La nonviolenza e' in cammino. 601



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 601 del 4 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: grazie, e inoltre
2. Imma Barbarossa: in Europa senza armi, per pace e giustizia
3. Convenzione permanente di donne contro le guerre: un appello al movimento
per la pace e i diritti
4. Angelo Gandolfi: perche' i corpi civili di pace
5. Enrico Peyretti: la nonviolenza e' piu' del pacifismo
6. Maria G. Di Rienzo: gestire lo stress e prevenire l'esaurimento
7. Salvatore Palidda: il business dei "clandestini"
8. Peppe Sini: sulle cosiddette gaffes del cavalier B.
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: GRAZIE, E INOLTRE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Ringrazio tutti e tutte quelle che hanno voluto considerare la proposta
[apparsa sul n. 592 del notiziario e che ha promosso una partecipata,
vivace, polifonica riflessione] passata sotto il mio nome e in verita' nata
da un colloquio con mons. Catti che condivide con me e altri il comitato
scientifico della Scuola di pace del Comune di Senigallia.
Non ho nessuna difficolta' a tenere esposto il drappo arcobaleno (bandiera
non mi e' mai piaciuto molto e infatti l'ho appeso subito al balcone con le
pinze del bucato e mi piace che assomigli piu' a un lenzuolo o a una
tovaglia che a una bandiera) e lo terro' fino a quando gli organizzatori
della splendida e riuscitissima campagna lo diranno.
Chiedo pero' che si consideri quanto segue: interrompere e rinnovare un
impegno serve molto, piu' che mantenerlo senza interruzione.
Il simbolico non e' mai immobile e riaccende l'attenzione attrarverso
modifiche (i colori dei paramenti nei vari periodi liturgici).
*
Inoltre il militarismo sta riconquistando terreno e lo si vede da molte
cose: ne cito alcune.
Molte ragazzine e ragazzini indossano mimetiche: si investe sulla moda in
maniera subdola: poiche' si vuol far credere che il militare possa essere un
nobile mestiere.
I contingenti militari italiani sono detti "soldati di pace" e non lo sono,
ma il programma Rai cosi' intitolato ha avuto un grande impatto. E non siamo
in grado di organizzare inviti a disertare o ad opporre renitenza.
*
In treno mi e' capitato di viaggiare con un gruppo di giovanissimi soldati
volontari che parlavano del loro ingaggio con una passione e un entusiasmo
tremendi, ma non per le cose che avevano fatto, bensi' solo affascinati
dalle tecnologie: "Ci hanno rifornito in volo! avevamo tutto come gli
americani". Ho capito che rientravano dall'Afghanistan solo perche' uno a un
certo punto ha detto "mentre venivamo via da Kabul..."; non una parola sulla
gente, sulle condizioni di vita, sul paesaggio, automi.
Quando uno scendeva dal treno nelle varie fermate, dalla banchina salutava
(erani tutti in  borghese, congedati) militarmente alla maniera americana
con la mano calata in fretta dalla fronte.
Non era possibile coinvolgerli in nessun discorso, rispondevano: "Ho firmato
l'ingaggio", e a dirgli se sapeva quel che firmava replicavano "Siamo
volontari", e se gli si diceva "Ma nemmeno a un volontario si possono dare
ingaggi incostituzionali" si veniva guardata come una marziana.
Del resto se la Tavola della pace dice che si puo' discutere sull'esercito
europeo, vuol dire che l'ambiguita' e' forte.
*
Suggerisco comnnque di dare anche altre forme al simboilco della pace: ad
esempio tutto cio' che si porta addosso e' importante: cinturini per
l'orologio, bandane, foulards, nastri per appenderci gli occhiali,
portachiavi, orecchini, magliette.
Bisogna diventare visibili in modi molteplici.
L'azione nonviolenta e' soprattutto capacita' di sorprendere, creativita',
non ripetitivita'.
Sappiamo ormai fare manifestazioni che non hanno piu' nulla di militare e
diventano passeggiate per le strade: ora dovremmo distruggere i palchi dai
quali, con minuti centellinati, una ventina di oratori (prevalentemente
maschi) arringano la folla che non  li  ascolta. Propongo che le nostre
manifestazioni si concludano con balli e canti e senza discorsi, e che il 2
giugno venga ricordato con l'esposizione in massa del drappo della pace e
con feste popolari come in Francia il 14 luglio.
*
Grazie comunque, ma sono davvero preoccupata: secondo me stanno cambiando
cose e atteggiamenti e non abbiamo risposte efficaci sui temi piu' tremendi,
come la costituzionalizzazione della guerra, l'ambiguita' della
partecipazione mascherata, soprattutto non teniamo abbastanza in conto il
rischio di un esercito europeo che si aggiungerebbe alla Nato e agli
eserciti nazionali e insomma anche solo per quanto costa finirebbe di
distruggere quei  diritti sociali che ancora abbiamo e che poco abbiamo
difeso al tempo del referendum sull'art. 18, lasciando un varco grande come
una casa alla distruzione dei dirittii dei lavoratori e lavoratrici.
*
Vi prego di prestare ora un po' di attenzione alla proposta di Europa
neutrale che avanziamo come Convenzione permanente di Donne contro le
guerre.

2. INCONTRI. IMMA BARBAROSSA: IN EUROPA SENZA ARMI, PER PACE E GIUSTIZIA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
articolo di Imma Barbarossa che riferisce dell'assemblea della Convenzione
permanente di donne contro le guerre svoltasi a Roma il 21 giugno. Imma
Barbarossa e' una delle piu' note e prestigiose figure impegnate nel
movimento delle donne e per la pace]
Si e' riunita a Roma il 21 giugno la Convenzione permanente di donne contro
le guerre, che partecipa al percorso del movimento antiglobalizzazione,
soprattutto attraverso il forum per la democrazia costituzionale del Forum
sociale europeo, e ha lanciato una proposta di art. 1 per il trattato
costituzionale europeo che ha raccolto molte migliaia di firme e che
intendiamo presentare pubblicamente.
In apertura dei lavori Lidia Menapace ha ribadito le proposte da lei
avanzate, oltre che in altre occasioni pubbliche, anche in un seminario
romano del Forum per la democrazia (neutralita' attiva dell'Europa, disarmo,
riforma degli organismi internazionali).
Monica Lanfranco ha dato conto del percorso della raccolta delle firme
all'art. 1 e ha proposto un confronto sia con altri organismi che lavorano
nella stessa direzione sia con alcune parlamentari europee che si sono
dichiarate disponibili.
Personalmente sto lavorando da tempo alla proposta di cittadinanza europea
universale sessuata, su cui mi soffermero' tra poco.
Molti gli interventi che hanno reso ricca e significativa la discussione e
molto produttivo l'incontro, che si e' concluso con un appello al movimento,
da portare in tutte le sedi in cui si discute di Europa, appello a cui ha
dato un significativo contributo l'intervento di Maria Grazia Campari.
Il contesto di guerra permanente e costituente e' stato analizzato da
Elettra Deiana, mentre Elena Beltrame ha esposto alcune considerazioni sulle
modalita' di rendere pubblica l'iniziativa della raccolta di firme, e
Rosangela Pesenti in un appassionato intervento ha parlato della necessita'
di coinvolgere i/le giovani con risposte profonde alle domande radicali
sottese ai percorsi istituzionali e politici.
Tutte abbiamo accettato con convinzione la proposta di Lidia Menapace di
procedere d'ora in poi non piu' con assemblee ma con seminari di
approfondimento su temi inerenti il "presente di guerra", che e' il dato
costitutivo dell'oggi.
*
Per quanto riguarda le questioni della nuova cittadinanza, occorre, a mio
avviso, partire dal giudizio nettamente negativo che noi diamo sul lavoro
della Convenzione europea che ha approntato il trattato costituzionale.
Negativo nel metodo e nel merito.
Intanto il metodo: la Convenzione ha operato lontano dal movimento, dalla
societa' civile, dalle associazioni, dai soggetti singoli e collettivi,
dalle donne e dagli uomini che da anni si occupano di proporre una "nuova"
Europa, soggetto politico di pace. Le "consultazioni" sono state puri e
semplici incontri formali con soggetti non "organizzati" e quindi atomizzati
e generici. Devo far notare anche che i/le parlamentari europei/e della
Convenzione poco o nulla hanno fatto per confrontarsi con i soggetti che si
occupano da anni di queste questioni. Come pure, per amore di verita', va
riconosciuto che la questione "Europa costituzionale" da poco, per ragioni
del tutto comprensibili, e' entrata nell'agenda del movimento.
Il primo elemento del nostro giudizio negativo riguarda il tema della pace,
presente solo in un accenno generico come valore europeo. Accenno del tutto
inutile, in quanto in nome della pace si fanno le guerre, si bombarda, si
uccide. L'Europa avrebbe tutte le ragioni per iscrivere nella sua
Costituzione il ripudio della guerra, quell'art. 11 della Costituzione
italiana, che nacque subito dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.
Quel "ripudio della guerra" dei nostri padri e delle nostre madri
costituenti dice tutto l'orrore per le guerre. Non si tratta certo di una
dimenticanza, in quanto la nominazione della pace viene contraddetta da una
vera e propria corsa agli armamenti.
L'articolo intitolato "Politica di sicurezza e di difesa comune" intende
assicurare all'Unione europea una "capacita' operativa" con ricorso a mezzi
militari e civili, che possono essere "schierati all'esterno", "ai fini del
mantenimento della pace e del rafforzamento della sicurezza internazionale",
fatti salvi gli obblighi che alcuni Stati hanno con la Nato. Gli Stati
membri, per parte loro, si impegnano a migliorare progressivamente le loro
capacita' militari; insomma la Nato non si tocca e si corre alle armi.
In questa logica c'e' una sorta di graduatoria, in quanto agli Stati piu'
capaci militarmente (si parla di "criteri elevati in termini di capacita'
militari") viene data la facolta' di cooperare tra loro. Una "clausola di
solidarieta'" (quale slittamento semantico hanno ormai le parole umanita',
solidarieta', aiuti, cooperazione) autorizza l'Unione europea a mobilitare
gli strumenti di cui dispone per "prevenire" una non precisata "minaccia
terroristica". A tal fine vengono previste "missioni" (Enduring Freedom
europee!) e viene istituita una "Agenzia europea per gli armamenti e la
ricerca strategica".
Insomma un'Europa fortezza esposta alle "invasioni" dei popoli migranti.
E qui sta il secondo, decisivo punto su cui si fonda la nostra critica. La
"sicurezza" dell'Europa spinge i governi europei a organizzare una difesa
per prevenire le "emergenze" dovute alle migrazioni come "afflusso
improvviso di cittadini di paesi terzi", nei confronti dei quali sono
previste cooperazioni di mercato e missioni armate coloniali, come sta
accadendo in Iraq. Certo, Bossi vorrebbe cannoneggiare, Blair, che e' piu'
elegante, propone i campi di concentramento, ma fuori dei confini europei.
Si ha cosi' il paradosso che l'Occidente "democratico", che ha sfruttato le
risorse dei "paesi terzi", cattura, tiene in cattivita', respinge uomini e
donne che fuggono da guerre e miserie. Davvero la guerra e' diventata il
fondamento di un nuovo "diritto internazionale", basato sul dominio e sulla
prevaricazione, sul diritto del piu' forte.
In questo contesto la nostra Convenzione, per come e' fatta, si e' posta in
tutto questo tempo l'obiettivo di rendere visibile e il piu' possibile
diffusa una lettura di genere delle guerre e del contesto, un contesto di
moderno patriarcato, e di attraversare criticamente anche la lettura
"neutra" del movimento. D'altronde una cittadinanza universale non puo' che
essere sessuata, altrimenti e' maschile.
L'inclusione delle donne nei "diritti dell'uomo" e', come sempre,
colonizzazione ed esclusione. L'attenzione alla presenza delle donne si
risolve in un articoletto sulle pari opportunita' e azioni positive.
La cittadinanza universale sessuata attiene alla soggettivita' politica
femminista, costituitasi in particolare nella seconda meta' del Novecento
sulla critica al patriarcato come decostruzione sia dell'equivalenza
cittadino = soldato, sia di ogni struttura verticistico/militarista,
produttivistica ed economicistica del lavoro e della vita, nonche' della
relazione tra tempo di lavoro e tempo di vita.
La pratica delle donne ha spostato confini e frontiere, decostruendo i
concetti di patria e onore militare; ha criticato la coincidenza tra
cittadino e lavoratore in produzione, giacche' il tempo del "non lavoro" non
e' tempo del prima, del senza, del dopo, ma e' anche tempo di vita.

3. APPELLI. CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LE GUERRE: UN APPELLO AL
MOVIMENTO PER LA PACE E I DIRITTI
[Anche questo appello della Convenzione permanente di donne contro le
guerre, proposto dall'assemblea svoltasi a Roma il 21 giugno, abbiamo
ripreso dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.it)]
L'incontro governativo di Salonicco ha ratificato la bozza di Trattato
costituzionale approntata dalla Convenzione appositamente nominata un anno e
mezzo fa.
Esprimiamo la nostra profonda insoddisfazione e la nostra radicale critica
sia per il modo con cui se ne discute sia per il merito.
Il metodo innanzitutto: la Convenzione ha operato lontano dal movimento,
dalla societa' civile, dalle associazioni, dai soggetti singoli e
collettivi, dalle donne e dagli uomini che da anni si occupano con
riflessioni e pratiche del ruolo dell'Europa; le "consultazioni" sono state
puramente formali.
Nel merito, e sulle questioni piu' importanti:
- la pace: l'accenno generico alla pace come valore e' semplicemente
inutile. In nome della pace si fanno le guerre, si bombarda, si uccide.
Quindi e' il ripudio della guerra che dovrebbe essere scritto nella
Costituzione. Inoltre la nominazione della pace viene contraddetta da una
corsa agli armamenti; per il "miglioramento delle capacita' militari dei
paesi membri" e' prevista una Agenzia militare, "Agenzia europea per gli
armamenti e la ricerca strategica".
- La politica della sicurezza e della difesa: l'Europa risulta una
cittadella chiusa e recintata, organizzata per prevenire le "emergenze"
della popolazione migrante ("situazione di emergenza caratterizzata da un
afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi"). Nei confronti dei paesi
terzi sono previste solo una cooperazione di mercato e missioni armate di
tipo coloniale, come sta avvenendo per l'Iraq.
- Il lavoro: il diritto di lavorare (previsto nella Carta di Nizza) e' altra
cosa dal diritto al lavoro; inoltre le condizioni di lavoro vengono
subordinate agli interessi delle imprese e alle compatibilita' del mercato.
- La soggettivita' femminile e' confinata ad un articoletto che parla di
pari opportunita' e accenna all'equivalente europeo delle azioni positive.
Il linguaggio, che parla di "diritti dell'uomo", e' rigorosamente
monosessuato al maschile, con buona pace delle donne parlamentari che
componevano la Convenzione.
Porteremo queste nostre critiche in tutti i luoghi in cui si parlera' di
Europa, in particolare a Genova e a S. Denis.
*
Chiediamo che tutto il movimento faccia proprie queste critiche e, in
opposizione a questo trattato, sviluppi vere e proprie pratiche di
contestazione puntuale per:
- All'art. 3 della prima parte (obiettivi dell'Unione) punto 1 si dice:
"l'Unione si prefigge di promuovere la pace". Noi proponiamo "L'Unione e'
fondata sul ripudio della guerra".
- Vanno modificati radicalmente gli articoli riguardanti la "politica di
sicurezza e di difesa comune" (art. 40, prima parte, e altri), e va avviata
una politica di disarmo.
- Vanno modificati gli artt. 41 e 42 (della prima parte) riguardanti le
disposizioni particolari per l'istituzione dello spazio di liberta',
sicurezza e giustizia, e la "clausola di solidarieta'", e va invece proposta
una politica di accoglienza dei/delle migranti come "riconoscimento" di
diritti di cittadinanza nel senso pieno del termine, nonche' il diritto di
asilo per chi e' sottoposto/a a violazioni dei diritti politici, civili,
sessuali con particolare riferimento ai diritti riproduttivi femminili e
alla libera determinazione dell'orientamento sessuale.
- L'affermazione di una cittadinanza universale sessuata, che tenga conto
delle riflessioni che la soggettivita' politica delle donne, costituitasi
sulla critica al patriarcato, ha in questi lunghi decenni rivolto
all'equivalenza cittadino = soldato e cittadino = lavoratore in produzione;
una cittadinanza che si ispiri alla decostruzione femminista di ogni
struttura verticistico/militaristica e di ogni concezione produttivistica ed
economicistica del lavoro e della vita (come quelle che determinano
periferie di umanita'), nonche' della relazione tra tempo di lavoro e tempo
di vita.

4. RIFLESSIONE. ANGELO GANDOLFI: PERCHE' I CORPI CIVILI DI PACE
[Ringraziamo Angelo Gandolfi (per contatti: angelo.gan at libero.it) per questo
intervento. Angelo Gandolfi e' impegnato nell'esperienza dei "Berretti
bianchi", organizzazione umanitaria di intervento nonviolento in aree di
conflitto]
L'idea dei corpi civili di pace nasce sostanzialmente dalla necessita' di
ogni cittadino di riappropriarsi della quota minima di sovranita' popolare
attribuitagli dalle piu' avanzate costituzioni nazionali e dalla
dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Dinanzi alla crisi dello stato-nazione e del modello di rappresentanza che
esso ha in qualche modo espresso, conseguente alla sempre piu' conclamata
incapacita' di governii eletti con suffragio sempre piu' limitato, a causa
del forte condizionamento esercitato da settori del mondo economico e
finanziario, e in particolare dal complesso militare-industriale, che ha
come prima conseguenza l'appiattimento degli esecutivi sulla soluzione
militare delle controversie internazionali, appare sempre piu' necessaria
una spinta in direzione differente da parte dei singoli cittadini e delle
comunita' locali nella determinazione di politiche estere di segno opposto.
Sono infatti i cittadini, depositari della sovranita' popolare, sia come
singoli sia attraverso le loro aggregazioni, intese e nell'accezione di
associazioni ed organizzazioni da un lato e come istituzioni, soprattutto a
livello locale dall'altro, vale a dire la societa' civile nelle sue
molteplici articolazioni, ad avere diritto e dovere di applicare i dettati
delle Costituzioni, che senza eccezioni escludono il ricorso alla guerra,
palesemente violati dagli esecutivi.
La guerra del Golfo, un conflitto che dura da oltre dodici anni, ha causato
qualche milione di morti, soprattutto non durante il tempo delle operazioni
militari belliche propriamente intese, come ipocritamente si vorrebbe
considerare, scindendo il conflitto in due distinte guerre; e' il momento in
cui tutto questo ha assunto drammatica evidenza. Un conflitto ridefinito,
soprattutto nei suoi obiettivi allo scopo esclusivo di giustificarne il
perdurare, un'innumerevole quantita' di volte.
Mai come in questa guerra il cinismo dei governi coinvolti ha avuto effetti
nefasti nella materiale riforma delle Costituzioni, ponendo gli esecutivi in
una situazione di isolamento e di delegittimazione che ha avuto come
conseguenza anche la rottura della consueta complicita' dei mezzi di
informazione storicamente schierati dalla parte della guerra.
Si e' dinanzi a questa incapacita' dei governi, e della classe politica in g
enerale, di rappresentare la societa' civile, determinata dalla scelta di
dare piuttosto corpo ad interessi di tutt'altra natura, in buona sostanza di
quei gruppi di pressione e delle imprese multinazionali che tendono a
sostituire gli organismi degli stati-nazione nel tentativo di governo della
globalizzazione.
Lo stato di grave crisi istituzionale determinato dall'incapacita' delle
classi dirigenti di governare un mercato sempre piu' selvaggio e privo di
regole differenti dalla legge del piu' forte vede, come unica risposta
possibile, l'assunzione di iniziativa e di responsabilita' da parte dei
cittadini intesi come societa' civile. D'altronde il processo di difesa
delle istituzioni democratiche distrutte o gravemente compromesse
dall'arroganza di classi dirigenti sempre piu' autoreferenziali assume
sempre piu' marcatamente il carattere di resistenza della societa' civile
all'attacco all'universalita' e all'oggettivita' del diritto portato dai
soggetti dominanti il mercato.
*
In questo quadro la guerra diventa strumento principale per imporre un'idea
di modernita' centrata sulla sitematica distruzione di ogni diritto
fondamentale. Di fronte alla riduzione di risorse determinata dall'idea
della loro inesauribilita' che ha caratterizzato le varie fasi del
consumismo, in particolare gli anni piu' duri, soprattutto gli '80,
attraversati dalla concezione dello Stato come fonte da cui attingere tutte
le risorse che era possibile estrarre a seconda del proprio status sociale e
dal potere acquisito, senza che a questo corrispondesse una necessaria
contribuzione, alla distruzione dell'idea di societa' come "collettivo" e ad
un futuro dell'economia assolutamente incerto, dinanzi al quale sta andando
in crisi la concezione dell'economia come "scienza esatta", diventa
necessario da parte della societa' civile attrezzarsi per impedire quella
che si profila all'orizzonte come una catastrofe annunciata, ma soprattutto
per rilanciare l'unica vera idea di modernita' e di progresso, legata alla
definitiva affermazione dell'universalita' e dell'oggettivita' del diritto
che, a partire dalla rivoluzione francese, ha ispirato la grande stagione
dell'affermazione dello "stato di diritto" che ha permesso tutti i "salti"
nella qualita' della vita che consistenti parti della popolazione mondiale
hanno conosciuto nel corso del ventesimo secolo, fino all'affermazione di
una prospettiva di opposizione "globale" potenzialmente di massa
all'arroganza di una minoranza, per quanto molto potente, ma pur sempre
esigua, che caratterizza i movimenti dell'alba del terzo millennio.
*
In questo quadro l'idea del corpo civile di pace diventa la messa a punto di
uno strumento per la societa' civile mondiale di autoprotezione e di
garanzia della prospettiva di una definitiva estensione del pieno godimento
di tutti i diritti fondamentali ad ogni persona che vive sul pianeta, che
ricollochi nelle sue reali dimensioni il ruolo comunque importante svolto
dalle evoluzioni nella tecnologia che hanno caratterizzato gli ultimi secoli
e la cui enfatizzazione e' stata funzionale alla diffusione di falsa
coscienza necessaria alle classi dirigenti per l'affermazione del loro
potere e la possibilita' di vantarne l'origine in un consenso popolare di
cui di fatto non hanno mai goduto, se non in fasi della storia in cui una
gestione del sistema clientelare piu' accorta ha consentito alla classe
politica stagioni di maggiore successo dal punto di vista del gradimento,
costruendo rendite di posizione alle forze politiche che hanno comunque
retto ai cambiamenti che hanno caratterizzato la prima meta' degli anni
novanta, rendendo possibile la fase di restaurazione successiva alla
dissoluzione delle forze politiche che tanta parte avevano dunque avuto
nella storia del cosiddetto dopoguerra. Dal momento che in realta' non vi e'
stato negli ultimi secoli un giorno in cui non fosse in atto in qualche
angolo del pianeta un conflitto.
Dunque l'idea del corpo civile di pace e' di uno strumento politico, di
"politica" estera e di relazioni internazionali ben lungi da volontarismi, v
elleitarismi e immagini a cui e' stata ridotta, non ultima quella infame di
"turismo di guerra".
Questo ne e' in qualche modo il fulcro. L'idea di uno strumento ulteriore
per una cittadinanza "responsabile" per recuperare un senso
dell'appartenenza ad una collettivita' che e' essenziale per un ritorno
all'ideale di "liberta'" che non sia il semplice ripristino di un valore
mortificato dalla riduzione alla sola dimensione individuale tentata dalla
cultura dominante, dunque espressione di un senso nostalgico, ma la base di
una riformulazione dell'idea e soprattutto del progetto di progresso che ci
permetta di consegnare il pianeta alle generazioni che verranno in
condizioni migliori rispetto a quelle in cui versa attualmente. E' un atto
dovuto.

5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA NONVIOLENZA E' PIU' DEL PACIFISMO
[Questo intervento di Enrico Peyreti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it)
abbiamo ripreso dalla mailing list "pace" di Peacelink (sito:
www.peacelink.it). Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate  e nonviolente]
E' vero. Bisognerebbe dimostrare ugualmente per la Cecenia, per il Congo,
per Israele-Palestina, e tante altre guerre.
Il movimento per la pace non ha la forza di fare tutto. Neppure la volonta'?
E' davvero soltanto anti-Usa? Eppure, manifestare contro la guerra piu'
arrogante, celebrata come il Bene contro il Male (nulla di meno), e', a
maggior ragione, essere contro tutte le guerre meno vistose e santificate.
Del resto, il piu' potente e' sempre stato nella storia il piu' pericoloso e
dannoso.
Tuttavia, il problema rimane.
Del resto, anche dimostrare contro ogni guerra e' poco. Per questo motivo,
ho sempre detto: "pacifismo? No, grazie". Nel senso che occorre la scelta
nonviolenta.
Il pacifismo e' solamente contro le guerre, che sono la violenza piu'
vistosa e dolorosa, ma meno radicata. Le violenze strutturali e culturali
sono piu' gravi, e piu' accettate. La nonviolenta vede e combatte anche
queste; e' piu' del pacifismo.

6. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: GESTIRE LO STRESS E PREVENIRE
L'ESAURIMENTO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Alti livelli di stress (e il cosiddetto "burnout", l'esaurimento delle
risorse ed energie interiori) sono assai comuni negli attivisti. Ovviamente
essi affliggono, oltre agli individui interessati, coloro che sono loro
vicini e le organizzazioni per cui lavorano, che spesso perdono membri
dotati e ricchi d'esperienza. Inoltre, le persone stressate non riescono ad
essere efficaci e rendono l'ambiente scarsamente attrattivo per i nuovi
attivisti che hanno deciso di unirsi a loro: vedono solo il lato negativo
delle situazioni e tendono al cinismo ed alla rigidita'.
Se abbiamo deciso di prenderci cura dell'ambiente in cui viviamo, del mondo
di cui siamo parte, dobbiamo avere l'intelligenza di prenderci cura anche di
quella parte dell'ambiente su cui di solito abbiamo il maggior controllo:
noi stessi.
* Sintomi fisici dello stress:
- stanchezza cronica, il sonno non ristora;
- diminuzione della risposta immunitaria: maggior vulnerabilita' alle
influenze, ai raffreddori, alle allergie;
- dolori alle giunture, ai muscoli, allo stomaco o alla schiena;
- aumento o perdita di peso;
- diminuito interesse per il sesso;
- difficolta' ad addormentarsi/svegliarsi.
* Sintomi comportamentali dello stress:
- ritiro ed isolamento da amici e compagni;
- rigetto dell'aiuto offerto;
- mancanza d'efficacia;
- reazioni sospettose, paranoia;
- rigetto delle proprie responsabilita'.
* Sintomi mentali/emotiovi dello stress:
- depressione;
- pensiero irrigidito, incapacita' di risolvere i problemi;
- risentimento;
- irritabilita';
- piangere o arrabbiarsi facilmente e senza motivo;
- amnesie;
- ansieta'.
* Sintomi spirituali dello stress:
- cinismo rispetto a cose/idee precedentemente considerate di valore;
- allontanamento della gioia, incapacita' di ridere;
- senso di futilita', perdita di significato;
- senso interiore di vuoto: non e' rimasto nulla da dare.
*
Ci sono molti fattori che potenzialmente possono contribuire a creare
stress. In genere possiamo dividerli in quattro gruppi: la natura del lavoro
svolto; situazioni personali; fattori organizzativi e la natura stessa
dell'organizzazione di cui facciamo parte (di cui tutto il gruppo e'
responsabile); i fattori sociali e politici su cui abbiamo meno controllo.
- La natura del lavoro svolto: la maggior parte del lavoro per il
cambiamento sociale comporta alcuni o tutti i dati seguenti.
1) prolungata attenzione su informazioni disturbanti o negative e su
previsioni di crisi future;
2) apparente mancanza di risultati (a volte aspettative non realistiche
dovute all'incomprensione dell'essenza "a lungo termine" dei movimenti
sociali);
3) l'incontro di forti resistenze;
4) la mancanza di risorse.
- Situazioni personali: sono correlate alle relazioni, all'identita', allo
stato di salute.
1) si equiparano motivazioni, valori e senso d'identita' (chi noi siamo) a
cio' che viene ottenuto concretamente;
2) si lascia che le emozioni si accumulino senza gestirle: dolore,
conflitto, incertezza, frustrazione;
3) si negano bisogni di base quali il riposare, il fare delle pause, l'usare
la propria creativita', il godere di momenti di intimita', ecc.
4) mancanza di pianificazione personale, ovvero di abilita' nell'usare il
tempo a disposizione;
5) incapacita' di tracciare limiti, nell'illusione che l'essere perennemente
concentrati sul "problema" sia essere efficienti nel risolverlo.
- Fattori organizzativi:
1) una cultura di gruppo competitiva, centrata sul lavorare duramente e
intensamente;
2) mancanza di chiarezza rispetto agli scopi ed alla fattibilita' delle
azioni;
3) mancanza, dopo le azioni, di ritorno emotivo, di valutazione, di
celebrazione;
4) morale basso del gruppo o scarso sostegno agli individui;
5) conflitti irrisolti, o la non consapevolezza di attitudini e pratiche
oppressive;
6) azioni caotiche, o noiose, o "fatte per dovere";
7) mancanza di training.
- Fattori sociali e politici:
1) il persistere nel gruppo di "valori" patriarcali quali: il pensiero che
chi lavora sia spendibile e sfruttabile, la convinzione che il prendersi
cura dei sentimenti e delle relazioni sia una perdita di tempo; il centrarsi
sulla "produttivita'", ecc.;
2) si sono incontrate situazioni di stallo, o addirittura vi e' stato un
arretramento, rispetto ai primi stadi di una campagna;
3) il clima politico e' oppressivo, va peggiorando, ecc.
*
Prevenire lo stress e l'esaurimento degli attivisti deve divenire parte
integrante della cultura dell'organizzazione. Percio' vi raccomando di:
- riconoscere i sintomi dello stress, ed interrogarne le cause;
- creare una cultura di gruppo (il vostro ethos) che abbia a cuore il
sostegno di ogni singola persona e produca carichi/schemi di lavoro
"sostenibili";
- cominciare a guardare il vostro lavoro per il cambiamento sociale in una
prospettiva a lungo termine;
- bilanciare il concentrarsi sugli scopi con la qualita' del processo
decisionale e delle relazioni (negli incontri, nelle azioni, nelle
valutazioni del lavoro svolto);
- permettere alle persone di esprimere i loro sentimenti di stanchezza,
dolore, perdita e frustrazione: sono risposte sane a situazioni malate, allo
stato in cui e' il nostro mondo;
- provvedere momenti di rilassamento dopo campagne/azioni molto dure o
faticose (imparando ad usare tecniche di meditazioni, massaggi, ecc.);
- dare valore alla socializzazione, al divertimento, all'umorismo, allo
stare insieme.
*
E vi propongo di fare individualmente questo esercizio: completate le frasi
seguenti.
1) Per essere efficace nel mio lavoro di attivista, per sostenere me
stessa/o e godere di un'esistenza bilanciata, quello che cambiero' e' ...
2) Esattamente, per mettere questo desiderio in pratica, cio' che mi serve e
devo fare (chi, dove, quando, ecc.) e' ...
3) Le persone da cui ho bisogno di sostegno e cooperazione, o con cui ho
bisogno di comunicare, sono ...
4) Quello che faro' nelle prossime 48 ore per raggiungere il mio scopo e'
...
5) Quello che faro' nelle prossime due settimane e' ...
6) Quello che faro' nei prossimi tre mesi e' ...
7) Mi ricompensero' per l'ottenimento dei miei scopi con ... (e se decidete
per una festicciola o un brindisi, saro' lieta di partecipare).

7. RIFLESSIONE. SALVATORE PALIDDA: IL BUSINESS DEI "CLANDESTINI"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 giugno 2003. Salvatore Palidda,
sociologo, docente universitario, ha condotto ricerche ed e' stato
consulente per importanti istituzioni ed istituti di ricerca internazionali.
Fondamentali alcune sue ricerche su questioni militari, sul controllo
sociale, sulle migrazioni. Tra le opere di Salvatore Palidda segnaliamo
particolarmente Polizia postmoderna, Feltrinelli, Milano 2000]
In quasi tutte le analisi e i commenti sugli annegamenti di migranti,
sull'invocazione da parte dei Bossi e Borghezio di una sorta di Bava
Beccaris del XXI secolo e sulle lacrime di coccodrillo del centro-sinistra,
c'e' una singolare ignoranza.
Probabilmente e' dovuta alla difficolta' di spiegare l'apparente, mostruoso
paradosso che riguarda sia le relazioni fra paesi dominanti (e di
immigrazione) e paesi dominanti (di emigrazione), sia la coesistenza di
fatto della guerra ai clandestini e il crescente bisogno di manodopera
clandestina.
E' lo stesso paradosso che fa coesistere la pace e la guerra nella nuova
strategia dell'impero americano (nella cosiddetta postura della Full
Spectrum Dominance). In realta', l'Europa non riesce ancora a barcamenarsi
al meglio nel paradosso, come invece sembrano riuscire a fare gli Stati
Uniti. Basta ricordare che da piu' di 15 anni gli States hanno fatto
diventare la guerra alle migrazioni (in particolare sulla frontiera
messicana) un business straordinario sia per le imprese private sia per la
lobby degli sbirri federali e dei singoli stati.
Ma come candidamente ammettono i responsabili dell'Immigration and
naturalization service e i grandi esperti del governo Bush, l'immigrazione
clandestina negli States e' oggi (maggio 2003) stimata fra gli otto e i
dieci milioni di cui quattro-sei milioni messicani (era stimata a circa
cinque milioni nel '99 - si veda convegno Ocse all'Aja Preventing and
Combating the Employment of Foreigners in an Irregular Situation, 22-23
aprile '99). Anche se spesso si tratta di stime gonfiate per legittimare
business e carriere poliziesco-militari, e' comunque noto che, come scrivono
gli esperti del Congresso (fra cui quella della Rand Corporation), la
riproduzione della manodopera clandestina e' indispensabile all'economia
americana: i nuovi arrivi si sommano ai ritorni all'irregolarita' da parte
di chi per diverse cause ha perso i requisiti del rinnovo del permesso
(anche in Italia, succede ogni anno circa al 30 per cento degli immigrati).
Ma questa riproduzione si accompagna a migliaia di morti e a milioni di
arrestati e deportati nel tentativo di immigrare negli States. Solo alla
frontiera messicana, negli ultimi tre anni, si contano 377 morti e 1,6
milioni arrestati nel 2000, 336 morti e 1,2 milioni di arrestati nel 2001,
350 morti e 900 mila arrestati nel 2002.
Tuttavia questi morti, come i migranti annegati o morti sui containers nel
tentativo di venire in Europa, fanno notizia solo come tentativo di
dissuasione di quelli che aspirano a partire. Per il resto sono come i morti
afgani o iracheni o palestinesi: non valgono nulla. Nessun giornalista o
opinion leader ha scritto che e' la nuova "cortina di ferro" eretta dai
paesi dominanti contro le societa' dominate a produrre questi morti, non
meno numerosi dei morti della cortina di ferro del totalitarismo sovietico.
Dopo l'11 settembre la situazione s'e' ancor piu' aggravata, soprattutto per
gli immigrati originari di paesi considerati musulmani e persino per quelli
che hanno un permesso regolare. In compenso il lavoro del clandestino e'
remunerato ancora di meno.
*
L'Italia impara in fretta
L'Italia puo' essere considerata in Europa il paese che cerca di avvicinarsi
di piu' al "modello" americano, giocando di fatto il suo paradosso "alla
meno peggio". Primo paese, insieme alla Grecia, per il tasso di economie
sommerse sul prodotto nazionale lordo (30 per cento circa), l'Italia conta
fra sei e otto milioni di persone che bazzicano integralmente o in parte nel
lavoro nero. Fra queste, gli stranieri clandestini rappresentano ovviamente
una minoranza, ma sono i piu' ricercati, notoriamente, dai caporali padani,
che li trasportano dalle cinque di mattina sino a tarda sera con centinaia
di furgoncini, lamentandosi per i controlli di velocita' da parte di alcune
polizie municipali e di qualche rara e per loro intollerabile ispezione sui
cantieri o nelle fabbrichette.
Non a caso con la sua devolution, Bossi rivendica il controllo delle polizie
a livello locale, ossia una gestione della discrezionalita' propria alle
polizie che sia al servizio dei suoi elettori, piccoli imprenditori padani
che vogliono la totale liberta' di agire e una polizia che, se necessario,
espella subito il clandestino che non va piu' bene o perche' troppo usurato
o perche' alza troppo la testa. La manodopera al nero necessita infatti di
un alto turn-over sia perche' la maggioranza non regge i ritmi di lavori
massacranti e spesso altamente nocivi o a rischio (si pensi all'aumento
degli incidenti sul lavoro, comprese le morti ignote che riguardano spesso
gli stranieri clandestini), sia perche' alcuni cercano di crearsi un minimo
potere contrattuale (si pensi a Ion Cazacu per questa ragione bruciato vivo
dal suo caporale che lavorava per gli imprenditori padani - si veda
Sciuscia', 2000). E come si mostrava bene in quella puntata della
trasmissione di Santoro, i padroncini padani che sfruttano maggiormente i
clandestini sono gli stessi a reclamare le cannonate contro le barche dei
migranti, cosi' come a gridare contro la sanatoria.
Ma leghisti e altri della maggioranza hanno anche trovato un formidabile
escamotage per limitare il piu' possibile la regolarizzazione che, comunque,
a detta dello stesso Tremonti, e' diventata uno straordinario business per
lo stato e per ogni sorta di mercanti e truffatori della regolarizzazione
(si puo' stimare che in realta' siano stati circa 350 mila gli immigrati che
hanno dovuto presentare piu' volte la domanda spendendo in media non meno di
4.000 euro a testa, per un giro d'affari totale di 1.400.000.000 di euro, di
cui piu' di 245 milioni di euro direttamente allo stato, versati cioe' alla
posta). Infatti la sanatoria va a rilento e una buona parte dei
regolarizzandi finisce per perdere i requisiti e tornare nella
clandestinita' (la riproduzione e' assicurata) oppure viene espulsa grazie
alla Bossi-Fini o ad operazioni fatte alla svelta senza testimoni e senza
traccia burocratica da parte di alcuni operatori delle polizie che hanno ben
recepito il messaggio di un governo che comunque li "copre" (la stessa
copertura che spiega anche le torture e il massacro dei manifestanti anti-G8
a Genova nel 2001). Meno male che tra gli operatori delle polizie ve ne sono
anche alcuni democratici che, sebbene isolati e minacciati, cercano di
resistere.
*
Padani, padroni e padroncini
Non mancano poi padroncini e caporali (fra cui anche alcuni immigrati ascesi
a tale rango: e' sempre comodo far fare il lavoro sporco allo straniero) che
il giorno della paga chiamano qualche operatore di polizia che si presta per
fare scappare i lavoratori clandestini ed evitare cosi' di pagarli.
Nella logica d'inferiorizzazione e segregazione dei migranti va segnalata
l'ultima perla della giunta di Milano: il decreto che sottrae agli immigrati
l'unico momento e luogo di socialita', ossia gli incontri domenicali nei
parchi pubblici.
Del resto, l'integrazione, che dovrebbe essere finanziata distribuendo alle
Regioni la trattenuta dello 0,5 per cento sulle buste paga degli immigrati
(legge Turco-Napolitano), s'e' trasformata in ben altro. Contributi per i
centri espellendi, per le espulsioni, per gli amici degli amici ciellini o
persino di An e della Lega che hanno creato ad hoc associazioni e
cooperative per "occuparsi" degli immigrati, e infine per sostenere le
delocalizzazioni come hanno proposto i leghisti alla Regione Veneto (en
passant, non esiste ancora un'inchiesta su come sono spesi i soldi degli
immigrati e su quanto costa una politica migratoria che riproduce
clandestini e morti).
I padroncini della "Padania" e di altre zone d'Italia e d'Europa da tempo
hanno scoperto anche un'altra manna: le delocalizzazioni a cascata di ogni
sorta di attivita' nei paesi "terzi". I big come Benetton, cosi' come i
magliari, gli evasori fiscali o i bancarottieri, girano senza intoppi nei
paesi d'emigrazione dove comprano facili connivenze fra governanti,
mediatori (o power-brokers) e caporali locali per organizzare sul posto il
supersfruttamento in condizioni ancor piu' libere, con profitti di gran
lunga piu' ingenti di quelli realizzati con le economie sommerse in Europa
(basti pensare che una donna che lavora nel sistema Benetton o di altre
firme e imprese italiane ed europee in Tunisia o a Timisoara riesce a
prendere fra i 60 e i 100 euro al mese lavorando 6 giorni su 7, fra 8 e 12
ore al giorno). Ma mai nessuno ha denunciato la frode comunitaria che
consiste nell'importazione da paesi terzi di prodotti finiti con le
etichette "made" nei vari paesi europei. E purtroppo nessun sindacato
europeo ha mai cercato di costruire unita' d'azione con i sindacati di
questi paesi e in particolare del Magreb.
Di fatto, oggi piu' che mai qualsiasi padroncino, qualsiasi turista europeo
puo' andare nei paesi d'emigrazione come e quando vuole ed agire in piena
liberta', compresa quella di schiavizzare. Non si tratta forse di una sorta
di neo-colonialismo in versione liberista? E' anche questo nuovo sviluppo
infame a provocare una nuova spinta all'emigrazione. Perche' stare in
Tunisia o in Romania a fare gli schiavi per padroncini italiani ed europei
senza poter reclamare alcun diritto e non tentare la fortuna di venire a
lavorare in Europa? Perche' restare in mezzo al disastro umano e sociale e
il rischio di morte in paesi come la Somalia o il Congo e non rischiare di
venire in Europa anche se a costo della vita? Perche' qualsiasi italiano ed
europeo puo' andare nei paesi di emigrazione e invece gli abitanti di questi
paesi non possono andare nei paesi ricchi neanche per andare a trovare i
parenti? Queste sono le domande che si pongono sempre piu' migliaia di
giovani disgustati dall'asimmetria dei diritti e delle opportunita' imposta
dall'attuale assetto del dominio dei paesi ricchi (si veda L'indotto di
Abdel, nel "Manifesto" dell'11 ottobre 2002).
Oggi piu' che mai la migrazione e' innanzi tutto aspirazione
all'emancipazione economica, sociale ma anche politica e religiosa. Si
emigra per disperazione e per fuga dalle guerre, ma innanzi tutto per
cercare di trovare altrove quello che appare impossibile laddove si vive:
l'emancipazione. Come ha raccontato il sociologo Mahdi Mabrouk nel recente
convegno della Lega Tunisina dei Diritti dell'Uomo tenuto a Tunisi il 30-31
maggio 2003, nel mondo degli aspiranti alle migrazioni costrette alla
clandestinita' dal proibizionismo fascista europeo si trova infatti
un'umanita' segnata dall'aspirazione alla vera liberta' di tutti, cantata in
loro canzoni ray o rap o neo-blues ormai note sui percorsi e sulle coste
turche, libiche o del Magreb. Sono forse questi, senza saperlo, con i loro
nuovi canti dell'emancipazione del XXI secolo, la componente giovane dei Sud
che partecipa di fatto al movimento contro il liberismo globalizzato e
contro la guerra, per i diritti fondamentali di ogni essere umano. E contro
questa aspirazione all'emancipazione si scagliano i nuovi Bava Beccaris,
cosi' come fecero alla fine del XIX secolo quando sparavano sulle folle che
rivendicavano pane e diritti.
I signori leghisti e buona parte degli elettori europei (anche di
centro-sinistra) sanno bene che i loro attuali privilegi, reali o
immaginari, sono fondati sull'inferiorizzazione o neo-schiavizzazione degli
"altri", degli extra-comunitari, cioe' sulla certezza del dominio. La paura
di perdere i privilegi e l'agitazione nella salvaguardia di questo conduce
alla guerra alle migrazioni, cioe' a quello che Zygmunt Bauman chiama la
distruzione dell'eccedente umano, di quegli umani che non servono piu' o che
non accettano passivamente di essere inferiori.
*
La colonizzazione poliziesca
I governi europei pretendono che i paesi limitrofi all'Ue si trasformino in
sbirri implacabili contro i migranti, insomma che facciano il lavoro sporco.
Come aveva proposto uno dei piu' mediocri ministri dell'interno italiani
degli ultimi decenni, Bianco, anche Blair, tanto amato da certi leader del
nostro centro-sinistra, propone di creare nei paesi limitrofi all'Ue campi
di concentramento per migranti espulsi, cosi' come del resto ha fatto il suo
governo, collocando alcuni detenuti sulle navi-galera di vittoriana memoria.
Il mercanteggio proposto e' esplicito: voi paesi terzi "gestite" o eliminate
un po' di aspiranti all'emigrazione e quelli che espelliamo e in compenso vi
daremo un po' di finanziamenti per le vostre elite, per le vostre polizie,
per la salvaguardia dei vostri regimi (si pensi quanto sia allettante per i
Ben Ali & C.). Ma i regimi di questi paesi non possono stringere sempre e
troppo le maglie. A volte le allentano per rilanciare il mercanteggiamento,
ma spesso sono costretti a lasciar correre perche' la situazione rischia di
diventare ancor piu' esplosiva.
L'emigrazione e' una valvola di sfogo utile per tamponare la tensione
sociale e politica, specie per regimi autoritari.
Peraltro, se dall'Albania non partono piu' clandestini e' perche' da un lato
la spinta all'emigrazione si e' per buona parte esaurita, dall'altro perche'
le mafie locali sembrano aver negoziato con i servizi segreti europei una
certa liberta' di traffici di droga e altro in cambio del loro attivo
controllo di quella piccola e media delinquenza che si occupava di traffico
di clandestini (diverse "spalle" di ministri albanesi sono notoriamente
coinvolti in traffici diversi e hanno viaggiato con passaporti diplomatici -
si veda l'illuminante reportage di L. Fraioli e A. Giordano, L'eroina? Da
Tirana viaggia in auto blu, in "Venerdi' di Repubblica", n. 767 del 29
novembre 2002, pp. 42-47). Appare comunque assai fantasioso che la grande
criminalita' organizzata sia veramente interessata al traffico di migranti.
Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta solo di piccoli o al massimo
medi delinquenti improvvisati passeurs, spesso senza scrupoli ma non al
servizio delle grandi mafie. Basta notare che di fatto i passaggi
clandestini (eccetto quelli dei cinesi) costano meno che una migrazione
regolare.
Il proibizionismo delle migrazioni, come ogni proibizionismo, ha un effetto
criminogeno e produce morte. Questa considerazione indiscutibile e' stata
sempre ignorata o respinta dal centro-sinistra che ha di fatto spianato la
strada all'attuale destra fascista e razzista (come dimenticare la Kater Y
Rades durante il governo Prodi ed altre vicende orribili "gestite" dai
D'Alema, Amato, Turco & C.). Nei prossimi mesi alcuni migranti saranno forse
salvati dall'oscillazione fra il liberismo moderato che sembra ora voler
perseguire Pisanu e la guerra totale dei leghisti.

8. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: SULLE COSIDDETTE GAFFES DEL CAVALIER B.
Io non credo che il cavalier B. commetta delle gaffes per improntitudine.
Una persona che ha costruito un piccolo impero anche sulla capacita' di
vendere un'immagine non commette gaffes con la frequenza e l'indecenza con
cui lo fa il cavalier B.
Credo piuttosto, e lo dico da anni, che le gaffes del cavalier B. siano
premeditate ed accuratamente mirate, ed abbiano per un verso la funzione del
cane di Alcibiade, spostare cioe' l'attenzione su altro da cio' di cui
invece dovremmo occuparci; per l'altro il significato di messaggi in codice,
di decifrazione del resto neppure difficile: evocando, e in quel tono cosi'
stupefacentemente e algidamente crasso e ripugnante, i lager, da un lato si
ricorda ai signori neofascisti e razzisti della coalizione di governo che
essi si trovano li' perche' il demiurgo B. ce li ha portati e ce li tiene, e
quindi non lo tirassero troppo per la giacchetta; dall'altro si rassicura
l'Attila americano che nell'Europa continentale ha una quinta colonna capace
di mettere a posto - sia pure solo sul piano dell'insulto, ma nei consessi
istituzionali anche i rituali contano - quei signori che osano talvolta - e
sia pur appena un pocolino - recalcitrare agli ordini impartiti col frustino
dall'imperator Stranamore.
Invece di lasciarci abbindolare dai numeri da avanspettacolo, e lasciarci
trascinare nell'orgia del cattivo gusto e del combattimento nel fango, di
ben altri aspetti dell'agire del cavalier B. dovremmo tutti preoccuparci e
occuparci.
Ma fatta eccezione per alcuni servitori dello stato che sono direttamente
minacciati e aggrediti (in un paese in cui molte delle piu' nobili e
coraggiose persone delle istituzioni sono state prima vilipese, poi isolate,
ed infine assassinate), e di coloro che immediatamente subiscono la feroce
offensiva del governo contro le classi e le persone povere ed oneste, quasi
nessuno ha voglia di occuparsene davvero perche' anche il sistema di potere
del cavalier B., come gia' quello del cavalier M. in altri tempi, e' per
cosi' dire "l'autobiografia di una nazione" con quel che questa locuzione
implica e che lasciamo alla ruminazione del sagace lettore.
Non credo che sia possibile che in un paese (civile, moderno, eccetera) vada
al potere una cordata di affaristi senza scrupoli, di personaggi apprezzati
e sostenuti dai poteri occulti e criminali, di razzisti e neofascisti, di
golpisti insomma e infine, senza che vi sia a monte una corruzione e una
complicita' generalizzate.
Di questo dovremmo discutere, e della necessita' di iniziarla davvero una
resistenza nonviolenta - non gli spettacolini, non le doppiezze, non le
ambiguita' e le subalternita' correnti - in difesa delle istituzioni
democratiche, del bene pubblico, della civile convivenza, della nostra
stessa dignita', del diritto e dei diritti di tutti.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 601 del 4 luglio 2003