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La nonviolenza e' in cammino. 610
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 610
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 13 Jul 2003 00:26:47 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 610 del 13 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Un convegno a Viterbo 2. Mauro Laeng: una considerazione su religioni e violenza 3. Maria G. Di Rienzo: come facilitare un dialogo 4. Zenone Sovilla: tra emergenza e utopia 5. Ida Dominijanni: le mezze luci dell'Europa 6. Augusto Cavadi: la teologia fuori dalle Chiese 7. Marco D'Eramo: per la critica delle ong 8. Presentazione di Vittorio Giacopini, La comunita' che non c'e' 9. Un dossier di "Opposizione civile" oggi in edicola 10. Riletture: Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia 11. Riletture: Maria Antonietta Calabro', In prima linea 12. Riletture: Claire Sterling, Cosa non solo nostra 13. Riletture: Claire Sterling, Un mondo di ladri 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. UN CONVEGNO A VITERBO [Da vari amici riceviamo e volentieri diffondiamo. "Cem-Mondialita'" e' un'eccellente rivista pedagogica interculturale animata da carissimi amici (per contatti: www.saveriani.bs.it/cem)] Il 23- 28 agosto 2003 si svolgera' a Viterbo (localita' la Quercia, presso il seminario diocesano) il quarantaduesimo convegno nazionale di "Cem-Mondialita'" sul tema: "Per una educazione capace di futuro. Sulle rotte dell'arcobaleno". Per informazioni: www.saveriani.bs.it/cem/convegno * Nell'ambito del convegno martedi' 26 agosto 2003 alle ore 18 si terra' anche la presentazione del libro di AA. VV., E' l'ora delle religioni, Emi, Bologna 2002. Gli autori dei saggi contenuti nel libro, sono specialisti che hanno dato vita ad un convegno organizzato dal Cem in aprile a Brescia. Vengono considerati alcuni problemi di fondazione epistemologica, le questioni politiche inerenti la specificita' italiana circa l'insegnamento della religione a scuola, lo scenario culturale, il pluralismo religioso, i fondamentalismi delle religioni, un nuovo modo di pensare la laicita' in rapporto alla confessionalita', le radici culturali dell'Occidente, le esperienze che in ambito di istruzione religiosa in chiave interculturale vengono condotte sia in Italia che all'estero. 2. MAESTRI. MAURO LAENG: UNA CONSIDERAZIONE SU RELIGIONI E VIOLENZA [Ringraziamo di cuore Mauro Laeng (per contatti: maurolaeng at tiscali.it) per averci inviato, insieme ad alcune righe di generosa amicizia, queste parole di saggezza che ci piace ostendere a tutti i lettori. Mauro Laeng, docente emerito dell'Universita' di Roma, e' una delle figure di riferimento della cultura pedagogica italiana del Novecento; ha avuto prestigiosissimi incarichi e reponsabilita' a livello nazionale e internazionale (dal Cnr all'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, dal Consiglio d'Europa all'Unesco), ha diretto alcune delle piu' importanti riviste di pedagogia e didattica, la sua produzione scientifica e' vastissima; tra le sue numerosissime opere segnaliamo ad esempio Problemi di struttura nella pedagogia, 1960; Lessico pedagogico, 1968; L'educazione nella civilta' tecnologica, 1969; Educazione in prospettiva, 1970; Lineamenti di pedagogia, 1973; La scuola oggi, 1976; I contemporanei, 1980; Audiovisivi e scuola, 1980; Educazione alla liberta', 1981; Movimento gioco e fantasia, 1983; I nuovi programmi per la scuola elementare, 1984; Pedagogia e informatica, 1985; (con Graziella Laeng), Nuovi lineamenti di didattica, 1986; e vari altri ancora] Il tema "religioni e violenza" presenta aspetti drammatici che dissipano molte generose illusioni; ma bisogna riproporre vedute liberali sul pluralismo evitando ogni spirito di crociata. 3. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COME FACILITARE UN DIALOGO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Un buon dialogo e' quello che offre a coloro che vi partecipano l'opportunita' di: - ascoltare ed essere ascoltati; - parlare e ed essere interpellati in modi rispettosi; - sviluppare o approfondire la propria capacita' di comprensione; - apprendere le prospettive altrui e riflettere sulle proprie. Piu' fondamentali ed appassionate sono le differenze fra chi dialoga, piu' importante diviene l'articolare chiaramente delle linee guida comunicative ed osservarle. Dialogare in questo modo non prende maggior tempo delle conversazioni a cui siete abituati/e: di seguito vi mostrero' che potete farlo in un gruppo di una decina di persone impiegando circa due ore (se avete piu' tempo, o se ci sono piu' persone, allungate pure i periodi dal 4 al 6). 1) Benvenuto e orientamento (5 minuti); 2) Accordi (10 minuti); 3) Introduzione e speranze (10 minuti); 4) Prima domanda (30 minuti); 5) Seconda domanda (30 minuti); 6) Discussione facilitata (30 minuti); 7) Parole di commiato (15 minuti). * Benvenuto e orientamento Scopi: dare il benvenuto ai partecipanti nella conversazione; ricordare loro lo scopo e lo spirito del dialogo; accennare a come si sviluppera' il dialogo, di modo che ciascuno sappia cosa aspettarsi. Dite qualcosa del genere, accordandolo allo scopo dell'incontro: "Benvenute e benvenuti. Sono felice che abbiate deciso di partecipare a questo dialogo. Ognuno di noi ha ricevuto un impatto differente rispetto a ... (la situazione che intendete discutere) e a cio' che e' accaduto dopo (le conseguenze della situazione). Io spero che questo sia il momento in cui vi sentirete completamente libere e liberi di parlare della vostra esperienza e del vostro punto di vista, e che sia anche il momento in cui ascolterete con attenzione, anche se quello che sentirete potra' urtarvi. Esaminando diversi punti di vista, lasceremo questo incontro con nuove prospettive. E, al minimo, ci comprenderemo meglio gli uni con gli altri. Lasciate che vi dica qualcosa rispetto allo svolgimento dell'incontro: cominceremo con il convenire su alcune linee guida, poi avremo un breve scambio in cui ciascuno di voi dira' perche' ha deciso di partecipare e quali sono le sue speranze rispetto al dialogo. Successivamente, vi porro' due domande a cui rispondere e infine avremo mezz'ora in cui potrete esplorare le connessioni fra le vostre diverse esperienze ed opinioni. Queste connessioni potranno prendere la forma di domande, o notare semplicemente le somiglianze e le differenze ed indagarle un po' piu' approfonditamente. Infine, ci prenderemo il tempo di salutarci. Dovremmo finire entro le ... Potete restare tutti fino a quell'ora? (Se qualcuno deve andarsene prima, stabilite come se ne andranno: se salutando o andandosene senza interrompere, e stabilite anche come avrete il loro commento sulla parte in cui sono stati presenti). Vi ho messo a disposizione carta e penna perche' possiate prendere appunti: questo vi permette di annotarvi cio' su cui pensate di intervenire o le vostre riflessioni senza smettere di ascoltare. Come facilitatore, io vi guidero' attraverso il dialogo, e faro' in modo che gli accordi che avete preso collettivamente vengano rispettati o rinegoziati. Vi chiedo di limitare i vostri interventi entro i tre minuti: vi segnalero' se state oltrepassando questo tempo e questo significhera' che voi completerete il vostro pensiero, non che vi fermerete nel bel mezzo della frase". Se voi stessi parteciperete alla discussione, aggiungete questo: "Poiche' anch'io prendero' parte al dialogo, vi chiedo di intervenire qualora io non rispettassi gli accordi. Sapendo che lo farete, mi sentiro' piu' libero/a di partecipare." * Accordi Scopo: stabilire uno schema comunicativo che ciascuno comprenda, e che ciascuno trovi utile al dialogo. Dite qualcosa del genere: "Adesso ci accorderemo sui modi della nostra comunicazione. Su questo foglio appeso al muro sono segnati alcuni accordi che altre persone hanno usato in passato per creare un ambiente favorevole al dialogo. Per favore, prendetevi un momento per leggerli e pensate se volete usarne alcuni, o adattarne alcuni per il nostro gruppo". (se preferite, potete leggerli a voce alta). Esempio: a) Lo spirito della parola e dell'ascolto: 1) parleremo per noi stessi e sulla base della nostra esperienza; 2) ascolteremo con attenzione, astenendoci dal criticare, attaccare, interrompere, tentare di persuadere altri; b) La forma della parola e dell'ascolto: 1) osserveremo nei nostri interventi i limiti di tempo che ci siamo dati; 2) "passeremo" se non desideriamo parlare. Dopo aver letto queste o altre linee guida, chiedete se ci sono domande, se si suggeriscono revisioni, adattamenti, aggiunte. Quando l'accordo e' raggiunto chiedete: "Avete tutte e tutti l'intenzione di seguire queste linee guida, e di permettermi di ricordarvele se le dimenticate? Bene, allora questi sono i nostri accordi". * Introduzione e speranze Scopi: creare un senso di condivisione delle speranze dei partecipanti rispetto al dialogo, di cio' che essi vi portano, e di cio' che vorrebbero sperimentare in esso. Potete dire qualcosa del genere: "Cominciamo con il dirci i nostri nomi e ... 1) cosa ci ha spinto ad essere presenti a questo dialogo, oppure 2) cosa speriamo di imparare da questo dialogo, o ancora 3) cosa potrebbe accadere durante questa conversazione che ci renderebbe felici di aver deciso di partecipare. Per favore, siate brevi: una frase o due basteranno. Comincero' io." (in questo modo, come primo parlante, modellerete la brevita' che chiedete). * Prima domanda (tempo per ogni risposta: 3 minuti) Scopo: invitare i partecipanti a connettere il loro responso alla situazione di cui si deve discutere con la loro personale esperienza. "Come questo evento vi ha colpito personalmente? C'e' qualcosa che vorreste condividere, su voi stessi e la vostra vita, sulle vostre esperienze ed il modo in cui avete risposto?". Oppure: "Quali pensieri e sentimenti provate se riflettete sull'evento e su quanto e' accaduto dopo?". "Innanzitutto, prendiamoci un momento di silenzio per raccogliere i pensieri". Dopo la pausa, ripetete la domanda: "Chi si sente pronto puo' cominciare, poi andremo a turno. Chi non si sentisse di parlare quando tocca a lui o lei, passi, e io mi incarichero' di verificare piu' tardi se questa persona desidera intervenire." * Seconda domanda (tempo per ogni risposta: 3 minuti) Scopi: incoraggiare i partecipanti a riflettere su aspetti delle loro opinioni che non vengono espressi usualmente; far scaturire nuove informazioni che possano essere di stimolo per la connessione fra punti di vista differenti e nuove prospettive. "Avete incertezze oggi rispetto ad opinioni che avevate in passato sulla questione? Potete dire qualcosa sulle certezze e sulle incertezze che avete portato in questa conversazione?". Oppure: "Cos'e' cambiato, se e' cambiato, nel modo in cui pensate alle vostre relazioni (al vostro gruppo, alla situazione nazionale, alla situazione internazionale, ecc.; dipende da che cosa state discutendo)? Cos'e' rimasto uguale?". Oppure: "Fra le vostre opinioni rispetto all'accaduto ci sono aree di incertezza, valori che confliggono, o dilemmi di cui vorreste parlare?". Ripetete la pausa per raccogliere i pensieri, e dopo la pausa ripetete la domanda. * Discussione facilitata Scopo: permettere ai partecipanti di interagire e di costruire connessione fra i propri pensieri e sentimenti e quelli altrui. "Ora siamo giunti al punto del nostro tempo insieme in cui parlare piu' liberamente. Mentre ci muoviamo in questo modo meno strutturato, e' importante ricordare perche' siamo qui: per parlare sinceramente e ascoltare con il cuore, per riflettere sulle nostre convinzioni e per cercare comprensione delle convinzioni altrui. Questo e' il momento in cui fare connessioni fra cio' che avete in mente e cio' che altre persone hanno detto. Potete identificare uno scopo, esplorare differenze e somiglianze, fare domande o commenti. Quando volete parlare, alzate una mano". Contribuite a connettere i partecipanti sottolineando i "picchi" d'apprendimento (quando idee nuove emergono), chiarificando le differenze (invitando chi e' in disaccordo con qualcosa a verificare dapprima se ha capito correttamente cosa e' stato detto), incoraggiando a porre domande che siano genuina curiosita', e non sfide mascherate. * Parole di commiato Scopi: incoraggiare la riflessione su cio' che i partecipanti hanno imparato o valutato; invitare i partecipanti a dire qualcosa che rifletta il significato della loro partecipazione. "Il nostro tempo insieme, qui, e' giunto alla fine. Ci sono delle parole di commiato che vorreste dire per chiudere l'incontro? Potete fare un semplice commento sull'esperienza di oggi. O potreste voler esprimere un'idea, un sentimento, una promessa che portate da qui con voi. Oppure potreste dire cio' che ricorderete di questa conversazione, o cio' che condividerete di essa con altri". Al termine ringraziate i partecipanti, e ricordate che vi piacerebbe sentire i loro commenti sul dialogo fra qualche giorno, quando avranno riflettuto su di esso. Lasciate loro i vostri recapiti. 4. RIFLESSIONE. ZENONE SOVILLA: TRA EMERGENZA E UTOPIA [Il testo seguente e' un ampio stralcio da una lettera personale di Zenone Sovilla, giornalista e saggista, militante antimilitarista e libertario, amico della nonviolenza, animatore della pregevolissima esperienza del sito e della casa editrice di "Nonluoghi" (www.nonluoghi.it), un amico prezioso con cui sentiamo una profonda affinita'] L'altroieri sono andato ad Arco - vicino a Riva del Garda - ad ascoltare padre Zanotelli. Tra le altre cose (si parlava di privatizzazioni globali dell'acqua e di altri beni/servizi essenziali), Alex ha ricordato che alla fine in Parlamento e' stato beffato sulle modifiche della 185, perche' al momento del voto in commissione mancavano quasi tutti i membri della Margherita. Il groppo che solitamente mi prende quando ragiono di certe cose mi si e' stretto. Mi e' venuto in mente una volta che, circa vent'anni fa a Belluno, la mia citta', ascoltai Zanotelli - credo all'epoca ancora direttore di "Nigrizia" - in una serata che avevamo organizzato come Lega obiettori di coscienza. Mi ricordo che i discorsi su armi e Nord-Sud erano gli stessi, solo oggi aggravati e piu' inquietanti e in uno scenario - quello contemporaneo - affollato da molti altri pesantissimi allarmi locali e globali di precarieta', assalti continui al diritto all'esistenza, alla democrazia, al lavoro non disumanizzante, alla lotta per un mondo meno ingiusto e meno violento. Mi e' venuto in mente anche che a quei tempi, quando si volantinava e si facevano interventi nelle scuole per dire che senza l'esercito e' meglio, Francesco Rutelli stava ancora - credo - nella Lega per il disarmo unilaterale di Cassola. Oggi mi pare stia nella Margherita. In vent'anni l'emergenza si e' aggravata, tutto peggiora a velocita' supersonica. C'e' gente che finisce in carceri semiprivatizzati di terzo settore (i Cpt), senza accuse, senza reati e senza processo. Ma questo e tutto il resto sembra normale. Come gli assalti alle tutele contro l'imbarbarimento del lavoro. Il referendum fallito credo sia una prova della interiorizzazione tragica del sistema: le vittime complici. E la crisi della sinistra, che vaga a vuoto scimmiottando il liberismo senza un'alternativa seria da proporre ne e' un'altra triste e disperante dimostrazione. Eppure la sala di Zanotelli l'altra sera era piena. Erano piene anche le strade di bandiere della pace e i balconi ancora oggi, con i colori mangiati dal sole, quasi a ricordare che tra i cortei e le vacanze al mare c'e' stato il campo di battaglia. Purtroppo, quella societa' civile che diventa soggetto politico in cui spera Zanotelli non e' servita a fermare una guerra ed e' costretta a rincorrere e a tamponare i guasti di una macchina-sistema tragicamente fluida, fluidificante e ramificata, forse fin dentro le coscienze di noi tutti. Ma questo pessimismo non e' una ragione per desistere, anzi. Per quanto mi riguarda sento piu' forte il desiderio di alzare la testa, dall'emergenza con lo sguardo all'utopia; di ripetere - per esempio - che una comunita' "e'" senza esercito per seppellire per sempre il mostro della violenza; che un'economia e' solo con la democrazia degli eguali che possano realmente decidere insieme di che cosa e come produrre e consumare. Una comunita' e' se una questione come quella dell'acqua - e tutte le infinite e drammatiche emergenze - diventa centrale nel dibattito collettivo, dentro e fuori le istituzioni che si accalorano invece sull'accaparrarsi strumenti di persuasione di massa. Porre al centro davvero le emergenze umane (e ambientali) significa inveitabilmente alzare lo sguardo anche verso l'orizzonte dell'utopia, rimettere in discussione tutto, ragionare di nuovo sulle basi della convivenza umana e tra la nostra specie e il pianeta. Per ora si affollano le sale e le piazze, ma le guerre e i processi di mercificazione planetaria non rallentano. Mancano strumenti per fermarli e, probabilmente, anche il desiderio sociale di questa lotta epocale che si scontra con il radicamento negli individui degli stereotipi veicolati dalle agenzie formative (scuola, tv, mass media e loro riverberi sociali). 5. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LE MEZZE LUCI DELL'EUROPA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 luglio 2003. Ida Dominijanni (per contatti: idomini at ilmanifesto.it) e' una prestigiosa intellettuale femminista] Sospesa fra l'approvazione della convenzione di Bruxelles e la ratifica della conferenza intergovernativa a presidenza italiana (che potrebbe peggiorarla), la bozza di Costituzione europea passa dalle istituzioni al vaglio dell'opinione pubblica, in materia alquanto assopita, almeno in Italia, salvo l'attenzione che al processo costituente europeo dedicano fin dall'inizio alcune comunita' intellettuali e politiche. Fra queste, la fondazione Basso di Roma, presieduta dalla deputata europea Elena Paciotti, che della convenzione per la Costituzione - e, prima, di quella per la Carta euopea dei diritti - e' stata protagonista attiva. E' lei a sottoporre al gruppo di giuristi e filosofi che per la fondazione ha seguito tutte le tappe della nascita dell'Unione il temario dell'ultima stazione: la valutazione del "passo storico" rappresentato dalla bozza, le lacune che essa presenta rispetto all'obiettivo di un'Europa all'altezza delle sfide della globalizzazione, il contrasto fra logica della rappresentanza parlamentare e logica intergovernativa che s'e' visto nella convenzione, la latenza di una classe politica europeista adeguata al compito. Una classica situazione di "mezza luce", dira' alla fine il direttore della fondazione Giacomo Marramao, come si addice a un'epoca di passaggio come la nostra e a un percorso aperto come quello europeo. E' sotto questa mezza luce che bisogna mettere a fuoco le due domande principali, "quale Costituzione" e "quale Europa" stanno venendo al mondo. Due domande correlate ma distinte, perche' distinti e correlati sono il piano giuridico e il piano storico-politico della questione, e anzi uno dei suoi punti d'interesse sta proprio nell'analizzare come si intersecano. Giuridicamente parlando, si puo' discutere in primo luogo se la proposta licenziata dalla convenzione Giscard sia gia' una vera e propria Costituzione, o ancora solo un trattato. Piu' un trattato che una Costituzione, sostiene Maurizio Fioravanti, perche' non contiene dei veri e propri principi costituzionali, e perche' per l'adesione dei singoli paesi non si e' voluta adottare una procedura referendaria comune: bisognava che i popoli europei votassero lo stesso giorno con le stesse regole, invece ciascuno fara' secondo le procedure nazionali, quasi che il popolo europeo esistesse ancora solo per sommatoria. Tuttavia, dice lo stesso Fioravanti, la tendenza di fondo porta verso un'Unione piu' coesa, ed e' quella che prevarra'. Altri giudizi sono infatti ancora piu' positivi. Andrea Manzella vede nel trattato una Costituzione che resta aperta al processo costituente, coerentemente con la natura di un diritto costituzionale europeo che opera "per osmosi, intuizione, contagio", tant'e' vero che alcuni principi comunitari, come quello di proporzionalita' e di sussidiarieta', gia' sono trasmigrati negli ordinamenti nazionali; dunque non siamo al traguardo, ma "si puo' proseguire". Luigi Bonanate e' soddisfatto di come, in materia di politica estera, il trattato gia' sancisca la netta prevalenza dell'interesse comunitario sugli interessi nazionali: "il nazionalismo non potra' albergare nell'Unione". Alessandro Pizzorusso, pur definendo la bozza "una Costituzione ottriata, per il modo in cui e' stata scritta e per la procedura di revisione che contempla" (quest'ultima ancora sottoposta, purtroppo, alla regola dell'unanimita'), ne mette in risalto gli aspetti dinamici, primo tra i quali l'accelerazione del controllo di costituzionalita', e cosi' pure Valerio Onida, convinto che la Costituzione comincera' a funzionare come tale non appena inneschera' dei conflitti fra giurisdizioni e giurisprudenze nazionali e comunitarie. La parte trainante del trattato, da questo punto di vista, resta la Carta dei diritti che vi e' stata incorporata: impugnabile anche su scala nazionale, sostiene Papi Bronzini, adatta a interpretare nuove esigenze e a tutelare nuove soggettivita', e a innescare campagne di emancipazione e di liberazione, purche' la rappresentanza politica e sociale, i sindacati in primo luogo, se ne convincano e abbandonino trincee piu' arretrate. Alla fine, i cittadini europei saranno quelli che nel mondo godono di maggiori diritti, riassume Federico Petrangeli pur ricordando gli sgambetti che alla Carta dei diritti sono stati fatti in convenzione fino all'ultimo. E comunque, con la Carta non entra in Costituzione solo un catalogo di diritti, sottolineano Rodota' e Marramao, ma un principio di legittimita' basato sui diritti della persona che bilancia la legittimazione puramente elettorale basata sulla sovranita' popolare tanto cara al nostro attuale governo. E le ombre? Compaiono quando si parla di politica economica, rimasta secondo Giorgio Ruffolo del tutto "periferica" nel processo costituente malgrado "il miracolo" fatto con l'euro. E compaiono soprattutto quando si parla di forma di governo. Li' il compromesso che ha dato luogo alla troika di poteri - presidente del consiglio, presidente della commissione, ministro degli esteri che a sua volta e' contemporaneamente emanazione del consiglio, vicepresidente della commissione e presidente del consiglio per gli affari esteri - somiglia piu' a un pasticcio che a una struttura istituzionale. Lepoldo Elia teme che non potra' funzionare. E Massimo Luciani, che sull'insieme del trattato esprime piu' di una riserva - a partire dal carattere "raggelante" del preambolo - rileva che nella forma di governo mancano le figure rappresentative dell'unita' dell'Unione, mentre le funzioni di rappresentanza politica sono frammentate e l'organizzazione delle prestazioni di governo prelude a sicuri conflitti fra i due presidenti della commissione e del consiglio. Conclusione: "molti elementi di opacita' e di incertezza". Le opacita' giuridiche riflettono del resto incertezze storiche e politiche. Giorgio Napolitano, presidente della commissione affari costituzionali che sta elaborando il parere del parlamento di Strasburgo sul progetto di Costituzione, mette a fuoco uno dei problemi principali, quello che riguarda la forma politica di una Unione che nasce in tempi di crisi dello stato-nazione, in questi termini: "Non credo al post-statuale ne' al post-nazionale, bensi' al sovranazionale. E non vedo sostituzione ma integrazione fra il livello nazionale e quello comunitario, anche se e' chiaro che l'asse della politica si inclina, come dice Habermas, verso Bruxelles". E' un buon modo di razionalizzare "con realistica gradualita'" il problema, ma ci si puo' spingere oltre. Marramao parla piu' nettamente di una Costituzione "senza Stato e dopo lo Stato": fermo restando che il "dopo" non annulla, ma rideclina e derubrica la costellazione politica statuale, e soprattutto smonta la costruzione identitaria e la logica di potenza che hanno accompagnato la parabola dello Stato moderno. Un'Europa che sa di essere fatta di differenze non puo' riproporre infatti ne' la prima ne' la seconda. Quanto alla prima, Rodota' non e' convinto ne' che sia compito delle costituzioni produrre identita', ne' che la costruzione di identite' forti sia piu' in generale auspicabile in un mondo in cui l'identita' non e' un dato o un certificato ma un problema e un prodotto. Quanto alla seconda, e' Bonanate a rifiutare senza mezzi termini l'idea che l'Europa debba nascere come potenza contrapposta agli Usa ma interna alla stessa logica di difesa e offesa. Il rapporto con l'altra sponda dell'oceano si gioca, nel pianeta globale, su altri piani: in primo luogo, sostiene Marramao, sulla capacita' dell'Europa di proporre, dentro l'Occidente, un modello altro sia da quello individualistico americano sia da quello comunitarista asiatico. Ripartendo dal meglio del suo passato. E puntando a diventare, ereditando il meglio anche da li', il futuro dell'America. 6. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LA TEOLOGIA FUORI DALLE CHIESE [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sull'edizione palermitana di "Repubblica" il 14 maggio 2003. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Ricordate i film di Bergman? Qualche volta capitava che dei giovanottoni facevano a pugni per questioni di donne e di religione. Ci sono Paesi europei, come la Germania o la Svezia, in cui e' normale che uno studente di giurisprudenza o di fisica inserisca nel piano di studi un esame di teologia. Nessuno gli chiede conto delle convinzioni private in campo religioso, cosi' come non lo si costringe a dichiarare i gusti estetici se segue lezioni di critica d'arte ne' idee metafisiche se frequenta un corso di filosofia. Non cosi' in Italia dove la teologia o si studia in facolta' ecclesiastiche o non la si puo' studiare per nulla. Sin dal XIX secolo la Chiesa cattolica ha preteso il monopolio dell'insegnamento della teologia e, per miopia strategica, lo Stato laicista post-risorgimentale si e' dimostrato felice di concederglielo (ritenendo di alleggerirsi del peso superfluo di problematiche medievali): col risultato, alquanto paradossale, che nelle Universita' statali non si puo' discutere mai liberamente di temi quali l'ispirazione della Bibbia o il senso della preghiera. Il cittadino medio e' privato della possibilita' di ricevere in questi ambiti disciplinari un insegnamento da parte di docenti che siano tali non in forza di una appartenenza confessionale, bensi' solo sulla base di titoli culturali verificati (piu' o meno onestamente) dalla comunita' scientifica. Questa divisione del lavoro fra specialisti in teologia (legati istituzionalmente alla Chiesa cattolica o, in un singolo caso, alla Chiesa valdese) e intellettuali "laici" si e' dimostrata, nel corso dei decenni, catastrofica: sia per la comunita' cristiana (isolata dalle domande, dalle inquietudini e dalle intuizioni della societa effettiva, reale) sia per la comunita' civile (sprovveduta davanti agli interrogativi religiosi e condannata, dunque, a scegliere fra l'obbedienza cieca agli "esperti" e l'ignoranza di chi elude con aria di sufficienza le questioni). Della sterilita' di questa situazione si vanno rendendo conto quelle persone, quei gruppi, quei centri di studio che - in misura crescente - si occupano di questioni teologiche su basi non fideistiche, ma scientifiche: che cioe' interrogano la Bibbia, il Corano e gli altri testi sacri dell'umanita' adottando gli strumenti critici che la storia, l'archeologia, la filologia, la psicologia, la sociologia e le altre scienze umane hanno approntato dall'Illuminismo ai nostri giorni. E sulla stessa lunghezza d'onda si collocano le proposte di sostituire l'apprendimento (attualmente facoltativo) della religione cattolica nelle scuole con lezioni (curricolari a tutti gli effetti) di storia delle religioni, affidate a docenti preparati e capaci, indipendemente dal loro rapporto privato con le autorita' ecclesiali. Da questo fervore di ricerca emergono sempre piu' frequentemente opere di notevole valore destinate a informare e ad offrire elementi preziosi di riflessione a lettori "credenti" e "noncredenti" (purche', direbbe il cardinal Martini, "pensanti"). Di una delle piu' recenti di queste pubblicazioni (Gesu' ebreo di Galilea. Indagine storica, del biblista Giuseppe Barbaglio, Edizioni Dehoniane, Bologna 2002) si e' discusso lunedi' scorso nella Chiesa Santa Maria del Perpetuo Soccorso all'Uditore [a Palermo], come annunciato sul giornale di domenica. La nostra citta' non e' nuova ad iniziative del genere. Essa ospita da quindici anni, ad esempio, una delle cinque redazioni (le altre sono a Torino, Bologna, Roma e Salerno) che, in sinergia costante, curano la pubblicazione della rivista quadrimestrale "Filosofia e teologia" (edita dalle Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli), considerata ormai un punto di riferimento imprescindibile per il dialogo fra cattolici, protestanti e "laici" di diversa ispirazione proprio sulle problematiche teologico-religiose. Ad ulteriore conferma dell'interesse notevole che tali problematiche continuano a riscuotere quando vengono affrontate senza pregiudizi dogmatici, oggi alle 17 a Palazzo Branciforte in via Bara all'Olivella sara' l'Associazione internazionale di studi e ricerche "F. Nietzsche" (si', proprio lui: l'autore dell'Anticristo), in collaborazione con la Fondazione culturale "L. Chiazzese", ad organizzare una conferenza-dibattito del filosofo Alfredo Fallica su Gesu'. Perche' e' cosi' difficile amare il prossimo? Anche in questo caso sono previsti alcuni interventi di studiosi cittadini di varia estrazione. Iniziative del genere sono incoraggianti, ma non ancora sufficienti a spezzare vecchie prospettive mentali e ad aprire nuovi scenari. Sino ad oggi, infatti, capita che queste incursioni in ambito teologico da parte di intellettuali non-autorizzati attirino i sorrisini ironici degli ambienti "laici" (che sentono puzza di sacrestia dovunque si parli di Dio, anche solo come ipotesi di lavoro) come le preoccupazioni degli ambienti confessionali (sempre pronti ad accusare di eresia quanti provano a vedere le stesse questioni da un'angolazione inedita). Eppure, si deve andare avanti. E' vero che se si accende una discussione teologica a trecentosessanta gradi molte posizioni vengono sconvolte, molti luoghi comuni restano spiazzati: e puo' capitare che molti di quelli che si credono "dentro" si scoprono "fuori", come molti di quelli che si ritengono "lontani" dalla sfera del Mistero si scoprono "vicini". Sottoporre a verifica le proprie idee - in questo caso la propria fede infantile o il proprio scetticismo adolescenziale - e' certamente scomodo, talora pericoloso. Ma e' un rischio da correre. Se la cultura occidentale non e' in grado di fare i conti con la propria tradizione teologico-spirituale; se non e' disposta a rivedere criticamente la propria immagine dell'Assoluto, dell'ambiente naturale, della storia, degli strati sociali impoveriti, della donna, degli omosessuali; se non e' matura per un confronto ampio e spregiudicato - gia' al proprio interno - fra le diverse interpretazioni religiose del mondo e della vita, come puo' sperare di apparirlo all'esterno, nel rapporto con le altre tradizioni culturali e con le altre civilta'? 7. RIFLESSIONE. MARCO D'ERAMO: PER LA CRITICA DELLE ONG [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2003. Marco D'Eramo e' uno dei piu' acuti giornalisti e saggisti, esperto di questioni internazionali, ha scritto e curato vari utili libri. Ovviamente questa analisi di Marco D'Eramo presenta aspetti ingiusti e inammissibili, e semplificazioni eccessive e quindi anche talune imprecisioni inaccettabili. Ma nel cuore e nel filo del suo ragionamento essa ci sembra per molti versi condivisibile; e sono cose su cui anche su questo foglio da anni cerchiamo di richiamare l'attenzione] La scena del dopoguerra iracheno e' segnata da un'assenza, quella delle Organizzazioni non governative (Ong). Non che siano proprio inattive, ma certo non ricevono le luci della ribalta come invece in Kosovo o in Afghanistan, per citare le due crisi piu' recenti. A Baghdad sembra si avveri la profezia formulata da John Fawcett, che diresse i programmi dell'International Rescue Comettee (Irc) a Sarajevo durante l'assedio (1992-'95): "Nelle crisi a venire i governi finanziatori assolderanno societa' private perche' facciano cio' che adesso fanno le Ong. Forse saranno piu' efficienti, ma sara' comunque un guaio perche' societa' come la Bechtel o la Siemens non possono gestire il problema dei diritti umani. Possono solo fornire servizi". E i primi dollari stanziati dal governo Usa per l'Iraq sono andati infatti non a Ong ma a Kellogg Brown & Root, filiale di Halliburton (di cui il vicepresidente Usa Dick Cheney e' stato amministratore delegato fino alla vigilia della sua candidatura). Certo, poiche' l'Onu e l'Unione europea non hanno partecipato alla guerra, e poiche' l'Onu e l'Ue sono i maggiori finanziatori di Ong, l'assenza delle organizzazioni umanitarie era quasi scontata. Ma fino a oggi il governo americano aveva sempre sbandierato scopi umanitari per le sue guerre, tanto che per il Kosovo si era coniato un termine degno della "neolingua" di Orwell: "guerra umanitaria". Negli anni '90 le accademie militari Usa avevano prodotto tesi quali Le relazioni tra esercito degli Stati Uniti e Ong negli interventi umanitari (1996) e L'interazione tra esercito degli Stati Uniti e organizzazioni di soccorso umanitario nell'ambito di episodi di portata limitata (1998). Il segretario di stato Usa Colin Powell aveva detto il 26 ottobre 2001: "Le Ong sono per noi un enorme moltiplicatore di forza, una parte importantissima della nostra squadra di combattimento". Nello stesso periodo la sottosegretaria di stato agli affari globali, Paola Dobriansky, aveva tenuto in Kazakistan un discorso intitolato Assistenza umanitaria e battaglia contro il terrorismo vanno di pari passo, in cui sosteneva che "la compassione e' una componente essenziale della politica estera del presidente Bush". Dobriansky aveva ragione: nel 2000 lo slogan del candidato Bush era stato il "conservatorismo compassionevole". E da quando e' alla Casa Bianca, cerca di devolvere a charities, a enti privati di beneficenza tutti i compiti di assistenza sociale. Affidarsi all'estero all'azione delle Ong sembrava la naturale estrapolazione a livello planetario del modello sociale propugnato negli Usa. * L'assenza delle Ong dall'Iraq e' dovuta quindi a ragioni piu' profonde, rintracciabili in due libri, usciti nell'ultimo anno, che discutono genesi, ideologia e crisi del movimento umanitario: Un giaciglio per la notte: il paradosso umanitario, di David Rieff (Carocci, Roma 2003), da cui sono tratte tutte le citazioni riportate fin qui, e L'altruista egoista. Analisi critica degli interventi umanitari in situazioni di guerra e carestia, di Tony Vaux (Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002) . Sono due libri complementari, perche' gettano uno sguardo critico sul mondo delle Ong l'uno dall'esterno (David Rieff e' un inviato speciale), e uno dall'interno (Tony Vaux e' stato per anni un dirigente di Oxfam, una delle piu' grandi Ong internazionali). Contrariamente a quel che si puu' pensare, "la giustificazione a intervenire militarmente in alcuni paesi stranieri perche' vi si trovano innocenti che soffrono, non e' cominciata in Somalia (1992), ma nella guerra d'indipendenza greca contro i turchi (1821-1830), la causa per la quale mori' Lord Byron. In breve, gia' all'inizio dell'Ottocento, la favola edificante dell'intervento umanitario, in cui una popolazione di vittime deve essere salvata dai saccheggi dei signori della guerra e dai tiranni di turno, era stata compiutamente elaborata" (Rieff). Tutte le annessioni coloniali furono invocate per ragioni umanitarie. Nell'Ottocento sorsero i primi enti umanitari (la Croce rossa internazionale, Cri, fu fondata nel 1863) che si moltiplicarono nel Novecento: Save the Children vide la luce nel 1919, Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief) fu fondata nel 1942 per alleggerire il blocco navale inglese che fece morire di fame 250.000 civili greci. Ma il vero boom umanitario risale alla crisi del Biafra (1967): fu in base ai dissidi sul comportamento tenuto dalla Croce rossa in quella circostanza che nel 1971 un gruppo di dottori francesi si scisse dalla Cri e fondo' Medecins sans frontieres (Msf). E l'eta' d'oro dell'aiuto umanitario risplendette negli anni '80: nel 1984 Bob Geldof lancio' le collette di Band Aid e Live Aid e la beneficenza fu illuminata dai riflettori delle bande rock. Perfino il vocabolario ne e' stravolto, tanto che oggi si usa l'espressione "disastro umanitario" chee' un nonsenso: puo' una catastrofe essere filantropica, una crisi benefattrice, un'epidemia caritatevole, una strage benevola? * C'e' un mistero nel consenso e l'adulazione che da allora circondano l'ideale umanitario, per cui i suoi attivisti vengono considerati santi laici: e, come i divi promuovono l'umanitarismo, cosi' per ottenere fondi le organizzazioni umanitarie hanno bisogno che i loro dirigenti siano un po' divi (vedi Gino Strada o il suo equivalente sacerdotale Alex Zanotelli). Infatti il progetto umanitario si autodefinisce in termini negativi. Alla domanda "cosa e' un essere umano", l'umanitarismo risponde "qualcuno che non e' fatto per soffrire" (cosi' dice un dei fondatori di Msf). E Rieff osserva: "Che una speranza tanto cauta abbia potuto avvincere l'immaginario degli europei e degli americani piu' eticamente avvertiti e' un fatto senza precedenti". Questo "ridimensionamento etico" e' dovuto in parte al crollo dell'Urss: dopo che gli occidentali "avevano compreso che il comunismo era stato effettivamente cosi' orribile quanto avevano sostenuto gli anticomunisti, la versione umanitaria dell'utopia era la sola impresa in cui un pubblico disilluso fosse disposto a farsi trascinare". Quindi il rifugio nell'umanitarismo e' dovuto in primo luogo al disintegrarsi dell'ideale socialista. L'azione umanitaria e' stata avvalorata anche dal discredito in cui e' caduto il terzomondismo e lo "sviluppismo" ("a un affamato non bisogna offrire un pesce, ma insegnargli come pescarlo", e' l'esempio che fa Tony Vaux). Ma non e' casuale che il boom umanitario sia coinciso con thatcherismo e reaganismo: negli anni '80 Reagan persegui' una politica spietata contro i poveri, ma pose nello stesso tempo gli homeless al centro dell'attenzione pubblica. Impersonata nella fatalita' disperata di un senzatetto assiderato su un marciapiede, la poverta' non era piu' un problema strutturale e quotidiano della societa' americana (come quello delle decine di milioni di working poors), ma diveniva un'emergenza melodrammatica, operistica. Nello stesso modo, l'ideale umanitario estendeva alle relazioni nord-sud la cultura dell'emergency; e il problema del sottosviluppo si traduceva nella foto ad effetto del bimbo africano denutrito. * Ma le Ong corrispondevano innanzitutto all'ideologia privatistica e antistatalista, per cui la cooperazione statale era considerata inefficiente, burocratica, scialacquatoria. Nel tradurre in italiano (o in francese) l'espressione inglese "government" si genera un equivoco di fondo che continua a pesare. In italiano, "non governativo" e' ammantato del credito di chi dice "non partigiano, non fazioso, non asservito al partito al governo". In americano invece, poiche' la parola "state" indica ognuna delle cinquanta entita' intermedie che costituiscono gli Usa, il termine government vuol dire "stato" nel senso in cui lo usiamo noi. Quindi una Ong e' semplicemente qualcosa di "non statale", non di "non governativo". La Ong e' il naturale recipiente e subappaltatore dell'assistenza sociale privatizzata. Per Tony Vaux "le agenzie di aiuti oggi stanno diventando appaltatori degli stati", ma e' gia' da molto che questo succede e si puo' dire che senza il subappalto da parte degli stati le Ong scomparirebbero. Nel caso del terzo mondo, la Ong s'integra perfettamente al regime neocoloniale in cui il vecchio potere coloniale si e' "ritirato" ed e' formalmente assente. Come ha detto un funzionario dell'Onu, "l'assistenza umanitaria e' diventata il paradigma delle relazioni Nord-Sud dopo la guerra fredda". In Africa, scrive Rieff, "al pari dei missionari di cui avevano largamente soppiantato le funzioni di dispensatori di carita', gli operatori umanitari sembravano rappresentare il lato conciliante del potere occidentale. Che gli operatori umanitari avessero in genere una concezione totalmente differente di quello che facevano non cambiava di molto la situazione". Ecco, la parola e' stata detta: missionari. Come molti missionari, gli operatori umanitari si sacrificano, conducono una vita difficile, fanno sforzi eroici: nell'immaginario collettivo, un Albert Schweitzer non e' molto diverso da una Teresa di Calcutta. Ed e' questa una delle ragioni per cui e' difficile criticare le Ong, visto che raccolgono la parte migliore e piu' generosa della nostra gioventu' (e' stato detto che Msf ha mobilitato molte delle energie della militanza smobilitata del dopo '68). Ma, come i missionari, molto spesso la presenza di un operatore umanitario sta a indicare che di li' e' passato o sta per passare un esercito occidentale. I missionari erano al seguito degli eserciti coloniali per imporre l'ideologia coloniale. Le Ong difendono "i diritti umani" e diffondono la "democrazia". Ma, come mostrano Rieff e Vaux, proprio nell'epoca del loro massimo splendore, in tre crisi cruciali, le Ong si sono trovate confrontate a tre ambiguita', a tre aporie del loro progetto umanitario. In Kosovo, l'umanitarismo e' stato arruolato dalla Nato, sic et simpliciter. Che senso ha un'azione umanitaria che si limita solo a uno dei contendenti (qui i kosovari) e non all'altro (i serbi)? Questo fa si' che i governi considerino "l'azione umanitaria alla stregua di uno dei tanti elementi a loro disposizione" per reagire alle crisi, e che vi sia un "procedimento di assorbimento dell'ideale umanitario da parte dell'umanitarismo di stato". Cosi' in Kosovo le Ong "tendevano a seguire lo stesso impianto ideologico dei propri governi nazionali: le Ong americane o britanniche per lo piu' a favore della guerra, quelle francesi su posizioni ambigue, e qualche gruppo, specie le sezioni greche di Msf e Mdm (Medecins du monde), ferocemente filoserbo" (Rieff). In Congo si e' disvelato quanto sia astratta l'ideologia della "sofferenza decontestualizzata", cioe' dell'aiutare chi soffre perche' soffre. L'idea che chi soffre e' sempre una vittima e una vittima e' sempre innocente. Per questo c'e' un'infantilizzazione della sofferenza nel terzo mondo. "L'unica cosa che vende bene e' la compassione": dittatori e operatori umanitari hanno questo in comune, che gli piace farsi fotografare con un bambino in braccio. Ma in realta' spesso le vittime non sono innocenti, e anche i colpevoli soffrono. In Rwanda soffrivano e morivano profughi in fuga dopo aver praticato stermini di massa e perpetrato orrori inenarrabili. Non e' vero che la sofferenza e' neutra, la sofferenza e' sempre tinta di storia e di politica. Infine l'Afghanistan ha mostrato quanto sia illusorio sperare di far coincidere l'ideale dei diritti umani con quello umanitario. Gia' in Kosovo si era visto che l'intervento per difendere i diritti umani dei kosovari aveva provocato una catastrofe umanitaria. In Afghanistan alleviare le emergenze alimentari e idriche, significava perpetuare la schiavitu' delle donne; boicottare il regime talebano significava rendersi responsabili di migliaia di morti. Lottare per i diritti umani puo' aggravare la situazione umanitaria e viceversa. E' probabile percio' che l'assenza delle Ong da Baghdad sia dovuta non solo a una svolta della politica americana (la rinuncia a presentare l'invasione dell'Iraq come una "guerra umanitaria", anche se si e' voluto presentarla come una guerra "per i diritti umani" e per la "democrazia"), ma anche a una crisi d'identita' delle Ong, al loro non voler ricadere nella trappola del Kosovo. Non solo giornalisti embedded, ma anche "umanitari arruolati". * Resta l'insoddisfazione di fondo di fronte a quella che e' diventata "l'industria delle catastrofi" in cui ogni Ong si batte per avere un'esposizione mediatica superiore (le emergenze e le carestie si vendono meglio delle crisi strutturali), per conquistarsi una fetta del mercato della sfiga, con una dipendenza crescente dall'apparato mediatico. Sembra davvero appropriata la poesia di Bertolt Brecht sugli homeless americani apposta a intestazione del suo libro da David Rieff (che e' figlio di Susan Sontag): "Ho sentito dire che a New York / all'angolo della ventiseiesima strada e di Broadway / nei mesi invernali ogni sera c'e' un uomo / e ai senzatetto che si radunano / pregando i passanti procura un giaciglio per la notte. / (...) A qualcuno non manca un giaciglio per la notte, / il vento viene tenuto lontano da loro per una notte, la neve destinata a loro cade sulla strada. / Ma con questo il mondo non cambia, / le relazioni fra gli uomini per questo non migliorano, / l'epoca dello sfruttamento non e' per questo piu' vicina alla fine". 8. LIBRI. PRESENTAZIONE DI VITTORIO GIACOPINI, LA COMUNITA' CHE NON C'E' [Dal sito di Nonluoghi (www.nonluoghi.it) riprendiamo il seguente comunicato editoriale] Vittorio Giacopini nel volumetto "La comunita' che non c'e'. Paul Goodman, idee per i movimenti" ((Nonluoghi libere edizioni, 2003, pp. 48, euro 3,5) presenta il pensiero di una delle piu' significative figure intellettuali americane del secondo dopoguerra, un riferimento per i movimenti giovanili degli anni Sessanta. Goodman, romanziere, psicologo, sociologo e filosofo, fu un punto di riferimento dei movimenti di protesta Usa. Suo tema chiave e' la "comunita' che non abbiamo", la "frigidita'" che pervade "istituzioni anonime" e l'obbligo del coraggio sociale e del rischio personale per chi vuole agire, dissentire e testimoniare una alternativa. Goodman si definiva un conservatore neolitico, un patriota anarchico e un free-lance rinascimentale: un umanista libertario. Il libretto e' una lettura utile a chiunque si interroghi sui contenuti teorici e sulla prassi dei movimenti che oggi tentano di contrastare la deriva autoritaria del sistema neoliberista. Vittorio Giacopini, giornalista di Ap.Biscom, e' collaboratore della rivista "Lo straniero". Per richieste: tel. 3293123483, fax 1786022881, e-mail: edizioni at nonluoghi.org, sito: www.nonluoghi.it 9. INFORMAZIONE. UN DOSSIER DI "OPPOSIZIONE CIVILE" OGGI IN EDICOLA [Dagli amici di "Opposizione civile" (per contatti: e-mail: info at opposizionecivile.it, sito: www.opposizionecivile.it) riceviamo e diffondiamo] Domenica 13 luglio il quotidiano "L'Unita'" pubblichera' integralmente il "dossier Berlusconi" che Opposizione Civile ha distribuito a tutti gli europarlamentari il giorno prima dell'insediamento della presidenza italiana dell'Unione europea. Con questo dossier abbiamo voluto Informare l'Europa sulla storia e le gesta del presidente di turno Silvio Berlusconi. L'Italia ha bisogno di sapere, capire e poter scegliere. L'informazione libera e la libera circolazione delle idee, delle notizie e dei fatti e' necessaria in questo che e' diventato il paese delle omissioni, delle censure e delle bugie assurte a storia. 10. RILETTURE. MARIA ANTONIETTA CALABRO': LE MANI DELLA MAFIA Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia, Edizioni Associate, Roma 1991, pp. VI + 274, lire 24.000. "Vent'anni di finanza e politica attraverso la storia del Banco Ambrosiano", con prefazione di Nando dalla Chiesa. Un ancor utile libro. 11. RILETTURE. MARIA ANTONIETTA CALABRO': IN PRIMA LINEA Maria Antonietta Calabro', In prima linea, Sperling & Kupfer, Milano 1993, pp. XXX + 226, lire 24.500. Nove magistrati raccontano la lotta contro i poteri criminali, occulti, corrotti. Con prefazione di Ettore Gallo. 12. RILETTURE. CLAIRE STERLING: COSA NON SOLO NOSTRA Claire Sterling, Cosa non solo nostra, Mondadori, Milano 1990, pp. XXII + 410, lire 30.000. "La rete mondiale della mafia siciliana" in un volume della nota giornalista americana dal 1952 in Italia. Con prefazione di Michele Pantaleone. 13. RILETTURE. CLAIRE STERLING: UN MONDO DI LADRI Claire Sterling, Un mondo di ladri, Mondadori, Milano 1994, pp. 372, lire 32.000. "Le nuove frontiere della criminalita' internazionale" in un'ampia ricostruzione giornalistica (come per tutti i lavori giornalistici - va da se' - e' compito del lettore saper discernere quel che e' essenziale e quel che e' colore, imprecisione, forzatura). 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 610 del 13 luglio 2003
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