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La nonviolenza e' in cammino. 606
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 606
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 8 Jul 2003 21:40:58 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 606 del 9 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Lotus Linton Howard: il manifesto delle nonne 2. Janina Bauman: quel che disse la signora Pietrzyk 3. Giulio Vittorangeli: sentimento del tempo 4. Augusto Cavadi: oltre le ideologie del Novecento 5. Tommaso Di Francesco presenta "Meglio carcerati che carcerieri" a cura di Peretz Kidrom 6. Letture: Emilio Gentile, Renzo De Felice. Lo storico e il personaggio 7. Letture: Carlo Maria Martini, Sulla giustizia 8. Riletture: Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi 9. Riletture: Gian Mario Bravo, La prima Internazionale 10. Riletture: Giorgio Graziosi, L'interpretazione musicale 11. Riletture. Armanda Guiducci: La mela e il serpente 12. Riletture: Louise Labe', Oeuvres completes 13. Riletture: Gaspara Stampa, Rime 14. Riletture: Alfonsina Storni, Irremediablemente 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. APPELLI. LOTUS LINTON HOWARD: IL MANIFESTO DELLE NONNE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci inviato la traduzione di questo testo di Lotus Linton Howard (per contatti: lotuslh at earthlink.net), filosofa, autrice del libro Fonti dell'anima: cercando il se' nelle acque. Puo' essere utile sottolineare che il termine inglese per dire "nonna" e' "grandmother", forse piu' evocativo dell'equivalente italiano] Noi siamo le Anziane, le mantenitrici della piu' alta legge della creazione che e' la Legge delle Buone Relazioni. Alcune di noi hanno avuto figlie e figli, altre hanno servito il mondo in altri modi. Poiche' abbiamo gia' messo al mondo e nutrito i nostri piccoli e i sogni della nostra giovinezza, ora manteniamo in noi il nostro sangue e, cio' facendo, portiamo in grembo la saggezza dei secoli. Noi sappiamo che solo nell'avere buone relazioni fra di noi, con la Madre Terra e con il sacro che si manifesta in tutta la creazione, la vita ha valore, significato e vero scopo. Per troppi lunghi periodi della storia umana le voci delle donne sono state ridotte al silenzio. La nostra saggezza di nonne e' espressa dal nostro amore per gli innocenti, dal nostro rispetto per i doni guaritori della natura, e dalla nostra pazienza nel seguire i ritmi naturali con cui la vita si rivela. Purtroppo, questa saggezza che abbiamo costruito negli anni dalle nostre esperienze e dalla nostra prospettiva di donne e' stata a lungo ignorata, non tenuta in considerazione, o dimenticata. Ma noi possiamo rappresentare un beneficio per la societa', perche' la nostra comprensione ha nel suo cuore il benessere della comunita' umana. Noi non crediamo che l'umanita' sia destinata in eterno a seguire gli schemi della discordia e della sopraffazione. Vediamo che la famiglia umana e' sulla soglia di una nuova coscienza. I paradigmi basati sull'avidita', il dominio e la paura devono cessare. Le istituzioni culturali, sociali, politiche e religiose dovranno compiere questo salto che riflette il risveglio dell'umanita', o dissolversi per fare spazio a nuovi sistemi. I semi del nuovo inizio per l'umanita' giacciono nascosti in molte antiche tradizioni. Mantenendo queste gemme delle antiche nonne in noi, chiediamo alternative d'amore alle presenti strutture gerarchiche di potere e ai presenti sistemi economici oppressivi. Portando tutta la forza della nostra saggezza nel tempo presente noi, le Anziane della Terra, dichiariamo quanto segue: * 1) La vita e' sacra. Come i grandi insegnamenti del passato ci hanno fatto capire, c'e' un'intelligenza del cuore che oltrepassa il mero intelletto. E' la reverenza a quella sacralita' che troviamo in ogni aspetto della creazione. Leader politici e religiosi: sia la sacralita' della vita il tema centrale e la motivazione di ognuno di voi, fino a che i giorni dell'umanita' non siano riempiti di quella pace, quella buona volonta', quella liberta' che avremo creato per goderne. * 2) Il fine delle vita e' il saper crescere. La crescita implica l'evoluzione verso la maggior comprensione e la maggior saggezza. Noi, le Anziane, sappiamo che la saggezza richiede la capacita' e la volonta' di essere onesti e riflessivi, di abbandonare la tendenza a proiettare sugli altri il "male" che non sappiamo fronteggiare in noi stessi. Leader politici e religiosi: siate umili e dedicatevi alla vostra crescita personale come primo passo sulla vera strada per la pace nel mondo. * 3) Noi siamo tutte e tutti in relazione. Ogni essere umano, appartenente a qualsiasi etnia, credo, genere, livello di sviluppo, e' nostra sorella o nostro fratello. Tutti i bambini del mondo sono nostri figli per essere trattati con saggezza, gentilezza, amore e rispetto. Noi, le Anziane, sappiamo che quando le persone si vedono le une con le altre come una famiglia, le dinamiche umane si espandono in dimensioni completamente nuove. Governi ed istituzioni sociali: siate al servizio di questa espansione. * 4) Noi siamo coloro che hanno cura della Terra. L'avere cura non puo' implicare il dominio. Noi coesistiamo volontariamente con le altre specie viventi del nostro pianeta. Anch'esse sono sacra espressione della creazione e fili dell'interdipendente Tela della Vita. Noi sappiamo che tecnologie esistono e possono essere create per favorire la vita di tutti senza distruggere o inquinare la Terra. Come depositare di questa sacra fiducia, noi, le Anziane, riceviamo tutti i doni della natura con gratitudine, ed approviamo solo le tecnologie che siano sostenibili e che preservino la vita per tutti gli esseri. * 5) L'amore di se' e' la radice della salute e della felicita'. La capacita' di amare davvero se stessi e' una parte essenziale della soddisfazione personale e deve divenire uno scopo dell'educazione. Come nonne, insistiamo affinche' le scelte etiche e politiche di tutte le istituzioni sociali e scolastiche siano improntate ad ispirare ai bambini l'amore per se stessi come preziosa manifestazione del sacro. Noi sappiamo che solo una coppa riempita puo' traboccare per vivere un'esistenza grata e rendere servizio alla comunita' umana. * 6) La compassione e' un'abilita' essenziale. In un mondo in cui le tecnologie di distruzione permeano le nostre societa', il saper "sentire insieme" alle altre persone e' cruciale per la sopravvivenza del pianeta. La compassione ci libera dalle catene della paura che ci tengono prigionieri dei conflitti e dell'economia di guerra. Quando l'intelligenza del cuore si risveglia, ferire un altro essere vivente e' impossibile, perche' il senso del se' supera l'ego e include gli altri nel proprio cerchio. Chiediamo lo sviluppo dell'insegnamento della compassione, perche' sappiamo che solo acquisendo quest'abilita' essenziale le nostre figlie ed i nostri figli godranno della propria esistenza in pace, dignita' e grazia. * 7) I problemi sono sfide alla creativita'. Noi, le Anziane, ci ergiamo contro la guerra e le reazioni smodate e distruttive ai problemi che nascono fra i popoli. Vogliamo che i leader politici e religiosi si addestrino alla diplomazia, alla competenza multiculturale, alla risoluzione dei conflitti ed al pensiero creativo. Fra essi, coloro che continuano a scegliere la manipolazione, la forza e mezzi non etici per raggiungere scopi egocentrici, devono cambiare od essere rimpiazzati da altri che incarnino le qualita' suddette. Nelle menti dell'umanita' c'e' abbastanza ingegno per trovare soluzioni nonviolente ad ogni dilemma. * E con questa dichiarazione noi, le nonne, ora circondiamo il pianeta con il nostro amore e la nostra saggezza. Noi donne anziane siamo una grande percentuale di aventi diritto al voto, e siamo esperte delle tradizioni popolari, conosciute nelle nostre comunita'. Ora noi dichiariamo che sosterremo solo quei leader, quelle istituzioni e quei progetti che rispetteranno e rifletteranno il nostro manifesto. Per il bene dei bambini di oggi e delle generazioni che scaturiranno da essi, noi ci opponiamo alla tirannia, all'avidita', all'odio, alla separazione ed alla violenza. E' detto nella profezia Hopi che quando le Anziane parleranno, la pace tornera' alla Terra. Noi stiamo parlando. * Post scriptum di Lotus Linton Howard: Se vi sentite mosse dall'appello, firmatelo e passatelo alle donne anziane della vostra famiglia e fra le vostre amiche nonne. Quando il numero di firme raggiunge 50 o un suo multiplo, per favore mandatemi una copia delle firme all'indirizzo lotuslh at earthlink.net, perche' voglio rendermi conto di come la nostra tela si diffondera'. Spero che molti splendidi cerchi di discussione e azione nasceranno mentre ci connettiamo l'una all'altra in questo modo. Siate benedette. 2. MAESTRE. JANINA BAUMAN: QUEL CHE DISSE LA SIGNORA PIETRZYK [Da Janina Bauman, Inverno nel mattino, Il Mulino, Bologna 1994, p. 264. Janina Bauman, ebrea polacca nata a Varsavia nel 1926, ha vissuto la drammatica esperienza del ghetto di Varsavia. Sopravvissuta alla Shoah, laureata in scienze sociali e politiche, ha lavorato nell'industria cinematografica polacca; dopo le lotte studentesche del 1968 con il marito Zygmunt che del movimento studentesco era uno dei punti di riferimento ha dovuto abbandonare la Polonia. Tra le sue opere, i due volumi di memorie: Inverno nel mattino, e Un sogno di appartenenza, entrambi editi dal Mulino] Guardandomi dritta in faccia con quei suoi occhi antichi e onniscienti, disse, come citando da un libro sacro: "Chiunque viene sotto il mio tetto a cercare rifugio, non importa chi sia e quale sia la sua fede, sara' sicuro con me". 3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: SENTIMENTO DEL TEMPO [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Noi che cominciamo ad avere un bel po' di primavere, e di autunni, sulle spalle, dobbiamo anche misurarci con il senso del tempo che passa; cruciale da afferrare sia nella sfera individuale che in quella collettiva, perche' il mondo e le nostre vite scorrono nel tempo, nel cambiamento. E per afferrarlo bisognerebbe provare a dirsi un po' di verita' sui sentimenti che ci suscita. Sentimenti per il passato (sapendo che il passato e' passato e non si rifa'), quando era "facile" fare certe scelte, per quanto controcorrente: non volevamo morire democristiani e temevamo colpi di stato, invece ci siamo ritrovati a essere complici dei bombardamenti (la prima guerra del Golfo nel 1991 "Desert storm"; la guerra nella ex-Jugoslavia; la guerra contro l'Afghanistan nel 2001; fin alla nuova aggressione anglo-americana all'Iraq) e di una guerra preventiva continua (l'insieme degli interventi preannunziati per i prossimi venti-trent'anni nella guerra alla "forze del male", agli "stati canaglia")... chi l'avrebbe detto? Sentimenti per il presente, dove fatichiamo a riconoscere quanto si siano affermati dei modelli autoritari, e ne siamo talmente imbevuti a tutte le ore del giorno, in tutte le nostre funzioni quotidiane, da non vederli piu'. Dilaga una sorta di "realismo" che non significa null'altro che accettazione dell'esistente, attenersi all'apparente oggettivita' dei fatti e delle priorita' politiche, che impongono decisioni quasi obbligate, dettate da ragioni autoevidenti. Si veda la guerra (piu' o meno "umanitaria") o la flessibilita' del lavoro, presentate come le sole scelte possibili e ragionevoli, mentre tutte le altre sarebbero viziate di astratto idealismo, di radicalismo etico, di un rifiuto dell'esistente. Come dimostra il recente fallimento del referendum sul lavoro, la gente si sente insicura, ma non crede piu' in un'azione comune. "Ritiene che oggi come oggi i padroni sono vincenti e non resta che affidarsi al mercato e all'impresa. Questa e' la vera vittoria della controffensiva che si e' delineata su scala mondiale negli anni Settanta. Chi era entrato nel lavoro dopo la guerra credeva nella lotta, si e' battuto e ha conquistato, in un'economia in crescita, salario e diritti e pensioni che gli hanno permesso il reddito sul quale per lungo tempo hanno vissuto anche i figli nati dagli anni Sessanta in poi. Per i quali il lavoro non ha rappresentato come per i genitori un obbligo e una possibilita'. Saranno loro a non poter fare lo stesso per i figli propri (...) Malgrado l'esperienza quotidiana della precarieta', la solidarieta' dei e fra i lavoratori e' stata dichiarata defunta. Cosi' l'italiano su due (in gran parte donne e giovani) che vive sul lavoro di un altro e' stato riconsegnato a se stesso ed e' declinato il senso del destino e delle possibilita' collettive in questo sistema, definito immutabile una volta per sempre" (Rossana Rossanda, "Il manifesto" del 20 giugno 2003). Cosi' nessuno si occupa piu' delle condizioni di lavoro, ma solo di avere un lavoro. Le sinistre, in tutto questo, non sono certo state immuni da colpe; non a caso, nella parte maggioritaria, hanno deciso di rompere con la loro base sociale: sulle politiche economiche e persino sul dopoguerra. Mai come oggi, l'opposizione politica esprime una classe dirigente di cosi' basso profilo; sembrano tanti Buster Keaton che tentano di mettere in piedi una casa acquistata per posta, quando un rivale ha scambiato i numeri delle scatole di montaggio. Peggio ancora, ricordano lo Charlot, capitato a guidare un corteo di protesta sventolando casualmente una bandiera rossa. Per questo, "normalmente" hanno vinto Berlusconi e la peggiore destra europea, tenuta insieme nelle sue tre componenti: postcostituzionale (Forza Italia), extracostituzionale (An) e anticostituzionale (Lega), solo dal progetto di sfasciare il patto fondamentale repubblicano. Conclusione, il nostro paese sta attraversando una crisi profonda negli equilibri sociali, dalla Fiat alla messa in causa della Costituzione del 1948 che dichiarava che la Repubblica era fondata sul lavoro e non sull'impresa o sulla finanza. Sentimenti per il futuro... non e' facile tenersi in equilibrio, tentare di sfuggire da un lato il cinismo di chi guarda con occhio disincantato alle tragedie di questi tempi, dall'altro la disperazione che puo' nascere in chi osserva impotente queste ingiustizie. Come reagiamo, per esempio, di fronte al fatto che ogni anno quindici milioni di bambini muoiono di malattie da noi facilmente curabili come la diarrea, il morbillo, la malaria e altre malattie respiratorie? Ripartire dalle nostre storture con la disponibilita' a farci sorprendere da nuove esperienze altrui, la rassicurazione che la vita continua, la possibilita' di ricordare piu' vivamente, attraverso la visione di altre vite, il tempo che e' stato della nostra vita, il poter correggere la paura, molto politica, del futuro, con la speranza di cio' che ancora non e' o incomincia appena ad essere. E' in questo piacere che si radica anche la passione politica per il futuro. E soprattutto continuare a fare quello che sempre abbiamo fatto: sporcarci le mani dentro questa storia che e' veramente sporca. Con la forza di sopportare gli insuccessi e di tenere comunque alta la testa. Perche' tutto questo ha a che vedere con la propria immagine allo specchio, quella che si incontra ogni mattina. Ci si deve almeno sbirciare al volo senza doverne avere vergogna. 4. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: OLTRE LE IDEOLOGIE DEL NOVECENTO [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo saggio apparso su "Itinerarium", n. 11 (2003), alle pp. 143-151. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] 1. Le grandi "narrazioni" ideologiche: siamo al tramonto? Per alcuni il Novecento e' stato il secolo "breve", per altri "lungo", per altri ancora il secolo "dei campi di sterminio" o, senza mezzi termini, "del male": qualcuno, partecipando al gioco e senza timore di essere smentito, ha proposto il secolo "delle ideologie" (1). Come negare, in effetti, che in esso alcune grandi "narrazioni" del XIX secolo (il liberalismo, il comunismo, la socialdemocrazia, l'anarchismo, la stessa dottrina sociale cattolica) raggiungono l'apice della loro configurazione e della loro influenza, ed altre (come il fascismo, il conservatorismo e l'ambientalismo) si affacciano per criticare - o rimpiazzare - le precedenti? E' pure vero, pero', che e' nello stesso XX secolo che "vecchie" e "nuove" ideologie entrano, almeno apparentemente, in crisi per fare spazio non si sa bene a cosa: forse ad un vuoto di idee e di principi in cui vince il piu' dotato di denaro e di sfacciataggine, forse a prospettive socio-politiche inedite che guideranno il nostro futuro un po' meglio di quanto sia avvenuto per il nostro passato. Qui tentero' qualche riflessione sugli scenari che potrebbero aprirsi qualora non si accettasse supinamente il corso degli eventi. * 2. Non identificare le dottrine con i movimenti storici Una prima considerazione e' che, nella storia concreta, non troviamo il liberalismo o il comunismo o il fascismo ma vari liberalismi, comunismi e fascismi al plurale. Ogni ideologia si articola in una molteplicita' di correnti storiche e di protagonisti storici accomunati, spesso, solo da alcune linee di fondo. Nel disegnare il bilancio di cio' che e' stato e la prognosi di cio' che puo' avvenire va custodita l'avvertenza di papa Giovanni XXIII che le ideologie hanno una loro identita' ed una qualche tendenza alla rigidita', mentre i movimenti socio-politici che ad esse si ispirano mutano secondo i luoghi e soprattutto secondo i tempi (2). Egli lo asseriva guardando soprattutto al comunismo: una cosa e' rifiutare la dottrina comunista, un'altra cosa e' misconoscere il travaglio ed i meriti storici di quei movimenti operai e contadini che, per piu' di un secolo, si sono ispirati al comunismo per formulare la rivendicazione dei propri diritti. Che cosa resta di quell'avvertenza profetica? Si studino dunque le ideologie, le si critichi anche spietatamente, ma non si dimentichi mai che dietro ad esse ci sono volti concreti di soggetti viventi, di uomini e di donne che comunque hanno tentato di migliorare il mondo e non di rado hanno consacrato a questo fine le energie piu' belle della loro esistenza. Se posso concedermi, a questo proposito, una considerazione quasi autobiografica, l'invito giovanneo a guardare, oltre le bandiere ideologiche, la concretezza delle persone umane mi ha sempre aiutato a capire perche' difficilmente riesco a dare sui protagonisti della politica un giudizio totalmente negativo. Su molti argomenti, non condivido le idee di Bertinotti; meno ancora quelle di Pannella, di Casini, di Fini o di Bossi. Pero' mi sembra che sia gente che ha puntato tutto su alcuni ideali e che merita rispetto, sia pur nella diversita' e non di rado nell'opposizione dei punti di vista. In qualche caso qualcuno di loro, in gioventu', ha fatto a botte con un avversario o, in eta' piu' matura, ha pateticamente rischiato la galera per l'eccessiva foga nella polemica. Abelardo direbbe: e' gente che ha crocifisso il Redentore, ma almeno non e' stata alle finestre senza prendere posizione e cercando di evitare guai. Di contro, non riesco a nutrire neppure un grammo di simpatia per quanti lasciano trasparire, dal tono della voce e soprattutto dalle opzioni pratiche, di aver adottato un'ideologia solo a scopo strumentale, in vista dell'acquisizione o del mantenimento del potere, magari solo per difendere meglio le ricchezze equivocamente accumulate: e' veramente una tragedia per un popolo quando dietro l'azione politica s'intravede non un cuore che pulsa, una mente che cerca, una vita che preme ed urge, ma solo calcolo utilitaristico e cinismo. * 3. Non rigettare le diagnosi insieme alle terapie Distinguere fra ideologia e soggetti e' importante. Altrettanto importante, a mio avviso, distinguere - all'interno di ogni ideologia - le diagnosi e le terapie. Qui il riferimento e' ad una figura carismatica del Novecento italiano, il sindaco di Firenze - ma nativo di Pozzallo in provincia di Ragusa - Giorgio La Pira. A proposito del marxismo, ad esempio, egli insegnava che Marx ha detto cose molto interessanti, anzi talmente vere che non se ne puo' piu' prescindere, nel momento in cui ha fotografato la societa' capitalistica; mentre, quando e' passato a dare indicazioni operative per cambiarla, e' stato fuorviato dalla sua concezione del mondo e dell'uomo (3). Quello che La Pira ha detto per il marxismo si puo' ripetere per altre ideologie che hanno caratterizzato lo scenario storico del Novecento: sicuramente insoddisfacenti come soluzione, molto spesso sono state efficaci come formulazione delle problematiche. * 4. La parabola del "buon politico" Ma e' proprio sul versante delle terapie che si avverte maggiormente il vuoto di indicazioni, l'esigenza di rispondere a domande elementari e non per questo infantili: come lavorare per cambiare la societa'? Quali criteri metodologici ci possono guidare? Nell'impossibilita' di dire tutto in poche pagine (ammesso che fosse un problema solo di spazio tipografico...), provero' a concentrarmi su alcuni principi basilari. E, per appoggiarmi ad una trama, proporrei di rileggere una parabola evangelica. Mi riferisco alla nota parabola del "buon samaritano" (4) che, con qualche forzatura, potrebbe diventare la parabola del "buon politico". L'idea non e' del tutto originale. La si ritrova, ad esempio, in una lettera un po' polemica di La Pira a don Luigi Sturzo in cui il sindaco elenca le ferite della sua citta' e si chiede se non sia suo dovere scendere dal cavallo dell'ideologia interclassista per attivare interventi statali a favore dei disoccupati (5). Ma procediamo con ordine. La questione originaria che viene posta a Gesu' - forse in buona fede, forse per metterlo alla prova - e': chi e' il mio prossimo? La morale borghese oggi dominante - anche intrisa, o verniciata di cattolicesimo - risponderebbe: innanzitutto tuo padre e tua madre, poi tua moglie e i tuoi figli, infine i vicini di casa, i concittadini e i connazionali. Soprattutto quelli che condividono le tue ideologie politiche o, per lo meno, la tua confessione religiosa. Ma Gesu' non risponde cosi'. Anzi, risponde in modo tale da stravolgere quella prima, ipotetica, possibile risposta. Dice che se tu sei un giudeo e ti e' capitato di essere assalito e lasciato mezzo morto dai briganti, devi augurarti che non passi per strada uno della tua religione, della tua nazionalita', della tua citta': perche' se e' un sacerdote o un levita avra' sicuramente una ragione per non fermarsi, per andare oltre ("devo celebrare messa...", 'ho una conferenza da tenere..."). E' un po' come mi ha spiegato un predicatore gesuita durante un ritiro spirituale di molti anni fa: se perdi un portafogli e lo trova un povero disgraziato qualunque, forse te lo riporta a casa; ma se lo trova un teologo moralista, ci pensera' su' e scovera' almeno dieci motivi logici, dottrinari, consequenziali per... non restituirtelo. E chi devi sperare, allora, d'incontrare? Gesu' sceglie il caso del "samaritano". Sceglie il caso di un uomo di strada (6). I biblisti spiegano che non e' facile provare lo stesso choc degli ascoltatori di Gesu': lui sta dicendo che il tuo "prossimo" e' uno che appartiene ad un etnia nemica (come sarebbe l'etnia arabo-palestinese per un ebreo-israeliano di oggi) e, come se non bastasse, ad una religione diversa dalla tua (come sarebbe l'islam oggi). Ecco, e' come se Gesu' oggi dicesse agli ebrei: il vostro prossimo e' un palestinese musulmano. Molti anni fa, per spiegarlo a un pubblico di ascoltatori cattolici, Frei Betto ci disse in un convegno a Ciampino: e' come se Gesu' ci avesse indicato come "prossimo" uno eretico in teologia e comunista in politica. Ma non basta. La cosa veramente sorprendente, anzi francamente spiazzante, e' che secondo Gesu', giudeo e ortodosso, il samaritano non diventa "prossimo" del povero moribondo per botte su iniziativa del moribondo per botte (che era, appunto, giudeo ed ortodosso), ma per sua propria iniziativa: cioe', per iniziativa dell'eretico straniero. Magari, osserva con finezza Franzoni, col rischio "di essere un giorno rimproverato perfino dal suo beneficato, risentito per il fatto di essere stato soccorso da un impuro" (7). Gesu' dice allo scriba che lo aveva interrogato: "Va' e fa' anche tu lo stesso" (Luca 10, 37). Indica come modello esemplare il comportamento di uno, il samaritano, che non trova l'altro "bello e pronto" come prossimo ma - come dire? - lo "prossimizza", lo rende prossimo. Fa insomma esattamente il contrario di quanto facciamo noi quando, davanti a un indigente in carne ed ossa, diciamo secondo una sottile ed amara battuta: questo no, aspettiamo il prossimo. Sulla creativita' del personaggio evangelico ha insistito giustamente Franzoni in un altro libro recente: "Il samaritano che si ferma accanto al ferito per soccorrerlo, tanto materialmente quanto moralmente, in realta' non e' in una condizione precostituita per essere prossimo, non soccorre infatti uno della stessa appartenenza religiosa (...) ma soccorre un essere umano in quanto essere umano. Non fu dunque un prossimo ma uno che ha creato la prossimita' con il suo riconoscimento, nel profondo, dell'altro" (8). Fermiamoci un momento: non siamo di fronte ad una splendida definizione della politica? La politica e' incessante creazione di prossimita', abbattimento di barriere all'interno di una citta', di uno Stato, di un continente, di un pianeta. Non mi sembra senza rilevanza che, in un recente dialogo fra "laici", fra Massimo Cacciari e il suo ex-vicesindaco Gianfranco Bettin, il filosofo - a un punto cruciale - si chieda: "Cos'e' fare politica, se non dire al tuo prossimo che non e' solo?" (9). Probabilmente inconsapevole, certo inespressa, in questo interrogativo - che e' poi retorico - l'eco evangelica e' innegabile. Procediamo. Da dove parte l'esigenza di costruire questa relazione di prossimita', di vicinanza, di corresponsabilita'? E' la domanda che, tra altri, si e' posto una volta Ignazio Silone: 'Per quale destino o virtu' o nevrosi, ad una certa eta' si compie la grave scelta" di dedicarsi alla politica attiva? "Donde viene ad alcuni quell'irresistibile intolleranza della rassegnazione, quella insofferenza dell'ingiustizia, anche se colpisce altri? E quell'improvviso rimorso d'assidersi a una tavola imbandita, mentre i vicini di casa non hanno di che sfamarsi? Forse nessuno lo sa. Anche la confessione piu' approfondita diventa, ad un certo punto, semplice constatazione o descrizione, non risposta" (10). La parabola da' un nome a questo: impulso inderivabile, originario, indeducibile. Riascoltiamo Franzoni: "Il testo evangelico indica un movente ben preciso. Dice che al samaritano si mossero le viscere. Questo evento, che convenzionalmente chiamiamo commozione, viene definito con parola ebraica: rahamim. (...) Questa possibilita' di riconoscimento getta le sue radici nella natura della commozione, emozione profonda che puo' superare la differenza di genere. Quando il vangelo dice che al samaritano 'si commossero le viscere' si usa una radice greca (splanchna) che all'origine poteva connotare una qualsiasi commozione viscerale - perfino il vomito - ma al tempo di Gesu' aveva preso il significato di una commozione di Dio verso la condizione dei miseri. In questa espressione si nasconde peraltro una importante connotazione. Le viscere si muovono in Dio o in Gesu', quando vede la folla che lo segue 'come pecore senza pastore', come si muovono le viscere di una donna che sta partorendo" (11). Dunque, tutto comincia, o dovrebbe cominciare, da un fatto di pancia, da un moto viscerale. E cio' spiega in parte la tragicita' dello scenario attuale. Il ceto politico, per lo piu' (non generalizziamo: sarebbe qualunquistico), si e' deciso ad iniziare l'attivita' politica sulla base di sentimenti soggettivi, di circostanze fortuite, di calcoli carrieristici: assai difficilmente e' rintracciabile, alla radice, un moto di compassione autentica. Per chi lo ha provato, al contrario, sarebbe stato un ottimo inizio; ma, specie negli ambienti cattolici, e' stato l'inizio e anche la fine. Abitualmente ci si ferma alla "testimonianza" personale, al gesto immediato, alla solidarieta' "corta". Si solleva il malcapitato, lo si lava, gli si fasciano gli arti fratturati, gli si da' un panino e gli si augura "buon proseguimento". Ma gia' il testo evangelico allude a qualcosa di ulteriore che si potrebbe, e dovrebbe, fare: lo si puo' accompagnare in una locanda, fare un contratto con il proprietario e garantire un periodo di assistenza non proprio limitato e occasionale. Questo spunto e' stato efficacemente ripreso e sviluppato da un brillante pastore protestante in una raccolta di omelie ormai non piu' recenti, ma per nulla "superate" (12). Il "buon" samaritano potrebbe chiedersi: perche' in questa strada avvengono cosi' spesso delle aggressioni ai viandanti? Come si puo' fare per prevenire questi incidenti? Parliamone col sindaco di Gerusalemme e col sindaco di Gerico; organizziamo un servizio di sorveglianza; incrementiamo le occasioni di lavoro per i disoccupati della zona che rimpiazzano continuamente le fila della criminalita'... Se cosi' facesse, egli istituzionerebbe la sua volonta' di servizio: farebbe, appunto, "politica" nel senso piu' alto e profondo del termine. Non sono sogni anacronistici: la vicenda della banca dei poveri di Yunus ne e' una splendida dimostrazione (13). * 5. Il carburante della politica Se cosi' raramente si passa dall'intervento occasionale alla strategia politica, lo si deve ad una inadeguatezza culturale di fondo. Non ci si impegna sulla lunga distanza perche' non si ha l'attrezzatura intellettuale minima, non si possiede l'alfabeto essenziale. La "compassione" e' il motore, la lungimiranza politica e' il volante, ma l'aggiornamento culturale e' il carburante: leggere, studiare, riflettere sono gesti tanto piu' rivoluzionari quanto meno apprezzati dalla maggioranza videodipendente. Lo avevano gia' intuito anche i medievali, come quel tanto discusso (e discutibile) Bernardo di Chiaravalle che sintetizzava la missione educativa dell'intellettuale in un testo che oggi potrebbe tradursi grosso modo cosi': "Ci sono quelli che studiano solo per essere informati su tutto: e questa e' curiosita'. Ci sono quelli che studiano per brillare in societa' e far colpo su chi li ascolta: e questo e' narcisismo. Ci sono quelli che studiano per far soldi con la loro cultura a spese degli altri: e questa e' bassa speculazione. Ci sono quelli che studiano per capire che senso ha stare al mondo e come rapportarsi agli altri: e questa e' saggezza. Ci sono quelli che studiano per capire il mondo, per renderlo piu' vivibile e piu' bello, per liberare i poveri e gli schiavi: e questo e' amore gratuito" (14). * Note 1. K. D. Bracher, Il Novecento secolo delle ideologie, Laterza, Roma-Bari 1984. 2. "Va altresi' tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l'origine e il destino dell'universo e dell'uomo, con movimenti storici a finalita' economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacche' le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessanetemente evolventi, non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Inoltre chi puo' negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?" (Giovanni XXIII, Pacem in terris, 57. Traggo la traduzione da L'enciclica "Pacem in terris". A venticinque anni dalla pubblicazione. Testo latino e traduzione italiana. Commento a cura del card. Pietro Pavan, Editiones Academiae Alphonsianae, Roma 1988, p. 97). Sulla "grandiosa novita' del disarmo ideologico proposto da Giovanni XXIII attraverso la sua azione pastorale e la sua enciclica" vedi S. Tanzarella, I disarmi della Pacem in terris, in AA. VV., Costruire la pace sulla terra, a cura di S. Tanzarella, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1993, p. 152. 3. Cfr. G. La Pira, La nostra vocazione sociale, Ave, Roma1964. Non ho piu' con me la copia del volumetto che accompagno' i miei primi passi nel mondo della cultura politica, ma ne e' rimasta traccia in alcune pagine di un agile opuscolo "militante" di quei mesi concitati che preparai nel corso dell'anno scolastico 1968-1969 con alcuni compagni di occupazione del liceo "Garibaldi" di Palermo: cfr. AA. VV, Filosofia e contestazione, Palermo 1969 (come editore compare la Societa' Immobiliare Industriale "L'Ora" che curo' gratuitamente la pubblicazione), pp. 13, 18-19. 4. Uso la locuzione ormai tradizionale perche' funzionale alla mia rilettura, ma senza dimenticare le ragioni di chi sostiene che "quell'aggettivo buono e' non solo arbitrario, dal momento che e' assente dal testo originario e appare solo nei titoletti redazionali delle varie traduzioni, ma e' anche castrante nei confronti del contenuto centrale della parabola. La predicazione cristiana, per una sorta di meccanismo di difesa innescato dall'inconscio collettivo, ha rimosso la provocazione fondamentale che Luca attribuisce a Gesu'. Affermando che quel samaritano era buono, o per natura o per grazia, le chiese hanno esorcizzato la possibilita' inquietante che la salvezza potesse venire da una persona qualsiasi, magari da uno o da una, considerata marginale e potenzialemnte nefasta, e che il confine fra bene e male non passasse tra persone consacrate e non consacrate, fra religiosi e irreligiosi, fra nati buoni e nati cattivi, fra gruppi etnici o classi diverse, ma attraversasse con tormentosa sofferenza l'anima di chiunque" (G. Franzoni, La donna e il cerchio, Com nuovi tempi, Roma 2001, pp. 25-26). 5. "Bisognerebbe che Lei facesse esperienza - ma quella vera! - che tocca fare al sindaco di una citta' di 400.000 abitanti avente la seguente 'cartella clinica': 10.000 disoccupati (esattamente, in marzo, 9.740, di cui 5.686 di prima categoria, cioe' disoccupati per effetto di licenziamenti; e 2.977 di seconda categoria, cioe' giovani in cerca di lavoro!); una grande azienda da quattro mesi crollata (Richard-Ginori con 950 licenziamenti); non parliamo, per fortuna, della Pignone; altre aziende con licenziamenti in atto (Manetti e Roberts) o con 'tentazioni' di licenziamento (non faccio nomi per non turbare!); grosse crisi industriali nella periferia (tutto il Valdarno con migliaia di licenziamenti); oltre 2.000 sfratti (sfratti autentici, sa!): 17.000 libretti di poverta' con un totale di 37.000 persone assistite dal Comune e dall'Eca. Scusi: davanti a tutti questi 'feriti', buttati a terra dai 'ladroni' - come dice la parabola del Samaritano (Lc 10, 30 ss.) - cosa deve fare il sindaco, cioe' il capo ed in certo modo il padre ed il responsabile della comune famiglia cittadina? Puo' lavarsi le mani dicendo a tutti: - scusate, non posso interessarmi di voi perche' non sono uno statalista ma un interclassista? Puo' 'passare oltre' - come il fariseo e lo scriba della parabola - con la scusa che non essendo statalista ed essendo interclassista ed anticomunista egli non ha il 'dovere' di fermarsi e provvedere? La parabola del Samaritano - sola norma umana! - non dice questo: dice, anzi, che il Samaritano scese da cavallo, prese il ferito (un nemico, un giudeo), gli somministro' le prime cure, lo porto' dal farmacista al quale disse: 'Curalo, tornero' domani e paghero' le spese'. Guardi la ricchezza di particolari in questo intervento a favore di un autentico nemico! Ripeto: che deve fare il sindaco di una citta' che si trovi ad avere la 'cartella clinica' sopra indicata?" (G. La Pira, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, a cura di C. Aldigiano e P. Andreoli, Ave, Roma 1992, p. 56). 6. "Cio' che distingue all'origine, almeno dal punto di vista strutturale, il samaritano dagli altri due personaggi, il sacerdote e il levita, che vedono l'uomo ferito e abbandonato sul ciglio della strada e non si fermano a soccorrerlo, e' proprio il fatto che, nella parabola, il sacerdote e il levita non sono uomini della strada. Ignorando la concretezza e la complessita' della strada la usano solo come strumento per recarsi dall'abitazione al tempio e dal tempio all'abitazione. Essi, e non il samaritano, sono buoni. (...) Rimarra' cosi' fra i proverbi popolari, deposito ambiguo di ogni conservatorismo, la definizione della persona virtuosa come 'tutta casa e chiesa', mentre per i peccatori si parlera' di 'uomo da marciapiede' o di 'donna di strada'. La strada, o cammino che sia, nei grandi racconti che hanno nutrito la fantasia dell'umanita' rischia di essere sempre uno strumento che conduce da qualche parte e non una espansione dello spazio per connettere realta' diverse" (G. Franzoni, La donna, cit., pp. 31-32). 7. Per agevolare la comprensione dell'osservazione puo' essere opportuno ricontestualizzarla: "Del samaritano non conosciamo i precedenti: era anche lui un assassino in fuga o era un onesto mercante che tornava da un villaggio di affari? Ma la sua divisa morale e' probabilemnte indifferente rispetto all'atto di compassione compiuto per cui e' stato portato come paradigma di salvezza. Fermandosi accanto al percosso ha corso molti rischi, forse anche quello di essere un giorno rimproverato perfino dal suo beneficato, risentito per il fatto di essere stato soccorso da un impuro, ma ha creato la misura di un atto di salvezza non derivante da un ruolo di salvatore" (G. Franzoni, La donna, cit., pp. 33-34). 8. G. Franzoni, Ofelia e le altre, Datanews, Roma 2001, p. 68. 9. M. Cacciari, Duemilauno. Politica e futuro. Colloquio con Gianfranco Bettin, Feltrinelli, Milano 2001, p. 50. 10. Avevo completamente perso memoria del bel passaggio di Silone (dal noto Uscita di sicurezza) quando, fortunatamente, me lo ha rievocato - citandolo - Rosario Giue' in La speranza e l'agire politico in AA. VV., Spiritualita' e politica, La Zisa, Palermo 1999, p. 9. 11. G. Franzoni, Ofelia, cit., p. 68. 12. Cfr. H. Thielicke, E se Dio esistesse... Discorsi sul problema di Dio, Morcelliana, Brescia 1975. 13. Cfr. M. Yunus, Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano 1998. 14. Il brano citato, con approvazione, in Tommaso d'Aquino, In Epist. I Cor. VII, 1, recita esattamente: "Sunt qui scire volunt eo fine tantum ut sciant, et curiositas est; quidam ut sciantur, et vanitas est; quidam ut scientiam vendant, et turpis quaestus est; quidam ut aedificentur, et prudentia est; quidam ut aedificent, et caritas est" (cfr. A. Cavadi, Le ideologie del Novecento. Cosa sono state, come possono rifondarsi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001, p. 97). 5. LIBRI. TOMMASO DI FRANCESCO PRESENTA "MEGLIO CARCERATI CHE CARCERIERI" A CURA DI PERETZ KIDROM [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 luglio 2003. Tommaso Di Francesco, giornalista del "Manifesto", esperto di politica internazionale, e' curatore e autore di acuti saggi di analisi e di intervento politico, ma anche di pregevoli testi letterari in versi e in prosa; tra i suoi volumi segnaliamo particolarmente: in ambito saggistico-politico: (a cura di), Jugoslavia perche', Gamberetti, Roma 1995; (a cura di), La Nato nei Balcani, Editori Riuniti, Roma 1999; in ambito letterario: (a cura di), Veleno, Savelli, Milano 1980; Quintopiano, Edizioni Manuzio, Roma 1981; Cliniche, Crocetti, 1987; (a cura di, con Pino Blasone), La terra piu' amata. Voci della letteratura palestinese, Il manifesto, Roma 1988; Il giovane Mitchum, Il lavoro editoriale, Ancona-Bologna 1988; Tuffatori, Crocetti, 1992. Peretz Kidrom e' un giornalista ed attivista pacifista israeliano] Qualcosa di nuovo in Medio Oriente c'e'. Non nelle promesse di Ariel Sharon o in quello che sta scritto - anzi non sta scritto - nella "road map". Sono gli occhi in attesa, pieni di speranza anche se annichiliti, dei palestinesi, donne, bambini, vecchi, uomini che aspettano l'avvento di uno spazio, la Palestina. finalmente liberato dall'oppressione militare. E insieme lo sguardo a volte euforico o piu' spesso solo contento di molti soldati coinvolti nella dimostrazione che un ritiro, anche se simbolico, comincia ad esserci dai territori occupati - che pero' occupati restano. Sono quei giovani militari che fanno il segno di vittoria perche' finalmente tornano a casa e che dichiarano che "non ne possono piu'". Bisognerebbe sentirli uno ad uno questi giovani militari, farsi raccontare che cosa vuol dire prestare servizio militare occupando un altro territorio e opprimendo un altro popolo, impedendo ai civili ogni gesto elementare di vita. Oggi c'e' un libro di straordinarie testimonianze proprio di soldati israeliani che, da subito, si sono schierati dalla parte delle vittime: Meglio carcerati che carcerieri, a cura del giornalista e pacifista israeliano Peretz Kidrom, nel quale, direttamente "i refuseniks israeliani raccontano la loro storia", (edito da Manifestolibri, pp. 154, 16 euro). E' la storia di chi ha "semplicemente" deciso di dire "signorno'", rompendo non tanto con una qualsiasi gerarchia militare, ma con la sacralita' dell'esercito israeliano, nato dopo l'Olocausto e quindi strumento di riscatto agli occhi degli israeliani, forse piu' che non lo stesso stato d'Israele. Verso la fine del 2002 erano diventati piu' di mille i cittadini israeliani in eta' militare pronti a rifiutare di prestare servizio nella campagna di repressione dell'esercito contro la popolazione palestinese. Di questi, piu' di cinquecento avevano gia' respinto l'ordine di prestare servizio nei territori occupati. In piu', altri seicento si sono formalmente impegnati a rifiutare qualsiasi obbligo, nel caso in cui e quando sarebbero stati chiamati a farlo. Il 26 gennaio del 2002, "Il manifesto" usci' con la copertina dedicata proprio all'inizio di questo movimento di diserzione iniziato con un appello da 53 militari israeliani della riserva che cosi' dichiarava: "Noi, ufficiali e soldati combattenti di riserva di Tzahal, che siamo stati educati nel grembo del sionismo e del sacrificio per lo stato d'Israele, che abbiamo sempre servito in prima linea... Noi che sappiamo che i territori occupati non sono Israele e che tutte le colonie sono destinate ad essere rimosse... Noi dichiariamo che non continueremo a combattere in questa guerra per la pace delle colonie, che non continueremeo a combattere oltre la linea verde per dominare, espellere, affamare e umiliare un intero popolo...". Una vasta diserzione che non e' rimasta impunita, sia per la sua natura che per il numero. 1.500 soldati che dicono no, non sembrano molti: in realta', fatte le debite proporzioni su sei milioni di israeliani, si puu' immaginare l'effetto politico se negli Stati Uniti quarantamila soldati americani si rifiutassero di prestare servizio nei nuovi grandi territori occupati, in Afghanistan e Iraq, o se diecimila soldati britannici avessero rifiutato il servizio militare nell'Irlanda del Nord. Dall'inizio dell'attuale Intifada nel settembre 2000, circa duecento soldati e ufficialisono stati condannati a vari periodi di detenzione. Non finiscono davanti alla corte marziale perche' - e su questo il potere politico e lo stato maggiore sono stati ben attenti, preoccupati di una esplosione della protesta - perche' loro non hanno bruciato la cartolina di richiamo o hanno disertato come i giovani americani per il Vietnam. Hanno scelto il "rifiuto selettivo", cioe' il rifiuto di ogni ordine considerato ingiusto - secondo motivazioni politiche e morali - "di prender parte a un compito specifico o a una determinata operazione, mentre al contempo si dichiarano disposti ad eseguire altri ordini, piu' accettabili". "In parte - ricorda Peretz Kidrom - il rifiuto selettivo e' stata una sorta di conseguenza dell'esperienza ebraica, ovvero quella di un popolo che aveva sofferto in maniera tanto disumana per mano di soldati che stavano solo eseguendo ordini". Rifiuto selettivo che nell'esercito israeliano non e' cominciato con l'ultima Intifada, ma data dai primi anni Settanta, quando spontaneamente alcuni, isolati, pacifisti dichiaravano il loro signorno' al dovere di prestare servizio militare nei territori palestinesi occupati con la guerra del 1967. Ma e' con l'invasione del Libano del 1982 ordinata dal premier Begin e dall'allora ministro della difesa Sharon, anche di fronte al bagno di sangue di Sabra e Chatila, che prese corpo un organismo che cominciava a rifiutare la campagna di aggressione ad uno stato confinante. Nacque "Yesh Gvul", che letteralmente vuol dire "C'e' un limite" (a tutto). Yesh Gvul lancio' allora la sua campagna tra i riservisti, raccogliendo tremila firme e ogni volta che un refusenik veniva incarcerato forniva assistenza legale e pubblicita' al processo, fin dai sit-in di protesta davanti al carcere. Di questa campagna nel libro la testimonianza di Dudu Palma, paracadutista e membro del kibbutz di Kfar Hanassi, scrive: "La prima volta che andai in carcere fu nel 1983 (...) Avevo partecipato alle battaglie nelle zone di Beirut e Sidone. La seconda volta fu per aver rifiutato di prestare servizio nei territori occupati (...) Credo che con questo atto sto difendendo il filo di una fragile democrazia che ancora rimane, ma che viene progressivamente trascinata verso l'abisso di una corrente sempre piu' violenta di nazionalismo e di fondamentalismo di stampo komeinista". Memorie, lettere, volantini, interventi di familiari, dichiarazioni: il libro e' un grande affresco di storie nascoste nell'ufficialita' della guerra d'occupazione, che disegnano un percorso - altro che "road map" - alternativo: quello fatto dalle esperienze dirette di chi paga di persona. Come il rifiuto del tenente riservista Yuval Lotem condannato a 28 giorni di carcere militare per aver rifiutato di fare la guardia ai detenuti palestinesi del carcere di Meghiddo, dove in centinaia aspettano per anni senza processo: "La gente non dovrebbe essere messa in carcere senza processo... dissi all'ufficiale: a) il carcere di Meghiddo e' parte integrante dell'occupazione, malgrado sia all'interno dei confini d'Israele; b) alcuni detenuti possono aver lanciato pietre, ma io avrei fatto lo stesso se fossi stato sotto occupazione... non ho intenzione di essere complice di un crimine". Storie di vita che non perdono il filo della memoria nel bisogno vitale di rompere l'isolamento verso l'opinione pubblica interna, come nel caso della "difesa" per il refusenik Arnon Ronen scritta dal padre Avihu Ronen, che narra le vicende della sua famiglia di deportati ebrei nella Slovacchia nazifascista e nei ghetti polacchi e scrive, di fronte alle accuse degli ebrei d'Israele che inveiscono contro il figlio "disertore", onorato che il suo ragazzo abbia detto no all'occupazione militare di un altro popolo: "L'insurrezione palestinese va avanti da anni. Donne e bambini muoiono uccisi, le case vengono fatte esplodere. Migliaia di persone vengono arrestate per la strada (...) Il carcere e' il luogo che rientra nella tradizione di questo ragazzo: lui e' figlio dell'uomo che ha organizzato le fughe dalla Slovacchia, il figlio della donna che ha combattuto nei ghetti della Polonia... la tradizione familiare che portera' con se' in prigione non ha dimestichezza con espressioni quali "non lo sapevamo", "non potevamo farci niente", "non avevamo altra scelta". E' tradizione di famiglia quella di non obbedire... La sua e' una famiglia in cui il padre non e' costretto ad abbassare gli occhi quando il figlio chiede: Padre, che cosa hai fatto tu quando l'oscurita' ha invaso la nostra terra?". 6. LETTURE. EMILIO GENTILE: RENZO DE FELICE. LO STORICO E IL PERSONAGGIO Emilio Gentile, Renzo De Felice. Lo storico e il personaggio, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. X + 182, euro 10. Un agile e puntuale profilo dello storico del fascismo e biografo di Mussolini, autore sia di opere fondamentali per mole e documentazione, sia di controversi interventi pubblicistici. La nostra modesta opinione e' che le opere di De Felice vadano lette, e naturalmente lette anche per essere discusse laddove occorra. 7. LETTURE. CARLO MARIA MARTINI: SULLA GIUSTIZIA Carlo Maria Martini, Sulla giustizia, Mondadori, Milano 1999, 2002, pp. 112, euro 6,80. Le sempre acute meditazioni del cardinale Martini sulla giustizia, una utile e pungente sollecitazione alla riflessione. 8. RILETTURE. ANNA BRAVO, ANNA MARIA BRUZZONE: IN GUERRA SENZA ARMI Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne. 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. VIII + 214, lire 25.000. Un libro di grande utilita' che ancora una volta vivamente raccomandiamo ai lettori. 9. RILETTURE. GIAN MARIO BRAVO: LA PRIMA INTERNAZIONALE Gian Mario Bravo, La prima Internazionale. Storia documentaria, Editori Riuniti, Roma 1978, due volumi per complessive pp. 1.310. Una vasta raccolta di documenti (ovviamente orientata dal punto di vista dell'autore come sempre avviene in queste intraprese antologiche) che merita di essere riletta: molti dei problemi che oggi si pongono a chi vuole opporsi all'ingiustizia presente si ponevano allora (nei decenni seguiti al 1848 e fino a tutti gli anni '70 del XIX secolo) in termini e con sentimenti la cui ricognizione puo' esserci hic et nunc assai giovevole. 10. RILETTURE. GIORGIO GRAZIOSI: L'INTERPRETAZIONE MUSICALE Giorgio Graziosi, L'interpretazione musicale, Einaudi, Torino 1952, 1982, pp. 204. Ah, non sara' mai abbastanza raccomandato a quanti si impegnano nei movimenti sociali e soprattutto nell'ambito dell'accostamento alla nonviolenza, di riflettere sui problemi di metodo e di sostanza che in questo acuto libro si discutono. 11. RILETTURE. ARMANDA GUIDUCCI: LA MELA E IL SERPENTE Armanda Guiducci: La mela e il serpente, Rizzoli, Milano 1974, 1988, pp. 292. Una intensa meditazione della grande saggista. 12. RILETTURE. LOUISE LABE': OEUVRES COMPLETES Louise Labe', Oeuvres completes. Sonnets, Elegies, Debat de folie et d'amour, Flammarion, Paris, 1986, pp. 288. Continua ad appassionarci e commuoverci la figura e la voce della poetessa di Lione (nata tra il 1516 e il 1523, scomparsa nel 1566). 13. RILETTURE. GASPARA STAMPA: RIME Gaspara Stampa, Rime, Rizzoli, Milano 1954, 1976, pp. 304. Meritano di essere riletti i versi della poetessa rinascimentale veneziana (1523-1554). 14. RILETTURE. ALFONSINA STORNI: IRREMEDIABLEMENTE Alfonsina Storni, Irremediablemente, Sociedad editora latino americana S. A., Buenos Aires 1964, pp. 96. Una delle intense, vibratili raccolte di versi di Alfonsina Storni (1892-1938). 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 606 del 9 luglio 2003
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