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La nonviolenza e' in cammino. 601
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 601
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 4 Jul 2003 00:55:25 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 601 del 4 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: grazie, e inoltre 2. Imma Barbarossa: in Europa senza armi, per pace e giustizia 3. Convenzione permanente di donne contro le guerre: un appello al movimento per la pace e i diritti 4. Angelo Gandolfi: perche' i corpi civili di pace 5. Enrico Peyretti: la nonviolenza e' piu' del pacifismo 6. Maria G. Di Rienzo: gestire lo stress e prevenire l'esaurimento 7. Salvatore Palidda: il business dei "clandestini" 8. Peppe Sini: sulle cosiddette gaffes del cavalier B. 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: GRAZIE, E INOLTRE [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Ringrazio tutti e tutte quelle che hanno voluto considerare la proposta [apparsa sul n. 592 del notiziario e che ha promosso una partecipata, vivace, polifonica riflessione] passata sotto il mio nome e in verita' nata da un colloquio con mons. Catti che condivide con me e altri il comitato scientifico della Scuola di pace del Comune di Senigallia. Non ho nessuna difficolta' a tenere esposto il drappo arcobaleno (bandiera non mi e' mai piaciuto molto e infatti l'ho appeso subito al balcone con le pinze del bucato e mi piace che assomigli piu' a un lenzuolo o a una tovaglia che a una bandiera) e lo terro' fino a quando gli organizzatori della splendida e riuscitissima campagna lo diranno. Chiedo pero' che si consideri quanto segue: interrompere e rinnovare un impegno serve molto, piu' che mantenerlo senza interruzione. Il simbolico non e' mai immobile e riaccende l'attenzione attrarverso modifiche (i colori dei paramenti nei vari periodi liturgici). * Inoltre il militarismo sta riconquistando terreno e lo si vede da molte cose: ne cito alcune. Molte ragazzine e ragazzini indossano mimetiche: si investe sulla moda in maniera subdola: poiche' si vuol far credere che il militare possa essere un nobile mestiere. I contingenti militari italiani sono detti "soldati di pace" e non lo sono, ma il programma Rai cosi' intitolato ha avuto un grande impatto. E non siamo in grado di organizzare inviti a disertare o ad opporre renitenza. * In treno mi e' capitato di viaggiare con un gruppo di giovanissimi soldati volontari che parlavano del loro ingaggio con una passione e un entusiasmo tremendi, ma non per le cose che avevano fatto, bensi' solo affascinati dalle tecnologie: "Ci hanno rifornito in volo! avevamo tutto come gli americani". Ho capito che rientravano dall'Afghanistan solo perche' uno a un certo punto ha detto "mentre venivamo via da Kabul..."; non una parola sulla gente, sulle condizioni di vita, sul paesaggio, automi. Quando uno scendeva dal treno nelle varie fermate, dalla banchina salutava (erani tutti in borghese, congedati) militarmente alla maniera americana con la mano calata in fretta dalla fronte. Non era possibile coinvolgerli in nessun discorso, rispondevano: "Ho firmato l'ingaggio", e a dirgli se sapeva quel che firmava replicavano "Siamo volontari", e se gli si diceva "Ma nemmeno a un volontario si possono dare ingaggi incostituzionali" si veniva guardata come una marziana. Del resto se la Tavola della pace dice che si puo' discutere sull'esercito europeo, vuol dire che l'ambiguita' e' forte. * Suggerisco comnnque di dare anche altre forme al simboilco della pace: ad esempio tutto cio' che si porta addosso e' importante: cinturini per l'orologio, bandane, foulards, nastri per appenderci gli occhiali, portachiavi, orecchini, magliette. Bisogna diventare visibili in modi molteplici. L'azione nonviolenta e' soprattutto capacita' di sorprendere, creativita', non ripetitivita'. Sappiamo ormai fare manifestazioni che non hanno piu' nulla di militare e diventano passeggiate per le strade: ora dovremmo distruggere i palchi dai quali, con minuti centellinati, una ventina di oratori (prevalentemente maschi) arringano la folla che non li ascolta. Propongo che le nostre manifestazioni si concludano con balli e canti e senza discorsi, e che il 2 giugno venga ricordato con l'esposizione in massa del drappo della pace e con feste popolari come in Francia il 14 luglio. * Grazie comunque, ma sono davvero preoccupata: secondo me stanno cambiando cose e atteggiamenti e non abbiamo risposte efficaci sui temi piu' tremendi, come la costituzionalizzazione della guerra, l'ambiguita' della partecipazione mascherata, soprattutto non teniamo abbastanza in conto il rischio di un esercito europeo che si aggiungerebbe alla Nato e agli eserciti nazionali e insomma anche solo per quanto costa finirebbe di distruggere quei diritti sociali che ancora abbiamo e che poco abbiamo difeso al tempo del referendum sull'art. 18, lasciando un varco grande come una casa alla distruzione dei dirittii dei lavoratori e lavoratrici. * Vi prego di prestare ora un po' di attenzione alla proposta di Europa neutrale che avanziamo come Convenzione permanente di Donne contro le guerre. 2. INCONTRI. IMMA BARBAROSSA: IN EUROPA SENZA ARMI, PER PACE E GIUSTIZIA [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo articolo di Imma Barbarossa che riferisce dell'assemblea della Convenzione permanente di donne contro le guerre svoltasi a Roma il 21 giugno. Imma Barbarossa e' una delle piu' note e prestigiose figure impegnate nel movimento delle donne e per la pace] Si e' riunita a Roma il 21 giugno la Convenzione permanente di donne contro le guerre, che partecipa al percorso del movimento antiglobalizzazione, soprattutto attraverso il forum per la democrazia costituzionale del Forum sociale europeo, e ha lanciato una proposta di art. 1 per il trattato costituzionale europeo che ha raccolto molte migliaia di firme e che intendiamo presentare pubblicamente. In apertura dei lavori Lidia Menapace ha ribadito le proposte da lei avanzate, oltre che in altre occasioni pubbliche, anche in un seminario romano del Forum per la democrazia (neutralita' attiva dell'Europa, disarmo, riforma degli organismi internazionali). Monica Lanfranco ha dato conto del percorso della raccolta delle firme all'art. 1 e ha proposto un confronto sia con altri organismi che lavorano nella stessa direzione sia con alcune parlamentari europee che si sono dichiarate disponibili. Personalmente sto lavorando da tempo alla proposta di cittadinanza europea universale sessuata, su cui mi soffermero' tra poco. Molti gli interventi che hanno reso ricca e significativa la discussione e molto produttivo l'incontro, che si e' concluso con un appello al movimento, da portare in tutte le sedi in cui si discute di Europa, appello a cui ha dato un significativo contributo l'intervento di Maria Grazia Campari. Il contesto di guerra permanente e costituente e' stato analizzato da Elettra Deiana, mentre Elena Beltrame ha esposto alcune considerazioni sulle modalita' di rendere pubblica l'iniziativa della raccolta di firme, e Rosangela Pesenti in un appassionato intervento ha parlato della necessita' di coinvolgere i/le giovani con risposte profonde alle domande radicali sottese ai percorsi istituzionali e politici. Tutte abbiamo accettato con convinzione la proposta di Lidia Menapace di procedere d'ora in poi non piu' con assemblee ma con seminari di approfondimento su temi inerenti il "presente di guerra", che e' il dato costitutivo dell'oggi. * Per quanto riguarda le questioni della nuova cittadinanza, occorre, a mio avviso, partire dal giudizio nettamente negativo che noi diamo sul lavoro della Convenzione europea che ha approntato il trattato costituzionale. Negativo nel metodo e nel merito. Intanto il metodo: la Convenzione ha operato lontano dal movimento, dalla societa' civile, dalle associazioni, dai soggetti singoli e collettivi, dalle donne e dagli uomini che da anni si occupano di proporre una "nuova" Europa, soggetto politico di pace. Le "consultazioni" sono state puri e semplici incontri formali con soggetti non "organizzati" e quindi atomizzati e generici. Devo far notare anche che i/le parlamentari europei/e della Convenzione poco o nulla hanno fatto per confrontarsi con i soggetti che si occupano da anni di queste questioni. Come pure, per amore di verita', va riconosciuto che la questione "Europa costituzionale" da poco, per ragioni del tutto comprensibili, e' entrata nell'agenda del movimento. Il primo elemento del nostro giudizio negativo riguarda il tema della pace, presente solo in un accenno generico come valore europeo. Accenno del tutto inutile, in quanto in nome della pace si fanno le guerre, si bombarda, si uccide. L'Europa avrebbe tutte le ragioni per iscrivere nella sua Costituzione il ripudio della guerra, quell'art. 11 della Costituzione italiana, che nacque subito dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. Quel "ripudio della guerra" dei nostri padri e delle nostre madri costituenti dice tutto l'orrore per le guerre. Non si tratta certo di una dimenticanza, in quanto la nominazione della pace viene contraddetta da una vera e propria corsa agli armamenti. L'articolo intitolato "Politica di sicurezza e di difesa comune" intende assicurare all'Unione europea una "capacita' operativa" con ricorso a mezzi militari e civili, che possono essere "schierati all'esterno", "ai fini del mantenimento della pace e del rafforzamento della sicurezza internazionale", fatti salvi gli obblighi che alcuni Stati hanno con la Nato. Gli Stati membri, per parte loro, si impegnano a migliorare progressivamente le loro capacita' militari; insomma la Nato non si tocca e si corre alle armi. In questa logica c'e' una sorta di graduatoria, in quanto agli Stati piu' capaci militarmente (si parla di "criteri elevati in termini di capacita' militari") viene data la facolta' di cooperare tra loro. Una "clausola di solidarieta'" (quale slittamento semantico hanno ormai le parole umanita', solidarieta', aiuti, cooperazione) autorizza l'Unione europea a mobilitare gli strumenti di cui dispone per "prevenire" una non precisata "minaccia terroristica". A tal fine vengono previste "missioni" (Enduring Freedom europee!) e viene istituita una "Agenzia europea per gli armamenti e la ricerca strategica". Insomma un'Europa fortezza esposta alle "invasioni" dei popoli migranti. E qui sta il secondo, decisivo punto su cui si fonda la nostra critica. La "sicurezza" dell'Europa spinge i governi europei a organizzare una difesa per prevenire le "emergenze" dovute alle migrazioni come "afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi", nei confronti dei quali sono previste cooperazioni di mercato e missioni armate coloniali, come sta accadendo in Iraq. Certo, Bossi vorrebbe cannoneggiare, Blair, che e' piu' elegante, propone i campi di concentramento, ma fuori dei confini europei. Si ha cosi' il paradosso che l'Occidente "democratico", che ha sfruttato le risorse dei "paesi terzi", cattura, tiene in cattivita', respinge uomini e donne che fuggono da guerre e miserie. Davvero la guerra e' diventata il fondamento di un nuovo "diritto internazionale", basato sul dominio e sulla prevaricazione, sul diritto del piu' forte. In questo contesto la nostra Convenzione, per come e' fatta, si e' posta in tutto questo tempo l'obiettivo di rendere visibile e il piu' possibile diffusa una lettura di genere delle guerre e del contesto, un contesto di moderno patriarcato, e di attraversare criticamente anche la lettura "neutra" del movimento. D'altronde una cittadinanza universale non puo' che essere sessuata, altrimenti e' maschile. L'inclusione delle donne nei "diritti dell'uomo" e', come sempre, colonizzazione ed esclusione. L'attenzione alla presenza delle donne si risolve in un articoletto sulle pari opportunita' e azioni positive. La cittadinanza universale sessuata attiene alla soggettivita' politica femminista, costituitasi in particolare nella seconda meta' del Novecento sulla critica al patriarcato come decostruzione sia dell'equivalenza cittadino = soldato, sia di ogni struttura verticistico/militarista, produttivistica ed economicistica del lavoro e della vita, nonche' della relazione tra tempo di lavoro e tempo di vita. La pratica delle donne ha spostato confini e frontiere, decostruendo i concetti di patria e onore militare; ha criticato la coincidenza tra cittadino e lavoratore in produzione, giacche' il tempo del "non lavoro" non e' tempo del prima, del senza, del dopo, ma e' anche tempo di vita. 3. APPELLI. CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LE GUERRE: UN APPELLO AL MOVIMENTO PER LA PACE E I DIRITTI [Anche questo appello della Convenzione permanente di donne contro le guerre, proposto dall'assemblea svoltasi a Roma il 21 giugno, abbiamo ripreso dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.it)] L'incontro governativo di Salonicco ha ratificato la bozza di Trattato costituzionale approntata dalla Convenzione appositamente nominata un anno e mezzo fa. Esprimiamo la nostra profonda insoddisfazione e la nostra radicale critica sia per il modo con cui se ne discute sia per il merito. Il metodo innanzitutto: la Convenzione ha operato lontano dal movimento, dalla societa' civile, dalle associazioni, dai soggetti singoli e collettivi, dalle donne e dagli uomini che da anni si occupano con riflessioni e pratiche del ruolo dell'Europa; le "consultazioni" sono state puramente formali. Nel merito, e sulle questioni piu' importanti: - la pace: l'accenno generico alla pace come valore e' semplicemente inutile. In nome della pace si fanno le guerre, si bombarda, si uccide. Quindi e' il ripudio della guerra che dovrebbe essere scritto nella Costituzione. Inoltre la nominazione della pace viene contraddetta da una corsa agli armamenti; per il "miglioramento delle capacita' militari dei paesi membri" e' prevista una Agenzia militare, "Agenzia europea per gli armamenti e la ricerca strategica". - La politica della sicurezza e della difesa: l'Europa risulta una cittadella chiusa e recintata, organizzata per prevenire le "emergenze" della popolazione migrante ("situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi"). Nei confronti dei paesi terzi sono previste solo una cooperazione di mercato e missioni armate di tipo coloniale, come sta avvenendo per l'Iraq. - Il lavoro: il diritto di lavorare (previsto nella Carta di Nizza) e' altra cosa dal diritto al lavoro; inoltre le condizioni di lavoro vengono subordinate agli interessi delle imprese e alle compatibilita' del mercato. - La soggettivita' femminile e' confinata ad un articoletto che parla di pari opportunita' e accenna all'equivalente europeo delle azioni positive. Il linguaggio, che parla di "diritti dell'uomo", e' rigorosamente monosessuato al maschile, con buona pace delle donne parlamentari che componevano la Convenzione. Porteremo queste nostre critiche in tutti i luoghi in cui si parlera' di Europa, in particolare a Genova e a S. Denis. * Chiediamo che tutto il movimento faccia proprie queste critiche e, in opposizione a questo trattato, sviluppi vere e proprie pratiche di contestazione puntuale per: - All'art. 3 della prima parte (obiettivi dell'Unione) punto 1 si dice: "l'Unione si prefigge di promuovere la pace". Noi proponiamo "L'Unione e' fondata sul ripudio della guerra". - Vanno modificati radicalmente gli articoli riguardanti la "politica di sicurezza e di difesa comune" (art. 40, prima parte, e altri), e va avviata una politica di disarmo. - Vanno modificati gli artt. 41 e 42 (della prima parte) riguardanti le disposizioni particolari per l'istituzione dello spazio di liberta', sicurezza e giustizia, e la "clausola di solidarieta'", e va invece proposta una politica di accoglienza dei/delle migranti come "riconoscimento" di diritti di cittadinanza nel senso pieno del termine, nonche' il diritto di asilo per chi e' sottoposto/a a violazioni dei diritti politici, civili, sessuali con particolare riferimento ai diritti riproduttivi femminili e alla libera determinazione dell'orientamento sessuale. - L'affermazione di una cittadinanza universale sessuata, che tenga conto delle riflessioni che la soggettivita' politica delle donne, costituitasi sulla critica al patriarcato, ha in questi lunghi decenni rivolto all'equivalenza cittadino = soldato e cittadino = lavoratore in produzione; una cittadinanza che si ispiri alla decostruzione femminista di ogni struttura verticistico/militaristica e di ogni concezione produttivistica ed economicistica del lavoro e della vita (come quelle che determinano periferie di umanita'), nonche' della relazione tra tempo di lavoro e tempo di vita. 4. RIFLESSIONE. ANGELO GANDOLFI: PERCHE' I CORPI CIVILI DI PACE [Ringraziamo Angelo Gandolfi (per contatti: angelo.gan at libero.it) per questo intervento. Angelo Gandolfi e' impegnato nell'esperienza dei "Berretti bianchi", organizzazione umanitaria di intervento nonviolento in aree di conflitto] L'idea dei corpi civili di pace nasce sostanzialmente dalla necessita' di ogni cittadino di riappropriarsi della quota minima di sovranita' popolare attribuitagli dalle piu' avanzate costituzioni nazionali e dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Dinanzi alla crisi dello stato-nazione e del modello di rappresentanza che esso ha in qualche modo espresso, conseguente alla sempre piu' conclamata incapacita' di governii eletti con suffragio sempre piu' limitato, a causa del forte condizionamento esercitato da settori del mondo economico e finanziario, e in particolare dal complesso militare-industriale, che ha come prima conseguenza l'appiattimento degli esecutivi sulla soluzione militare delle controversie internazionali, appare sempre piu' necessaria una spinta in direzione differente da parte dei singoli cittadini e delle comunita' locali nella determinazione di politiche estere di segno opposto. Sono infatti i cittadini, depositari della sovranita' popolare, sia come singoli sia attraverso le loro aggregazioni, intese e nell'accezione di associazioni ed organizzazioni da un lato e come istituzioni, soprattutto a livello locale dall'altro, vale a dire la societa' civile nelle sue molteplici articolazioni, ad avere diritto e dovere di applicare i dettati delle Costituzioni, che senza eccezioni escludono il ricorso alla guerra, palesemente violati dagli esecutivi. La guerra del Golfo, un conflitto che dura da oltre dodici anni, ha causato qualche milione di morti, soprattutto non durante il tempo delle operazioni militari belliche propriamente intese, come ipocritamente si vorrebbe considerare, scindendo il conflitto in due distinte guerre; e' il momento in cui tutto questo ha assunto drammatica evidenza. Un conflitto ridefinito, soprattutto nei suoi obiettivi allo scopo esclusivo di giustificarne il perdurare, un'innumerevole quantita' di volte. Mai come in questa guerra il cinismo dei governi coinvolti ha avuto effetti nefasti nella materiale riforma delle Costituzioni, ponendo gli esecutivi in una situazione di isolamento e di delegittimazione che ha avuto come conseguenza anche la rottura della consueta complicita' dei mezzi di informazione storicamente schierati dalla parte della guerra. Si e' dinanzi a questa incapacita' dei governi, e della classe politica in g enerale, di rappresentare la societa' civile, determinata dalla scelta di dare piuttosto corpo ad interessi di tutt'altra natura, in buona sostanza di quei gruppi di pressione e delle imprese multinazionali che tendono a sostituire gli organismi degli stati-nazione nel tentativo di governo della globalizzazione. Lo stato di grave crisi istituzionale determinato dall'incapacita' delle classi dirigenti di governare un mercato sempre piu' selvaggio e privo di regole differenti dalla legge del piu' forte vede, come unica risposta possibile, l'assunzione di iniziativa e di responsabilita' da parte dei cittadini intesi come societa' civile. D'altronde il processo di difesa delle istituzioni democratiche distrutte o gravemente compromesse dall'arroganza di classi dirigenti sempre piu' autoreferenziali assume sempre piu' marcatamente il carattere di resistenza della societa' civile all'attacco all'universalita' e all'oggettivita' del diritto portato dai soggetti dominanti il mercato. * In questo quadro la guerra diventa strumento principale per imporre un'idea di modernita' centrata sulla sitematica distruzione di ogni diritto fondamentale. Di fronte alla riduzione di risorse determinata dall'idea della loro inesauribilita' che ha caratterizzato le varie fasi del consumismo, in particolare gli anni piu' duri, soprattutto gli '80, attraversati dalla concezione dello Stato come fonte da cui attingere tutte le risorse che era possibile estrarre a seconda del proprio status sociale e dal potere acquisito, senza che a questo corrispondesse una necessaria contribuzione, alla distruzione dell'idea di societa' come "collettivo" e ad un futuro dell'economia assolutamente incerto, dinanzi al quale sta andando in crisi la concezione dell'economia come "scienza esatta", diventa necessario da parte della societa' civile attrezzarsi per impedire quella che si profila all'orizzonte come una catastrofe annunciata, ma soprattutto per rilanciare l'unica vera idea di modernita' e di progresso, legata alla definitiva affermazione dell'universalita' e dell'oggettivita' del diritto che, a partire dalla rivoluzione francese, ha ispirato la grande stagione dell'affermazione dello "stato di diritto" che ha permesso tutti i "salti" nella qualita' della vita che consistenti parti della popolazione mondiale hanno conosciuto nel corso del ventesimo secolo, fino all'affermazione di una prospettiva di opposizione "globale" potenzialmente di massa all'arroganza di una minoranza, per quanto molto potente, ma pur sempre esigua, che caratterizza i movimenti dell'alba del terzo millennio. * In questo quadro l'idea del corpo civile di pace diventa la messa a punto di uno strumento per la societa' civile mondiale di autoprotezione e di garanzia della prospettiva di una definitiva estensione del pieno godimento di tutti i diritti fondamentali ad ogni persona che vive sul pianeta, che ricollochi nelle sue reali dimensioni il ruolo comunque importante svolto dalle evoluzioni nella tecnologia che hanno caratterizzato gli ultimi secoli e la cui enfatizzazione e' stata funzionale alla diffusione di falsa coscienza necessaria alle classi dirigenti per l'affermazione del loro potere e la possibilita' di vantarne l'origine in un consenso popolare di cui di fatto non hanno mai goduto, se non in fasi della storia in cui una gestione del sistema clientelare piu' accorta ha consentito alla classe politica stagioni di maggiore successo dal punto di vista del gradimento, costruendo rendite di posizione alle forze politiche che hanno comunque retto ai cambiamenti che hanno caratterizzato la prima meta' degli anni novanta, rendendo possibile la fase di restaurazione successiva alla dissoluzione delle forze politiche che tanta parte avevano dunque avuto nella storia del cosiddetto dopoguerra. Dal momento che in realta' non vi e' stato negli ultimi secoli un giorno in cui non fosse in atto in qualche angolo del pianeta un conflitto. Dunque l'idea del corpo civile di pace e' di uno strumento politico, di "politica" estera e di relazioni internazionali ben lungi da volontarismi, v elleitarismi e immagini a cui e' stata ridotta, non ultima quella infame di "turismo di guerra". Questo ne e' in qualche modo il fulcro. L'idea di uno strumento ulteriore per una cittadinanza "responsabile" per recuperare un senso dell'appartenenza ad una collettivita' che e' essenziale per un ritorno all'ideale di "liberta'" che non sia il semplice ripristino di un valore mortificato dalla riduzione alla sola dimensione individuale tentata dalla cultura dominante, dunque espressione di un senso nostalgico, ma la base di una riformulazione dell'idea e soprattutto del progetto di progresso che ci permetta di consegnare il pianeta alle generazioni che verranno in condizioni migliori rispetto a quelle in cui versa attualmente. E' un atto dovuto. 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA NONVIOLENZA E' PIU' DEL PACIFISMO [Questo intervento di Enrico Peyreti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) abbiamo ripreso dalla mailing list "pace" di Peacelink (sito: www.peacelink.it). Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] E' vero. Bisognerebbe dimostrare ugualmente per la Cecenia, per il Congo, per Israele-Palestina, e tante altre guerre. Il movimento per la pace non ha la forza di fare tutto. Neppure la volonta'? E' davvero soltanto anti-Usa? Eppure, manifestare contro la guerra piu' arrogante, celebrata come il Bene contro il Male (nulla di meno), e', a maggior ragione, essere contro tutte le guerre meno vistose e santificate. Del resto, il piu' potente e' sempre stato nella storia il piu' pericoloso e dannoso. Tuttavia, il problema rimane. Del resto, anche dimostrare contro ogni guerra e' poco. Per questo motivo, ho sempre detto: "pacifismo? No, grazie". Nel senso che occorre la scelta nonviolenta. Il pacifismo e' solamente contro le guerre, che sono la violenza piu' vistosa e dolorosa, ma meno radicata. Le violenze strutturali e culturali sono piu' gravi, e piu' accettate. La nonviolenta vede e combatte anche queste; e' piu' del pacifismo. 6. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: GESTIRE LO STRESS E PREVENIRE L'ESAURIMENTO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Alti livelli di stress (e il cosiddetto "burnout", l'esaurimento delle risorse ed energie interiori) sono assai comuni negli attivisti. Ovviamente essi affliggono, oltre agli individui interessati, coloro che sono loro vicini e le organizzazioni per cui lavorano, che spesso perdono membri dotati e ricchi d'esperienza. Inoltre, le persone stressate non riescono ad essere efficaci e rendono l'ambiente scarsamente attrattivo per i nuovi attivisti che hanno deciso di unirsi a loro: vedono solo il lato negativo delle situazioni e tendono al cinismo ed alla rigidita'. Se abbiamo deciso di prenderci cura dell'ambiente in cui viviamo, del mondo di cui siamo parte, dobbiamo avere l'intelligenza di prenderci cura anche di quella parte dell'ambiente su cui di solito abbiamo il maggior controllo: noi stessi. * Sintomi fisici dello stress: - stanchezza cronica, il sonno non ristora; - diminuzione della risposta immunitaria: maggior vulnerabilita' alle influenze, ai raffreddori, alle allergie; - dolori alle giunture, ai muscoli, allo stomaco o alla schiena; - aumento o perdita di peso; - diminuito interesse per il sesso; - difficolta' ad addormentarsi/svegliarsi. * Sintomi comportamentali dello stress: - ritiro ed isolamento da amici e compagni; - rigetto dell'aiuto offerto; - mancanza d'efficacia; - reazioni sospettose, paranoia; - rigetto delle proprie responsabilita'. * Sintomi mentali/emotiovi dello stress: - depressione; - pensiero irrigidito, incapacita' di risolvere i problemi; - risentimento; - irritabilita'; - piangere o arrabbiarsi facilmente e senza motivo; - amnesie; - ansieta'. * Sintomi spirituali dello stress: - cinismo rispetto a cose/idee precedentemente considerate di valore; - allontanamento della gioia, incapacita' di ridere; - senso di futilita', perdita di significato; - senso interiore di vuoto: non e' rimasto nulla da dare. * Ci sono molti fattori che potenzialmente possono contribuire a creare stress. In genere possiamo dividerli in quattro gruppi: la natura del lavoro svolto; situazioni personali; fattori organizzativi e la natura stessa dell'organizzazione di cui facciamo parte (di cui tutto il gruppo e' responsabile); i fattori sociali e politici su cui abbiamo meno controllo. - La natura del lavoro svolto: la maggior parte del lavoro per il cambiamento sociale comporta alcuni o tutti i dati seguenti. 1) prolungata attenzione su informazioni disturbanti o negative e su previsioni di crisi future; 2) apparente mancanza di risultati (a volte aspettative non realistiche dovute all'incomprensione dell'essenza "a lungo termine" dei movimenti sociali); 3) l'incontro di forti resistenze; 4) la mancanza di risorse. - Situazioni personali: sono correlate alle relazioni, all'identita', allo stato di salute. 1) si equiparano motivazioni, valori e senso d'identita' (chi noi siamo) a cio' che viene ottenuto concretamente; 2) si lascia che le emozioni si accumulino senza gestirle: dolore, conflitto, incertezza, frustrazione; 3) si negano bisogni di base quali il riposare, il fare delle pause, l'usare la propria creativita', il godere di momenti di intimita', ecc. 4) mancanza di pianificazione personale, ovvero di abilita' nell'usare il tempo a disposizione; 5) incapacita' di tracciare limiti, nell'illusione che l'essere perennemente concentrati sul "problema" sia essere efficienti nel risolverlo. - Fattori organizzativi: 1) una cultura di gruppo competitiva, centrata sul lavorare duramente e intensamente; 2) mancanza di chiarezza rispetto agli scopi ed alla fattibilita' delle azioni; 3) mancanza, dopo le azioni, di ritorno emotivo, di valutazione, di celebrazione; 4) morale basso del gruppo o scarso sostegno agli individui; 5) conflitti irrisolti, o la non consapevolezza di attitudini e pratiche oppressive; 6) azioni caotiche, o noiose, o "fatte per dovere"; 7) mancanza di training. - Fattori sociali e politici: 1) il persistere nel gruppo di "valori" patriarcali quali: il pensiero che chi lavora sia spendibile e sfruttabile, la convinzione che il prendersi cura dei sentimenti e delle relazioni sia una perdita di tempo; il centrarsi sulla "produttivita'", ecc.; 2) si sono incontrate situazioni di stallo, o addirittura vi e' stato un arretramento, rispetto ai primi stadi di una campagna; 3) il clima politico e' oppressivo, va peggiorando, ecc. * Prevenire lo stress e l'esaurimento degli attivisti deve divenire parte integrante della cultura dell'organizzazione. Percio' vi raccomando di: - riconoscere i sintomi dello stress, ed interrogarne le cause; - creare una cultura di gruppo (il vostro ethos) che abbia a cuore il sostegno di ogni singola persona e produca carichi/schemi di lavoro "sostenibili"; - cominciare a guardare il vostro lavoro per il cambiamento sociale in una prospettiva a lungo termine; - bilanciare il concentrarsi sugli scopi con la qualita' del processo decisionale e delle relazioni (negli incontri, nelle azioni, nelle valutazioni del lavoro svolto); - permettere alle persone di esprimere i loro sentimenti di stanchezza, dolore, perdita e frustrazione: sono risposte sane a situazioni malate, allo stato in cui e' il nostro mondo; - provvedere momenti di rilassamento dopo campagne/azioni molto dure o faticose (imparando ad usare tecniche di meditazioni, massaggi, ecc.); - dare valore alla socializzazione, al divertimento, all'umorismo, allo stare insieme. * E vi propongo di fare individualmente questo esercizio: completate le frasi seguenti. 1) Per essere efficace nel mio lavoro di attivista, per sostenere me stessa/o e godere di un'esistenza bilanciata, quello che cambiero' e' ... 2) Esattamente, per mettere questo desiderio in pratica, cio' che mi serve e devo fare (chi, dove, quando, ecc.) e' ... 3) Le persone da cui ho bisogno di sostegno e cooperazione, o con cui ho bisogno di comunicare, sono ... 4) Quello che faro' nelle prossime 48 ore per raggiungere il mio scopo e' ... 5) Quello che faro' nelle prossime due settimane e' ... 6) Quello che faro' nei prossimi tre mesi e' ... 7) Mi ricompensero' per l'ottenimento dei miei scopi con ... (e se decidete per una festicciola o un brindisi, saro' lieta di partecipare). 7. RIFLESSIONE. SALVATORE PALIDDA: IL BUSINESS DEI "CLANDESTINI" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 giugno 2003. Salvatore Palidda, sociologo, docente universitario, ha condotto ricerche ed e' stato consulente per importanti istituzioni ed istituti di ricerca internazionali. Fondamentali alcune sue ricerche su questioni militari, sul controllo sociale, sulle migrazioni. Tra le opere di Salvatore Palidda segnaliamo particolarmente Polizia postmoderna, Feltrinelli, Milano 2000] In quasi tutte le analisi e i commenti sugli annegamenti di migranti, sull'invocazione da parte dei Bossi e Borghezio di una sorta di Bava Beccaris del XXI secolo e sulle lacrime di coccodrillo del centro-sinistra, c'e' una singolare ignoranza. Probabilmente e' dovuta alla difficolta' di spiegare l'apparente, mostruoso paradosso che riguarda sia le relazioni fra paesi dominanti (e di immigrazione) e paesi dominanti (di emigrazione), sia la coesistenza di fatto della guerra ai clandestini e il crescente bisogno di manodopera clandestina. E' lo stesso paradosso che fa coesistere la pace e la guerra nella nuova strategia dell'impero americano (nella cosiddetta postura della Full Spectrum Dominance). In realta', l'Europa non riesce ancora a barcamenarsi al meglio nel paradosso, come invece sembrano riuscire a fare gli Stati Uniti. Basta ricordare che da piu' di 15 anni gli States hanno fatto diventare la guerra alle migrazioni (in particolare sulla frontiera messicana) un business straordinario sia per le imprese private sia per la lobby degli sbirri federali e dei singoli stati. Ma come candidamente ammettono i responsabili dell'Immigration and naturalization service e i grandi esperti del governo Bush, l'immigrazione clandestina negli States e' oggi (maggio 2003) stimata fra gli otto e i dieci milioni di cui quattro-sei milioni messicani (era stimata a circa cinque milioni nel '99 - si veda convegno Ocse all'Aja Preventing and Combating the Employment of Foreigners in an Irregular Situation, 22-23 aprile '99). Anche se spesso si tratta di stime gonfiate per legittimare business e carriere poliziesco-militari, e' comunque noto che, come scrivono gli esperti del Congresso (fra cui quella della Rand Corporation), la riproduzione della manodopera clandestina e' indispensabile all'economia americana: i nuovi arrivi si sommano ai ritorni all'irregolarita' da parte di chi per diverse cause ha perso i requisiti del rinnovo del permesso (anche in Italia, succede ogni anno circa al 30 per cento degli immigrati). Ma questa riproduzione si accompagna a migliaia di morti e a milioni di arrestati e deportati nel tentativo di immigrare negli States. Solo alla frontiera messicana, negli ultimi tre anni, si contano 377 morti e 1,6 milioni arrestati nel 2000, 336 morti e 1,2 milioni di arrestati nel 2001, 350 morti e 900 mila arrestati nel 2002. Tuttavia questi morti, come i migranti annegati o morti sui containers nel tentativo di venire in Europa, fanno notizia solo come tentativo di dissuasione di quelli che aspirano a partire. Per il resto sono come i morti afgani o iracheni o palestinesi: non valgono nulla. Nessun giornalista o opinion leader ha scritto che e' la nuova "cortina di ferro" eretta dai paesi dominanti contro le societa' dominate a produrre questi morti, non meno numerosi dei morti della cortina di ferro del totalitarismo sovietico. Dopo l'11 settembre la situazione s'e' ancor piu' aggravata, soprattutto per gli immigrati originari di paesi considerati musulmani e persino per quelli che hanno un permesso regolare. In compenso il lavoro del clandestino e' remunerato ancora di meno. * L'Italia impara in fretta L'Italia puo' essere considerata in Europa il paese che cerca di avvicinarsi di piu' al "modello" americano, giocando di fatto il suo paradosso "alla meno peggio". Primo paese, insieme alla Grecia, per il tasso di economie sommerse sul prodotto nazionale lordo (30 per cento circa), l'Italia conta fra sei e otto milioni di persone che bazzicano integralmente o in parte nel lavoro nero. Fra queste, gli stranieri clandestini rappresentano ovviamente una minoranza, ma sono i piu' ricercati, notoriamente, dai caporali padani, che li trasportano dalle cinque di mattina sino a tarda sera con centinaia di furgoncini, lamentandosi per i controlli di velocita' da parte di alcune polizie municipali e di qualche rara e per loro intollerabile ispezione sui cantieri o nelle fabbrichette. Non a caso con la sua devolution, Bossi rivendica il controllo delle polizie a livello locale, ossia una gestione della discrezionalita' propria alle polizie che sia al servizio dei suoi elettori, piccoli imprenditori padani che vogliono la totale liberta' di agire e una polizia che, se necessario, espella subito il clandestino che non va piu' bene o perche' troppo usurato o perche' alza troppo la testa. La manodopera al nero necessita infatti di un alto turn-over sia perche' la maggioranza non regge i ritmi di lavori massacranti e spesso altamente nocivi o a rischio (si pensi all'aumento degli incidenti sul lavoro, comprese le morti ignote che riguardano spesso gli stranieri clandestini), sia perche' alcuni cercano di crearsi un minimo potere contrattuale (si pensi a Ion Cazacu per questa ragione bruciato vivo dal suo caporale che lavorava per gli imprenditori padani - si veda Sciuscia', 2000). E come si mostrava bene in quella puntata della trasmissione di Santoro, i padroncini padani che sfruttano maggiormente i clandestini sono gli stessi a reclamare le cannonate contro le barche dei migranti, cosi' come a gridare contro la sanatoria. Ma leghisti e altri della maggioranza hanno anche trovato un formidabile escamotage per limitare il piu' possibile la regolarizzazione che, comunque, a detta dello stesso Tremonti, e' diventata uno straordinario business per lo stato e per ogni sorta di mercanti e truffatori della regolarizzazione (si puo' stimare che in realta' siano stati circa 350 mila gli immigrati che hanno dovuto presentare piu' volte la domanda spendendo in media non meno di 4.000 euro a testa, per un giro d'affari totale di 1.400.000.000 di euro, di cui piu' di 245 milioni di euro direttamente allo stato, versati cioe' alla posta). Infatti la sanatoria va a rilento e una buona parte dei regolarizzandi finisce per perdere i requisiti e tornare nella clandestinita' (la riproduzione e' assicurata) oppure viene espulsa grazie alla Bossi-Fini o ad operazioni fatte alla svelta senza testimoni e senza traccia burocratica da parte di alcuni operatori delle polizie che hanno ben recepito il messaggio di un governo che comunque li "copre" (la stessa copertura che spiega anche le torture e il massacro dei manifestanti anti-G8 a Genova nel 2001). Meno male che tra gli operatori delle polizie ve ne sono anche alcuni democratici che, sebbene isolati e minacciati, cercano di resistere. * Padani, padroni e padroncini Non mancano poi padroncini e caporali (fra cui anche alcuni immigrati ascesi a tale rango: e' sempre comodo far fare il lavoro sporco allo straniero) che il giorno della paga chiamano qualche operatore di polizia che si presta per fare scappare i lavoratori clandestini ed evitare cosi' di pagarli. Nella logica d'inferiorizzazione e segregazione dei migranti va segnalata l'ultima perla della giunta di Milano: il decreto che sottrae agli immigrati l'unico momento e luogo di socialita', ossia gli incontri domenicali nei parchi pubblici. Del resto, l'integrazione, che dovrebbe essere finanziata distribuendo alle Regioni la trattenuta dello 0,5 per cento sulle buste paga degli immigrati (legge Turco-Napolitano), s'e' trasformata in ben altro. Contributi per i centri espellendi, per le espulsioni, per gli amici degli amici ciellini o persino di An e della Lega che hanno creato ad hoc associazioni e cooperative per "occuparsi" degli immigrati, e infine per sostenere le delocalizzazioni come hanno proposto i leghisti alla Regione Veneto (en passant, non esiste ancora un'inchiesta su come sono spesi i soldi degli immigrati e su quanto costa una politica migratoria che riproduce clandestini e morti). I padroncini della "Padania" e di altre zone d'Italia e d'Europa da tempo hanno scoperto anche un'altra manna: le delocalizzazioni a cascata di ogni sorta di attivita' nei paesi "terzi". I big come Benetton, cosi' come i magliari, gli evasori fiscali o i bancarottieri, girano senza intoppi nei paesi d'emigrazione dove comprano facili connivenze fra governanti, mediatori (o power-brokers) e caporali locali per organizzare sul posto il supersfruttamento in condizioni ancor piu' libere, con profitti di gran lunga piu' ingenti di quelli realizzati con le economie sommerse in Europa (basti pensare che una donna che lavora nel sistema Benetton o di altre firme e imprese italiane ed europee in Tunisia o a Timisoara riesce a prendere fra i 60 e i 100 euro al mese lavorando 6 giorni su 7, fra 8 e 12 ore al giorno). Ma mai nessuno ha denunciato la frode comunitaria che consiste nell'importazione da paesi terzi di prodotti finiti con le etichette "made" nei vari paesi europei. E purtroppo nessun sindacato europeo ha mai cercato di costruire unita' d'azione con i sindacati di questi paesi e in particolare del Magreb. Di fatto, oggi piu' che mai qualsiasi padroncino, qualsiasi turista europeo puo' andare nei paesi d'emigrazione come e quando vuole ed agire in piena liberta', compresa quella di schiavizzare. Non si tratta forse di una sorta di neo-colonialismo in versione liberista? E' anche questo nuovo sviluppo infame a provocare una nuova spinta all'emigrazione. Perche' stare in Tunisia o in Romania a fare gli schiavi per padroncini italiani ed europei senza poter reclamare alcun diritto e non tentare la fortuna di venire a lavorare in Europa? Perche' restare in mezzo al disastro umano e sociale e il rischio di morte in paesi come la Somalia o il Congo e non rischiare di venire in Europa anche se a costo della vita? Perche' qualsiasi italiano ed europeo puo' andare nei paesi di emigrazione e invece gli abitanti di questi paesi non possono andare nei paesi ricchi neanche per andare a trovare i parenti? Queste sono le domande che si pongono sempre piu' migliaia di giovani disgustati dall'asimmetria dei diritti e delle opportunita' imposta dall'attuale assetto del dominio dei paesi ricchi (si veda L'indotto di Abdel, nel "Manifesto" dell'11 ottobre 2002). Oggi piu' che mai la migrazione e' innanzi tutto aspirazione all'emancipazione economica, sociale ma anche politica e religiosa. Si emigra per disperazione e per fuga dalle guerre, ma innanzi tutto per cercare di trovare altrove quello che appare impossibile laddove si vive: l'emancipazione. Come ha raccontato il sociologo Mahdi Mabrouk nel recente convegno della Lega Tunisina dei Diritti dell'Uomo tenuto a Tunisi il 30-31 maggio 2003, nel mondo degli aspiranti alle migrazioni costrette alla clandestinita' dal proibizionismo fascista europeo si trova infatti un'umanita' segnata dall'aspirazione alla vera liberta' di tutti, cantata in loro canzoni ray o rap o neo-blues ormai note sui percorsi e sulle coste turche, libiche o del Magreb. Sono forse questi, senza saperlo, con i loro nuovi canti dell'emancipazione del XXI secolo, la componente giovane dei Sud che partecipa di fatto al movimento contro il liberismo globalizzato e contro la guerra, per i diritti fondamentali di ogni essere umano. E contro questa aspirazione all'emancipazione si scagliano i nuovi Bava Beccaris, cosi' come fecero alla fine del XIX secolo quando sparavano sulle folle che rivendicavano pane e diritti. I signori leghisti e buona parte degli elettori europei (anche di centro-sinistra) sanno bene che i loro attuali privilegi, reali o immaginari, sono fondati sull'inferiorizzazione o neo-schiavizzazione degli "altri", degli extra-comunitari, cioe' sulla certezza del dominio. La paura di perdere i privilegi e l'agitazione nella salvaguardia di questo conduce alla guerra alle migrazioni, cioe' a quello che Zygmunt Bauman chiama la distruzione dell'eccedente umano, di quegli umani che non servono piu' o che non accettano passivamente di essere inferiori. * La colonizzazione poliziesca I governi europei pretendono che i paesi limitrofi all'Ue si trasformino in sbirri implacabili contro i migranti, insomma che facciano il lavoro sporco. Come aveva proposto uno dei piu' mediocri ministri dell'interno italiani degli ultimi decenni, Bianco, anche Blair, tanto amato da certi leader del nostro centro-sinistra, propone di creare nei paesi limitrofi all'Ue campi di concentramento per migranti espulsi, cosi' come del resto ha fatto il suo governo, collocando alcuni detenuti sulle navi-galera di vittoriana memoria. Il mercanteggio proposto e' esplicito: voi paesi terzi "gestite" o eliminate un po' di aspiranti all'emigrazione e quelli che espelliamo e in compenso vi daremo un po' di finanziamenti per le vostre elite, per le vostre polizie, per la salvaguardia dei vostri regimi (si pensi quanto sia allettante per i Ben Ali & C.). Ma i regimi di questi paesi non possono stringere sempre e troppo le maglie. A volte le allentano per rilanciare il mercanteggiamento, ma spesso sono costretti a lasciar correre perche' la situazione rischia di diventare ancor piu' esplosiva. L'emigrazione e' una valvola di sfogo utile per tamponare la tensione sociale e politica, specie per regimi autoritari. Peraltro, se dall'Albania non partono piu' clandestini e' perche' da un lato la spinta all'emigrazione si e' per buona parte esaurita, dall'altro perche' le mafie locali sembrano aver negoziato con i servizi segreti europei una certa liberta' di traffici di droga e altro in cambio del loro attivo controllo di quella piccola e media delinquenza che si occupava di traffico di clandestini (diverse "spalle" di ministri albanesi sono notoriamente coinvolti in traffici diversi e hanno viaggiato con passaporti diplomatici - si veda l'illuminante reportage di L. Fraioli e A. Giordano, L'eroina? Da Tirana viaggia in auto blu, in "Venerdi' di Repubblica", n. 767 del 29 novembre 2002, pp. 42-47). Appare comunque assai fantasioso che la grande criminalita' organizzata sia veramente interessata al traffico di migranti. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta solo di piccoli o al massimo medi delinquenti improvvisati passeurs, spesso senza scrupoli ma non al servizio delle grandi mafie. Basta notare che di fatto i passaggi clandestini (eccetto quelli dei cinesi) costano meno che una migrazione regolare. Il proibizionismo delle migrazioni, come ogni proibizionismo, ha un effetto criminogeno e produce morte. Questa considerazione indiscutibile e' stata sempre ignorata o respinta dal centro-sinistra che ha di fatto spianato la strada all'attuale destra fascista e razzista (come dimenticare la Kater Y Rades durante il governo Prodi ed altre vicende orribili "gestite" dai D'Alema, Amato, Turco & C.). Nei prossimi mesi alcuni migranti saranno forse salvati dall'oscillazione fra il liberismo moderato che sembra ora voler perseguire Pisanu e la guerra totale dei leghisti. 8. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: SULLE COSIDDETTE GAFFES DEL CAVALIER B. Io non credo che il cavalier B. commetta delle gaffes per improntitudine. Una persona che ha costruito un piccolo impero anche sulla capacita' di vendere un'immagine non commette gaffes con la frequenza e l'indecenza con cui lo fa il cavalier B. Credo piuttosto, e lo dico da anni, che le gaffes del cavalier B. siano premeditate ed accuratamente mirate, ed abbiano per un verso la funzione del cane di Alcibiade, spostare cioe' l'attenzione su altro da cio' di cui invece dovremmo occuparci; per l'altro il significato di messaggi in codice, di decifrazione del resto neppure difficile: evocando, e in quel tono cosi' stupefacentemente e algidamente crasso e ripugnante, i lager, da un lato si ricorda ai signori neofascisti e razzisti della coalizione di governo che essi si trovano li' perche' il demiurgo B. ce li ha portati e ce li tiene, e quindi non lo tirassero troppo per la giacchetta; dall'altro si rassicura l'Attila americano che nell'Europa continentale ha una quinta colonna capace di mettere a posto - sia pure solo sul piano dell'insulto, ma nei consessi istituzionali anche i rituali contano - quei signori che osano talvolta - e sia pur appena un pocolino - recalcitrare agli ordini impartiti col frustino dall'imperator Stranamore. Invece di lasciarci abbindolare dai numeri da avanspettacolo, e lasciarci trascinare nell'orgia del cattivo gusto e del combattimento nel fango, di ben altri aspetti dell'agire del cavalier B. dovremmo tutti preoccuparci e occuparci. Ma fatta eccezione per alcuni servitori dello stato che sono direttamente minacciati e aggrediti (in un paese in cui molte delle piu' nobili e coraggiose persone delle istituzioni sono state prima vilipese, poi isolate, ed infine assassinate), e di coloro che immediatamente subiscono la feroce offensiva del governo contro le classi e le persone povere ed oneste, quasi nessuno ha voglia di occuparsene davvero perche' anche il sistema di potere del cavalier B., come gia' quello del cavalier M. in altri tempi, e' per cosi' dire "l'autobiografia di una nazione" con quel che questa locuzione implica e che lasciamo alla ruminazione del sagace lettore. Non credo che sia possibile che in un paese (civile, moderno, eccetera) vada al potere una cordata di affaristi senza scrupoli, di personaggi apprezzati e sostenuti dai poteri occulti e criminali, di razzisti e neofascisti, di golpisti insomma e infine, senza che vi sia a monte una corruzione e una complicita' generalizzate. Di questo dovremmo discutere, e della necessita' di iniziarla davvero una resistenza nonviolenta - non gli spettacolini, non le doppiezze, non le ambiguita' e le subalternita' correnti - in difesa delle istituzioni democratiche, del bene pubblico, della civile convivenza, della nostra stessa dignita', del diritto e dei diritti di tutti. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 601 del 4 luglio 2003
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