificato gia' dal mese di agosto. Tutti questi passaggi non sono abbastanza noti perche' la stampa occidentale si guarda bene dal rivelarli. - D.: Qual e' stato il ruolo della stampa in questa vicenda? - R.: Invece di svolgere la sua funzione tradizionale di quarto potere, la stampa americana ed occidentale in generale e' ormai diventata una cassa di risonanza dell'ideologia dominante. A questo discorso fanno eccezione pochi organi di informazione veramente liberi: The Guardian e The Independent in Gran Bretagna, Le Monde diplomatique in Francia, Der Spiegel in Germania e, in Italia, Il manifesto. E' anche per questo che, tra i seminari che propone la mia organizzazione Transcend in giro per il mondo, uno e' dedicato proprio al "giornalismo di pace". - D.: Che cos'e' di preciso "Transcend"? E quali sono i suoi campi di azione? - R.: Transcend e' un'organizzazione per la mediazione dei conflitti bellici, costituita da persone da sempre impegnate nel campo della pace e dello sviluppo. La nostra politica si e' basata, fin dall'inizio, su un approccio pragmatico: trovare un'idea, sperimentarla sul campo, migliorarla. La filosofia di Transcend si struttura in concreto su quattro pilastri d'attivita': azione, educazione/formazione, diffusione delle idee, ricerca. L'obiettivo non e' solo quello di trovare soluzioni creative ai conflitti in corso, ma anche quello di provvedere alla realizzazione di una vera e propria cultura di pace. Ecco perche' da anni organizziamo in diversi paesi seminari di educazione alla nonviolenza, di peacekeeping, di peacemaking, di democrazia e diritti umani, di pedagogia di pace e, come dicevo, di giornalismo di pace. - D.: Qual e' il metodo che seguite nella risoluzione dei conflitti? - R.: Siamo dell'idea che alla radice di ogni conflitto ci sia un divario profondo, l'esistenza tra gli attori antagonisti di obiettivi inconciliabili. Tale divario tende a cristallizzarsi e a diventare sempre meno sanabile. E' importante quindi identificare e analizzare le cause profonde di questa contraddizione e, a partire da questa analisi, proporre approcci di pace. Questo primo passaggio e' quello che chiamo della diagnosi. Alla diagnosi segue la prognosi, ossia una previsione dei probabili sviluppi futuri. Fatta la prognosi, elaboriamo di volta in volta la terapia piu' adatta. - D.: Come si legge, dal punto di vista della filosofia "Transcend", il conflitto mediorientale? - R.: La diagnosi di quanto sta avvenendo in Palestina e' abbastanza evidente: il processo di Oslo e' morto a causa della frustrazione che hanno dovuto subire i palestinesi dal 1993 al settembre 2000, quando infine la loro rabbia e' scoppiata nella seconda Intifada. La prognosi e' anch'essa di facile definizione: a tutti appare chiaro che un accordo, per essere stabile e reale, deve coinvolgere il maggior numero possibile di attori, quindi anche i gruppi piu' radicali. Da qui dobbiamo partire per elaborare la nostra terapia. - D.: Su quali punti si basa questa terapia? - R.: Israele deve innanzitutto ritirarsi ai confini del 1967 e riconoscere senza indugi lo stato palestinese con Gerusalemme come capitale. A quel punto e' necessario stabilire forme reali di cooperazione tra i due stati: nella gestione comune di Gerusalemme - capitale confederale di entrambi gli stati -, nella politica di sicurezza e in quella economica. A livello regionale, poi, bisognerebbe creare una sorta di comunita' mediorientale senza la partecipazione degli Stati Uniti che, a quanto mi risulta, non sono un paese mediorientale e devono percio' evacuare le proprie truppe dalla regione. Il modello a cui penso e' quello della Comunita' europea, sancito dal Trattato di Roma del 1957. Lo stesso modello potrebbe essere valido per il Medioriente: creare una comunita' tra stati arabi, Israele, Turchia e kurdi, con un'equa ripartizione delle riserve acquifere, un controllo sugli armamenti e un libero scambio delle merci, dei servizi, delle persone, delle idee. Penso che questa sia l'unica soluzione possibile per una pace stabile e duratura. 3. MATERIALI. ANNA PUGLISI, UMBERTO SANTINO: APPUNTI SULLA RICERCA DEL CENTRO IMPASTATO SU "DONNE E MAFIA" [Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" riprendiamo questo ancora assai utile testo presentato come relazione nel 1996 e successivamente pubblicato nel 1998. Per informazioni e contatti: Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it Anna Puglisi, studiosa e militante antimafia, e' impegnata nell'esperienza del Centro Impastato. Tra le opere di Anna Puglisi: con Umberto Santino ha curato La mafia in casa mia, intervista a Felicia Bartolotta Impastato, La Luna, Palermo 1986; con Antonia Cascio ha curato il dossier Con e contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta antimafia, Palermo 1988; Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990; Donne, mafia e antimafia, Centro Impastato, Palermo 1998. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito internet: www.centroimpastato.it) e' un istituto di ricerca tra i piu' accreditati in campo internazionale, particolarmente specializzato su mafia e poteri criminali; operante dal 1977, e' stato successivamente intitolato a Giuseppe Impastato, militante della nuova sinistra assassinato dalla mafia nel 1978; una sintetica ma esauriente scheda di autopresentazione, di quattro pagine, e' richiedibile presso il Centro Impastato. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Scritti su Umberto Santino: Peppe Sini, Una rassegna bibliografica di alcuni lavori di Umberto Santino. La borghesia mafiosa tra violenza programmata, "doppio Stato" e capitalismo finanziario, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1998, 2003 (ripubblicata in aprile su questo stesso notiziario)] Nell'ambito del Progetto di ricerca "Mafia e societa'" del Centro Impastato (sono gia' state svolte le ricerche sull'omicidio a Palermo, pubblicata nel volume: G. Chinnici - U. Santino, La violenza programmata; sui processi per omicidio, pubblicata nel volume: AA. VV., Gabbie vuote; sulle imprese mafiose, pubblicata nel volume: U. Santino - G. La Fiura, L'impresa mafiosa), e' in corso una ricerca su "Donne e mafia", di cui sono stati pubblicati il dossier di rassegna stampa Con e contro, e i volumi: F. Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, e A. Puglisi, Sole contro la mafia, con storie di vita. La ricerca su "Donne e mafia" mira ad analizzare il ruolo delle donne nell'organizzazione e nelle attivita' mafiose e nella lotta contro la mafia, ma prima ancora nella societa' siciliana e meridionale, e prevede l'esame della letteratura, la raccolta della documentazione (attraverso atti giudiziari e la rassegna stampa) e di storie di vita. Il quadro generale in cui si inserisce risulta dall'esame critico della letteratura e delle idee correnti sulla mafia e dalla formulazione di quello che abbiamo definito "paradigma della complessita'" (si veda: Santino, 1995a). * La donna nella societa' siciliana e meridionale Preliminare a una ricerca sul ruolo delle donne nella mafia e contro la mafia e' una ricostruzione, anche sintetica e schematica, del ruolo della donna nella societa' siciliana e meridionale. Limitandoci a un cenno brevissimo, la letteratura esistente, da quella folklorica alla piu' recente, e' in larga parte concorde nel definire il ruolo della donna nella societa' meridionale come subalterno e passivo, ritagliato esclusivamente nello spazio domestico e interpretabile soprattutto, se non esclusivamente, attraverso lo schema antropologico del codice onorifico. La realta' e' piu' complessa, basti pensare al ruolo delle donne nelle lotte sociali in Sicilia, a cominciare dai Fasci siciliani. Nell'economia della ricerca, sara' delineato un quadro della letteratura esistente e della condizione della donna, ricostruita attraverso dati sulla presenza nel mercato del lavoro, nelle professioni, l'esame del ruolo nei processi di socializzazione etc. * La mafia come fenomeno complesso Nel tentativo di andare oltre gli stereotipi (mafia come emergenza, antistato etc.) che sono decisamente fuorvianti e dei paradigmi piu' affermati (mafia come associazione a delinquere tipica e come impresa) che a nostro avviso danno una rappresentazione parziale, abbiamo considerato la mafia come un fenomeno complesso e polimorfico, adottando la seguente ipotesi definitoria. Mafia e' un insieme di organizzazioni criminali, di cui la piu' importante ma non l'unica e' Cosa nostra, che agiscono all'interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalita' finalizzato all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale. Ci troviamo di fronte a un fenomeno che non puo' essere analizzato con la categoria criminologica della devianza, utilizzabile per la criminalita' comune, ma in cui l'uso della violenza privata e' funzionale alle dinamiche di formazione del dominio di classe: all'interno di un sistema relazionale interclassista la funzione dominante e' esercitata da strati illegali-legali che abbiamo definito "borghesia mafiosa": una chiave interpretativa che richiama e attualizza i "facinorosi della classe media" di cui parlava Franchetti. Com'e' noto, il dilemma mafia come organizzazione o modello comportamentale percorre tutta la letteratura antropologica e sociologica dall'ultimo trentennio del secolo XIX a oggi. Mentre fino a pochi anni fa l'idea dominante era quella della mafia come subcultura, comportamento, mentalita' diffusa e si negava l'esistenza di una struttura organizzativa, confinandola tra le "idee errate", dagli anni '80, sull'onda delle acquisizioni in sede giudiziaria e delle rivelazioni dei cosiddetti "pentiti", c'e' stata una conversione alla tesi organizzativista, per cui oggi si parla di Cosa nostra, con la sua struttura unitaria, gerarchica, piramidale, come unico oggetto di studio. In tal modo si e' finiti con l'accodarsi all'attivita' giudiziaria e i "pentiti" sono diventati la fonte privilegiata di conoscenza del fenomeno mafioso. Ora, un conto e' utilizzare le fonti giudiziarie, un altro dipendere totalmente, o quasi, da esse. Il compito dello scienziato sociale e' diverso da quello del magistrato e dell'investigatore. Dovrebbe essere scontato, ma a quanto pare non lo e', per cui e' bene ribadirlo: il magistrato "deve ricercare elementi di prova tali da poter individuare e colpire i responsabili di comportamenti definiti delittuosi dalle leggi vigenti, mentre lo studioso ha un compito diverso, che si puo' riassumere nella ricerca delle specificita' di un fenomeno e delle sue relazioni con il contesto, per cui fatti irrilevanti penalmente assumono una rilevanza che non possono avere nel quadro di un'inchiesta giudiziaria. Sono diversi gli scopi, gli strumenti, i metodi. E' un'altra lingua e un altro sapere" (Santino, 1995a, pp. 76 s.). * Continuita' e innovazione Anche per quanto riguarda l'evoluzione storica del fenomeno mafioso, ci sembra scorretta la rappresentazione che fa riferimento a una generica "vecchia mafia", soppiantata da un'altrettanto generica "nuova mafia", riproposta nella distinzione tra "mafia tradizionale" e "mafia imprenditrice". In realta' l'evoluzione del fenomeno mafioso e' un intreccio di continuita' e innovazione e la sua persistenza si spiega con l'elasticita' e la capacita' di adattamento a diversi contesti spazio-temporali. Per cui aspetti arcaici, come la "signoria territoriale", vengono rifunzionalizzati a opportunita' e risorse della societa' contemporanea, come i traffici internazionali di droghe e di armi e i sistemi di riciclaggio. L'intreccio di continuita' e innovazione non toglie la possibilita' di distinguere delle fasi nello sviluppo della mafia, sulla base dell'individuazione di un aspetto prevalente rispetto ad altri e con riferimento ai mutamenti del quadro sociale e agli adeguamenti ad essi da parte dei gruppi mafiosi. Abbiamo individuato quattro fasi: 1) una lunga fase di incubazione, dal XVI secolo ai primi decenni del XIX secolo, in cui piu' che di mafia vera e propria si puo' parlare di "fenomeni premafiosi" (attivita' delittuose regolarmente impunite di gruppi armati al servizio dei baroni; finalita' accumulative di alcune forme delittuose, come i sequestri di persona, gli abigeati, le estorsioni); 2) una fase agraria, dalla formazione dello Stato unitario agli anni '50 del XX secolo, con delle subfasi al suo interno; 3) una fase urbano-imprenditoriale, negli anni '60; 4) una fase finanziaria, dagli anni '70 a oggi. Non possiamo dilungarci a illustrare tale ipotesi di periodizzazione. Ci limitiamo a dire che ci e' sembrata, finora, la piu' rispondente al tipo di analisi che abbiamo condotto in questi anni, nel tentativo di cogliere l'interazione tra aspetti permanenti e innovativi, che ha consentito a un fenomeno sorto dentro un orizzonte locale abbastanza limitato - le quattro province della Sicilia occidentale - di estendersi territorialmente e di assumere la rilevanza attuale. * Monosessualita' formale e bisessualita' di fatto Anche sotto il profilo di genere, il fenomeno mafioso lungi dal coincidere con le rappresentazioni basate sulla chiusura e rigidita', dimostra una grande capacita' di adattamento. La mafia formalmente e' un'organizzazione maschile, ma il maschilismo mafioso non e' altro che il rispecchiamento del maschilismo del contesto sociale e, poiche' la mafia non ha ideologia e le sue prassi sono caratterizzate da un grande opportunismo, non c'e' da sorprendersi se essa vada adattandosi a un contesto in cui il ruolo delle donne e' cresciuto, a prescindere da valutazioni di carattere etico su contenuti e modalita' di esercizio dei ruoli. Anche se i mafiosi collaboratori di giustizia continuano a sostenere che l'organizzazione mafiosa e' monosessuale, che ammessi ai riti di affiliazione sono solo i maschi, le notizie sempre piu' numerose su compiti di comando assunti da donne in gruppi mafiosi, in seguito all'arresto dei capi, possono benissimo rispondere a verita', se si considera la natura elastica della mafia. La Chiesa cattolica avra' problemi ad ammettere al sacerdozio le donne, come le istituzioni pubbliche hanno avuto e continuano ad avere remore nel praticare le pari opportunita', mentre per la mafia non si pone il problema di attenersi a regole rigide, perche' anche quando ci sono, o si dice che ci siano, e' ben lontana dal rispettarle nei fatti e perche' la sua storia e' un continuo processo di mimesi e di adattamento. Per dare un'idea del ruolo delle donne nel mondo mafioso riportiamo alcuni casi che ci sembrano particolarmente significativi. Troviamo donne accusate di attivita' mafiose gia' nel processo alla mafia delle Madonie del 1927-1928. Tra i 153 imputati (mafiosi e loro fiancheggiatori) c'erano 7 donne, con imputazioni come l'assistenza ai latitanti, la riscossione dei pizzi e la custodia del denaro; mentre nel maxiprocesso di Palermo del 1986, su 460 imputati le donne erano solo 4: due incriminate per traffico di stupefacenti, una per favoreggiamento e un'altra per falsa testimonianza. Tra le imputate del processo alla mafia delle Madonie c'erano quattro appartenenti alla famiglia mafiosa degli Andaloro e Giuseppa Salvo, definita dai giornali "la regina di Gangi" per il suo ruolo di spicco, che nel corso del processo mantenne un perfetto atteggiamento omertoso (Siragusa-Seminara, 1996, p. 110). Nello stesso periodo comincia la sua carriera di ricercata dalla giustizia Maria Grazia Genova, detta "Marage'", una donna di Delia, in provincia di Caltanissetta, nata nel 1909 e morta in ospedale, in miseria, il 15 dicembre 1990, dopo aver collezionato una cinquantina di denunce e ventidue arresti. Sorella di Diego, "uomo di rispetto" del paese, gia' nel 1927 viene arrestata per furto. Nel 1949 riusci' ad evadere dal carcere dove doveva scontare una pena in seguito alle indagini sulla faida in cui era coinvolta la sua famiglia e che fini' quando non ci fu piu' nessuno da ammazzare (Cascio - Puglisi (a cura di), 1986, p. 16). Si sospetta che quando qualcuno della sua famiglia aveva problemi con la giustizia ed era necessario pagare gli avvocati, lei si presentasse da professionisti e commercianti di Delia e chiedesse il "contributo" ("L'Ora", 17 dicembre 1990). Mandata al confino agli inizi degli anni sessanta, nel '79, quasi ottantenne, venne proposta di nuovo per il soggiorno obbligato. Piu' recente e' l'attivita' di Angela Russo che viene arrestata, assieme ad altre 27 persone tra cui i figli e le nuore, il 13 febbraio del 1982, all'eta' di 74 anni, perche' sospettata di essere stata corriera di droga tra Palermo, le Puglie e il Nord Italia. Ma subito si scopre che la Russo, che viene soprannominata "nonna eroina", era piu' che corriera: lei era stata l'organizzatrice del traffico di droga fatto dalla sua famiglia e all'atto dell'arresto, e poi durante il processo e nei confronti del figlio pentito, si comporta da perfetta mafiosa (Cascio - Puglisi (a cura di), 1986, pp. 83 s., 86 s., 96 s.). Chiama il figlio "vigliacco e infame" e in un'intervista dice: "Salvatore io l'ho perdonato, ma non so se Dio potra' mai perdonarlo... Dicono che fra un anno esce. Lui lo sa che e' condannato, lo sa che esce e lo ammazzano. Quelli non perdonano... Lui prima spera di avere il tempo di vendicare suo fratello Mario, morto ammazzato per causa sua. Ma che pensa di poter fare? Prima ci doveva pensare a Mario. Ora non gli daranno il tempo. Ora, Salvino, quando esce muore" (Pino, 1988, p. 89). E ancora, non riconoscendosi nel ruolo subalterno che le viene attribuito: "Quindi secondo loro io me ne andavo su e giu' per l'Italia a portare pacchi e pacchetti per conto d'altri... Dunque io che in vita mia ho sempre comandato gli altri, avrei fatto questo servizio di trasporto per comando e conto d'altri? Cose che solo questi giudici che non capiscono niente di legge e di vita possono sostenere". Ed espone una sua precisa idea di mafia, fatta di "veri uomini", come suo padre, di leggi severe che colpivano inesorabilmente chi "sbagliava" e risparmiavano i "figli di mamma", mentre adesso...: "E vanno a dire mafioso a questo, mafioso a quello. Ma che scherzano? Siamo arrivati a un punto che un pinco pallino qualsiasi che ruba subito e' 'mafioso'. Io in quel processo di mafiosi proprio non ne ho visti. Ma che scherzano, e' modo di parlare di cose serie? Ma dove e' piu' questa mafia, chi parla di mafia, cosa sanno loro di mafia? Certo, sissignora, io ne so parlare perche' c'era nei tempi antichi a Palermo e c'era la legge. E questa legge non faceva ammazzare i figli di mamma innocenti. La mafia non ammazzava uno se prima non era sicurissima del fatto, sicurissima che cosi' si doveva fare, sicurissima della giusta legge. Certo, chi peccava 'avia a chianciri', chi sbaglia la paga, ma prima c'era la regola dell'avvertimento... Allora in Palermo c'era questa legge e questa mafia. C'erano veri uomini. Mio padre, don Peppino, era un vero uomo e davanti a lui tremava di rispetto tutta Torrelunga e Brancaccio e fino a Bagheria..." (Pino, 1988, pp. 79 s.). Un esempio degli ultimi anni e' quello di Maria Filippa Messina, giovane moglie di Nino Cinturino, boss di Calatabiano, paese in provincia di Catania, in carcere dal 1992. Il suo e' un esempio di donna "supplente", in assenza del marito capomafia, ma una supplente che dimostra di potere assumere essa stessa il ruolo di capomafia. Viene arrestata il 4 febbraio 1995 nella sua abitazione a Calatabiano, appunto perche' sospettata di essere alla guida della famiglia del paese dopo l'arresto del marito e viene accusata di avere assoldato killer per vendicare l'omicidio di un mafioso della cosca, ucciso assieme alla madre. In alcune conversazioni, intercettate dalla polizia, la Messina dice che era venuto il momento "di pulire il paese", per ottenere il controllo del territorio occupato dalla cosca rivale dei "Laudani". Con lei sono state arrestate altri sette mafiosi, tra cui autori di alcuni delitti commissionati dalla donna ("Giornale di Sicilia" (da ora "GdS"), 5, 6 e 7 febbraio 1995). In carcere le viene notificato un altro ordine di custodia cautelare, assieme al marito e ad altri presunti mafiosi, per i delitti avvenuti durante una guerra di mafia tra la cosca catanese di Turi Cappello e il suo alleato Nino Cinturino e quella dei Laudani avvenuta tra il 1990 e il 1995. Tra gli arrestati altre due donne, Vincenza Barbagallo e Domenica Blancato, e tra le persone a cui il provvedimento e' stato notificato in carcere un'altra donna, Sebastiana Trovato. Con una lettera al quotidiano "La Sicilia", pubblicata il 19 dicembre 1996, la Messina lamenta di essere stata sottoposta al carcere duro, cioe' all'isolamento secondo l'articolo 41 bis. Sarebbe la prima donna soggetta a questo trattamento ("GdS", 11 gennaio e 19 dicembre 1996). * Tipologia delle donne di mafia: fedeli compagne, madrine, supplenti... Nell'esame della documentazione raccolta, per tratteggiare una tipologia delle "donne di mafia" abbiamo tenuto conto di vari fattori, come: la provenienza familiare, i comportamenti quotidiani, le azioni delittuose accertate e perseguite, le cointeressenze economiche, le reazioni di fronte agli arresti o alla notizia della collaborazione con la giustizia dei congiunti. Tra le donne di famiglie mafiose, abbiamo riscontrato una varieta' di comportamenti derivante dalla personalita' delle donne, che non si discosta molto dalla tipologia riscontrabile in altre famiglie, anche se la specificita' della provenienza mafiosa non puo' non esercitare un forte condizionamento, ma non fino al punto da tradursi in standard uniformi. Cosi' abbiamo donne nate in famiglie mafiose e sposate a mafiosi che obbediscono allo stereotipo delle "fedeli compagne", discrete e premurose, come Rosaria Castellana, moglie di Michele Greco soprannominato "il papa". Quando il marito, latitante, viene accusato della strage Chinnici, dichiara che e' tutta una "assurda macchinazione": "Il papa? Ho letto questo appellativo sui giornali... Lui e' un uomo cosi' tranquillo, sapeste! Adora me e suo figlio. Il tempo lo trascorreva tutto in campagna a curare i suoi agrumeti. E poi e' cosi' religioso" (Madeo, 1992, p. 76). La famiglia Castellana era una famiglia di grossi proprietari terrieri della zona di Ciaculli. L'educazione della signora Rosaria era stata quella che si dava alle ragazze destinate a fare un "buon matrimonio". Ha studiato musica e lingue straniere. Scrive poesie. Si interessa d'arte. "La mia vita trascorre tra casa e chiesa", dice. Una donna religiosa, come il marito. E religiose dichiarano di essere numerose altre donne di famiglie mafiose che coniugano cristianesimo e convivenza con l'assassinio. Per fare qualche esempio recente, ricordiamo Antonietta Brusca, che dopo l'arresto dei figli dichiara di averli educati nel timor di Dio e che la sua vita e' tutta casa e chiesa ("La Repubblica", 24 maggio 1996). Cosa che non le impedisce di essere l'intestataria dei conti bancari dove i suoi figli, educati cristianamente, depositavano il denaro acquisito con il traffico di droga ed altri traffici illeciti. Religiosissima e' Filippa Inzerillo autrice di un appello rivolto alle donne di mafia pubblicato dal "Giornale di Sicilia" il 2 novembre del 1996. La Inzerillo e' vedova di Salvatore, il capo di una delle piu' importanti famiglie mafiose ucciso nel maggio del 1981, due settimane dopo l'omicidio di Stefano Bontate, all'inizio della guerra di mafia che causo' centinaia di morti e porto' al predominio dei cosiddetti "corleonesi". Della famiglia Inzerillo furono uccisi anche due fratelli di Salvatore, due zii, un cugino e il figlio di sedici anni, Giuseppe, che aveva dichiarato di volere vendicare la morte dei congiunti. La signora Inzerillo, che ora fa parte di un cenacolo di carismatici scrive: "Donne di mafia, ribellatevi. Rompete le catene, tornate alla vita. Sangue chiama sangue, vendetta chiama vendetta. Basta con questa spirale senza fine. Lasciate che Palermo rifiorisca sotto una nuova luce, nel segno dell'amore di Dio. Lasciate che i vostri figli crescano secondo principi sani, capaci di esaltare quanto di bello c'e' nel mondo". La villa dove abita la Inzerillo, nella borgata Passo di Rigano, e' diventata luogo di preghiera. Ma malgrado la sua religiosita', che non abbiamo nessuna ragione di pensare che non sia sincera, la mentalita' mafiosa fa capolino nella risposta alla domanda se ha perdonato anche Toto' Riina: "E' solo un figlio (di Dio) che ha sbagliato. Ha lo spirito malato e dovrebbe pentirsi, non dico davanti ai magistrati, ma davanti al Signore, prima che sia troppo tardi". Come dire: l'unica giustizia e' quella divina, quella umana non conta nulla. Uno dei principi fondamentali del codice mafioso. Altre donne invece hanno un ruolo attivo, evidenziato con prese di posizione, in quelle che potremmo chiamare le "relazioni pubbliche" della mafia: donne che svolgono compiti criminali in prima persona (per esempio il traffico e lo spaccio di droghe) e che si possono definire "madrine" a pieno titolo, anche in presenza di uomini, o "supplenti" in seguito all'arresto o alla latitanza degli uomini. Di queste abbiamo gia' dato qualche esempio, ma l'elenco e' nutrito. Numerose sono le donne che si limitano a favorire le attivita' delittuose dei congiunti, risultando prestanome, proprietarie di quote o addirittura intestatarie di societa' e imprese per lo piu' usate per il riciclaggio del denaro sporco, proprietarie di immobili acquistati con denaro illecito, proprietarie di esercizi commerciali al posto dei mafiosi che non possono comparire (Santino - La Fiura, 1990). Ci si trova di fronte a situazioni notevolmente diverse. Ci sono le donne appartenenti a famiglie storiche della mafia, cioe' nate e cresciute in quell'ambiente e, come le ragazze dell'aristocrazia e dell'alta borghesia i cui matrimoni avvenivano e continuano ad avvenire prevalentemente nel loro ambiente, sposate con mafiosi di rango, per le quali e' ragionevole pensare che siano coscientemente partecipi delle attivita' dei congiunti; e ci sono le mogli di piccoli mafiosi, provenienti da ambienti non mafiosi e trovatesi a fare da prestanome probabilmente senza avere piena coscienza dell'origine del denaro impiegato. Un esempio interessante e' quello di Francesca Citarda, non tanto per il caso in se', quanto per l'atteggiamento del collegio che doveva giudicarla, frutto di una mentalita' retriva - questa si', rigidamente maschilista - e di giudizi stereotipati sulle donne meridionali ancora non del tutto scomparsi negli ambienti giudiziari. Francesca Citarda, moglie di Giovanni Bontate e figlia di Matteo Citarda, entrambi appartenenti a famiglie mafiose storiche, viene proposta per il soggiorno obbligato nel marzo del 1983, in applicazione della disposizione della legge La Torre che estende ai familiari e ai prestanome dei mafiosi le indagini patrimoniali, finalizzate alla confisca dei beni di cui non venga provata la legittima provenienza. Con lo stesso provvedimento viene richiesto il soggiorno obbligato per altre donne di famiglie mafiose: Rosa Bontate, sorella di Giovanni e Stefano e moglie di Giacomo Vitale, coinvolto nel falso sequestro Sindona; Epifania Letizia Lo Presti e Francesca Battaglia, rispettivamente sorella e moglie di Francesco Lo Presti, mafioso di Bagheria; Anna Maria Di Bartolo, moglie del mafioso Domenico Federico; Anna Vitale, cognata di Gerlando Alberti, proprietaria di una villa a Trabia trasformata in una raffineria di eroina e latitante da quando il laboratorio era stato scoperto. Queste donne sarebbero, secondo gli inquirenti, "organicamente collegate alla mafia ed inserite in quella fitta rete di legamenti col tessuto sociale e con l'apparato della cosa pubblica" rivelata dalle indagini patrimoniali (Cascio - Puglisi (a cura di), 1986, pp. 32 s.). Il matrimonio tra Francesca Citarda e Giovanni Bontate viene richiamato nel rapporto della questura come un evidente patto tra famiglie mafiose. Non vi e' dubbio che molti matrimoni tra appartenenti a famiglie mafiose sono fatti per consolidarne il potere, ma anche questo, come dicevamo, non e' uno specifico della mafia: la storia e' piena di matrimoni di convenienza fatti per ragioni di potere o per accumulare ricchezze, rare volte con il consenso, piu' spesso contro la volonta' delle donne. Per il pubblico ministero che fa la richiesta di soggiorno obbligato per Giovanni Bontate e per la moglie, il patrimonio dei due sarebbe in larga parte di origine illecita, costituito con il denaro del traffico di droga e il successivo riciclaggio (ibidem, p. 35). Il Tribunale di Palermo, presieduto dal giudice Michele Mezzatesta, accoglie la richiesta soltanto per Giovanni Bontate e respinge la richiesta di soggiorno obbligato e la confisca dei beni per Francesca Citarda, con una sentenza che provoca le proteste da parte delle associazioni femminili, come l'Associazione delle donne contro la mafia e l'Udi. Si legge nella sentenza (facciamo notare il confronto fatto con le terroriste, donne del Nord e quindi "emancipate" al contrario dalle donne meridionali): "... pur nel mutevole evolversi dei costumi sociali, non ritiene il Collegio di poter con tutta tranquillita' affermare che la donna appartenente ad una famiglia di mafiosi abbia assunto ai giorni nostri una tale emancipazione ed autorevolezza da svincolarsi dal ruolo subalterno e passivo che in passato aveva sempre svolto nei riguardi del proprio "uomo", si' da partecipare alla pari o comunque con una propria autonoma determinazione e scelta alle vicende che coinvolgono il 'clan' familiare maschile. Troppo lontane per ideologia, mentalita' e costumanza sono le cosiddette 'donne di mafia' dalle 'terroriste' che purtroppo hanno avuto un ruolo di attiva partecipazione alle bande armate che tuttora attentano alla sicurezza dello Stato e all'ordine democratico" (Tribunale di Palermo, 1983). Con analoghe motivazioni sono state prosciolte le altre imputate. In tal modo le donne di famiglie mafiose, secondo questi magistrati, non sono soggetti di diritto penale, sono solo delle eterne minorenni che consumano la loro esistenza all'ombra degli uomini, unici soggetti capaci di autodeterminazione nel clan familiare e quindi pienamente responsabili delle loro azioni. A nostro avviso l'unico modo per uscire dagli stereotipi correnti e' analizzare, senza preconcetti, la realta' e prendere atto della sua multiformita', mentre normalmente accade il contrario: si parte da idee correnti fuorvianti o inadeguate e si cercano conferme nei fatti, gridando alla "novita'" e alla "rottura" ogniqualvolta lo stereotipo risulta smentito dalla realta'. Un esempio recente: la lettera di Ninetta Bagarella, pubblicata su "La Repubblica" del 23 giugno 1996, che e' parsa a piu' d'uno la rottura del tabu' del silenzio e, sulla base dell'identificazione tra mafia e codice dell'omerta', intesa come silenzio impenetrabile, si e' salutata la presa di posizione della Bagarella come un'infrazione dell'omerta' e di per se' un atto al di fuori del codice comportamentale mafioso. Senza tenere conto che la Bagarella gia' piu' di 20 anni fa rilasciava interviste, faceva dichiarazioni e scriveva memoriali, ovviamente negando tutto, a cominciare dall'esistenza della mafia (nell'agosto del 1971 dice ai giornalisti che le chiedevano cos'e' la mafia: "la mafia e' un fenomeno creato dalla stampa per vendere piu' giornali"), protestava l'innocenza sua e dei suoi parenti, come continua a fare con la lettera recente, che non e' una presa di distanza ma una vera e propria apologia della mafia, di se', del marito, di quelle che chiama "le vere istituzioni", che inequivocabilmente sono quelle mafiose (si veda: Puglisi, 1996). * Le donne e il pentitismo Il comportamento delle donne di fronte ai congiunti pentiti ha dato luogo a letture del ruolo delle donne che in buona parte ricalcano l'immaginario consueto. Molte hanno accettato di condividere la vita blindata dei loro congiunti diventati collaboratori di giustizia, ma tante al contrario hanno preso le distanze, anche in modo eclatante, pubblicizzandolo attraverso l'uso dei media. Di fronte ad un tale atteggiamento molti hanno parlato di paura di ritorsioni ma soprattutto di donne-vittime, incapaci di sottrarsi a un destino gia' segnato. Abbiamo ricostruito vari casi e ipotizzato una chiave di lettura complessa: c'e' la paura ma c'e', o almeno ci puo' essere, una volonta' di persistenza nel ruolo, di cui si conoscono opportunita' e vantaggi, di fronte a un mondo che sembra crollare, travolgendo con se' opportunita' e vantaggi. Ed e' interessante notare come da molte espressioni si possa cogliere la netta prevalenza della famiglia mafiosa su quella naturale, nonostante tutto quello che si e' scritto sul familismo meridionale e mediterraneo, quando la collaborazione con la giustizia spezza o mette in crisi quella coincidenza o quel collegamento (si veda: Puglisi - Santino, 1995). E in questa apologia della mafia-famiglia ritroviamo solidali vecchie donne di mafia, come la cosiddetta "Nonna eroina", di cui abbiamo gia' parlato, e giovanissime, come le congiunte di Emanuele e Pasquale Di Filippo, i pentiti che hanno permesso l'arresto di Leoluca Bagarella. * Donne collaboratrici di giustizia Un altro fenomeno molto interessante da analizzare e' quello delle donne collaboratrici di giustizia. Soltanto alcune di loro si possono chiamare "pentite", secondo l'accezione impropria usata per i mafiosi maschi, nel senso che la loro collaborazione riguarda anche le loro attivita' illecite. La maggior parte delle donne collaboratrici di giustizia sono vedove, orfane, madri a cui hanno ucciso i figli, che solo dopo un avvenimento traumatico come la morte violenta di un loro congiunto, passano dal lutto privato alla testimonianza pubblica. Ma ce ne sono alcune che hanno trovato il coraggio di rompere con i loro parenti mafiosi non necessariamente in conseguenza di un lutto o di un provvedimento giudiziario. Le donne collaborano con motivazioni diverse (come vedremo, anche per vendicarsi) che non sempre si possono riportare a un calcolo opportunistico. Le collaborazioni, qualunque sia l'intento, sono certamente la spia di una crisi dell'universo mafioso ma anche su questo punto bisogna essere molto cauti: possono essere un modo per ottenere l'impunita' e un lasciapassare per la ripresa delle attivita'. Un'ulteriore dimostrazione dell'opportunismo mafioso, in omaggio al vecchio "calati juncu...". * Donne contro Nella nostra ricerca uno spazio importante ha l'analisi del ruolo delle donne nel movimento antimafia. Anche qui bisogna misurarsi con gli stereotipi. Secondo l'immaginario collettivo, prima tutti i siciliani, o quasi, erano complici o sudditi della mafia, nella maggior parte dei casi indifferenti, passivi e rassegnati; mentre da qualche anno, a far data dal delitto Dalla Chiesa (1982) o dalle stragi del '92 e del '93, tutti i siciliani, o quasi, sono contro la mafia etc. etc. La realta' e' ben diversa (si veda: Santino, 1995b). Il grande movimento antimafia e' alle nostre spalle ed ha avuto nel movimento contadino il suo principale protagonista, dai Fasci siciliani (1892-94) alle lotte degli anni '40 e '50. In questo movimento le donne hanno avuto un ruolo di primo piano. In parecchi paesi siciliani all'interno dei Fasci c'era una presenza massiccia di donne (nel Fascio di Piana dei Greci, su una popolazione di circa 9.000 abitanti, c'erano 2.500 uomini e circa 1.000 donne; nel Fascio di Campofiorito c'erano 214 donne, 80 in quello di San Giuseppe Jato (Ganci, 1977, pp. 362 s.)) e cio' suscito' la meraviglia di cronisti e analisti contemporanei, e anche nelle successive ondate di lotte le donne fecero la loro parte: una presenza significativa ma ignorata, se si toglie qualche caso, come quello della madre di Salvatore Carnevale, accusatrice degli assassini del figlio, al centro di un libro di Carlo Levi (Levi, 1955). In quelle fasi la lotta contro la mafia era lo specifico dello scontro di classe e si legava a un progetto complessivo di riforma sociale e di conquista del potere, a partire dalle amministrazioni locali. L'attuale movimento antimafia, che raggiunge dimensioni di massa in alcune manifestazioni ma poggia sull'attivita' continuativa di alcune centinaia di militanti impegnati nell'associazionismo e nel volontariato, nasce soprattutto dall'emozione suscitata da alcuni delitti e, nonostante qualche tentativo, non riesce a darsi un progetto, riflettendo la crisi delle grandi "narrazioni" di fine millennio. La componente femminile e' presente in questo movimento fin dai primi anni '80, con la nascita dell'Associazione donne siciliane per la lotta contro la mafia, promossa da donne che hanno voluto continuare in modo diverso una militanza iniziata in partiti e movimenti politici e da vedove di magistrati e di altri funzionari dello Stato uccisi dalla mafia: frutto di una presa di coscienza e di una rielaborazione pubblica del lutto (si vedano: Siebert, 1994, 1995) che ha come causa scatenante l'escalation della violenza mafiosa che, all'interno di una gara egemonica suscitata dall'incremento esponenziale dell'accumulazione illegale, colpisce esponenti delle istituzioni che si oppongono all'espansione del potere e degli interessi mafiosi. Abbiamo avviato un'esplorazione all'interno dell'antimafia al femminile, raccogliendo alcune storie di vita, a cominciare da quella di Felicia Bartolotta Impastato, madre di Peppino, pubblicata nel volume La mafia in casa mia. Le altre storie di vita raccolte sono quelle di Pietra Lo Verso e Michela Buscemi, donne del popolo palermitano costituitesi parti civili in processi di mafia, pubblicate nel volume Sole contro la mafia; di Giovanna Terranova, vedova del magistrato e presidente dell'Associazione delle donne contro la mafia; di Maria Benigno, una donna, anche lei di estrazione popolare, che ha avuto il coraggio di accusare dell'assassinio del fratello e del marito i killer della famiglia Marchese, tra cui Leoluca Bagarella. Abbiamo riflettuto sul ruolo delle storie di vita nella nostra ricerca (si veda l'Introduzione a Sole contro la mafia) e cercato di ricostruire non solo un brano (il trauma dell'uccisione di un congiunto e la reazione ad esso) ma un'intera vicenda esistenziale e il suo contesto ambientale. Donne di estrazione borghese e popolare si sono ritrovate all'interno dell'Associazione donne contro la mafia e piu' in generale del movimento antimafia, ma non sono mancati problemi, come quello dell'isolamento di Michela Buscemi e Vita Rugnetta, le uniche donne del popolo palermitano costituitesi parte civile nel primo maxiprocesso; di Piera Lo Verso, che ha accusato quello che riteneva fosse il mandante dell'uccisione del marito, ucciso con altre sette persone: lei e' stata l'unica tra i parenti delle otto persone uccise a fare la scelta di costituirsi parte civile. Per tutte la scelta di costituirsi parti civili e' stata causa di isolamento nella famiglia, nella parentela, nel vicinato. Michela Buscemi, Piera Lo Verso, Vita Rugnetta hanno visto scomparire i clienti dei loro esercizi commerciali e sono state costrette a chiuderli andando incontro ad una grave situazione economica. Ma questo tipo di isolamento possiamo dire che fosse nel conto, in una Palermo che mentre diserta la macelleria di Piera Lo Verso, rea di essersi rivolta alla giustizia, ha continuato a servirsi della macelleria di Domenico Ganci, in pieno centro cittadino e a due passi dalla casa di Giovanni Falcone, anche dopo il suo arresto e la sua incriminazione per la partecipazione a tanti delitti, tra i quali la strage di Capaci. Ma se questo isolamento era prevedibile, quello che non era nel conto era l'isolamento di gran parte del movimento antimafia, derivante in primo luogo dallo stereotipo secondo cui la mafia e' solo un'associazione criminale contro cui lottano giudici e uomini delle forze dell'ordine etichettati come "servitori dello Stato", una guerra tra guardie e ladri. Ad aiutare queste donne nel momento di maggiore esposizione sono stati soltanto il Centro Impastato e l'Associazione donne contro la mafia, e, per quanto riguarda la seconda, con qualche lacerazione al suo interno. Abbiamo aiutato queste donne non solo perche' le abbiamo sentite vicine umanamente ma anche perche' abbiamo una concezione diversa della mafia e dell'antimafia. * Riferimenti bibliografici AA. VV., Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, F. Angeli, Milano 1992. - Bartolotta Impastato Felicia, La mafia in casa mia, intervista di A. Puglisi e U. Santino, La Luna, Palermo 1986. - Cascio Antonia - Puglisi Anna (a cura di), Con e contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta contro la mafia, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1986. - Chinnici Giorgio - Santino Umberto, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, F. Angeli, Milano 1989. - De Mauro Mauro, La vedova Battaglia accusa, "L'Ora", 21 gennaio 1964. - Ganci Massimo, I fasci dei lavoratori, S. Sciascia, Caltanissetta-Roma 1977. - Levi Carlo, Le parole sono pietre. 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MARIATERESA FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI: LE BUGIE DI ISOTTA Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Le bugie di Isotta. Immagini della mente medievale, Laterza, Roma-Bari 1987, 2002, pp. VIII + 216, euro 6,50. Una acuta e appassionante ricognizione. 6. RILETTURE. MARIATERESA FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI E MASSIMO PARODI: STORIA DELLA FILOSOFIA MEDIEVALE Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri e Massimo Parodi, Storia della filosofia medievale, Laterza, Roma-Bari 1989, 1996, pp. XX + 506, lire 15.000. Un utile manuale che si potrebbe proficuamente leggere in parallelo con i classici lavori di Gilson e Brehier. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 615 del 18 luglio 2003
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