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La nonviolenza e' in cammino. 607
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 607
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 9 Jul 2003 22:34:43 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 607 del 10 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Francesca Brezzi: la necessita' 2. Una petizione popolare perche' cessi la partecipazione italiana all'occupazione militare dell'Iraq 3. Sergio Paronetto: non c'e' pace senza diritto 4. Michael Moore: una lettera al sottotenente Bush 5. Mao Valpiana: arrivederci a Gubbio 6. Omero Caiami Persichi: dieci quartine tra Assisi e Gubbio 7. Janina Bauman: il terrore e la memoria 8. Luigi Ferrajoli: la guerra, il diritto, e due ipotesi sull'Onu 9. Amerigo Bigagli: ancora sulle bandiere della pace 10. "Nigrizia" di luglio-agosto 2003 11. Riletture: AA. VV., Canti della protesta femminile 12. Riletture: Joan Baez, Ballate e folksong 13. Riletture: Billie Holiday, La signora canta il blues 14. Riletture: Violeta Parra, Canzoni 15. Riletture: Bessie Smith, Canzoni 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. FRANCESCA BREZZI: LA NECESSITA' [Da Francesca Brezzi, Ricoeur. Interpretare la fede, Edizioni Messaggero Padova, 1999, p. 241. Francesca Brezzi e' docente di filosofia morale e teoretica all'Universita' di Roma III. Tra le sue opere: Filosofia e interpretazione, Bologna 1969; Fenelon, filosofo della religione, Perugia 1979; Inquieta limina, tra filosofia e religione, Roma 1992; A partire dal gioco. Per i sentieri di un pensiero ludico, Genova 1992; Dizionario dei concetti filosofici, Roma 1995; La passione di pensare. Angela da Foligno, Maddalena de' Pazzi, Jeanne Guyon, Roma 1998; Ricoeur. Interpretare la fede, Padova 1999] ... da qui la necessita' di riaprire il Libro di Giobbe e lasciarsi investire nuovamente da quegli interrogativi e non solo perche' il male? ma: perche' io? 2. APPELLI. UNA PETIZIONE POPOLARE PERCHE' CESSI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALL'OCCUPAZIONE MILITARE DELL'IRAQ [Dalla ong "Un ponte per" (per contatti: posta at unponteper.it) riceviamo e diffondiamo questo appello] Il Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq ha promosso una petizione popolare indirizzata al Presidente della Camera dei Deputati ai sensi dell'art. 109 del regolamento della Camera. La petizione richiede al Parlamento Italiano che: a) sia revocata la partecipazione italiana, in qualsiasi forma, alla "Coalition Provisional Authority"; b) sia richiamato in Italia il contingente militare attualmente di stanza in Iraq; c) siano promosse iniziative di aiuto umanitario in esclusivo coordinamento con le Agenzie delle Nazioni Unite sino a che non sia stato formato un governo iracheno legittimo e internazionalmente riconosciuto. La partecipazione dell'Italia, sia a livello politico che di supporto funzionariale, alla "Coalition Provisional Authority" e l'invio di un contingente militare, inquadrato sotto comando britannico, con compiti di controllo territoriale nell'area di Nassiriya, di fatto ha trasformato il nostro paese in una "potenza occupante" verso cui presto si riversera' il malcontento della popolazione irachena che, in varie forme, sta manifestando gia' una crescente insofferenza per il protrarsi dell'occupazione militare senza alcuna previsione e certezza per il futuro. La petizione popolare proposta dalle organizzazioni e associazioni del Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq, sara' diffusa nel periodo estivo in tutte le occasioni di incontro e dibattito del movimento pacifista. Sara' altresi' possibile firmare la petizione on-line sul sito www.tavoloiraq.org, dal quale si potra' anche scaricare il modulo per raccogliere direttamente le firme che andranno inviate presso l'ufficio di coordinamento della campagna, non oltre il 15 settembre 2003, in via Carlo Cattaneo 22/B, 00185 Roma. Per ulteriori informazioni: tel. 06491252; e-mail info at tavoloiraq.org 3. APPELLI. SERGIO PARONETTO: NON C'E' PACE SENZA DIRITTO [Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com) per questo appello. Sergio Paronetto e' impegnato nel movimento di Pax Christi ed in molte iniziative di pace e di solidarieta'] Cari amici, complici alcune armi di distrazione dimassa come l'"informazione" e l'estate, il programma "eversivo" del governo avanza deciso. Dopo le leggi sull'immunita'-impunita' (e il salutare allarme europeo), ecco ora l'"assoluta separazione delle carriere" e altre proposte ancora. L'Associazione nazionale magistrati ha espresso il suo "scoramento". Sembra distrutta. Siamo in piena fase di scardinamento dello stato di diritto. E non c'e' pace senza diritto. Il movimento per la pace e' un movimento di cittadinanza attiva. Mi viene istintivo ricordare che alla "resa" si puo' opporre una robusta e serena "resistenza" utilizzando sia la mobilitazione referendaria sia altre ipotesi. Perche' non rilanciare coordinamenti per la Costituzione? Per la pace e i diritti? Per l'educazione alla legalita' e alla democrazia? Per un Istituto nazionale per i diritti umani secondo il modello Onu? Un fraterno abbraccio. 4. RIFLESSIONE. MICHAEL MOORE: UNA LETTERA AL SOTTOTENENTE BUSH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 luglio 2003. Michael Moore, una delle figure piu' vivaci ed acute del pacifismo americano, regista cinematografico vincitore dell'Oscar per il documentario Bowling a Columbine, e' autore del libro Stupid White Men, Mondadori, Milano 2003] Egregio sottotenente George W. Bush, spero che non se ne abbia a male se mi rivolgo a lei con l'unico grado militare che lei abbia mai veramente conseguito, nei giorni in cui montava e smontava la guardia nell'"Air National Guard" del Texas. Da quando l'ho vista atterrare su quella portaerei con indosso quella tuta d'aviatore ho pensato che da allora in poi ci si dovesse rivolgere a lei con il suo titolo militare, contrapposto a quello civile impostole dagli amici di papa'. Quindi sottotenente, mi chiedevo se lei potesse farmi un favore. Potrebbe cortesemente inventarsi qualcosa di meglio di un cespuglio di rose [in inglese "rose bush"]? Ieri in televisione ho visto che i suoi uomini hanno scovato quel tipo, l'iracheno che diceva di aver messo sotto terra - dodici anni fa - "sotto un cespuglio di rose" nel giardinetto della casa di Baghdad alcuni progetti nucleari. Ehi ragazzo, questa e' buona. Ma pensi veramente che tutti noi siamo cosi' stupidi come sembriamo? Io so bene quanto facilmente ci lasciamo affascinare dall'Idolo Americano, e quanto Scott Peterson [il sospetto colpevole di un omicidio in California, storia che le televisioni hanno seguito ossessivamente lo scorso inverno, ndt] possa farci passare per dei rimbecilliti, ma quando ci mentono per portarci in guerra allora vogliamo almeno uno sforzo ulteriore e un passo in piu'. Vede, George, non sono le bugie e le macchinazioni delle spie ad avermi fatto arrabbiare. Ma il fatto che in piu' di due mesi di controllo sull'Iraq lei non sia riuscito a trovare il tempo di seminare almeno qualche arma nucleare o qualche tanica di gas nervino, e nemmeno sia riuscito a convincerci che non stava mentendo. Vede, non falsificando le prove della armi di distruzione di massa, dimostra di non curarsi del fatto che qualcuno possa accorgersi che e' stato proprio lei ad architettare il tutto. Un presidente di un'altra pasta, un presidente veramente convinto che l'opinione pubblica americana si sarebbe sentita oltraggiata se mai la verita' fosse venuta a galla, avrebbe fatto qualsiasi cosa per nascondere i sui sotterfugi. Il presidente Johnson fece cosi' nel Golfo del Tonkino. Dichiaro' che le nostre navi erano state attaccate dai nordvietnamiti. Non era vero, ma lui sapeva bene che doveva farlo sembrare tale. Nixon affermo' di non essere un imbroglione, ma sapeva che non sarebbe bastato. Cosi pago' il prezzo del silenzio agli scassinatori. E in qualche modo 18 minuti e mezzo furono cancellati dalla registrazione dello studio ovale. Perche' lo fece? Perche' sapeva che gli americani si sarebbero sputtanati se avessero scoperto la verita'. Il suo plateale rifiuto di accompagnare gli annunci fraudolenti con qualche falsa prova, procedura alla quale siamo abituati, e' uno schiaffo in faccia a noi americani. E' come se lei dicesse: "Questi sono cosi' maledettamente apatici e pigri che non abbiamo bisogno di esibire nessuna arma per sostenere le nostre affermazioni". Se almeno nell'ultimo mese lei avesse fatto interrare nei pressi di Tikrit qualche deposito missilistico o se avesse disseminato un po' d'antrace in quei laboratori mobili nei pressi di Bassora o "scoperto" un po' di plutonio con qualche videocassetta riservata di Uday Hussein che da' da mangiare alle sue tigri, allora si' che sarebbe stato evidente che avremmo potuto ribellarci se l'avessimo colta in fallo. In questo modo ci avrebbe mostrato un po' di rispetto. Onestamente noi non ci saremmo preoccupati se poi in seguito fosse venuto a galla che aveva installato lei le armi di distruzione di massa - sicuramente ci saremmo un po' arrabbiati, ma quanto meno saremmo stati orgogliosi di sapere che lei era consapevole di dover mascherare gli annunci fasulli con qualcosa di concreto. Credo proprio che alla fine deve averlo capito. Cominciava ad essere chiaro che milioni di noi volevano vedere il bluff - quelle false ragioni di una guerra menzognera. Cosi' ha immediatamente riesumato quell'uomo, il suo cespuglio di rose, un pezzo di carta vecchio di dodici anni e qualche affare metallico. Cosi' la Cnn ha interrotto le trasmissioni alle cinque e un quarto del pomeriggio e annunciato di avere l'esclusiva : "Ecco i piani nucleari". Ma alcuni bravi inviati hanno fatto delle domande piuttosto essenziali e appena tre ore piu' tardi, proprio la sua amministrazione e' stata costretta ad ammettere che i piani non erano "la pistola fumante", la prova che l'Iraq aveva le armi di distruzione di massa. Oops. Non e' stata una buona idea affidarsi ad un cespuglio, sottotenente. Posrt scriptum. Mi dispiace ma proprio non riesco a togliermi dalla mente quella tuta imbottita d'aviatore. Lo so, ho bisogno d'aiuto. Ma quando lei e' atterrato su quella portaerei c'era quella scritta: "Missione compiuta". Quale era questa missione compiuta? Perche' per quello che so io piu' di cinquanta soldati sono morti da quando ha dichiarato "Missione compiuta". L'anarchia regna tuttora in Iraq, anche gli inglesi continuano a perdere reclute e al momento quei pazzi dei fondamentalisti sembrano pronti a dettare legge nel paese. Alle donne e' gia' stato detto di coprirsi il volto e chiudere la bocca, i venditori di alcolici sono stati giustiziati e i locali che proiettavano gli "immorali" film di Hollywood sono stati chiusi. Eppure quello non e' neanche il profondo Texas. Forse potrebbe infilarsi di nuovo in quella tuta, volare a Baghdad, atterrare all'aeroporto internazionale ex Saddam e regalare uno di quei suoi grandi saluti sotto uno slogan e una bandiera: "Missione impossibile". 5. EDITORIALE. MAO VALPIANA: ARRIVEDERCI A GUBBIO [Ringraziamo Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti: azionenonviolenta at sis.it), per averci messo a disposizione l'editoriale di "Azione nonviolenta" di luglio 2003. Mao Valpiana e' una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia] L'appuntamento e' per tutti gli amici della nonviolenza. Ancora una volta in Umbria. Aldo Capitini l'amava molto e la descrisse cosi': "In confronto ad altre regioni d'Italia, l'Umbria puo' apparire troppo raccolta in se', troppo avvolta nel silenzio, troppo pura o 'contemplativa'. Ma c'e' una forza dentro". E ancora: "Nell'Umbria si ha un senso di avvicinarsi, di entrare e di salire, poiche' c'e' la prima Umbria, e c'e' l'Umbria piu' interna... Diro' anche che vivendo entro questo paesaggio, camminando e posando, annoiandocisi quasi nel silenzio (come bisogna fare per assimilare veramente cose e persone) tutto sembra tenersi nel limite di umanita', ma senza ostentazione di questa, e con tendenza ad ascoltare in silenzio senza mai staccarsi dal maturare continuo della vita". Dunque, ci siamo. Il percorso avviato piu' di un anno fa, al nostro ventesimo congresso, sta per giungere al termine, con la "quattro giorni" di Gubbio: la camminata lungo il sentiero francescano della pace ed il convegno sulle alternative alla guerra. Nei mesi scorsi ci hanno accompagnato le dieci parole della nonviolenza: forza della verita', coscienza, amore, festa, sobrieta', giustizia, liberazione, potere di tutti, bellezza, persuasione. Raccoglieremo in un fascicolo le dieci riflessioni di chi ha condiviso con noi questo percorso di cultura e di azione nonviolenta, insieme alle frasi di Gandhi, Capitini, King e Francesco. Sara' uno strumento utile per chi si mette in cammino da Assisi a Gubbio. Allegato a questo numero di "Azione nonviolenta" trovate il pieghevole che illustra nei dettagli l'iniziativa. E' una proposta, riteniamo significativa, che facciamo a tutti gli amici della nonviolenza, a partire da coloro che hanno condiviso con noi la marcia specifica "Mai piu' eserciti e guerre" del settembre 2000, da Perugia ad Assisi. Fu a conclusione di quella marcia, raccogliendo le tante richieste di proseguire il cammino comune, che ci venne l'idea di proporre qualcosa che andasse "oltre Assisi". Scoprimmo poi l'esistenza del bellissimo sentiero medioevale che attraverso valli, boschi, prati e colline, collega Assisi con Gubbio, passando da Valfabbrica. Il sentiero, ben curato dalla Provincia di Perugia, e' meta di molti pellegrinaggi, pieno di suggestioni spirituali, di notevole bellezza ed interesse storico, naturalistico, paesaggistico. Gubbio richiama la leggenda francescana della conversione del lupo. Con la parola, il dialogo, l'esempio, la mediazione, Francesco riusci' ad ammansire il lupo e convinse gli eugubini a procurare il cibo per lui, a farselo amico. La belva temuta si e' tramutata in ospite accolto. Metodo e strategia della nonviolenza. Per questo Gubbio ci e' parso il luogo piu' adatto ad ospitare la conclusione dell'iniziativa. Abbiamo pensato di dare un taglio particolare al convegno: quale potrebbe essere il ruolo di un'Europa disarmata nel mondo globalizzato della guerra infinita? In fondo, Francesco e' da molti considerato un ponte tra oriente ed occidente, l'uomo che ha rinnovato la cultura del medioevo, il primo cittadino europeo. Dunque sulle tracce di Francesco cercheremo di capire quale sia il ruolo degli amici della nonviolenza nella nuova Europa che si va costruendo. A Gubbio, grazie alla collaborazione di amici del Movimento Nonviolento, abbiamo trovato la piena disponibilita' dell'amministrazione comunale che ci offre il bellissimo centro servizi per lo svolgimento del convegno, ed il prestigioso teatro romano per il momento di festa corale. In quell'occasione vogliamo celebrare la nostra rivista, che si avvia verso il quarantesimo anno di pubblicazioni. Stiamo allestendo una mostra che ripercorre gli anni dal 1964 al 2003 attraverso le copertine piu' significative di "Azione nonviolenta"; ne esce un pezzo di storia: da Capitini a Martin Luther King, da don Milani ad Alexander Langer, il movimento studentesco, la guerra del Vietnam, l'obiezione di coscienza, le marce per la pace, il movimento antinucleare e quello ambientalista, Comiso, il muro di Berlino, la Bosnia, il Golfo, il Kossovo, l'Iraq, la crescita della resistenza nonviolenta in ogni parte del mondo. Nonostante l'impegno di tanti amici, l'organizzazione non sara' perfetta, anche perche' apprezziamo la bellezza degli imprevisti. Le condizioni di ospitalita' saranno francescane e conviviali allo stesso tempo (l'Umbria e' terra generosa di cibo e vino). Il Movimento Nonviolento vuole offrire un'opportunita' che ognuno cerchera' di cogliere al meglio. Chi partecipa sa che la sua presenza e' un contributo alla riuscita dell'iniziativa stessa. 6. RIFLESSIONE. OMERO CAIAMI PERSICHI: DIECI QUARTINE TRA ASSISI E GUBBIO [Si svolgera' dal 4 al 7 settembre 2003 la camminata da Assisi a Gubbio promossa dal Movimento Nonviolento come prosecuzione della marcia Perugia-Assisi per la nonviolenza che si tenne nel settembre 2000. In preparazione di questa iniziativa, cui tutte le persone amiche della nonviolenza sono chiamate a partecipare e contribuire (per informazioni, contatti, adesioni: e-mail: azionenonviolenta at sis.it; sito: www.nonviolenti.org), da alcuni mesi e' stato promosso un percorso di riflessione articolato in "dieci parole della nonviolenza", proponendo ogni mese una parola su cui riflettere. A questo percorso anche il nostro amico Omero Caiami Persichi ha voluto contribuire improvvisando questi versi] 1. Forza della verita' Oltre la coppa e lo stilo e' il nulla ed anche questo canto certo e' nulla due sole cose restano che valgono: il pianto in comune, il riso in comune. * 2. Coscienza La parola e' piu' esigente del mondo con la parola tu vai incontro al mondo possa essere essa benedicente possa essere essa portatrice di pace. * 3. Amore Ad eccezione del doloro tutto dimenticai. Ma non dimenticai la mano che mi si poso' sul volto. Come una rosa fresca e profumata. * 4. Festa Mentre ceniamo insieme mentre cantiamo insieme si placa per un'ora questa furia e per un'ora siamo ancora vivi. * 5. Sobrieta' Ascolta la voce del vento ascolta l'orecchio del mare ascolta la notte tutta occhi e non negare mai la parola all'amico. * 6. Giustizia Non gravare su altri, sia lieve il tuo camminare, il tuo parlare, il tuo sguardo. Al curvo sii sostegno, a cio' che opprime opponiti come una compatta roccia. * 7. Liberazione Tutto passera' presto, e' solo un attimo ma questo attimo non sia sprecato. Nulla passera' mai, per sempre resta quello che hai fatto, quello che hai sperato. * 8. Potere di tutti E' nell'io la verita' del noi ed e' nel noi la verita' dell'io. Ma anche: e' nel tu la verita' dell'io ed e' nel tutti la verita' dell'io, del tu, del noi. * 9. Bellezza Cosi' l'acqua dei sogni lava le angoscie cosi' la luce del mondo risana le ferite cosi' l'oblio rimuove le macerie e la scoperta ci toglie il fiato ancora. * 10. Persuasione Anche di te vi e' bisogno se questo sogno vogliamo trarre a vita anche di te fa bisogno per salvare di tutti la vita. 7. MAESTRE. JANINA BAUMAN: IL TERRORE E LA MEMORIA [Da Janina Bauman, Un sogno di appartenenza, Il Mulino, Bologna 1997, p. 23. Janina Bauman, ebrea polacca nata a Varsavia nel 1926, ha vissuto la drammatica esperienza del ghetto di Varsavia. Sopravvissuta alla Shoah, laureata in scienze sociali e politiche, ha lavorato nell'industria cinematografica polacca; dopo le lotte studentesche del 1968 con il marito Zygmunt che del movimento studentesco era uno dei punti di riferimento ha dovuto abbandonare la Polonia. Tra le sue opere, i due volumi di memorie: Inverno nel mattino, e Un sogno di appartenenza, entrambi editi dal Mulino] Il terrore era passato, ma la memoria restava. 8. RIFLESSIONE. LUIGI FERRAJOLI: LA GUERRA, IL DIRITTO, E DUE IPOTESI SULL'ONU [Dal n. 39 del maggio 2003 de "La rivista del manifesto" (in rete: www.larivistadelmanifesto.it) riprendiamo questo intervento di Luigi Ferrajoli, illustre giurista, nato a Firenze nel 1940, gia' magistrato tra il 1967 e il 1975, dal 1970 docente universitario. Opere di Luigi Ferrajoli: tra i lavori recenti segnaliamo particolarmente la monumentale monografia Diritto e ragione, Laterza 1989, giunta alla terza edizione; il saggio La sovranita' nel mondo moderno, Laterza 1997; e La cultura giuridica nell'Italia del Novecento, Laterza 1999] Due interpretazioni della guerra contro l'Iraq Secondo una tesi ampiamente diffusa, rafforzatasi dopo la caduta del regime iracheno, la guerra scatenata contro l'Iraq dagli Stati Uniti senza l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e contro il parere di gran parte della comunita' internazionale ha rappresentato una pesante sconfitta dell'Onu e ne ha segnalato la crisi e forse la fine. Oltre alla crisi dell'Onu, si aggiunge, la guerra ha provocato la crisi dell'Unione europea, divisasi tra i paesi che hanno sostenuto la guerra e quelli che l'hanno condannata. E' significativo che queste tesi vengano sostenute con particolare fervore soprattutto dalle potenze che stanno facendo la guerra e da tutti coloro che la guerra hanno appoggiato: dall'amministrazione Bush, in primo luogo, che non ha mai nascosto il suo disprezzo per le Nazioni Unite, e dai governi satelliti, a cominciare dal governo italiano. Secondo questa tesi l'Onu, non avendo il Consiglio di Sicurezza votato la guerra, sarebbe diventata, come ha dichiarato il presidente Bush, "irrilevante". Non avendo preso atto "della determinazione degli Usa, unica superpotenza rimasta, di arrivare comunque alla guerra", ha aggiunto Silvio Berlusconi, avrebbe subito un "depotenziamento" e una "perdita di credibilita'". E' una tesi singolare. Non potendosi negare che la guerra e' stata illecita, si tenta di negare il diritto, decretandone il superamento di fatto solo perche' e' stato violato e, insieme, squalificando le istituzioni internazionali che la sua violazione non hanno avallato. E' stato precisamente questo, del resto, un obiettivo non secondario, forse il principale, di questa guerra: quello di rifondare l'ordine internazionale sulla superpotenza americana e sulla guerra, esautorando l'Onu o riducendola a organismo subalterno al governo imperiale degli Stati Uniti. Ricordiamo il Project for a New American Century elaborato, ben prima dell'elezione di Bush, dai suoi attuali collaboratori - Cheney, Rumsfeld e Wolfowitz - nel quale si afferma che gli Stati Uniti non dovranno mai piu' tollerare potenze industriali o militari concorrenti sulla scena internazionale: un progetto imperiale, poi ribadito ossessivamente, con toni da crociata, in tutti gli interventi pubblici del presidente Bush successivi all'11 settembre, dal discorso del 14 settembre 2001 nel quale fu dichiarata la guerra infinita per "liberare il mondo dal male", fino alla dichiarazione della guerra preventiva "di durata indefinibile" contenuta nel documento strategico del 17 settembre 2002. Questa guerra, ci hanno ripetuto, e' stata fin dall'inizio progettata "senza se e senza m"', al di la' dei diversi pretesti accampati, quale fine a se stessa: una prova di forza diretta essenzialmente a rilegittimare la guerra, e piu' precisamente il diritto di guerra in capo alla superpotenza americana. Ed e' stata percio' una guerra "preventiva" non gia' e non tanto rispetto alle inverosimili minacce alla pace rappresentate dall'Iraq, quanto piuttosto nei confronti di tutte le altre potenze, presenti e future, a cominciare dall'Unione europea. E' tuttavia accaduto un fatto straordinario e inaspettato. Se l'obiettivo della politica statunitense era una rifondazione del diritto internazionale e una rilegittimazione della guerra, questo obiettivo non e' stato raggiunto. Una cosa e' infatti certa. Questa guerra ha risvegliato la coscienza civile di milioni di persone. Ha dato vita a un movimento globale, tanto eterogeneo quanto potentemente unitario nel ripudio della guerra e nella difesa dei diritti umani. Di piu', ha fatto nascere l'embrione di una societa' civile mondiale. Da Melbourne a San Francisco, passando per Roma, Parigi, Berlino, Londra, Madrid e Barcellona, abbiamo visto prendere corpo nelle piazze e nelle strade di tutto il mondo un popolo globale accomunato dalla condivisione dei medesimi valori: la pace, i diritti umani e la legalita' internazionale. Se pure non e' riuscito a impedire la guerra, questo movimento di protesta ne ha finora impedito la legittimazione morale e politica. Se questo e' vero, la tesi della crisi o peggio della fine dell'Onu e dell'Unione europea puo' essere, con paradosso apparente, rovesciata. Dobbiamo infatti riconoscere che oggi, contrariamente alle tesi degli apologeti della politica di guerra americana, l'Onu non e' mai stato cosi' importante e "rilevante", punto di riferimento politico per la maggioranza dei paesi del mondo. E non e' mai stata cosi' rilevante l'Europa, che certamente si e' divisa ma ha anche dato per la prima volta un segno di autonomia dalla sudditanza agli Stati Uniti. Per la prima volta il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, posto di fronte a una pretesa illegittima degli Stati Uniti, ha rispettato il suo statuto ed ha tenuto fede alla sua ragion d'essere: la salvaguardia della pace. E la legalita' internazionale e' divenuta, come mai in passato, il criterio di valutazione della guerra. Per questo la guerra americana e' stata avvertita, dalla grande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale, come un crimine: perche' ha violato clamorosamente la Carta dell'Onu e perche' questa violazione non ha ricevuto l'avallo del Consiglio di Sicurezza. La fine dell'Onu si sarebbe avuta se il Consiglio di Sicurezza avesse votato la guerra, come molti avrebbero voluto, con una risoluzione che sarebbe stata comunque illegittima perche' non ne esisteva il presupposto giuridico, cioe' l'accertamento dell'esistenza di una minaccia alla pace richiesto dall'art. 39 della Carta, e ne avrebbe percio' sanzionato la soggezione incondizionata agli Stati Uniti. Il fatto invece che il Consiglio di Sicurezza non abbia ceduto alla prepotenza americana ha non solo evidenziato e aggravato l'illegittimita' della guerra, ma ha conferito alle Nazioni Unite una rilevanza e una credibilita' senza precedenti. Non era mai successo che gli Stati Uniti avessero cosi' lungamente ricercato l'autorizzazione dell'Onu. Ne' era mai successo che non l'avessero ottenuta. Si e' trattato di una novita' assoluta: per la prima volta le ragioni del diritto sono state giudicate prevalenti sulle ragioni della forza, e la guerra ha cercato, ma non ha ottenuto, neppure formalmente, la legittimazione del diritto. Gli americani chiesero forse l'autorizzazione dell'Onu per fare la guerra in Vietnam? E la stessa opposizione alla guerra del Vietnam fu mai da qualcuno condotta in nome del diritto? Quanto poi alle guerre dell'ultimo decennio, esse furono si' contestate da molti di noi come contrarie alla legalita' internazionale. Anche contro di esse ci furono mobilitazioni di massa. Ma si tratto' di contestazioni sostanzialmente minoritarie, cui non corrispose nessun sostegno da parte degli Stati e meno che mai del Consiglio di sicurezza, che fu invece in esse coinvolto o da esse emarginato. Oggi, al contrario, la guerra americana e' stata condannata dalla maggioranza dei popoli e degli Stati come una guerra di aggressione e di rapina. Ovviamente nessuno puo' rimpiangere la rapida caduta del regime feroce di Saddam Hussein. Tuttavia, nonostante la vittoria, del resto scontata, gli Stati Uniti non sono mai stati cosi' isolati. Mezza Europa, la maggioranza del Consiglio di sicurezza e dei suoi membri permanenti, la Conferenza islamica, la Lega araba e la stragrande maggioranza dei paesi delle Nazioni Unite non hanno accettato l'unilateralismo statunitense e non si sono piegate al ricatto, alle pressioni e ai tentativi di corruzione posti in atto dall'amministrazione americana. Soprattutto, poi, e' emerso sulla scena politica un nuovo protagonista - l'opinione pubblica mondiale - che al di la' degli schieramenti politici ha condannato fermamente la guerra, pur senza indulgere minimamente nei confronti del regime di Saddam Hussein. E la condanna, questa e' la novita', e' avvenuta nel nome del diritto. Dai movimenti di massa che hanno invaso le strade e le piazze con decine di milioni di manifestanti - 110 milioni nella giornata del 15 febbraio - alla maggioranza dei governi dei paesi membri dell'Onu, dal papa alle varie chiese, tutti hanno letto, interpretato e contestato questa guerra con il linguaggio del diritto. Per la prima volta, la dimensione normativa del diritto e' entrata nel senso comune e la legge arbitraria del piu' forte e' stata avvertita come violazione della legalita' internazionale, rivelatasi a sua volta effettiva come non mai. L'effettivita' del diritto, infatti, non consiste tanto nel fatto che esso non sia mai violato, cio' che e' inverosimile dato il suo carattere normativo, e neppure nel fatto che alle sue violazioni segua sempre una sanzione. Essa risiede ancor prima, e soprattutto, nel fatto che le sue violazioni siano percepite come tali: in breve, nel senso comune, radicato e generalizzato, del carattere vincolante delle norme e dell'illiceita' della loro trasgressione. Che e' precisamente quel che e' avvenuto, per il divieto della guerra, in una misura che non ha precedenti nella storia. Io credo che la superpotenza americana per prima - i suoi esponenti politici e la sua opinione pubblica - dovrebbe riflettere seriamente sul crollo del suo prestigio e della sua credibilita' seguito a questa guerra. Con questa iniziativa unilaterale gli Stati Uniti hanno dissipato l'egemonia indiscussa di cui godevano all'indomani della caduta del muro di Berlino e l'enorme patrimonio di solidarieta' che avevano accumulato dopo l'11 settembre. Per questo e' ridicola l'accusa di antiamericanismo nei confronti di chi critica questa politica: e' come accusare di anti-italianismo chi e' contro il governo Berlusconi. Si potrebbe dire, al contrario, che dal punto di vista degli interessi, anche di potenza, degli Stati Uniti, "anti-americana" e' precisamente questa militarizzazione della politica. Gli Stati Uniti, se i loro governanti fossero stati all'altezza della sfida gorbacioviana del disarmo progressivo e generalizzato e della rifondazione dell'Onu sul modello dello stato di diritto, avrebbero potuto esercitare sul mondo, dopo la fine della guerra fredda, una sicura egemonia, sulla base della loro riconosciuta superiorita' non solo militare ma soprattutto politica, economica, tecnologica e culturale. Hanno invece dissolto, con la politica delle armi, il generale consenso di cui godevano nelle relazioni internazionali. Hanno scelto di fondare il loro dominio planetario sulla paura, anziche' sull'egemonia e sul consenso. Al di la' della vittoria militare, fin dall'inizio scontata, questa avventura ha rappresentato, a me pare, la piu' grave sconfitta politica subita dagli Stati Uniti nella loro storia. * Due ipotesi sul futuro dell'Onu. Il progetto americano Tutto questo non vuol dire affatto che il progetto di una rifondazione dell'ordine internazionale sul dominio degli Stati Uniti e sull'uso della guerra come strumento di governo planetario non abbia altissime probabilita' di riuscita. Possiamo al contrario essere certi che se l'attuale amministrazione Bush, come e' probabile, sara' confermata al potere nelle prossime elezioni, quel progetto, nonostante le velleita' e le illusioni di Tony Blair, sara' perseguito a qualunque costo. Si parla gia' di una replica della guerra contro la Siria e contro l'Iran, e poi contro altri paesi volta a volta qualificati dal nuovo sovrano "Stati canaglia". Questa guerra, del resto, non e' stata uno strappo contingente del diritto internazionale, ma una scelta strategica: il primo passo di una guerra che si vuole "infinita" o comunque destinata a finire solo con il trionfo incontrastato in tutto il mondo del modello imperiale americano. E' altrettanto certo, tuttavia, che questo progetto sta facendo paura a tutto il mondo. Giacche' e' il progetto di una escalation della guerra e del terrore all'insegna della destabilizzazione permanente e di un imperialismo apertamente dichiarato. Per questo l'attuale isolamento degli Stati Uniti, la pur parziale autonomia dell'Europa, la spaccatura dell'Occidente e, soprattutto, la rivolta delle opinioni pubbliche di quasi tutti i paesi occidentali rendono oggi possibile un'alternativa basata sul rilancio dell'Onu e del diritto internazionale: se non altro, per i terribili costi dei quali il mondo sembra sempre piu' consapevole, che il progetto americano comporterebbe e che, va aggiunto, peserebbero non solo su tutto il pianeta ma anche sugli stessi Stati Uniti. Sono queste le due opposte, possibili ipotesi, conseguenti alle due interpretazioni della guerra contro l'Iraq e del ruolo in essa svolto dall'Onu e da una parte dell'Europa, che oggi si prospettano circa il futuro delle relazioni internazionali. La prima ipotesi punta a uno smantellamento dell'Onu, di cui non a caso si diagnostica la crisi e il superamento - cosi' come, in Italia, si diagnostica il superamento dell'art. 11 della nostra Costituzione - nella prospettiva di una rifondazione dell'ordine mondiale sul dominio statunitense e sulla guerra perpetua come strumento di soluzione delle controversie internazionali. Non e' difficile prevedere gli effetti che dovremo attenderci da una simile, dissennata militarizzazione della politica internazionale. Il primo effetto sara' una crescita esponenziale dell'instabilita' politica nei paesi occupati, della minaccia terroristica, della corsa al riarmo - dalla Russia all'Europa, dalla Corea all'Iran - e percio' dell'insicurezza di tutti, inclusi gli Stati Uniti. Ma sara' anche un aumento in tutto il mondo dell'odio nei confronti dell'Occidente e il crollo dei suoi cosiddetti "valori", dei quali risultera' esplicitato il sottofondo razzista: la copertura ideologica da essi offerta alla guerra, presentata come loro mezzo di esportazione e diretta in realta' a difendere lo spaventoso divario di ricchezza e di tenore di vita tra i nostri paradisi democratici e il resto del mondo; la prospettiva, in breve, di un ordine mondiale fondato sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sull'esclusione, sulla forza, sul terrore ed anche sull'inganno. Il terrorismo avrebbe vinto davvero. Di piu', sarebbe il solo vincitore di questa sconsiderata guerra infinita, a sua volta apertamente terroristica, che comprometterebbe non solo la pace ma anche la sicurezza di tutti. Il secondo effetto, del quale esistono gia' innumerevoli segni allarmanti, e' la crisi della democrazia all'interno dei nostri paesi. Si pensi al clima di paura, di emergenza, di patriottismo guerresco, di intimidazione e di intolleranza per il dissenso che sta inquinando l'opinione pubblica americana. Si pensi alla disinformazione nel paese della liberta' di stampa: abbiamo tutti letto che la grande maggioranza dei cittadini statunitensi e' convinta che l'attentato dell'11 settembre fu organizzato da Saddam Hussein, che gli attentatori suicidi erano tutti iracheni e che Saddam stesse preparando nuovi attentati contro gli Usa. Ma si pensi, soprattutto, alle vergognose "leggi patriottiche" del 16 e del 26 ottobre 2001, che autorizzano il presidente americano a dichiarare "terroristico", a suo sovrano giudizio, qualunque soggetto o associazione nazionale o straniera, aboliscono l'habeas corpus e istituiscono tribunali speciali e processi sommari per i non cittadini statunitensi: "siamo tutti americani", si disse all'indomani dell'11 settembre, ma non di fronte al diritto americano. Gli Stati Uniti stanno d'altro canto diventando una societa' militarizzata, in stato permanente d'assedio. E nulla garantisce contro l'involuzione interna della loro pur solida democrazia, per effetto dell'assuefazione o peggio del consenso di un'opinione pubblica impaurita e incattivita a qualunque aggressione al diritto e ai diritti. C'e' poi un terzo effetto, forse il piu' allarmante, che conseguirebbe alla strategia americana e sul quale e' utile soffermarsi. Questa guerra preventiva, infinita e sconfinata, globale e permanente, fatta contro la volonta' dalla maggioranza degli Stati e di tutti i popoli del mondo, eccettuato quello statunitense, ha posto in maniera chiara e drammatica il problema del futuro della democrazia, ben al di la' di quanto si e' detto sulle involuzioni autoritarie in atto negli Stati Uniti e in molti altri paesi dell'Occidente. Tocchiamo qui una questione di fondo, che riguarda i presupposti stessi della democrazia nell'eta' della globalizzazione. La globalizzazione consiste precisamente in quell'assenza di regole e di limiti giuridici ai grandi poteri transnazionali, politici ed economici, della quale la guerra e' la manifestazione piu' terribile. Essa ha fatto saltare, insieme alla sovranita' degli Stati e al monopolio statale della produzione giuridica, il rapporto tra sistemi politici e popoli, tra pubblici poteri e base sociale su cui si sono modellati cosi' la democrazia rappresentativa che lo Stato di diritto. Nell'eta' della globalizzazione, infatti, il futuro di ciascun paese, con la sola eccezione degli Stati Uniti, dipende sempre meno da decisioni prese al suo interno dai suoi governanti e sempre piu', soprattutto se si tratta di paesi poveri, da decisioni esterne, assunte in sedi politiche sovranazionali o da poteri economici globali. E' percio' venuto meno il nesso democrazia/popolo e poteri/Stato di diritto, tradizionalmente mediato dalla rappresentanza politica e dal primato della legge che dalla politica e' prodotta. In un mondo di sovranita' disuguali e di crescente interdipendenza non e' piu' vero che le decisioni rilevanti spettino a poteri direttamente o indirettamente democratici; che le procedure democratiche garantiscano la coincidenza dei governanti con i rappresentanti; che l'elezione di un presidente o di un parlamento da parte di un popolo sia irrilevante per il futuro di altri popoli. Sicuramente, l'elezione di un presidente degli Stati Uniti bellicista ha effetti decisivi sul futuro della pace per tutti gli abitanti del pianeta. Tutto questo - la crisi del nesso Stato/democrazia e Stato/Stato di diritto - era chiaro ben prima della guerra contro l'Iraq. Ma di tutto questo la guerra ha esplicitato la terribile e minacciosa portata. Giacche' la sua accettazione equivale alla restaurazione del diritto di guerra in capo ad un unico sovrano cui tutti noi siamo sottoposti: un sovrano "assoluto", nel senso letterale di legibus solutus, quale mai e' esistito neppure nell'eta' dell'assolutismo, dato che il suo potere si propone come universale e globale e la guerra, rimessa dalla Costituzione del suo paese alla sua decisione, non e' la vecchia guerra tra piccoli eserciti, ma la guerra odierna, illimitatamente distruttiva oltre che perpetua e planetaria. Cio' che il progetto strategico americano sta prospettando - oltre a una stagione di disordine infinito in un mondo popolato di ordigni nucleari, e al di la' delle involuzioni illiberali dei nostri sistemi politici - e' il collasso del paradigma stesso della democrazia costituzionale, fondata sulla rappresentanza politica e sulla soggezione alla legge di tutti i poteri, e la sua sostituzione con una sorta di stato d'eccezione internazionale affidato al dominio militare della superpotenza americana e per essa del suo presidente. * L'alternativa del diritto e la rifondazione dell'Onu E' di fronte ai pericoli di questa regressione neoassolutistica dell'ordine internazionale che si e' riaperto, nel mondo, lo spazio della politica e, insieme, del diritto. La novita' di questa guerra e' che questi pericoli, proprio perche' apertamente dichiarati ed esibiti dal governo statunitense, sono stati percepiti da tutto il mondo - dalla maggioranza del Consiglio di Sicurezza e dalla grande maggioranza degli Stati, dalle pubbliche opinioni e da tutte le Chiese - come micidiali e intollerabili. Le tre guerre precedenti - la prima guerra del Golfo, quella per il Kosovo e quella contro l'Afghanistan - furono anch'esse illegittime perche' in contrasto con la Carta dell'Onu. Ma esse furono avallate sia dalla comunita' internazionale che dalla maggioranza delle pubbliche opinioni. A differenza della guerra in atto, esse invocarono a loro giustificazione argomenti umanitari e para-giuridici, occultando le finalita' strategiche da cui erano anch'esse motivate: il vizio, in questo modo, rendeva omaggio alla virtu', formalmente pur se ipocritamente non rinnegata. Oggi, invece, la guerra infinita e imperiale e' stata ripetutamente annunciata come strumento di governo del mondo dal presidente Bush, che si e' curato di dissipare intorno ad essa qualunque velo ideologico. Naturalmente non possiamo sapere se Clinton avrebbe anch'egli scatenato questa guerra. Probabilmente non l'avrebbe fatto, dato che il progetto della guerra contro l'Iraq appartiene al gruppo oltranzista oggi al potere, che l'aveva proposto fin dalla presidenza del primo Bush e poi accantonato. Ma e' certo che qualunque altra guerra avesse fatto un presidente come Clinton sarebbe stata all'insegna della copertura dell'Onu o quanto meno dell'Alleanza atlantica. La rozzezza e il manicheismo religioso dell'attuale amministrazione hanno comportato, se non altro, il vantaggio che l'operazione di normalizzazione e di rilegittimazione della guerra, per la spaventosa arroganza con cui e' stata perseguita, non e' riuscita. L'unilateralismo americano e' stato rifiutato, in tutto il mondo, dai governi della maggioranza degli Stati e dalla mobilitazione della maggioranza delle pubbliche opinioni. E il super-potere degli Stati Uniti ha per la prima volta mostrato un difetto: quello di non essere ne' accettato, ne' riconosciuto. E' difficile dire quanto peso in questo non riconoscimento abbiano le ragioni del diritto calpestate dai metodi di governo del mondo esibiti da questo super-potere, quanto gli interessi politici ed economici degli altri Stati, piccoli e grandi, e quanto l'obiezione di coscienza delle grandi manifestazioni pacifiste. E' pero' certo che questi tre fattori convergono, essendo l'uno funzionale all'altro: giacche' il diritto e i diritti sono al tempo stesso l'unica tecnica di limitazione dei super-poteri, altrimenti assoluti, nonche' di garanzia di una convivenza pacifica informata all'uguaglianza e all'interesse di tutti. E' quindi possibile che di fronte ai pericoli prefigurati da questa guerra torni a prevalere la ragione: che si riconosca finalmente che non solo la pace e la sicurezza ma anche la democrazia sono minacciate dall'assenza di una sfera pubblica internazionale all'altezza dei nuovi poteri transnazionali, siano essi economici o politici o militari. Si riapre, in altre parole, lo spazio di una politica che punti non solo alla difesa dell'Onu, ma anche al completamento del suo ordinamento nella prospettiva di uno stato di diritto internazionale: innanzitutto la democratizzazione del Consiglio di sicurezza; in secondo luogo la funzionalizzazione delle attuali istituzioni di governo dell'economia - il Wto, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e la fitta rete dei poteri economici transnazionali - allo sviluppo dei paesi poveri e alla tutela dei diritti economici e sociali; in terzo luogo la creazione di adeguate funzioni e istituzioni di garanzia della pace e dei diritti fondamentali, a cominciare dal disarmo progressivo e dalla messa al bando della produzione e del commercio di armi; infine la formulazione di una definizione adeguata del "crimine di aggressione", previsto dall'art. 5 lett. d dello statuto della Corte penale internazionale ma non ancora elaborata anche a causa dell'opposizione degli Stati Uniti. Perche' si realizzi una simile prospettiva sono pero' necessarie molte condizioni. La prima e' che continui la mobilitazione pacifista: perche' questa guerra sia ricordata e condannata come un crimine e perche' su di essa non sia possibile rifondare l'ordine internazionale, che sarebbe poi il massimo disordine. A questo scopo e' essenziale che la ferita inferta con questa guerra al diritto e alla convivenza civile non sia in alcun modo risanata: che essa continui a pesare come un crimine nella memoria e nella coscienza di tutti; che ovviamente si ricomponga la funzionalita' dell'Onu, ma senza dimenticare cio' che e' accaduto. Sono solo le mobilitazioni pacifiste, d'altro canto, che possono salvare la credibilita' di una parte almeno dell'Occidente, impedendone l'equazione con la guerra anziche' con la pace e con la democrazia, e insieme scongiurare lo scontro di civilta' e la guerra di religione cui la politica americana ci condurrebbe. La seconda condizione e' percio' la costruzione di un'Unione europea non subalterna politicamente e culturalmente agli Stati Uniti. A questo scopo non serve un'Europa come potenza militare, simmetrica e concorrente sul terreno delle armi con gli Stati Uniti, quasi un ritorno a un nuovo bipolarismo armato. Serve al contrario un'Europa in grado di rivendicare un primato civile grazie precisamente al ripudio della guerra e alla difesa del diritto e dei diritti; capace di rifuggire dalle tentazioni imperialistiche, essendo vaccinata dai fallimenti dei suoi tanti imperi, antichi e recenti, creati dai suoi diversi Stati nella sua lunga storia; idonea a proporsi come modello di democrazia costituzionale alternativo al modello liberista e imperiale americano perche' fondato sulla garanzia dei diritti sociali oltre che della pace. Di qui l'enorme importanza dei tempi del processo di integrazione dell'Europa e della qualita', allo stato attuale purtroppo deludente, dei principi, dei diritti e delle garanzie che saranno incorporate nella Costituzione europea in via di elaborazione. La terza condizione e' che si sviluppi il dissenso nell'opinione pubblica statunitense nei confronti dell'attuale amministrazione. Sicuramente il progetto imperiale da questa perseguito non e' stato inventato da Bush, ma affonda le sue radici in buona parte della politica estera americana. Tuttavia, l'enorme consenso e la grande popolarita' di cui gode attualmente il presidente americano sono dovuti soprattutto a due fattori. Il primo e' la paura, alimentata dalla campagna presidenziale e dalla disinformazione: ho gia' ricordato l'altissima percentuale di statunitensi convinti di essere stati aggrediti, l'11 settembre, dall'Iraq di Saddam Hussein. Il secondo e' il rapporto malsano noi/loro, Stati Uniti/ resto del mondo, sul quale si basano le forme piu' accese di patriottismo istituzionale, generate a loro volta dalla sostanziale non conoscenza del mondo esterno, avvertito, quando non ignorato, come virtualmente ostile. Sono due fattori che possono essere contrastati solo dalla mobilitazione del dissenso manifestatosi in questi mesi e dalla crescita della consapevolezza circa la posta in gioco: l'identita' democratica degli Stati Uniti e i loro stessi interessi di lungo periodo. Per questo vanno respinte, come insensate e inammissibili nel dibattito pubblico, le opzioni o le accuse di "filo-americanismo" o di "anti-americanismo": formule e trappole ideologiche, che offrono degli Stati Uniti un'immagine indifferenziata, in tutti i casi sbagliata, che puo' solo giovare alla loro attuale politica di aggressione. Naturalmente non ha senso fare previsioni e neppure dividersi tra ottimisti e pessimisti. La sola cosa che sembra certa e' che oggi piu' che mai il futuro dell'ordine internazionale resta largamente indeterminato. Grazie alle grandi mobilitazioni pacifiste, l'esito del confronto tra la politica americana della forza e una politica di pace rivolta al rafforzamento delle Nazioni Unite e delle garanzie dei diritti umani non e' affatto scontato. 9. RIFLESSIONE. AMERIGO BIGAGLI: ANCORA SULLE BANDIERE DELLA PACE [Ringraziamo Amerigo Bigagli (per contatti: amerigobigagli at infinito.it) per questo intervento. Amerigo Bigagli e' impegnato nel Movimento Nonviolento a Prato] Ho seguito un po' il dibattito nella newsletter sulle bandiere della pace. Mi rattrista il pensiero di toglierla dal balcone, ma mi rendo anche conto che ho anch'io una certa assuefazione alla loro presenza su balconi e davanzali. Allora mi sono chiesto come fare per riattivare l'attenzione alle bandiere ed al loro significato sebbene in realta' vi siano, pultroppo, diversi motivi sulla terra per sventolarle ancora. Propongo dunque ai promotori dell'iniziativa (se cio' non comporta grosse difficolta' per motivi che ora mi sfuggono) di concordare il momento e tempo per aggiungere alle bandiere una striscia autoprodotta con su scritto il riferimento ad uno dei tanti casi di conflitto e/o d'ingiustizia che affligono in primo luogo popolazioni gia' sofferenti per la poverta' (ad es.: Congo, Saharawi, Eritrea, Sudan, Cecenia, etc). Il fatto che le bandiere, a seguito di una tale iniziativa, si logorino ancora piu' rapidamente non mi pare grave, ma lo interpreto piuttosto come la testimonianza che la lotta per la pace comporta lacerazioni comunque rimarginabili. 10. INFORMAZIONE. "NIGRIZIA" DI LUGLIO-AGOSTO 2003 Nel fascicolo di luglio-agosto 2003 di "Nigrizia", l'ottimo "mensile dell'Africa e del mondo nero" promosso dai missionari comboniani (per contatti: e-mail: redazione at nigrizia.it, sito: www.nigrizia.it), tra molti altri materiali un ampio dossier su "l'eredita' di Martin Luther King". Ne raccomandiamo vivamente la lettura. 11. RILETTURE. AA. VV.: CANTI DELLA PROTESTA FEMMINILE AA. VV., Canti della protesta femminile, Newton Compton, Roma 1977, pp. 240. In questi "contributi alla presa di coscienza d'una nuova cultura rivoluzionaria" "un viaggio attraverso il canto popolare tradizionale e la nuova creativita' musicale femminile, alla ricerca della cultura che le donne hanno espresso da sempre nella lunga lotta per la loro liberazione" (dalla prima e dalla quarta di copertina). 12. RILETTURE. JOAN BAEZ: BALLATE E FOLKSONG Joan Baez, Ballate e folksong, Newton Compton, Roma 1977, pp. 176. Con testo originale a fronte, le parole di molte canzoni popolari cantate dalla grande ricercatrice e musicista pacifista. 13. RILETTURE. BILLIE HOLIDAY: LA SIGNORA CANTA IL BLUES Billie Holiday, La signora canta il blues, Feltrinelli, Milano 1979, 2002, pp. 300, euro 8. Una delle piu' grandi voci del jazz si racconta. Con un'ampia discografia. 14. RILETTURE. VIOLETA PARRA: CANZONI Violeta Parra, Canzoni, Newton Compton, Roma 1979, pp. 240. Una bella raccolta di canzoni (con testo originale a fronte) della grande artista, studiosa e militante cilena. Con ampio apparato critico e documentario. 15. RILETTURE. BESSIE SMITH: CANZONI Bessie Smith, Canzoni, Lato Side, Roma 1981, pp. 96. Con originale a fronte i testi di molte canzoni indimenticabilmente interpretate dalla "regina del blues". 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 607 del 10 luglio 2003
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