La nonviolenza e' in cammino. 606



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 606 del 9 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Lotus Linton Howard: il manifesto delle nonne
2. Janina Bauman: quel che disse la signora Pietrzyk
3. Giulio Vittorangeli: sentimento del tempo
4. Augusto Cavadi: oltre le ideologie del Novecento
5. Tommaso Di Francesco presenta "Meglio carcerati che carcerieri" a cura di
Peretz Kidrom
6. Letture: Emilio Gentile, Renzo De Felice. Lo storico e il personaggio
7. Letture: Carlo Maria Martini, Sulla giustizia
8. Riletture: Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi
9. Riletture: Gian Mario Bravo, La prima Internazionale
10. Riletture: Giorgio Graziosi, L'interpretazione musicale
11. Riletture. Armanda Guiducci: La mela e il serpente
12. Riletture: Louise Labe', Oeuvres completes
13. Riletture: Gaspara Stampa, Rime
14. Riletture: Alfonsina Storni, Irremediablemente
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. APPELLI. LOTUS LINTON HOWARD: IL MANIFESTO DELLE NONNE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci inviato la traduzione di questo testo di Lotus Linton Howard (per
contatti: lotuslh at earthlink.net), filosofa, autrice del libro Fonti
dell'anima: cercando il se' nelle acque. Puo' essere utile sottolineare che
il termine inglese per dire "nonna" e' "grandmother", forse piu' evocativo
dell'equivalente italiano]
Noi siamo le Anziane, le mantenitrici della piu' alta legge della creazione
che e' la Legge delle Buone Relazioni. Alcune di noi hanno avuto figlie e
figli, altre hanno servito il mondo in altri modi. Poiche' abbiamo gia'
messo al mondo e nutrito i nostri piccoli e i sogni della nostra giovinezza,
ora manteniamo in noi il nostro sangue e, cio' facendo, portiamo in grembo
la saggezza dei secoli.
Noi sappiamo che solo nell'avere buone relazioni fra di noi, con la Madre
Terra e con il sacro che si manifesta in tutta la creazione, la vita ha
valore, significato e vero scopo.
Per troppi lunghi periodi della storia umana le voci delle donne sono state
ridotte al silenzio.
La nostra saggezza di nonne e' espressa dal nostro amore per gli innocenti,
dal nostro rispetto per i doni guaritori della natura, e dalla nostra
pazienza nel seguire i ritmi naturali con cui la vita si rivela. Purtroppo,
questa saggezza che abbiamo costruito negli anni dalle nostre esperienze e
dalla nostra prospettiva di donne e' stata a lungo ignorata, non tenuta in
considerazione, o dimenticata. Ma noi possiamo rappresentare un beneficio
per la societa', perche' la nostra comprensione ha nel suo cuore il
benessere della comunita' umana.
Noi non crediamo che l'umanita' sia destinata in eterno a seguire gli schemi
della discordia e della sopraffazione. Vediamo che la famiglia umana e'
sulla soglia di una nuova coscienza. I paradigmi basati sull'avidita', il
dominio e la paura devono cessare. Le istituzioni culturali, sociali,
politiche e religiose dovranno compiere questo salto che riflette il
risveglio dell'umanita', o dissolversi per fare spazio a nuovi sistemi.
I semi del nuovo inizio per l'umanita' giacciono nascosti in molte antiche
tradizioni.
Mantenendo queste gemme delle antiche nonne in noi, chiediamo alternative
d'amore alle presenti strutture gerarchiche di potere e ai presenti sistemi
economici oppressivi.
Portando tutta la forza della nostra saggezza nel tempo presente noi, le
Anziane della Terra, dichiariamo quanto segue:
*
1) La vita e' sacra. Come i grandi insegnamenti del passato ci hanno fatto
capire, c'e' un'intelligenza del cuore che oltrepassa il mero intelletto. E'
la reverenza a quella sacralita' che troviamo in ogni aspetto della
creazione. Leader politici e religiosi: sia la sacralita' della vita il tema
centrale e la motivazione di ognuno di voi, fino a che i giorni
dell'umanita' non siano riempiti di quella pace, quella buona volonta',
quella liberta' che avremo creato per goderne.
*
2) Il fine delle vita e' il saper crescere. La crescita implica l'evoluzione
verso la maggior comprensione e la maggior saggezza. Noi, le Anziane,
sappiamo che la saggezza richiede la capacita' e la volonta' di essere
onesti e riflessivi, di abbandonare la tendenza a proiettare sugli altri il
"male" che non sappiamo fronteggiare in noi stessi. Leader politici e
religiosi: siate umili e dedicatevi alla vostra crescita personale come
primo passo sulla vera strada per la pace nel mondo.
*
3) Noi siamo tutte e tutti in relazione. Ogni essere umano, appartenente a
qualsiasi etnia, credo, genere, livello di sviluppo, e' nostra sorella o
nostro fratello. Tutti i bambini del mondo sono nostri figli per essere
trattati con saggezza, gentilezza, amore e rispetto. Noi, le Anziane,
sappiamo che quando le persone si vedono le une con le altre come una
famiglia, le dinamiche umane si espandono in dimensioni completamente nuove.
Governi ed istituzioni sociali: siate al servizio di questa espansione.
*
4) Noi siamo coloro che hanno cura della Terra. L'avere cura non puo'
implicare il dominio. Noi coesistiamo volontariamente con le altre specie
viventi del nostro pianeta. Anch'esse sono sacra espressione della creazione
e fili dell'interdipendente Tela della Vita. Noi sappiamo che tecnologie
esistono e possono essere create per favorire la vita di tutti senza
distruggere o inquinare la Terra. Come depositare di questa sacra fiducia,
noi, le Anziane, riceviamo tutti i doni della natura con gratitudine, ed
approviamo solo le tecnologie che siano sostenibili e che preservino la vita
per tutti gli esseri.
*
5) L'amore di se' e' la radice della salute e della felicita'. La capacita'
di amare davvero se stessi e' una parte essenziale della soddisfazione
personale e deve divenire uno scopo dell'educazione. Come nonne, insistiamo
affinche' le scelte etiche e politiche di tutte le istituzioni sociali e
scolastiche siano improntate ad ispirare ai bambini l'amore per se stessi
come preziosa manifestazione del sacro. Noi sappiamo che solo una coppa
riempita puo' traboccare per vivere un'esistenza grata e rendere servizio
alla comunita' umana.
*
6) La compassione e' un'abilita' essenziale. In un mondo in cui le
tecnologie di distruzione permeano le nostre societa', il saper "sentire
insieme" alle altre persone e' cruciale per la sopravvivenza del pianeta. La
compassione ci libera dalle catene della paura che ci tengono prigionieri
dei conflitti e dell'economia di guerra. Quando l'intelligenza del cuore si
risveglia, ferire un altro essere vivente e' impossibile, perche' il senso
del se' supera l'ego e include gli altri nel proprio cerchio. Chiediamo lo
sviluppo dell'insegnamento della compassione, perche' sappiamo che solo
acquisendo quest'abilita' essenziale le nostre figlie ed i nostri figli
godranno della propria esistenza in pace, dignita' e grazia.
*
7) I problemi sono sfide alla creativita'. Noi, le Anziane, ci ergiamo
contro la guerra e le reazioni smodate e distruttive ai problemi che nascono
fra i popoli. Vogliamo che i leader politici e religiosi si addestrino alla
diplomazia, alla competenza multiculturale, alla risoluzione dei conflitti
ed al pensiero creativo. Fra essi, coloro che continuano a scegliere la
manipolazione, la forza e mezzi non etici per raggiungere scopi egocentrici,
devono cambiare od essere rimpiazzati da altri che incarnino le qualita'
suddette. Nelle menti dell'umanita' c'e' abbastanza ingegno per trovare
soluzioni nonviolente ad ogni dilemma.
*
E con questa dichiarazione noi, le nonne, ora circondiamo il pianeta con il
nostro amore e la nostra saggezza. Noi donne anziane siamo una grande
percentuale di aventi diritto al voto, e siamo esperte delle tradizioni
popolari, conosciute nelle nostre comunita'. Ora noi dichiariamo che
sosterremo solo quei leader, quelle istituzioni e quei progetti che
rispetteranno e rifletteranno il nostro manifesto. Per il bene dei bambini
di oggi e delle generazioni che scaturiranno da essi, noi ci opponiamo alla
tirannia, all'avidita', all'odio, alla separazione ed alla violenza.
E' detto nella profezia Hopi che quando le Anziane parleranno, la pace
tornera' alla Terra.
Noi stiamo parlando.
*
Post scriptum di Lotus Linton Howard: Se vi sentite mosse dall'appello,
firmatelo e passatelo alle donne anziane della vostra famiglia e fra le
vostre amiche nonne. Quando il numero di firme raggiunge 50 o un suo
multiplo, per favore mandatemi una copia delle firme all'indirizzo
lotuslh at earthlink.net, perche' voglio rendermi conto di come la nostra tela
si diffondera'. Spero che molti splendidi cerchi di discussione e azione
nasceranno mentre ci connettiamo l'una all'altra in questo modo.
Siate benedette.

2. MAESTRE. JANINA BAUMAN: QUEL CHE DISSE LA SIGNORA PIETRZYK
[Da Janina Bauman, Inverno nel mattino, Il Mulino, Bologna 1994, p. 264.
Janina Bauman, ebrea polacca nata a Varsavia nel 1926, ha vissuto la
drammatica esperienza del ghetto di Varsavia. Sopravvissuta alla Shoah,
laureata in scienze sociali e politiche, ha lavorato nell'industria
cinematografica polacca; dopo le lotte studentesche del 1968 con il marito
Zygmunt che del movimento studentesco era uno dei punti di riferimento ha
dovuto abbandonare la Polonia. Tra le sue opere, i due volumi di memorie:
Inverno nel mattino, e Un sogno di appartenenza, entrambi editi dal Mulino]
Guardandomi dritta in faccia con quei suoi occhi antichi e onniscienti,
disse, come citando da un libro sacro: "Chiunque viene sotto il mio tetto a
cercare rifugio, non importa chi sia e quale sia la sua fede, sara' sicuro
con me".

3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: SENTIMENTO DEL TEMPO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali
collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre
1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e
alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una
lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il
responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso
numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in
rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche
un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento,
riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la
solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita'
pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti
di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni;
tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati
gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e
le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di
innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio
1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica
desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita'
umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione,
Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da
soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa
Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica,
Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali,
Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca
della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta'
internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente
insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di
politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale
viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997).
Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]
Noi che cominciamo ad avere un bel po' di primavere, e di autunni, sulle
spalle, dobbiamo anche misurarci con il senso del tempo che passa; cruciale
da afferrare sia nella sfera individuale che in quella collettiva, perche'
il mondo e le nostre vite scorrono nel tempo, nel cambiamento. E per
afferrarlo bisognerebbe provare a dirsi un po' di verita' sui sentimenti che
ci suscita.
Sentimenti per il passato (sapendo che il passato e' passato e non si
rifa'), quando era "facile" fare certe scelte, per quanto controcorrente:
non volevamo morire democristiani e temevamo colpi di stato, invece ci siamo
ritrovati a essere complici dei bombardamenti (la prima guerra del Golfo nel
1991 "Desert storm"; la guerra nella ex-Jugoslavia; la guerra contro
l'Afghanistan nel 2001; fin alla nuova aggressione anglo-americana all'Iraq)
e di una guerra preventiva continua (l'insieme degli interventi
preannunziati per i prossimi venti-trent'anni nella guerra alla "forze del
male", agli "stati canaglia")... chi l'avrebbe detto?
Sentimenti per il presente, dove fatichiamo a riconoscere quanto si siano
affermati dei modelli autoritari, e ne siamo talmente imbevuti a tutte le
ore del giorno, in tutte le nostre funzioni quotidiane, da non vederli piu'.
Dilaga una sorta di "realismo" che non significa null'altro che accettazione
dell'esistente, attenersi all'apparente oggettivita' dei fatti e delle
priorita' politiche, che impongono decisioni quasi obbligate, dettate da
ragioni autoevidenti. Si veda la guerra (piu' o meno "umanitaria") o la
flessibilita' del lavoro, presentate come le sole scelte possibili e
ragionevoli, mentre tutte le altre sarebbero viziate di astratto idealismo,
di radicalismo etico, di un rifiuto dell'esistente.
Come dimostra il recente fallimento del referendum sul lavoro, la gente si
sente insicura, ma non crede piu' in un'azione comune. "Ritiene che oggi
come oggi i padroni sono vincenti e non resta che affidarsi al mercato e
all'impresa. Questa e' la vera vittoria della controffensiva che si e'
delineata su scala mondiale negli anni Settanta. Chi era entrato nel lavoro
dopo la guerra credeva nella lotta, si e' battuto e ha conquistato, in
un'economia in crescita, salario e diritti e pensioni che gli hanno permesso
il reddito sul quale per lungo tempo hanno vissuto anche i figli nati dagli
anni Sessanta in poi. Per i quali il lavoro non ha rappresentato come per i
genitori un obbligo e una possibilita'. Saranno loro a non poter fare lo
stesso per i figli propri (...) Malgrado l'esperienza quotidiana della
precarieta', la solidarieta' dei e fra i lavoratori e' stata dichiarata
defunta. Cosi' l'italiano su due (in gran parte donne e giovani) che vive
sul lavoro di un altro e' stato riconsegnato a se stesso ed e' declinato il
senso del destino e delle possibilita' collettive in questo sistema,
definito immutabile una volta per sempre" (Rossana Rossanda, "Il manifesto"
del 20 giugno 2003). Cosi' nessuno si occupa piu' delle condizioni di
lavoro, ma solo di avere un lavoro.
Le sinistre, in tutto questo, non sono certo state immuni da colpe; non a
caso, nella parte maggioritaria, hanno deciso di rompere con la loro base
sociale: sulle politiche economiche e persino sul dopoguerra. Mai come oggi,
l'opposizione politica esprime una classe dirigente di cosi' basso profilo;
sembrano tanti Buster Keaton che tentano di mettere in piedi una casa
acquistata per posta, quando un rivale ha scambiato i numeri delle scatole
di montaggio. Peggio ancora, ricordano lo Charlot, capitato a guidare un
corteo di protesta sventolando casualmente una bandiera rossa.
Per questo, "normalmente" hanno vinto Berlusconi e la peggiore destra
europea, tenuta insieme nelle sue tre componenti: postcostituzionale (Forza
Italia), extracostituzionale (An) e anticostituzionale (Lega), solo dal
progetto di sfasciare il patto fondamentale repubblicano. Conclusione, il
nostro paese sta attraversando una crisi profonda negli equilibri sociali,
dalla Fiat alla messa in causa della Costituzione del 1948 che dichiarava
che la Repubblica era fondata sul lavoro e non sull'impresa o sulla finanza.
Sentimenti per il futuro... non e' facile tenersi in equilibrio, tentare di
sfuggire da un lato il cinismo di chi guarda con occhio disincantato alle
tragedie di questi tempi, dall'altro la disperazione che puo' nascere in chi
osserva impotente queste ingiustizie. Come reagiamo, per esempio, di fronte
al fatto che ogni anno quindici milioni di bambini muoiono di malattie da
noi facilmente curabili come la diarrea, il morbillo, la malaria e altre
malattie respiratorie?
Ripartire dalle nostre storture con la disponibilita' a farci sorprendere da
nuove esperienze altrui, la rassicurazione che la vita continua, la
possibilita' di ricordare piu' vivamente, attraverso la visione di altre
vite, il tempo che e' stato della nostra vita, il poter correggere la paura,
molto politica, del futuro, con la speranza di cio' che ancora non e' o
incomincia appena ad essere. E' in questo piacere che si radica anche la
passione politica per il futuro.
E soprattutto continuare a fare quello che sempre abbiamo fatto: sporcarci
le mani dentro questa storia che e' veramente sporca. Con la forza di
sopportare gli insuccessi e di tenere comunque alta la testa. Perche' tutto
questo ha a che vedere con la propria immagine allo specchio, quella che si
incontra ogni mattina. Ci si deve almeno sbirciare al volo senza doverne
avere vergogna.

4. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: OLTRE LE IDEOLOGIE DEL NOVECENTO
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo saggio apparso su "Itinerarium", n. 11
(2003), alle pp. 143-151. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed
educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle
esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste
che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno
contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla
ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi.
Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare
teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini,
Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua.
Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il
cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere
dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi
dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito,
Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su
chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia.
Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere
profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane,
Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
1. Le grandi "narrazioni" ideologiche: siamo al tramonto?
Per alcuni il Novecento e' stato il secolo "breve", per altri "lungo", per
altri ancora il secolo "dei campi di sterminio" o, senza mezzi termini, "del
male": qualcuno, partecipando al gioco e senza timore di essere smentito, ha
proposto il secolo "delle ideologie" (1). Come negare, in effetti, che in
esso alcune grandi "narrazioni" del XIX secolo (il liberalismo, il
comunismo, la socialdemocrazia, l'anarchismo, la stessa dottrina sociale
cattolica) raggiungono l'apice della loro configurazione e della loro
influenza, ed altre (come il fascismo, il conservatorismo e l'ambientalismo)
si affacciano per criticare - o rimpiazzare - le precedenti?
E' pure vero, pero', che e' nello stesso XX secolo che "vecchie" e "nuove"
ideologie entrano, almeno apparentemente, in crisi per fare spazio non si sa
bene a cosa: forse ad un vuoto di idee e di principi in cui vince il piu'
dotato di denaro e di sfacciataggine, forse a prospettive socio-politiche
inedite che guideranno il nostro futuro un po' meglio di quanto sia avvenuto
per il nostro passato. Qui tentero' qualche riflessione sugli scenari che
potrebbero aprirsi qualora non si accettasse supinamente il corso degli
eventi.
*
2. Non identificare le dottrine con i movimenti storici
Una prima considerazione e' che, nella storia concreta, non troviamo il
liberalismo o il comunismo o il fascismo ma vari liberalismi, comunismi e
fascismi al plurale. Ogni ideologia si articola in una molteplicita' di
correnti storiche e di protagonisti storici accomunati, spesso, solo da
alcune linee di fondo. Nel disegnare il bilancio di cio' che e' stato e la
prognosi di cio' che puo' avvenire va custodita l'avvertenza di papa
Giovanni XXIII che le ideologie hanno una loro identita' ed una qualche
tendenza alla rigidita', mentre i movimenti socio-politici che ad esse si
ispirano mutano secondo i luoghi e soprattutto secondo i tempi (2). Egli lo
asseriva guardando soprattutto al comunismo: una cosa e' rifiutare la
dottrina comunista, un'altra cosa e' misconoscere il travaglio ed i meriti
storici di quei movimenti operai e contadini che, per piu' di un secolo, si
sono ispirati al comunismo per formulare la rivendicazione dei propri
diritti.
Che cosa resta di quell'avvertenza profetica? Si studino dunque le
ideologie, le si critichi anche spietatamente, ma non si dimentichi mai che
dietro ad esse ci sono volti concreti di soggetti viventi, di uomini e di
donne che comunque hanno tentato di migliorare il mondo e non di rado hanno
consacrato a questo fine le energie piu' belle della loro esistenza.
Se posso concedermi, a questo proposito, una considerazione quasi
autobiografica,  l'invito giovanneo a guardare, oltre le bandiere
ideologiche, la concretezza delle persone umane mi ha sempre aiutato a
capire perche' difficilmente riesco a dare sui protagonisti della politica
un giudizio totalmente negativo. Su molti argomenti, non condivido le idee
di Bertinotti; meno ancora quelle di Pannella, di Casini, di Fini o di
Bossi. Pero' mi sembra che sia gente che ha puntato tutto su alcuni ideali e
che merita rispetto, sia pur nella diversita' e non di rado nell'opposizione
dei punti di vista. In qualche caso qualcuno di loro, in gioventu', ha fatto
a botte con un avversario o, in eta' piu' matura, ha pateticamente rischiato
la galera per l'eccessiva foga nella polemica. Abelardo direbbe: e' gente
che ha crocifisso il Redentore, ma almeno non e' stata alle finestre senza
prendere posizione e cercando di evitare guai. Di contro, non riesco a
nutrire neppure un grammo di simpatia per quanti lasciano trasparire, dal
tono della voce e soprattutto dalle opzioni pratiche, di aver adottato
un'ideologia solo a scopo strumentale, in vista dell'acquisizione o del
mantenimento del potere, magari solo per difendere meglio le ricchezze
equivocamente accumulate: e' veramente una tragedia per un popolo quando
dietro l'azione politica s'intravede  non un cuore che pulsa, una mente che
cerca, una vita che preme ed urge, ma solo calcolo utilitaristico e cinismo.
*
3. Non rigettare le diagnosi insieme alle terapie
Distinguere fra ideologia e soggetti e' importante. Altrettanto importante,
a mio avviso, distinguere - all'interno di ogni ideologia - le diagnosi e le
terapie. Qui il riferimento e' ad una figura carismatica del Novecento
italiano, il sindaco di Firenze - ma nativo di Pozzallo in provincia di
Ragusa - Giorgio La Pira. A proposito del marxismo, ad esempio, egli
insegnava che Marx ha detto cose molto interessanti, anzi talmente vere che
non se ne puo' piu' prescindere, nel momento in cui ha fotografato la
societa' capitalistica; mentre, quando e' passato a dare indicazioni
operative per cambiarla, e' stato fuorviato dalla sua concezione del mondo e
dell'uomo (3). Quello che La Pira ha detto per il marxismo si puo' ripetere
per altre ideologie che hanno caratterizzato lo scenario storico del
Novecento: sicuramente insoddisfacenti come soluzione, molto spesso sono
state efficaci come formulazione delle problematiche.
*
4. La parabola del "buon politico"
Ma e' proprio sul versante delle terapie che si avverte maggiormente il
vuoto di indicazioni, l'esigenza di rispondere a domande elementari e non
per questo infantili: come lavorare per cambiare la societa'? Quali criteri
metodologici ci possono guidare? Nell'impossibilita' di dire tutto in poche
pagine (ammesso che fosse un problema solo di spazio tipografico...),
provero' a concentrarmi su alcuni principi basilari. E, per appoggiarmi ad
una trama, proporrei di rileggere una parabola evangelica. Mi riferisco alla
nota parabola del "buon samaritano" (4) che, con qualche forzatura, potrebbe
diventare la parabola del "buon politico". L'idea non e' del tutto
originale. La si ritrova, ad esempio, in una lettera un po' polemica di La
Pira a don Luigi Sturzo in cui il sindaco elenca le ferite della sua citta'
e si chiede se non sia suo dovere scendere dal cavallo dell'ideologia
interclassista per attivare interventi statali a favore dei disoccupati (5).
Ma procediamo con ordine.
La questione originaria che viene posta a Gesu' - forse in buona fede, forse
per metterlo alla prova - e': chi e' il mio prossimo? La morale borghese
oggi dominante  - anche intrisa, o verniciata di cattolicesimo -
risponderebbe: innanzitutto tuo padre e tua madre, poi tua moglie e i tuoi
figli, infine i vicini di casa, i concittadini e i connazionali. Soprattutto
quelli che condividono le tue ideologie politiche o, per lo meno, la tua
confessione religiosa. Ma Gesu' non risponde cosi'. Anzi, risponde in modo
tale da stravolgere quella prima, ipotetica, possibile risposta. Dice che se
tu sei un giudeo e ti e' capitato di essere assalito e lasciato mezzo morto
dai briganti, devi augurarti che non passi per strada uno della tua
religione, della tua nazionalita', della tua citta': perche' se e' un
sacerdote o un levita avra' sicuramente una ragione per non fermarsi, per
andare oltre ("devo celebrare messa...", 'ho una conferenza da tenere...").
E' un po' come mi ha spiegato un predicatore gesuita durante un ritiro
spirituale di molti anni fa: se perdi un portafogli e lo trova un povero
disgraziato qualunque, forse te lo riporta a casa; ma se lo trova un teologo
moralista, ci pensera' su' e scovera' almeno dieci motivi logici,
dottrinari, consequenziali per... non restituirtelo.
E chi devi sperare, allora, d'incontrare? Gesu' sceglie il caso del
"samaritano". Sceglie il caso di un uomo di strada (6). I biblisti spiegano
che non e' facile provare lo stesso choc degli ascoltatori di Gesu': lui sta
dicendo che il tuo "prossimo" e' uno che appartiene ad un etnia nemica (come
sarebbe l'etnia arabo-palestinese per un ebreo-israeliano di oggi) e, come
se non bastasse, ad una religione diversa dalla tua (come sarebbe l'islam
oggi). Ecco, e' come se Gesu' oggi dicesse agli ebrei: il vostro prossimo e'
un palestinese musulmano. Molti anni fa, per spiegarlo a un pubblico di
ascoltatori cattolici, Frei Betto ci disse in un convegno a Ciampino: e'
come se Gesu' ci avesse indicato come "prossimo" uno eretico in teologia e
comunista in politica.
Ma non basta. La cosa veramente sorprendente, anzi francamente spiazzante,
e' che secondo Gesu', giudeo e ortodosso, il samaritano non diventa
"prossimo" del povero moribondo per botte su iniziativa del moribondo per
botte (che era, appunto, giudeo ed ortodosso), ma per sua propria
iniziativa: cioe', per iniziativa dell'eretico straniero. Magari, osserva
con finezza Franzoni, col rischio "di essere un giorno rimproverato perfino
dal suo beneficato, risentito per il fatto di essere stato soccorso da un
impuro" (7). Gesu' dice allo scriba che lo aveva interrogato: "Va' e fa'
anche tu lo stesso" (Luca 10, 37). Indica come modello esemplare il
comportamento di uno, il samaritano, che non trova l'altro "bello e pronto"
come prossimo ma - come dire? - lo "prossimizza", lo rende prossimo. Fa
insomma esattamente il contrario di quanto facciamo noi quando, davanti a un
indigente in carne ed ossa, diciamo secondo una sottile ed amara battuta:
questo no, aspettiamo il prossimo. Sulla creativita' del personaggio
evangelico ha insistito giustamente Franzoni in un altro libro recente: "Il
samaritano che si ferma accanto al ferito per soccorrerlo, tanto
materialmente quanto moralmente, in realta' non e' in una condizione
precostituita per essere prossimo, non soccorre infatti uno della stessa
appartenenza religiosa (...) ma soccorre un essere umano in quanto essere
umano. Non fu dunque un prossimo ma uno che ha creato la prossimita' con il
suo riconoscimento, nel profondo, dell'altro" (8).
Fermiamoci un momento: non siamo di fronte ad una splendida definizione
della politica? La politica e' incessante creazione di prossimita',
abbattimento di barriere all'interno di una citta', di uno Stato, di un
continente, di un pianeta. Non mi sembra senza rilevanza che, in un recente
dialogo fra "laici", fra Massimo Cacciari e il suo ex-vicesindaco Gianfranco
Bettin, il filosofo - a un punto cruciale - si chieda: "Cos'e' fare
politica, se non dire al tuo prossimo che non e' solo?" (9). Probabilmente
inconsapevole, certo inespressa, in questo interrogativo - che e' poi
retorico - l'eco evangelica e' innegabile.
Procediamo.
Da dove parte l'esigenza di costruire questa relazione di prossimita', di
vicinanza, di corresponsabilita'? E' la domanda che, tra altri, si e' posto
una volta Ignazio Silone: 'Per quale destino o virtu' o nevrosi, ad una
certa eta' si compie la grave scelta" di dedicarsi alla politica attiva?
"Donde viene ad alcuni quell'irresistibile intolleranza della rassegnazione,
quella insofferenza dell'ingiustizia, anche se colpisce altri? E
quell'improvviso rimorso d'assidersi a una tavola imbandita, mentre i vicini
di casa non hanno di che sfamarsi? Forse nessuno lo sa. Anche la confessione
piu' approfondita diventa, ad un certo punto, semplice constatazione o
descrizione, non risposta" (10). La parabola da' un nome a questo: impulso
inderivabile, originario, indeducibile.
Riascoltiamo Franzoni: "Il testo evangelico indica un movente ben preciso.
Dice che al samaritano si mossero le viscere. Questo evento, che
convenzionalmente chiamiamo commozione, viene definito con parola ebraica:
rahamim. (...) Questa possibilita' di riconoscimento getta le sue radici
nella natura della commozione, emozione profonda che puo' superare la
differenza di genere. Quando il vangelo dice che al samaritano 'si
commossero le viscere' si usa una radice greca (splanchna) che all'origine
poteva connotare una qualsiasi commozione viscerale - perfino il vomito - ma
al tempo di Gesu' aveva preso il significato di una commozione di Dio verso
la condizione dei miseri. In questa espressione si nasconde peraltro una
importante connotazione. Le viscere si muovono in Dio o in Gesu', quando
vede la folla che lo segue 'come pecore senza pastore', come si muovono le
viscere di una donna che sta partorendo" (11).
Dunque, tutto comincia, o dovrebbe cominciare, da un fatto di pancia, da un
moto viscerale. E cio' spiega in parte la tragicita' dello scenario attuale.
Il ceto politico, per lo piu' (non generalizziamo: sarebbe qualunquistico),
si e' deciso ad iniziare l'attivita' politica sulla base di sentimenti
soggettivi, di circostanze fortuite, di calcoli carrieristici: assai
difficilmente e' rintracciabile, alla radice, un moto di compassione
autentica. Per chi lo ha provato, al contrario, sarebbe stato un ottimo
inizio; ma, specie negli ambienti cattolici, e' stato l'inizio e anche la
fine. Abitualmente ci si ferma alla "testimonianza" personale, al gesto
immediato, alla solidarieta' "corta". Si solleva il malcapitato, lo si lava,
gli si fasciano gli arti fratturati, gli si da' un panino e gli si augura
"buon proseguimento".
Ma gia' il testo evangelico allude a qualcosa di ulteriore che si potrebbe,
e  dovrebbe, fare: lo si puo' accompagnare in una locanda, fare un contratto
con il proprietario e garantire un periodo di assistenza non proprio
limitato e occasionale. Questo spunto e' stato efficacemente ripreso e
sviluppato da un brillante pastore protestante in una raccolta di omelie
ormai non piu' recenti, ma per nulla "superate" (12). Il "buon" samaritano
potrebbe chiedersi: perche' in questa strada avvengono cosi' spesso delle
aggressioni ai viandanti? Come si puo' fare per prevenire questi incidenti?
Parliamone col sindaco di Gerusalemme e col sindaco di Gerico; organizziamo
un servizio di sorveglianza; incrementiamo le occasioni di lavoro per i
disoccupati della zona che rimpiazzano continuamente le fila della
criminalita'... Se cosi' facesse, egli istituzionerebbe la sua volonta' di
servizio: farebbe, appunto, "politica" nel senso piu' alto e profondo del
termine. Non sono sogni anacronistici: la vicenda della banca dei poveri di
Yunus ne e' una splendida dimostrazione (13).
*
5. Il carburante della politica
Se cosi' raramente si passa dall'intervento occasionale alla strategia
politica, lo si deve ad una inadeguatezza culturale di fondo. Non ci si
impegna sulla lunga distanza perche' non si ha l'attrezzatura intellettuale
minima, non si possiede l'alfabeto essenziale. La "compassione" e' il
motore, la lungimiranza politica e' il volante, ma l'aggiornamento culturale
e' il carburante: leggere, studiare, riflettere sono gesti tanto piu'
rivoluzionari quanto meno apprezzati dalla maggioranza videodipendente. Lo
avevano gia' intuito anche i medievali, come quel tanto discusso (e
discutibile) Bernardo di Chiaravalle che sintetizzava la missione educativa
dell'intellettuale in un testo che oggi potrebbe tradursi grosso modo cosi':
"Ci sono quelli che studiano solo per essere informati su tutto: e questa e'
curiosita'. Ci sono quelli che studiano per brillare in societa' e far colpo
su chi li ascolta: e questo e' narcisismo. Ci sono quelli che studiano per
far soldi con la loro cultura a spese degli altri: e questa e' bassa
speculazione. Ci sono quelli che studiano per capire che senso ha stare al
mondo e come rapportarsi agli altri: e questa e' saggezza. Ci sono quelli
che studiano per capire il mondo, per renderlo piu' vivibile e piu' bello,
per liberare i poveri e gli schiavi: e questo e' amore gratuito" (14).
*
Note
1. K. D. Bracher, Il Novecento secolo delle ideologie, Laterza, Roma-Bari
1984.
2. "Va altresi' tenuto presente che non si possono neppure identificare
false dottrine filosofiche sulla natura, l'origine  e il destino
dell'universo e dell'uomo, con movimenti storici a finalita' economiche,
sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati
originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora
ispirazione. Giacche' le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono
sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni
storiche incessanetemente evolventi, non possono non subirne gli influssi e
quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Inoltre
chi puo' negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai
dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni
della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di
approvazione?" (Giovanni XXIII, Pacem in terris, 57. Traggo la traduzione da
L'enciclica "Pacem in terris". A venticinque anni dalla pubblicazione. Testo
latino e traduzione italiana. Commento a cura del card. Pietro Pavan,
Editiones Academiae Alphonsianae, Roma 1988, p. 97). Sulla "grandiosa
novita' del disarmo ideologico proposto da Giovanni XXIII attraverso la sua
azione pastorale e la sua enciclica" vedi S. Tanzarella, I disarmi della
Pacem in terris, in AA. VV., Costruire la pace sulla terra, a cura di S.
Tanzarella, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1993, p. 152.
3. Cfr. G. La Pira, La nostra vocazione sociale, Ave, Roma1964. Non ho piu'
con me la copia del volumetto che accompagno' i miei primi passi nel mondo
della cultura politica, ma ne e' rimasta traccia in alcune pagine di  un
agile opuscolo "militante" di quei mesi concitati che  preparai nel corso
dell'anno scolastico 1968-1969 con alcuni compagni di occupazione del liceo
"Garibaldi" di Palermo: cfr. AA. VV, Filosofia e contestazione, Palermo 1969
(come editore compare la Societa' Immobiliare Industriale "L'Ora" che curo'
gratuitamente la pubblicazione), pp. 13, 18-19.
4. Uso la locuzione ormai tradizionale perche' funzionale alla mia
rilettura, ma senza dimenticare le ragioni di chi sostiene che
"quell'aggettivo buono e' non solo arbitrario, dal momento che e' assente
dal testo originario e appare solo nei titoletti redazionali delle varie
traduzioni, ma e' anche castrante nei confronti del contenuto centrale della
parabola. La predicazione cristiana, per una sorta di meccanismo di difesa
innescato dall'inconscio collettivo, ha rimosso la provocazione fondamentale
che Luca attribuisce a Gesu'. Affermando che quel samaritano era buono, o
per natura o per grazia, le chiese hanno esorcizzato la possibilita'
inquietante che la salvezza potesse venire da una persona qualsiasi, magari
da uno o da una, considerata marginale e potenzialemnte nefasta, e che il
confine fra bene e male non passasse tra persone consacrate e non
consacrate, fra religiosi e irreligiosi, fra nati buoni e nati cattivi, fra
gruppi etnici o classi diverse, ma attraversasse con tormentosa sofferenza
l'anima di chiunque" (G. Franzoni, La donna e il cerchio, Com nuovi tempi,
Roma 2001, pp. 25-26).
5. "Bisognerebbe che Lei facesse esperienza - ma quella vera! - che tocca
fare al sindaco di una citta' di 400.000 abitanti avente la seguente
'cartella clinica': 10.000 disoccupati (esattamente, in marzo, 9.740, di cui
5.686 di prima categoria, cioe' disoccupati per effetto di licenziamenti; e
2.977 di seconda categoria, cioe' giovani in cerca di lavoro!); una grande
azienda da quattro mesi crollata (Richard-Ginori con 950 licenziamenti); non
parliamo, per fortuna, della Pignone; altre aziende con licenziamenti in
atto (Manetti e Roberts) o con 'tentazioni' di licenziamento (non faccio
nomi per non turbare!); grosse crisi industriali nella periferia (tutto il
Valdarno con migliaia di licenziamenti); oltre 2.000 sfratti (sfratti
autentici, sa!): 17.000 libretti di poverta' con un totale di 37.000 persone
assistite dal Comune e dall'Eca. Scusi: davanti a tutti questi 'feriti',
buttati a terra dai 'ladroni' - come dice la parabola del Samaritano (Lc 10,
30 ss.) - cosa deve fare il sindaco, cioe' il capo ed in certo modo il padre
ed il responsabile della comune famiglia cittadina? Puo' lavarsi le mani
dicendo a tutti: - scusate, non posso interessarmi di voi perche' non sono
uno statalista ma un interclassista? Puo' 'passare oltre' - come il fariseo
e lo scriba della parabola - con la scusa che non essendo statalista ed
essendo interclassista ed anticomunista egli non ha il 'dovere' di fermarsi
e provvedere? La parabola del Samaritano - sola norma umana! - non dice
questo: dice, anzi, che il Samaritano scese da cavallo, prese il ferito (un
nemico, un giudeo), gli somministro' le prime cure, lo porto' dal farmacista
al quale disse: 'Curalo, tornero' domani e paghero' le spese'. Guardi la
ricchezza di particolari in questo intervento a favore di un autentico
nemico! Ripeto: che deve fare il sindaco di una citta' che si trovi ad avere
la 'cartella clinica' sopra indicata?" (G. La Pira, Il fondamento e il
progetto di ogni speranza, a cura di C. Aldigiano e P. Andreoli, Ave, Roma
1992, p. 56).
6. "Cio' che distingue all'origine, almeno dal punto di vista strutturale,
il samaritano dagli altri due personaggi, il sacerdote e il levita, che
vedono l'uomo ferito e abbandonato sul ciglio della strada e non si fermano
a soccorrerlo, e' proprio il fatto che, nella parabola, il sacerdote e il
levita non sono uomini della strada. Ignorando la concretezza e la
complessita' della strada la usano solo come strumento per recarsi
dall'abitazione al tempio e dal tempio all'abitazione. Essi, e non il
samaritano, sono buoni. (...) Rimarra' cosi' fra i proverbi popolari,
deposito ambiguo di ogni conservatorismo, la definizione della persona
virtuosa come 'tutta casa e chiesa', mentre per i peccatori si parlera' di
'uomo da marciapiede' o di 'donna di strada'. La strada, o cammino che sia,
nei grandi racconti che hanno nutrito la fantasia dell'umanita' rischia di
essere sempre uno strumento che conduce da qualche parte e non una
espansione dello spazio per connettere realta' diverse" (G. Franzoni, La
donna, cit., pp. 31-32).
7. Per agevolare la comprensione dell'osservazione puo' essere opportuno
ricontestualizzarla: "Del samaritano non conosciamo i precedenti: era anche
lui un assassino in fuga o era un onesto mercante che tornava da un
villaggio di affari? Ma la sua divisa morale e' probabilemnte indifferente
rispetto all'atto di compassione compiuto per cui e' stato portato come
paradigma di salvezza. Fermandosi accanto al percosso ha corso molti rischi,
forse anche quello di essere un giorno rimproverato perfino dal suo
beneficato, risentito per il fatto di essere stato soccorso da un impuro, ma
ha creato la misura di un atto di salvezza non derivante da un ruolo di
salvatore" (G. Franzoni, La donna, cit., pp. 33-34).
8. G. Franzoni, Ofelia e le altre, Datanews, Roma 2001, p. 68.
9. M. Cacciari, Duemilauno. Politica e futuro. Colloquio con Gianfranco
Bettin, Feltrinelli, Milano 2001, p. 50.
10. Avevo completamente perso memoria del bel passaggio di Silone (dal noto
Uscita di sicurezza) quando, fortunatamente, me lo ha rievocato -
citandolo - Rosario Giue' in La speranza e l'agire politico in AA. VV.,
Spiritualita' e politica, La Zisa, Palermo 1999, p. 9.
11. G. Franzoni, Ofelia, cit., p. 68.
12. Cfr. H. Thielicke, E se Dio esistesse... Discorsi sul problema di Dio,
Morcelliana, Brescia 1975.
13. Cfr. M. Yunus, Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano 1998.
14. Il brano citato, con approvazione, in Tommaso d'Aquino, In Epist. I Cor.
VII, 1, recita esattamente: "Sunt qui scire volunt eo fine tantum ut sciant,
et curiositas est; quidam ut sciantur, et vanitas est; quidam ut scientiam
vendant, et turpis quaestus est; quidam ut aedificentur, et prudentia est;
quidam ut aedificent, et caritas est" (cfr. A. Cavadi, Le ideologie del
Novecento. Cosa sono state, come possono rifondarsi, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2001, p. 97).

5. LIBRI. TOMMASO DI FRANCESCO PRESENTA "MEGLIO CARCERATI CHE CARCERIERI" A
CURA DI PERETZ KIDROM
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 luglio 2003. Tommaso Di Francesco,
giornalista del "Manifesto", esperto di politica internazionale, e' curatore
e autore di acuti saggi di analisi e di intervento politico, ma anche di
pregevoli testi letterari in versi e in prosa; tra i suoi volumi segnaliamo
particolarmente: in ambito saggistico-politico: (a cura di), Jugoslavia
perche', Gamberetti, Roma 1995; (a cura di), La Nato nei Balcani, Editori
Riuniti, Roma 1999; in ambito letterario: (a cura di), Veleno, Savelli,
Milano 1980; Quintopiano, Edizioni Manuzio, Roma 1981; Cliniche, Crocetti,
1987; (a cura di, con Pino Blasone), La terra piu' amata. Voci della
letteratura palestinese, Il manifesto, Roma 1988; Il giovane Mitchum, Il
lavoro editoriale, Ancona-Bologna 1988; Tuffatori, Crocetti, 1992. Peretz
Kidrom e' un giornalista ed attivista pacifista israeliano]
Qualcosa di nuovo in Medio Oriente c'e'. Non nelle promesse di Ariel Sharon
o in quello che sta scritto - anzi non sta scritto - nella "road map". Sono
gli occhi in attesa, pieni di speranza anche se annichiliti, dei
palestinesi, donne, bambini, vecchi, uomini che aspettano l'avvento di uno
spazio, la Palestina. finalmente liberato dall'oppressione militare. E
insieme lo sguardo a volte euforico o piu' spesso solo contento di molti
soldati coinvolti nella dimostrazione che un ritiro, anche se simbolico,
comincia ad esserci dai territori occupati - che pero' occupati restano.
Sono quei giovani militari che fanno il segno di vittoria perche' finalmente
tornano a casa e che dichiarano che "non ne possono piu'". Bisognerebbe
sentirli uno ad uno questi giovani militari, farsi raccontare che cosa vuol
dire prestare servizio militare occupando un altro territorio e opprimendo
un altro popolo, impedendo ai civili ogni gesto elementare di vita.
Oggi c'e' un libro di straordinarie testimonianze proprio di soldati
israeliani che, da subito, si sono schierati dalla parte delle vittime:
Meglio carcerati che carcerieri, a cura del giornalista e pacifista
israeliano Peretz Kidrom, nel quale, direttamente "i refuseniks israeliani
raccontano la loro storia", (edito da Manifestolibri, pp. 154, 16 euro).
E' la storia di chi ha "semplicemente" deciso di dire "signorno'", rompendo
non tanto con una qualsiasi gerarchia militare, ma con la sacralita'
dell'esercito israeliano, nato dopo l'Olocausto e quindi strumento di
riscatto agli occhi degli israeliani, forse piu' che non lo stesso stato
d'Israele.
Verso la fine del 2002 erano diventati piu' di mille i cittadini israeliani
in eta' militare pronti a rifiutare di prestare servizio nella campagna di
repressione dell'esercito contro la popolazione palestinese. Di questi, piu'
di cinquecento avevano gia' respinto l'ordine di prestare servizio nei
territori occupati. In piu', altri seicento si sono formalmente impegnati a
rifiutare qualsiasi obbligo, nel caso in cui e quando sarebbero stati
chiamati a farlo.
Il 26 gennaio del 2002, "Il manifesto" usci' con la copertina dedicata
proprio all'inizio di questo movimento di diserzione iniziato con un appello
da 53 militari israeliani della riserva che cosi' dichiarava: "Noi,
ufficiali e soldati combattenti di riserva di Tzahal, che siamo stati
educati nel grembo del sionismo e del sacrificio per lo stato d'Israele, che
abbiamo sempre servito in prima linea... Noi che sappiamo che i territori
occupati non sono Israele e che tutte le colonie sono destinate ad essere
rimosse... Noi dichiariamo che non continueremo a combattere in questa
guerra per la pace delle colonie, che non continueremeo a combattere oltre
la linea verde per dominare, espellere, affamare e umiliare un intero
popolo...".
Una vasta diserzione che non e' rimasta impunita, sia per la sua natura che
per il numero. 1.500 soldati che dicono no, non sembrano molti: in realta',
fatte le debite proporzioni su sei milioni di israeliani, si puu' immaginare
l'effetto politico se negli Stati Uniti quarantamila soldati americani si
rifiutassero di prestare servizio nei nuovi grandi territori occupati, in
Afghanistan e Iraq, o se diecimila soldati britannici avessero rifiutato il
servizio militare nell'Irlanda del Nord.
Dall'inizio dell'attuale Intifada nel settembre 2000, circa duecento soldati
e ufficialisono stati condannati a vari periodi di detenzione. Non finiscono
davanti alla corte marziale perche' - e su questo il potere politico e lo
stato maggiore sono stati ben attenti, preoccupati di una esplosione della
protesta - perche' loro non hanno bruciato la cartolina di richiamo o hanno
disertato come i giovani americani per il Vietnam. Hanno scelto il "rifiuto
selettivo", cioe' il rifiuto di ogni ordine considerato ingiusto - secondo
motivazioni politiche e morali - "di prender parte a un compito specifico o
a una determinata operazione, mentre al contempo si dichiarano disposti ad
eseguire altri ordini, piu' accettabili".
"In parte - ricorda Peretz Kidrom - il rifiuto selettivo e' stata una sorta
di conseguenza dell'esperienza ebraica, ovvero quella di un popolo che aveva
sofferto in maniera tanto disumana per mano di soldati che stavano solo
eseguendo ordini".
Rifiuto selettivo che nell'esercito israeliano non e' cominciato con
l'ultima Intifada, ma data dai primi anni Settanta, quando spontaneamente
alcuni, isolati, pacifisti dichiaravano il loro signorno' al dovere di
prestare servizio militare nei territori palestinesi occupati con la guerra
del 1967.
Ma e' con l'invasione del Libano del 1982 ordinata dal premier Begin e
dall'allora ministro della difesa Sharon, anche di fronte al bagno di sangue
di Sabra e Chatila, che prese corpo un organismo che cominciava a rifiutare
la campagna di aggressione ad uno stato confinante. Nacque "Yesh Gvul", che
letteralmente vuol dire "C'e' un limite" (a tutto). Yesh Gvul lancio' allora
la sua campagna tra i riservisti, raccogliendo tremila firme e ogni volta
che un refusenik veniva incarcerato forniva assistenza legale e pubblicita'
al processo, fin dai sit-in di protesta davanti al carcere.
Di questa campagna nel libro la testimonianza di Dudu Palma, paracadutista e
membro del kibbutz di Kfar Hanassi, scrive: "La prima volta che andai in
carcere fu nel 1983 (...) Avevo partecipato alle battaglie nelle zone di
Beirut e Sidone. La seconda volta fu per aver rifiutato di prestare servizio
nei territori occupati (...) Credo che con questo atto sto difendendo il
filo di una fragile democrazia che ancora rimane, ma che viene
progressivamente trascinata verso l'abisso di una corrente sempre piu'
violenta di nazionalismo e di fondamentalismo di stampo komeinista".
Memorie, lettere, volantini, interventi di familiari, dichiarazioni: il
libro e' un grande affresco di storie nascoste nell'ufficialita' della
guerra d'occupazione, che disegnano un percorso - altro che "road map" -
alternativo: quello fatto dalle esperienze dirette di chi paga di persona.
Come il rifiuto del tenente riservista Yuval Lotem condannato a 28 giorni di
carcere militare per aver rifiutato di fare la guardia ai detenuti
palestinesi del carcere di Meghiddo, dove in centinaia aspettano per anni
senza processo: "La gente non dovrebbe essere messa in carcere senza
processo... dissi all'ufficiale: a) il carcere di Meghiddo e' parte
integrante dell'occupazione, malgrado sia all'interno dei confini d'Israele;
b) alcuni detenuti possono aver lanciato pietre, ma io avrei fatto lo stesso
se fossi stato sotto occupazione... non ho intenzione di essere complice di
un crimine".
Storie di vita che non perdono il filo della memoria nel bisogno vitale di
rompere l'isolamento verso l'opinione pubblica interna, come nel caso della
"difesa" per il refusenik Arnon Ronen scritta dal padre Avihu Ronen, che
narra le vicende della sua famiglia di deportati ebrei nella Slovacchia
nazifascista e nei ghetti polacchi e scrive, di fronte alle accuse degli
ebrei d'Israele che inveiscono contro il figlio "disertore", onorato che il
suo ragazzo abbia detto no all'occupazione militare di un altro popolo:
"L'insurrezione palestinese va avanti da anni. Donne e bambini muoiono
uccisi, le case vengono fatte esplodere. Migliaia di persone vengono
arrestate per la strada (...) Il carcere e' il luogo che rientra nella
tradizione di questo ragazzo: lui e' figlio dell'uomo che ha organizzato le
fughe dalla Slovacchia, il figlio della donna che ha combattuto nei ghetti
della Polonia... la tradizione familiare che portera' con se' in prigione
non ha dimestichezza con espressioni quali "non lo sapevamo", "non potevamo
farci niente", "non avevamo altra scelta". E' tradizione di famiglia quella
di non obbedire... La sua e' una famiglia in cui il padre non e' costretto
ad abbassare gli occhi quando il figlio chiede: Padre, che cosa hai fatto tu
quando l'oscurita' ha invaso la nostra terra?".

6. LETTURE. EMILIO GENTILE: RENZO DE FELICE. LO STORICO E IL PERSONAGGIO
Emilio Gentile, Renzo De Felice. Lo storico e il personaggio, Laterza,
Roma-Bari 2002, pp. X + 182, euro 10. Un agile e puntuale profilo dello
storico del fascismo e biografo di Mussolini, autore sia di opere
fondamentali per mole e documentazione, sia di controversi interventi
pubblicistici. La nostra modesta opinione e' che le opere di De Felice
vadano lette, e naturalmente lette anche per essere discusse laddove
occorra.

7. LETTURE. CARLO MARIA MARTINI: SULLA GIUSTIZIA
Carlo Maria Martini, Sulla giustizia, Mondadori, Milano 1999, 2002, pp. 112,
euro 6,80. Le sempre acute meditazioni del cardinale Martini sulla
giustizia, una utile e pungente sollecitazione alla riflessione.

8. RILETTURE. ANNA BRAVO, ANNA MARIA BRUZZONE: IN GUERRA SENZA ARMI
Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne.
1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. VIII + 214, lire 25.000. Un libro di
grande utilita' che ancora una volta vivamente raccomandiamo ai lettori.

9. RILETTURE. GIAN MARIO BRAVO: LA PRIMA INTERNAZIONALE
Gian Mario Bravo, La prima Internazionale. Storia documentaria, Editori
Riuniti, Roma 1978, due volumi per complessive pp. 1.310. Una vasta raccolta
di documenti (ovviamente orientata dal punto di vista dell'autore come
sempre avviene in queste intraprese antologiche) che merita di essere
riletta: molti dei problemi che oggi si pongono a chi vuole opporsi
all'ingiustizia presente si ponevano allora (nei decenni seguiti al 1848 e
fino a tutti gli anni '70 del XIX secolo) in termini e con sentimenti la cui
ricognizione puo' esserci hic et nunc assai giovevole.

10. RILETTURE. GIORGIO GRAZIOSI: L'INTERPRETAZIONE MUSICALE
Giorgio Graziosi, L'interpretazione musicale, Einaudi, Torino 1952, 1982,
pp. 204. Ah, non sara' mai abbastanza raccomandato a quanti si impegnano nei
movimenti sociali e soprattutto nell'ambito dell'accostamento alla
nonviolenza, di riflettere sui problemi di metodo e di sostanza che in
questo acuto libro si discutono.

11. RILETTURE. ARMANDA GUIDUCCI: LA MELA E IL SERPENTE
Armanda Guiducci: La mela e il serpente, Rizzoli, Milano 1974, 1988, pp.
292. Una intensa meditazione della grande saggista.

12. RILETTURE. LOUISE LABE': OEUVRES COMPLETES
Louise Labe', Oeuvres completes. Sonnets, Elegies, Debat de folie et
d'amour, Flammarion, Paris, 1986, pp. 288. Continua ad appassionarci e
commuoverci la figura e la voce della poetessa di Lione (nata tra il 1516 e
il 1523, scomparsa nel 1566).

13. RILETTURE. GASPARA STAMPA: RIME
Gaspara Stampa, Rime, Rizzoli, Milano 1954, 1976, pp. 304. Meritano di
essere riletti i versi della poetessa rinascimentale veneziana (1523-1554).

14. RILETTURE. ALFONSINA STORNI: IRREMEDIABLEMENTE
Alfonsina Storni, Irremediablemente, Sociedad editora latino americana S.
A., Buenos Aires 1964, pp. 96. Una delle intense, vibratili raccolte di
versi di Alfonsina Storni (1892-1938).

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 606 del 9 luglio 2003