Bugie sulle armi in Iraq. Su Bush ora è bufera



di Bruno Marolo
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 Washington. Si può ancora credere a George Bush? Nemmeno i suoi
collaboratori prendevano sul serio la storia dell'uranio che Saddam Hussein
avrebbe cercato di comprare in Africa per produrre una bomba atomica. Il
presidente americano aveva lanciato l'accusa nel gennaio scorso, nel
discorso "sullo stato dell'Unione" davanti alle camere in seduta congiunta.
"Il governo britannico - aveva dichiarato - ha appreso che Saddam Hussein
recentemente ha cercato di acquistare quantità significative di uranio in
Africa". L'occasione era solenne e ogni parola del presidente era stata
valutata da uno stuolo di consiglieri. Ora si scopre come alla Casa Bianca
alcuni sapessero anche allora che i documenti sul presunto acquisto di
uranio erano falsi. Un esperto mandato in Africa per indagare aveva
avvertito che si trattava di voci infondate, e la Cia aveva girato l'
avvertimento alla Casa Bianca sin dal marzo 2002, quasi un anno prima del
discorso di Bush. Qualcuno doveva pure ricordarsene e infatti, una settimana
dopo le dichiarazioni del presidente al congresso, il dipartimento di stato
aveva ammesso la loro scarsa credibilità in una lettera all'agenzia atomica
internazionale.
Oggi come allora, George Bush non dà ascolto alle obiezioni. Lo scandalo
dell'uranio inesistente lo ha inseguito in Africa, in una conferenza stampa
a Pretoria. Crede ancora, è stato domandato, che Saddam Hussein avesse
cercato di comprare materiale radioattivo? Come sempre Bush ha risposto in
tono di sfida. "Una cosa è certa - ha detto - Saddam non cerca di comprare
niente adesso. Se è vivo, sta scappando". Ma non bastano le battute per
placare l'opposizione che chiede un'inchiesta. "E' abbastanza grave - ha
sostenuto il senatore Edward Kennedy - che una bufala così sfacciata sia
stata citata dal presidente tra i motivi per la guerra, ma sarebbe ancora
più grave se si trattasse di una menzogna cosciente".
Fonti dei servizi segreti hanno rivelato all'Unità che le false voci sull'
uranio africano circolavano da più di dieci anni e gli addetti ai lavori le
avevano messe in ridicolo. Sin dall'origine c'era un risvolto italiano. Nel
1990, prima che l'esercito di Saddam Hussein invadesse il Kuwait, un
informatore del Sismi, lo spionaggio militare italiano, aveva segnalato che
gli iracheni cercavano in Mauritania un poligono di prova per un missile di
gittata troppo lunga per essere sperimentato nel loro paese. In questo
contesto, si era diffusa la voce che Saddam cercasse di comprare uranio in
Niger per una testata atomica.
Dopo la guerra nel 1991, gli ispettori dell'Onu e agenti di vari paesi
avevano controllato questa voce: non risultava che fosse vera, e in ogni
caso le sanzioni contro l'Iraq avevano reso quasi impossibile la produzione
di armi nucleari. Nel 1999, dopo l'espulsione degli ispettori dall'Iraq, si
era rinnovato il sospetto di una trattativa con il Niger per l'acquisto di
uranio. Dopo l'11 settembre 2001 gli Stati Uniti, alla ricerca di prove
contro Saddam, avevano ricevuto dai servizi segreti britannici documenti che
parevano confermare i sospetti. L'ex ambasciatore americano Joseph William,
inviato nel Niger per indagare, concluse che il materiale non era credibile.
Il suo rapporto, avallato dagli esperti della Cia, venne trasmesso alla Casa
Bianca nel marzo 2002. Al governo "non risulta" che sia stato letto dal
presidente.
La Casa Bianca si comportò come se l'ambasciatore Williams non fosse mai
stato in Africa. Nell'ottobre 2002 segnalò all'agenzia internazionale per l'
energia atomica (Aiea) che gli inviati Saddam cercavano uranio in Niger. L'
agenzia chiese le prove e per sei settimane non ottenne risposta. Soltanto
il 4 febbraio, una settimana dopo il discorso di Bush al congresso, il
dipartimento di stato americano trasmise all'Aiea i documenti ottenuti dallo
spionaggio britannico, con una strana lettera di accompagnamento. "Non
possiamo confermare questo materiale - avvertiva la lettera - e noi stessi
abbiamo dubbi su alcuni punti specifici di quanto viene asserito". Gli
ispettori dell'Aiea smascherarono subito il falso.
Letta con il senno del poi, la frase di Bush al congresso è rivelatrice:
sembra sottolineare che le voci sull'acquisto di uranio in Niger vengono da
Londra e non da Washington. Ma si suppone che il presidente degli Stati
Uniti non dovrebbe parlare a vanvera quando si rivolge alle camere in seduta
congiunta e alla nazione. Un controllo sarebbe stato semplice. Bastava
interpellare il governo francese, che ha una rete capillare di informatori
in Niger come in tutta l'Africa francofona. In quel momento però Bush aveva
interesse a sostenere che Saddam era pericoloso, e non tollerava le
obiezioni della Francia.
"In Iraq - ha spiegato ieri il ministro della difesa Ronald Rumsfeld - non
abbiamo agito alla luce di nuove prove sulle armi di sterminio. L'attentato
dell'11 settembre ci ha mostrato le prove in una luce diversa". George Bush
non ha dubbi. "Sono assolutamente certo - ha dichiarato in Sudafrica - di
avere fatto la cosa giusta rimuovendo Saddam dal potere. Il mondo chiedeva
il suo disarmo e noi abbiamo deciso di disarmarlo". Per la verità il mondo,
tramite le Nazioni Unite, si opponeva all'invasione dell'Iraq. Dal punto di
vista del presidente americano la vera giustificazione della guerra è la
vittoria, ottenuta a prezzo della vita di seimila civili iracheni e 143
militari americani. Sono già 73 i soldati morti dopo che Bush ha proclamato
la fine dei combattimenti. Il numero aumenta quasi ogni giorno, e la
popolarità del presidente diminuisce.