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La nonviolenza e' in cammino. 599
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 599
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 1 Jul 2003 22:47:15 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 599 del 2 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Un rinnovato appello al dialogo tra cristiani e musulmani 2. Giuliana Sgrena: tra le macerie dell'Iraq 3. Martin Buber: ogni giorno 4. Giulio Vittorangeli: un nuovo medioevo 5. Francesco Tullio: cosa vuol dire resistenza nonviolenta? 6. L'ottava newsletter di "Migra" 7. In uscita il libro "La balcanizzazione dello sviluppo" di Claudio Bazzocchi 8. Un'anticipazione da "Dopo l'11 settembre" di Noam Chomsky 9. Riletture: Franca Basaglia Ongaro, Una voce 10. Riletture: Laura Conti, Ambiente Terra 11. Riletture: Antoinette Fouque, I sessi sono due 12. Riletture: Lea Melandri, L'infamia originaria 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. APPELLI. UN RINNOVATO APPELLO AL DIALOGO TRA CRISTIANI E MUSULMANI [Dai promotori dell'appello per il dialogo cristiano-islamico (per contatti: e-mail: redazione at ildialogo.org; sito: www.ildialogo.org) riceviamo e diffondiamo] "O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribu', affinche' vi conosceste a vicenda" (Corano, Sura XLIX, ver. 13). "Beati gli operatori di pace, perche' saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5, 9). E' troppo alto il muro che separa il Nord dal Sud del Mediterraneo, l'Occidente dall'Oriente, il mondo cristiano da quello dell'islam. Come tante volte nei mesi scorsi hanno affermato i massimi esponenti del mondo cattolico, di quello protestante ed ortodosso, abbiamo corso il rischio che l'attacco militare contro l'Iraq apparisse una crociata della cristianita' contro l'islam. Siamo convinti che, proprio grazie alle iniziative delle chiese cristiane, spesso in comunione tra esse ed in spirito ecumenico, questo pericolo sia stato evitato. Tuttavia siamo consapevoli che l'incubo dello scontro di civilta' aleggi ancora sulla scena geopolitica; in tutta Europa, inoltre, verifichiamo la ripresa di atteggiamenti razzisti, antisemiti e islamofobi che, come credenti e come cittadini di una Unione di Stati sempre piu' ampia e pluralista, destano una grave inquietudine; cosi' come rileviamo che resta ancora troppo ampio il fossato che separa due comunita' di fede - quella cristiana e quella musulmana - che condividono importanti tradizioni e valori spirituali come la discendenza abramitica, la fede nel Dio unico, il legame con un libro sacro, la vocazione alla giustizia ed alla pace. Il dialogo tra queste due comunita' di fede, pure essendo ormai avviato ed avendo gia' prodotto alcuni frutti, e' ancora ad uno stadio iniziale. Soprattutto alla base delle due comunita', sono ancora troppo rare le occasioni di conoscenza, di incontro, di confronto sui grandi temi culturali e sociali del nostro tempo: la pace, la giustizia, il rispetto dei diritti umani, la convivenza, la costruzione di una societa' democratica e pluralista, la formazione dei giovani. Come afferma la Carta ecumenica, sottoscritta a Strasburgo nel 2001 dai presidenti della Conferenza delle Chiese europee e del Consiglio delle Conferenze episcopali dell'Europa, "ci sono stati e ci sono molti contatti positivi e buoni rapporti di vicinato tra musulmani e cristiani ma anche, da entrambe le parti, grossolane riserve e pregiudizi, che risalgono a dolorose esperienze vissute nel corso della storia e nel recente passato". Da qui l'impegno dei rappresentanti del mondo cattolico, protestante ed ortodosso dell'Europa a "intensificare a tutti i livelli l'incontro tra cristiani e musulmani e il dialogo cristiano-islamico. Raccomandiamo in particolare - afferma ancora la Carta ecumenica - di riflettere insieme sul tema della fede nel Dio unico e di chiarire la comprensione dei diritti umani. Ci impegniamo a incontrare i musulmani con un atteggiamento di stima; a operare insieme ai musulmani su temi di comune interesse". In questo spirito, gia' lo scorso anno, recuperando il senso del gesto di Giovanni Paolo II che in occasione dell'ultimo venerdi' di Ramadan del 2001 volle condividere con il mondo islamico una giornata di digiuno, proponemmo la celebrazione di una giornata del dialogo cristiano islamico. Quell'appello fu sottoscritto da centinaia di esponenti delle chiese cristiane cui vollero spontaneamente aggiungersi alcuni autorevoli rappresentanti delle comunita' islamiche presenti in Italia; seguirono decine di iniziative di incontro, dialogo, conoscenza reciproca tra cristiani e musulmani in uno spirito di risposta alla comune vocazione alla pace. Siamo convinti che oggi siano ancora piu' numerose ed urgenti le ragioni che ci spingono a rinnovare la nostra proposta. Invitiamo percio' le comunita' cristiane e quelle islamiche, le associazioni educative e culturali ad esse collegate, le facolta' teologiche, le universita', le istituzioni pubbliche a promuovere ancora piu' numerose iniziative di incontro e dialogo nella data del 21 novembre 2003, ultimo venerdi' del mese di Ramadan dell'anno islamico 1424 dell'Egira. * Primi firmatari al 29 giugno 2003: Gina Abate, Pax Christi Italia, Firenze; Stefano Allievi, sociologo, Padova; Daniele Barbieri, Migra News, Roma; Enzo Bianchi, priore Comunita' ecumenica di Bose; Dora Bognandi, dipartimento liberta' religiosa dell'Unione cristiana chiese avventiste, Roma; Maria Bonafede, vice moderatore Tavola valdese, Roma; Ambrogio Bongiovanni, Universita' Gregoriana, responsabile Movimento S. Francesco Saverio, Roma; Padre Juan Bautista Cappellaro, del clero diocesano di Buenos Aires, dirigente gruppo promotore italiano del "Movimento per un mondo migliore", Napoli; Franca Ciccolo Fabris, segretaria dell'Associazione "Amici di Neve' Shalom - Waahat as-Salaam", Milano; Giovanni Cereti, teologo cattolico del WCRP, Roma; Giancarla Codrignani, filosofa, Bologna; Paolo de Benedetti, docente di Giudaismo Facolta' Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano; p. Francesco De Luccia, direttore Fondazione Centro Astalli, Roma; Tonio Dell'Olio, segretario nazionale Pax Christi, Bisceglie (Ba); fra Marcello Di Tora o.p., direttore del Centro di Studi per il Dialogo con l'Islam, Palermo; Annemarie Dupre', Servizio Rifugiati e migranti Federazione Chiese Evangeliche in Italia, Roma; Ulrich Eckert, pastore valdese Riesi (Caltanissetta); Massimo Fere', Pax Christi Italia, Firenze; Ermanno Genre, decano Facolta' Valdese di Teologia Roma; Chiara Giacometti, Tempi di Fraternita', Torino; Giuseppe La Torre, pastore evangelico, Lugano; Dan Madigan S.J., Istituto di Studi su Religioni e culture, Pontificia Universita' Gregoriana, Roma; Lidia Maggi, pastora battista, Lodi (Mi); Luigi Manconi, sociologo, Roma; Raffaele Mantegazza, dipartimento di Epistemologia ed Ermeneutica Della Formazione, Milano; Ettore Masina, scrittore, Roma; don Carlo Molari, teologo cattolico, Roma; Gianfranco Monaca, Tempi di Fraternita', Asti; p. Luigi Morell, pb - Sermis (Servizio Missionario - Emi), Treviglio (Bergamo); Paolo Naso, direttore di Confronti e di Protestantesimo, Roma; Eric Noffke, pastore valdese, Cinisello Balsamo (Mi); Nicola Pantaleo, presidente del Consiglio della Chiesa Evangelica Battista di Bari e presidente del Centro evangelico di cultura di Bari; p. Gottardo Pasqualetti, Imc-Suam (Segretariato unitario di animazione missionaria), Roma; Enrico Peyretti, giornalista, Torino; don Giorgio A. Pisano, parroco della Parrocchia del S. Cuore in Portici (Napoli) e direttore del Centro Giovani Agora'; p. Ottavio Raimondo, mccj - Fesmi (Federazione della stampa missionaria italiana), Bologna; Salvatore Rapisarda, pastore battista, Siracusa; p. Agostino Rigon, sx, Cimi (Conferenza degli Istituti Missiaanri Italiani), Parma; Brunetto Salvarani, coordinatore degli Incontro cristiano-musulmani di Modena, Carpi (Mo); Luigi Sandri, giornalista, Roma; Giovanni Sarubbi, giornalista, direttore de "Il dialogo", Monteforte Irpino (Av); Peppe Sini, direttore Centro ricerca per la pace, Viterbo; p. Marcello Storgato, saveriano dello Csam di Brescia; Laura Tussi, insegnante Nova Milanese (Milano); mons. Tommaso Valentinetti, vescovo di Termoli-Larino, presidente nazionale Pax Christi; Maria Vingiani, fondatrice e presidente onoraria del Sae, Roma; p. Alex Zanotelli, missionario comboniano, Italia; don Giuliano Zatti, Servizio diocesano per le relazioni islamo-cristiane, Padova. * Notizie sulla raccolta delle firme e sulle iniziative Per sostenere le iniziative di comunita', gruppi, istituti, enti locali, associazioni che vogliano partecipare a questa iniziativa, abbiamo creato alcuni centri di coordinamento e di servizio presso le riviste "Confronti" (064820503; 0648903241; fax 064827901; e-mail: dialogo at confronti.net; sito: www.confronti.net, Roma); "Tempi di Fraternita'" (sito: www.tempidifraternita.it; e-mail: tempidifraternita.it at tempidifraternita.it, Torino); "Il dialogo" (e-mail: redazione at ildialogo.org; sito: www.ildialogo.org, tel. 3337043384, Avellino); "Mosaico di Pace" (via Petronelli 6, 70052 Bisceglie (Ba), tel.: 0803953507, fax: 0803953450, e-mail: info at paxchristi.it, sito: www.paxchristi.it, oppure: www.peacelink.it/users/paxchristi/). Materiali utili alla promozione di iniziative nel quadro della giornata sono disponibili presso il sito www.ildialogo.org che conterra' anche tutti gli aggiornamenti sia delle sottoscrizioni sia delle iniziative che man mano verranno assunte. Un altro utile sussidio e' il volume La rivincita del dialogo, a cura di Paolo Naso e Brunetto Salvarani, Emi, Bologna 2002. * Per aderire Comunicare a "Il dialogo", via Nazionale 44 83024, Monteforte Irpino (Av) le adesioni e le iniziative in corso per consentire l'aggiornamento del sito www.ildialogo.org. Le firme possono essere inviate anche tramite e-mail all'indirizzo: redazione at ildialogo.org 2. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: TRA LE MACERIE DELL'IRAQ [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 giugno 2003. Giuliana Sgrena, inviata a Baghdad, e' una illustre giornalista e saggista, esperta conoscitrice delle questioni globali, del rapporto nord/sud, della situazione dei paesi arabi ed islamici, della realta' mediorientale. E' da sempre impegnata per i diritti umani, per i diritti dei popoli, per i diritti delle donne, per la pace] I marines non camminano mai a piedi, ti scrutano superarmati dall'alto degli Abrams puntando i loro fucili, anche in mezzo al traffico quando non esitano a sparare per uccidere i cani randagi seminando il panico tra i macchinisti distratti. Un marine pero' venerdi' e' sceso dal suo tank a Baghdad per comprare due cd ed e' stato colpito con un colpo di pistola alla testa proprio davanti alla bancarella di Kazimiyah. Non poteva certamente essere un agguato preparato: gli iracheni sono sempre piu' determinati a combattere le truppe di occupazione. La resistenza si estende dalle zone sunnite a quelle sciite e non e' certo alimentata dai nostalgici di Saddam, che pure ci sono. L'ostilita' aumenta e le armi non mancano. Le perquisizioni, che non producono grandi risultati sul piano del disarmo, non fanno altro che incrementare la rabbia. Tanto piu' che i soldati entrano nelle case di notte, durante il coprifuoco, buttano giu' dal letto donne e bambini incuranti delle tradizioni, delle imposizioni religiose e del panico provocato fra i piu' piccoli. Buttano fuori gli abitanti per perquisire le case e la gente sempre piu' spesso accusa gli americani di distruzioni e furti. Che non sono pero' dimostrabili. Con gli americani noi non parliamo, dicono i "ribelli" di Fallujah, diventata il simbolo della resistenza, ma sappiamo che ci sono dei collaborazionisti e li uccideremo. A Baghdad la resa dei conti e' gia' cominciata. Il problema e' che la guerra e' stata troppo breve e non ha permesso di sfiancare a sufficienza il nemico, si giustificano gli occupanti preoccupati della loro incapacita' di gestire una situazione sempre piu' caotica. L'impraticabilita' del disarmo forzato aumenta l'insicurezza che disincentiva gli investimenti per la ricostruzione che non puo' nemmeno avvalersi dei proventi del petrolio minacciati anche dai sabotaggi degli oleodotti. * A Baghdad i tradizionali e interminabili convenevoli usati quando incontri una persona - come stai? come sta la famiglia, etc. - sono stati sostituiti con una domanda secca e prosaica: voi avete l'elettricita'? E' diventato un vero incubo: senza corrente non si puo' accendere un ventilatore per attutire il caldo che non concede requie nemmeno di notte, intanto il cibo, quel poco disponibile, senza frigorifero va a male. E passando davanti alla centrale elettrica di al-Dora, la piu' grande di Baghdad, tutti controllano le quattro ciminiere per controllare da dove esce il fumo. Un giorno dall'una, l'altro da un'altra. "Vedi, ti fanno notare, tutte le ciminiere funzionano e se funzionassero contemporaneamente non avremmo questi problemi di elettricita': sono gli americani che non la fanno funzionare a pieno ritmo, evidentemente ci vogliono punire". Non si tratta solo di elettricita', manca spesso anche l'acqua e i telefoni non funzionano, ormai e' un dilagare di satellitari Thuraya, comunque un privilegio per chi ha fatto i soldi con la guerra e l'occupazione. Anche il cibo necessario per la sopravvivenza del 60 per cento degli iracheni non e' stato distribuito per due mesi dopo la fine del regime di Saddam, ora dovrebbe essere il World food program, in collaborazione con il ministero del commercio iracheno - che gia' lo faceva prima - ad assumere l'onere di continuare per sei mesi la gestione dell'"oil for food" (petrolio in cambio di cibo). Ma la distribuzione va a rilento: molti depositi sono stati saccheggiati e anche il ministero del commercio e' stato completamente distrutto nei primi giorni di occupazione americana. * La coalizione ha elargito uno stipendio una tantum ai dipendenti pubblici: parte in dollari (da 20 a 40) e parte in dinari (circa 100.000), ma in pezzi da 10.000 che nessuno vuole piu' accettare a Baghdad. Dicono che sono stati rubati e che molti sono falsi. Per cambiarli occorre andare nelle banche autorizzate con file di ore. E anche il dollaro non vale piu' granche': il cambio e' crollato da oltre 3.000 dinari durante la guerra a 1.400-1.500. I prezzi sono invece saliti alle stelle, grazie anche alla forte presenza straniera. Le bombole di gas sono diventate un lusso: costavano 250 dinari e ora 3.000. Per cucinare si fa sempre piu' ricorso a benzina e cherosene, piu' infiammabili: le ustioni si moltiplicano e sono devastanti soprattutto per i bambini. La benzina ha invece mantenuto il prezzo di prima della guerra (20 dinari la normale e 50 la piu' raffinata, ovvero 20 e 50 delle vecchie lire) ma non si trova. Un paradosso nel paese che si colloca al secondo posto al mondo per le riserve di petrolio. Le code ai distributori durano ore e giorni, se si ha fretta meglio ricorrere al mercato nero. * I nomi di ospedali, strade, quartieri sono cambiati, ma nessuno e' in grado di registrare i cambiamenti. E questo comporta caos inenarrabili anche per coloro che, come le ong, stanno realizzando progetti che spesso si sovrappongono. Pensi di essere in un quartiere e invece sei in un altro, magari dal nome evocativo come "Cecenia". Perche' si chiama cosi'? Per il livello di conflittualita'. Ovvio! Un dato e' pero' comune in citta': il totale degrado. Montagne di rifiuti, che spesso galleggiano su pantani provocati dal liquame delle fogne che fuorisce da tubi danneggiati dalla guerra o dal dopoguerra, provocando un odore nauseabondo. Anche gli avventori dei suq spesso si devono districare tra immondizie vecchie e nuove. Come nell'ex-Saddam city, il piu' famoso quartiere sciita di Baghdad noto per le sue condizioni particolarmente disastrate gia' ai tempi dell'ex-rais. Naturalmente non si chiama piu' Saddam city, gia' il 9 aprile era stata ribattezzata Sadr city, dal nome del "martire della fede" che ha sostituito Saddam nell'iconografia. Ma poi gli sciiti si sono divisi tra sostenitori di Mohammed Sadeq al-Sadr e di Baqer al-Hakim, leader dello Sciiri (Consiglio superiore per la rivoluzione islamica in Iraq), quindi si e' tornati al nome storico di al-Thawra, sicuramente piu' suggestivo e promettente: rivoluzione. * A Um Qasr, come a Bassora, i bambini non ti chiedono soldi, caramelle o penne biro, ma acqua. La mancanza di oro bianco e' il paradosso di un paese che galleggia sull'oro nero e di una popolazione che vive nell'unico porto utilizzabile per l'esportazione della preziosa risorsa. L'acqua c'era, prima della guerra il 70 per cento delle case aveva l'acqua corrente e nemmeno per gli altri c'erano grandi problemi. Ora l'acqua viene importata con le autobotti dal vicino Kuwait, grazie soprattutto all'Unicef, ma non viene distribuita gratuitamente come previsto, i trasportatori la vendono, nonostante l'agenzia dell'Onu per disincentivare la speculazione sulla sete abbia garantito ai camionisti cento dollari in piu' del dovuto alla settimana. L'acqua si paga 250 dinari iracheni (circa 250 vecchie lire) al barile (di 220 litri). Una miseria se questa povera gente avesse almeno un salario da miseria. Ma cosi' non e'. Molti dei lavoratori del settore delle costruzioni e del petrolio venivano pagati a giornata, quindi non hanno nemmeno potuto usufruire di quel misero salario distribuito dall'amministrazione occupante perche' risultano disoccupati. Nemmeno la ricostruzione, quando partira', riservera' loro dei vantaggi, nonostante la posizione strategica del porto, perche' la Bechtel, la compagnia americana favorita nella concessione degli appalti, ha deciso di "importare" lavoratori asiatici: costano meno. Invece dei circa 9.000 prigionieri di guerra detenuti a Um Qasr la maggior parte sono stati liberati, ne restano circa 500, ma forse saranno presto rilasciati. Cosi' anche la Croce rossa ha potuto abbandonare Um Qasr, sotto il controllo delle truppe britanniche e spagnole. * Si fanno chiamare "Vendetta islamica", sono un gruppo di giustizieri che a Bassora danno la caccia agli ex-militanti del partito Baath, molti dei quali sono gia' stati assassinati. Non si sa chi li appoggi, ma nessuno li tocca. Nelle moschee e negli ospedali sono comparse le liste di proscrizione: medici e infermieri vengono cacciati per essere sostituiti da ferventi e fanatici musulmani. Anche i partiti laici sono entrati nel loro mirino, ma per ora i vendicatori si sono limitati alle minacce e a strappare qualche striscione. Per i venditori di alcoolici non c'e' scampo: tutti i negozi sono stati chiusi e due dei proprietari assassinati. Erano prevalentemente cristiani, che ora hanno persino paura ad uscire di casa. Ai gestori dei cinema e' stato imposto di proiettare solo film d'azione, ovvero violenti, senza scene d'amore (di sesso non si parla nemmeno). Ma nessuno va piu' al cinema: tutta la citta' e' un palcoscenico di violenza. Gli islamisti non si sono lasciati sfuggire le scuole, che sono finite nelle mani di un fanatico, l'"iraniano" - perche' in esilio a Tehran - Hamid al-Maliki, che si comporta come se si trovasse gia' in uno stato islamico. Impossibile cacciarlo, le "autorita' occupanti" non lo toccano. Anzi, gli americani hanno stanziato 200 milioni di dollari per il settore educativo a Bassora. E siccome si parla di revisione dei curriculum scolastici e dei libri di testo, a chi tocchera' l'arduo compito? Agli "iraniani" o ai colonizzatori occidentali? Intanto, per evitare contaminazioni occidentali, al-Maliki ha impedito a un gruppo di studenti di partire per la Spagna, dove sarebbero stati ospitati per una breve vacanza che li avrebbe sottratti alle penurie, alla calura (la temperatura supera i 50 gradi) e ai rischi di contagio da colera. * Dall'inferno di Saddam a quello americano. A sostenerlo e' Sabiha, certamente non sospettabile di nostalgia per l'ex rais. Vive con il marito, 73 anni ciascuno, in un piccolo appartamento di al-Baya, un quartiere periferico di Baghdad, quasi sempre senza elettricita', il telefono invece funziona, ma serve a poco visto che gli altri non funzionano. Che vita e' questa? Anche il resto della sua vita non e' stato certamente felice. Arrestata a diciott'anni con l'accusa di essere comunista, comunista lo e' diventata davvero in carcere. Prima di sposare Hadi che comunista lo era prima di lei. Ha passato tutta la gioventu' dentro e fuori dal carcere, anche quando aveva i figli piccoli, che poi sarebbero diventati anche loro militanti del Partito comunista iracheno. Un figlio l'ha perso a causa delle torture. Due figlie e un figlio hanno lavorato al giornale del partito, Tareq al-Shaab, che ora ha ripreso le pubblicazioni, prima di fuggire all'estero. Soprattutto per rintracciare il figlio Intishal, che era scappato, Sabiha veniva continuamente arrestata, a volte per pochi giorni, a volte solo minacciata. Chiunque si avvicinasse alla loro casa veniva arrestato. Originari di Hilla (la famosa Babilonia), Hadi, insegnante, per punizione era stato trasferito per otto anni in un villaggio vicino a Kirkuk. Suo fratello e suo nipote invece sono stati uccisi. Ora, naturalmente e' in pensione, ha ricevuto 40 dollari dagli americani, ma non bastano, tanto piu' che le razioni di cibo non arrivano. Come si puo' vivere cosi'? Sabiha mi mostra dalla finestra gli americani superarmati che presidiano una postazione proprio di fronte alla sua casa. La sua vivacita' improvvisamente si spegne: "E' questa la liberazione?". E a pensarla cosi' sono la maggior parte degli iracheni. 3. MAESTRI. MARTIN BUBER: OGNI GIORNO [Da Martin Buber, I racconti dei Chassidim, Longanesi, Milano 1962, 1978, Garzanti, Milano 1979, p. 335. Martin Buber, filosofo, educatore, scrittore e straordinario uomo di pace, e' nato a Vienna nel 1878 e deceduto a Gerusalemme nel 1965. Per almeno tre ragioni Martin Buber e' uno dei nostri maestri piu' grandi: per essere il grande filosofo del principio dialogico, che pone alla base del nostro esserci la relazione io-tu; per essere il grande uomo di pace che sempre oppose la civilta' e la comprensione alla violenza e alla chiusura; per essere il grande amorevole ricercatore delle tradizioni e delle memorie dei pii, degli umili e dei dimenticati. Opere di Martin Buber: tra le sue opere segnaliamo Il principio dialogico, Comunita', Milano 1958 (contiene anche il saggio Ich und Du); Il problema dell'uomo, Patron, Bologna 1972; Sentieri in utopia, Comunita', Milano 1967; Immagini del bene e del male, Comunita', Milano 1965; L'eclissi di Dio, Comunita', Milano 1965; Sette discorsi sull'ebraismo, Israel, Firenze 1923, Carucci, Assisi-Roma 1976; Israele. Un popolo e un paese, Garzanti, Milano 1964; Gog e Magog, Bompiani, Milano 1964; La leggenda del Baal-Schem, Israel, Firenze 1925; I racconti dei chassidim, Longanesi, Milano 1962, 1978, Garzanti, Milano 1979; La regalita' di Dio, Marietti, Casale Monferrato 1989; La fede dei profeti, Marietti, Casale Monferrato 1985; Mose', Marietti, Casale Monferrato 1983. Cfr. anche, con Franz Rosenzweig, Prigioniero di Dio, Studium, Roma 1989; e il dibattito con Gandhi, in M. K. Gandhi, M. Buber, J. L. Magnes, Devono gli Ebrei farsi massacrare?, in "MicroMega" n. 2 del 1991 (pp. 137-184). Opere su Martin Buber: per un'introduzione cfr. Clara Levi Coen, Martin Buber, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1991] Il Magghid di Kosnitz diceva: "Ogni giorno l'uomo deve uscire dall'Egitto". 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: UN NUOVO MEDIOEVO [Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei fondamentali collaboratori di questo foglio, una delle figure piu' belle della solidarieta' internazionale, una delle persone migliori che ci e' capitato di incontrare nella vita] Ci sono colpi bassi meno clamorosi. Ci sono poi i colpi inferti all'intero genere umano, come la guerra. Perche' tutte le guerre hanno un solo volto, quello dell'orrore. Sono atroce follia, deformano il volto e il nome dell'umanita'. La guerra e' quella dimensione in cui tutti diventano vulnerabili, in cui pur non avendo nessun deficit molte persone vivono l'handicap della mancanza di cibo, di un rifugio sicuro, dell'allontanamento delle persone care o dal luogo di origine. E' una situazione devastante, che non permette a nessuno di crescere, perche' viene minato il senso di sicurezza, la possibilita' per i bambini di trovare una comunita' adulta accogliente, perche' gli stessi adulti sono spesso vittime spezzate e indifese. Quanta gente e' morta bruciata, mutilata, crivellata, schiacciata, dissanguata in luoghi tanto esotici e tanto lontani dal Vietnam all'Angola, dalla Somalia al Nicaragua... una lista interminabile; intanto ogni giorno muoiono 24.000 persone per fame o infermita' curabili. Ci vogliono far credere che la guerra e' una sorta di "stato di natura" che, se gestita dalla superpotenza, risolve i problemi del mondo. Invece dobbiamo continuare a pensare che la democrazia non si puo' imporre dall'esterno con le bombe. Gli Stati Uniti hanno attaccato l'Afghanistan per stanare Osama bin Laden e il mullah Omar ma finora non li hanno presi. Hanno attaccato l'Iraq per stanare Saddam Hussein ma finora non l'hanno trovato. Hanno facilmente vinto le guerre ma hanno distrutto i paesi e seminato tanto odio, specie nell'islam e in generale fra i "dannati della terra", che il mondo e' oggi assai meno sicuro rispetto alla minaccia terrorista, mentre sembra incombere quello scontro di civilta' che si diceva di voler evitare a ogni costo. Intanto, ci dicono che gli Usa si fanno carico di stabilire la democrazia in Iraq; anche se le condizioni di vita insostenibili rendono la situazione del paese sempre piu' drammatica: un luogo senza pace, senza legge e dal futuro incerto. "L'economia e' in panne, il lavoro scarseggia e gran parte della popolazione vive in condizioni di estrema poverta'", osserva il settimane statunitense "Time". E poi, di quale democrazia si parla? Perche' si puo' dire tutto il bene che si vuole sulla democrazia americana, ma non che essa sia una democrazia amante della pace e della nonviolenza. Basta vedere il Centro e il Sud America, ridotti a "cortile di casa". Appare evidente, dunque, che non e' la volonta' di affermare universalmente la democrazia la molla che spinge alla "guerra preventiva". Per Bush le dittature dei "nostri" alleati vanno tollerate, quelle del nuovo "asse del male" debellate con la forza. Cosi' la guerra non e' piu' nemmeno "la continuazione della politica con altri mezzi", secondo la nota definizione di von Clausewitz, ma la politica stessa. Il mondo entra in un nuovo medioevo. I feudi sono interi continenti. Il signore piu' potente esige dai suoi servi alleanza e sottomissione. Difendera' e appoggera' i suoi procuratori, pensatori e giullari. La globalizzazione della guerra e' la nuova feudalizzazione del mondo. Nel momento in cui la guerra torna ad essere l'orizzonte normale della politica e della nostra vita quotidiana, per chiunque non si rassegna a questa prospettiva di morte diventa indispensabile ripensare in profondita' tutti gli aspetti della convivenza umana. Diventa indispensabile continuare a battersi contro la distruzione del diritto internazionale, contro un'idea di ordine mondiale basato sulla legge del piu' forte. Con la consapevolezza che la frase del "New York Times" (per cui ci sarebbero due superpotenze planetarie: gli Usa e l'opinione pubblica) e' lusinghiera, ma resta l'asimmetria: gli Usa detengono soldi e soldati, molteplici poteri a livello di stato e delle istituzioni mondiali nonche' le leve e l'egemonia sul sistema economico. Il movimento della pace possiede la coscienza di milioni di uomini ma non ha voce nei luoghi delle decisioni, fuorche' l'esile obiezione alla guerra che ha incontrato da una parte della vecchia Europa. Con la consapevolezza che quando il quadro generale diventa pericoloso, si combatte innanzitutto in casa propria, ad iniziare dalla lotta per la pace e la giustizia. Troppi, di nuovo calamitati dalla soap nostrana di Berlusconi sui giudici golpisti e sui post-comunisti liberticidi, antidemocratici e amici dei dittatori, rischiano di non avere occhi sufficienti per continuare a guardare quello che capita nel mondo. Errore madornale, perche' quello che capita nel mondo e' legato a filo doppio con quello che capita in casa, e se il nostro presidente del consiglio si prende le liberta' che si prende lo fa anche perche' e' sostenuto da tendenze internazionali che gli assomigliano. Non a caso l'attacco alla nostra democrazia avviene in un contesto internazionale di guerra preventiva continua. 5. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: COSA VUOL DIRE RESISTENZA NONVIOLENTA? [Ringraziamo Francesco Tullio (per contatti: psicosoluzioni at francescotullio.it) per questo intervento. Francesco Tullio, docente di psicoterapia breve all'Universita' di Perugia, e' uno dei piu' noti peace-researcher, gia' presidente del Centro Studi Difesa Civile (sito: www.pacedifesa.org)] La resistenza nonviolenta e' un insieme di metodi ed azioni per impedire una invasione straniera o una degenerazione interna, colpi di stato o abusi del potere da parte di qualche autorita' costituita. La disobbedienza civile e' una delle possibile tecniche della resistenza, ma non la sola. Altre importanti tecniche derivano dalla ricerca e le esperienze per la gestione costruttiva dei conflitti, dalle teorie della comunicazione e dalla teoria dei sistemi. Nella resistenza nonviolenta contano molto la coesione sociale, la disponibilita' al dialogo con l'avversario che non si intende distruggere ma recuperare alla democrazia ed al rispetto del prossimo e dei principi costituzionali. La resistenza nonviolenta non e' mai rivolta contro le persone ma contro i loro atti illegittimi, per interromperli e ristabilire l'ordine. Non si cade nella polemica manichea, che sollecita atteggiamenti eroici da parte di "noi che siamo il bene ed abbiamo ragione" contro "loro che portano la responsabilita' per tutte le miserie del mondo e fanno tutto per pura cattiveria". Non c'e' alcun autocompiacimento, non c'e' esaltazione, non c'e' eccitazione per lo scontro, ne' il bisogno interiore di identificare un nemico sul quale scaricare la propria rabbia ed aggressivita'. Si tratta soprattutto di continuare a lavorare per la tolleranza, la giustizia, la democrazia, malgrado le aumentate difficolta', senza per questo cadere nel circolo vizioso della ritorsione, con fermezza della volonta' e nella sobrieta' del linguaggio. Nella nonviolenza vengono superate la rabbia, la ritorsione, la vendetta, il sarcasmo, le illazioni, le interpretazioni delle intenzioni e delle volonta' dell'altro per concentrarsi esclusivamente sulla soluzione creativa ed innovativa, che permette di andare oltre il conflitto. La resistenza nonviolenta non e' "disobbedienza" ma "fedelta' alla Costituzione". Le azioni dirette possono anche comprendere l'ostacolamento dell'azione dell'altro, la insubordinazione, l'ostruzionismo, la esecuzione passiva ed inefficace degli ordini, il boicottaggio, ma devono essere sempre accompagnate da forti e comprensibili proposte costruttive e di riconciliazione. Infatti la nonviolenza lascia sempre alla controparte la possibilita' di uscire onorevolmente dal conflitto. Prima di mettere in atto le azioni concrete della resistenza e' indispensabile valutarne rischi ed opportunita', considerare la migliore e la peggiore alternativa possibile sia ad una soluzione concordata al conflitto che alla applicazione della resistenza stessa. Bisogna anche chiarire per quale diritto, per quali finalita' ed obiettivi (a favore di cosa), come (con quali metodi e strumenti), quando ed in quali condizioni, diventa necessario ed utile applicare queste azioni dirette. Una volta messe in atto ci si trova in una fase di scontro con implicazioni per nulla piacevoli e la possibilita' di andare incontro ad una serie di morti E' pertanto necessario evitare le fughe in avanti di frange comprensibilmente inquiete del movimento della pace, perche' esse possono diventare la miccia utile ai falchi della controparte per esasperare il confronto e scatenare la repressione. 6. INFORMAZIONE. L'OTTAVA NEWSLETTER DI "MIGRA" [Riportiamo l'ottava newsletter di "Migra", agenzia informazione immigrati associati; per contatti: e-mail: redazione at migranews.net, sito: www.migranews.net] "Migra" e' realizzata nel contesto del progetto comunitario Equal "L'immagine degli immigrati in Italia". I corrispondenti dell'agenzia sono immigrate e immigrati in una rete che si allarghera' a coprire le principali citta' italiane. Negli ultimi giorni su www.migranews.net in primo piano c'erano: - Ancora dossier e articoli sull'asilo negato; - Irida Cami racconta lo sciopero della fame di 34 kurdi; - L'Unione europea taglia i fondi per la riabilitazione delle vittime della tortura; - Morire per asfissia: da Bartolome' de Las Casas a oggi nel commento di Sabatino Annecchiarico; - Un'inchiesta di Farid Adly sulle accuse italiane alla Libia; - Riviera schizofrenica? Rosana Crispim da Costa scruta Rimini fra divieti e liberismo; - Igiaba Scego rovista negli uffici della Sinnos; - Confusioni, dimenticanze e proposte: il "cedolino" rivisto da Saleh Zaghloul; - Idil Boscia svela come il gioco degli specchi a Trento possa levigare le pietre; - e molto altro. Nelle diverse sezioni (culture, leggi, societa', speciali) potete trovare articoli, interventi e commenti di Farid Adly, Faustin Akafack, Masturah Alatas, Sabatino Annecchiarico, Okechukwu Anyaduegwu, Hamid Barole, Milad Basir, Saliha Belloumi, Idil Boscia, Rhyma Boussouf, Marcelo Cafaldo, Irida Cami, Alessandra Cecchi, Khalid Chaouki, Vitore Cokaj, Daniela Conti, Ousmane Coulibaly, Rosa Crispim Da Costa, Alvaro Erique Duque, Ziad Elayyan, Udo Clement Enwereuzor, Ubax Cristina Ali Farah, Nicoleta Mirela Filip, Arturo Ghinelli, Taysir Hasan, Jawahir Mohamed Hassan, Mahmoud Kairouan, Nabil Igui, Liana Corina Iosip, Adel Jabbar, Ylli Jasa, Maria De Lourdes Jesus, Monica Lanfranco, Mia Lecomte, David Lifodi, Zouhir Louassini, Pape Diaw Mbaye, Jean Mbundani, Karim Metref, Viorica Nechifor, Jamal Ouzine, Silvina Perez, Franco Pittau, Rosa Juarez Ramirez, Annamaria Rivera, Anelise Sanchez, Brunetto Salvarani, Alex Moustapha Sarr, Romana Sansa, Igiaba Scego, Vesna Scepanovic, Nando Sigona, Jenny Tessaro, Jan Carlos Torres, Aluisi Tosolini, Fulvio Vassallo, Paula Baudet Vivanco, Emmanuel Zagbla, Saleh Zaghloul. E poi ancora: l'agenda del mese, il calendario degli eventi, schede sulle comunita' e i Paesi d'origine, immagini, statistiche, link utili. Nei prossimi giorni: racconteremo di case a Padova; torneremo su sbarchi e diritto d'asilo; Karim Metref intervistera' Renda Ghazy; parleremo di sanita'; cercheremo di capire cosa accade a Gallarate; Milad Basir ci guidera' nell'odissea di Guebre mentre Ana Cicako ci parlera' della piccola Vera; ospiteremo le fotografie di Nancy Motta... e molto altro. "Migra" risponde al numero 0639031235; ci siamo dal lunedi' al venerdi' (ore 10-18); la mail e': redazione at migranews.net Ovviamente questo e' anche un invito a collaborare con noi, a mandarci notizie, a metterci nei vostri indirizzari. Pensiamo, durante l'estate, di rivedere tecnicamente il sito e dunque se avete critiche (o lodi) e suggerimenti inviateci un messaggio. Grazie. 7. LIBRI. IN USCITA IL LIBRO "LA BALCANIZZAZIONE DELLO SVILUPPO" DI CLAUDIO BAZZOCCHI [Da Claudio Bazzocchi (per contatti: bazzocchi at osservatoriobalcani.org) riceviamo e diffondiamo. Claudio Bazzocchi e' responsabile dell'area ricerca dell'Osservatorio sui Balcani di Rovereto; e' stato per nove anni dirigente del Consorzio Italiano di Solidarieta' (Ics)] Uscira' tra pochi giorni il libro di Claudio Bazzocchi, La balcanizzazione dello sviluppo. Nuove guerre, societa' civile e retorica umanitaria nei Balcani (1991-2003), Il Ponte, Bologna 2003, pp. 173, euro 16. Il libro puo' essere richiesto direttamente all'editore con uno sconto del 20% sul prezzo di copertina (quindi 12,80 euro piu' le spese di spedizione postale); per comunicare con l'editore: pmontanari at editriceilponte.com Il libro riflette sul nuovo modello di sicurezza adottato dai paesi occidentali a partire dalla fine degli anni Ottanta e basato sulla politicizzazione dell'aiuto umanitario di emergenza e di sviluppo. L'instabilita' nelle regioni ai margini dell'area ricca del pianeta cresce dalla fine della guerra fredda con l'emergere delle cosiddette nuove guerre. Gli stati nelle aree marginali non vengono piu' considerati dalle potenze occidentali come sovrani, come nel periodo della guerra fredda, ma dei corpi sociali all'interno dei quali riformare le mentalita' e i comportamenti di chi li abiti al fine di ottenere un ambiente stabile caratterizzato dai valori occidentali di democrazia, tolleranza e libero mercato. Tale riforma delle mentalita' e dei comportamenti si ottiene dispiegando il sistema dell'aiuto umanitario che va dall'elemento militare a quello civile delle ong, passando per le agenzie delle Nazioni Unite ed il coinvolgimento diretto anche delle imprese multinazionali. Tale sistema occidentale dell'aiuto umanitario e' caratterizzato cosi' da un sempre piu' marcato ruolo di attori non statali, che hanno il compito di imporre in modo cooperativo e ideologico il sistema di valori dell'Occidente, tramite le politiche di emergenza e di cooperazione. Questo modello di sicurezza ottiene il risultato fondamentale di depoliticizzare le grandi questioni dello sviluppo e delle cause della poverta' che fino agli anni Ottanta avevano caratterizzato l'attivita' delle ong e dei grandi movimenti progressisti, compreso il blocco dei paesi non allineati. Ora l'instabilita' e la poverta' sono viste solo in termini di cattivi comportamenti, avidita' di pochi e riconosciuti dittatori, eredita' dei sistemi comunisti che hanno inculcato una mentalita' assistenzialista nelle popolazioni, e quindi inettitudine a vivere nei sistemi democratici e di mercato. Questa depoliticizzazione, ammantata di valori apparentemente liberal - promozione della societa' civile, dei diritti umani e della parita' di genere, per citarne solo alcuni - diminuisce, se non annulla, il potenziale di denuncia e critica sociale che aveva caratterizzato per anni le ong e in sostanza lascia senza difese i poveri del pianeta. 8. LIBRI. UN'ANTICIPAZIONE DA "DOPO L'11 SETTEMBRE" DI NOAM CHOMSKY [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 giugno 2003 riportiamo questa anticipazione del nuovo libro di Noam Chomsky, Dopo l'11 settembre, pubblicato da Marco Tropea editore, in libreria a partire dal primo luglio. Noam Chomsky, nato a Philadelphia nel 1928. Illustre linguista, docente universitario al Mit di Boston, e' uno degli intellettuali americani piu' prestigiosi. Da decenni impegnato per i diritti civili e dei popoli, contro la guerra e l'imperialismo. ra le opere di Noam Chomsky, prescindendo dagli scritti piu' specialistici di linguistica e filosofia del linguaggio, qui segnaliamo soltanto due volumi di conferenze: Conoscenza e liberta', Einaudi; Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino; e per quanto riguarda gli scritti di intervento civile segnaliamo almeno I nuovi mandarini, La guerra americana in Asia, Riflessioni sul Medio Oriente, tutti presso Einaudi, Torino; La quinta liberta', Alla corte di re Artu', Illusioni necessarie, tutti presso Eleuthera, Milano; Anno 501: la Conquista continua, I cortili dello zio Sam, Il club dei ricchi, tutti presso Gamberetti, Roma; La societa' globale (con Heinz Dieterich), presso La Piccola, Celleno (Vt); Linguaggio e liberta', La fabbrica del consenso, Sulla nostra pelle, Atti di aggressione e di controllo, presso Marco Tropea, Milano. Opere su Noam Chomsky: la monografia migliore e' di J. Lyons, Chomsky, Fontana Press, London 1991. Interessante ed utile il volume che raccoglie il dibattito su e tra Jean Piaget e Noam Chomsky, con contributi di vari altri studiosi: Theories du langage. Theories de l'aprentissage, Seuil. In italiano esistono molti studi su Chomsky linguista e sulla grammatica generativa trasformazionale, ma a nostra conoscenza non c'e' una monografia complessiva su Chomsky come intellettuale pacifista ed attivista per i diritti umani e dei popoli. Va detto che spendendosi senza risparmio in attivita' pubblicistica ed interviste, Chomsky - soprattutto negli ultimi anni - ha la tendenza a semplificare eccessivamente e ad essere talora piuttosto frettoloso e poco approfondito nei suoi interventi militanti; merita certo grande apprezzamento la sua disponibilita' ad accogliere ogni sollecitazione e a rispondere ad ogni richiesta di intervento, tuttavia troveremmo preferibile che avesse sempre tempo ed agio di scrivere con piu' cura e precisione (e quella cosa oggi innominabile che chiamavamo "labor limae" quando eravamo giovani)] La formula "Asse del male", coniata dagli autori dei discorsi di Bush, e' efficace perche' si deve parlare di "male" quando si vuole spaventare la gente, mentre "asse" riporta alla memoria i nazisti. Nella realta' non si tratta certamente di un asse. L'Iran e l'Iraq si sono combattuti per vent'anni. La Corea del Nord ha a che fare con entrambi meno di quanto non ne abbia la Francia. Percio' non si tratta di un asse. La Corea del Nord e' stata sbattuta nell'elenco per la probabile ragione che e' un obiettivo facile: se la si vuole bombardare, non importera' a nessuno. E poi non e' musulmana e quindi, in qualche modo, allontana l'idea che si stiano perseguitando i musulmani. Che dire dell'Iran? Guardiamo la storia. Negli ultimi cinquant'anni l'Iran e' stato qualche volta "cattivo" e qualche volta ´"buono". (...) Nel 1953 l'Iran era cattivo, l'incarnazione stessa del male: perche'? Perche' aveva eletto un governo conservatore e nazionalista, impegnato nel tentativo di assumere il controllo delle proprie risorse che, fino a quel momento, erano state controllate dalla Gran Bretagna. Fu necessario rovesciare quel governo con un colpo di stato militare compiuto da Stati Uniti e Gran Bretagna, che riportarono al potere lo scia'. Nei ventisei anni successivi l'Iran fu buono. Lo scia' si macchio' delle peggiori violazioni sistematiche dei diritti umani: se si leggono i documenti di Amnesty International, lo si trova ai primissimi posti. Pero' serviva gli interessi statunitensi. Si impadroni' di isole appartenenti all'Arabia Saudita, contribuendo al controllo della regione e sostenendo gli Stati Uniti in tutte le situazioni. Era buono. (...) Il presidente Carter aveva un'ammirazione speciale per lo scia': solo due mesi prima che quest'ultimo fosse rovesciato, disse di essere rimasto veramente impressionato dal "governo progressista" dello scia'. Nel 1979 l'Iran divento' di nuovo cattivo. Era fuoriuscito dal sistema imperialista e, da allora, e' rimasto cattivo. Non ha piu' ubbidito agli ordini. In realta' si tratta di una situazione interessante: una lobby potentissima, la lobby petrolifera statunitense (le aziende energetiche), vuole riportare l'Iran all'interno del sistema mondiale, mentre il governo non intende consentirlo. Il governo vuole l'Iran come nemico. Tra le altre cose, questa faccenda dell'Asse del male e' riuscita a ostacolare gli elementi riformisti iraniani, che hanno con se' la maggioranza della popolazione, e a incoraggiare gli elementi clericali piu' reazionari. Ma tutto questo e' considerato positivo e dovremmo chiederci il perche'. Io sospetto (si tratta di un'ipotesi, perche' non abbiamo documenti che lo provino) che la ragione sia ancora una volta legata alla cosiddetta "affermazione della credibilita'". Un boss mafioso potrebbe spiegarlo molto chiaramente: se qualcuno esce dal coro va punito perche' gli altri devono capire che non e' un comportamento tollerabile. Questa e' stata la principale ragione ufficiale dei bombardamenti sulla Serbia e sul Kosovo: affermare la credibilita' della Nato. Non dovete sgarrare: ubbidite agli ordini, altrimenti... Suppongo sia questa la motivazione principale della politica attuale. Non credo che gli Stati Uniti attaccheranno l'Iran, perche' sarebbe troppo pericoloso e costoso; ma se gli elementi clericali piu' reazionari dovessero restare al potere, l'Iran non potrebbe reinserirsi nel sistema internazionale. Ci sara' presumibilmente un attacco contro l'Iraq, che e' un'operazione molto difficile da pianificare. Le ragioni dell'invasione dell'Iraq, siatene assolutamente certi, non avranno nulla a che fare con le affermazioni ufficiali: non c'e' neppure da dubitarne. Le motivazioni ufficiali rappresenteranno un ennesimo servizio reso dalle classi colte, che si daranno da fare per mantenere la calma. Naturalmente tutti lo sanno. Se ascoltate George Bush, Tony Blair, Bill Clinton e tutti gli altri, sentirete dire: "Dobbiamo attaccare Saddam Hussein, un mostro talmente malvagio che e' giunto a usare le armi chimiche contro il suo stesso popolo. Come possiamo permettere la sopravvivenza di un simile individuo?". E' vero. Saddam ha usato le armi chimiche contro il suo stesso popolo; ma manca un elemento: "con l'aiuto e il sostegno di Bush padre", che la riteneva un'ottima cosa. Bush continuo' a fornire aiuto e sostegno al mostro, cosi' come fece la Gran Bretagna. Molto tempo dopo le peggiori atrocita' compiute da Saddam, compreso l'impiego dei gas contro i curdi, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna continuavano a fornire lietamente il loro sostegno, compresi gli aiuti che permisero di produrre armi di distruzione di massa, come i due paesi sapevano benissimo. All'epoca Saddam era molto piu' pericoloso di quanto non sia adesso: l'Iraq era allora uno stato ben piu' potente, eppure non destava alcun allarme. Anzi, all'inizio del 1990 - un paio di mesi prima dell'invasione del Kuwait - il presidente Bush invio' in Iraq un'autorevole delegazione del Senato capeggiata da Bob Dole, in seguito candidato repubblicano alle elezioni presidenziali, perche' portasse il suo saluto all'amico Saddam Hussein. I senatori dissero a Saddam quanto Bush avesse apprezzato il suo grande contributo, e gli consigliarono di non curarsi dei commenti critici apparsi di quando in quando sulla stampa americana. Qui abbiamo questa mania della stampa libera, e ogni tanto qualcuno esce dal seminato; forse uno dei cinquemila corrispondenti aveva espresso qualche riserva sui metodi adottati da Saddam Hussein per compiere i suoi crimini, ma i senatori dissero a Saddam di non farci caso. Gli dissero anche che un commentatore di "Voice of America", critico nei suoi confronti, sarebbe stato licenziato, per evitare al leader iracheno la spiacevole esperienza di ascoltare osservazioni sulle brutte cose che stava facendo. Questo solo un paio di mesi prima che Saddam diventasse "la bestia di Baghdad", l'uomo che voleva conquistare il mondo e altre amenita' del genere. Sappiamo che non sono i suoi crimini la ragione della prossima invasione, come non lo e' lo sviluppo delle armi di distruzione di massa. Se i motivi non sono questi, allora quali sono? Sono assolutamente ovvi: l'Iraq possiede le riserve di petrolio piu' grandi del mondo dopo l'Arabia Saudita. E' sempre stato evidente che, in un modo o nell'altro, gli Stati Uniti avrebbero fatto qualcosa per riprendere il controllo di quelle immense risorse, molto superiori alle riserve che si trovano sotto il vicino Mar Caspio. Di sicuro gli Stati Uniti negheranno quelle risorse ai propri avversari. Oggi sono la Francia e la Russia ad avere una posizione di vantaggio, percio' il nostro paese sta cercando di impadronirsene. Il problema e' come. L'operazione e' molto difficile, ci sono tanti problemi tecnici da risolvere, di cui si sta discutendo. Si tratta comunque di problemi secondari. La questione centrale e' che va imposto un nuovo regime, e questo nuovo regime deve essere totalmente antidemocratico. C'e' un motivo ben preciso: se nel nuovo regime fosse presente qualche elemento di democrazia, la popolazione avrebbe voce in capitolo. Questo e' il significato di democrazia. La popolazione potrebbe avere magari una piccolissima influenza, ma il problema e' che la maggioranza della popolazione e' sciita, quindi spingera' per stringere relazioni con l'Iran, e questa e' l'ultima cosa che il governo statunitense si augura. Potremmo approfondire le ragioni di tale rifiuto, ma e' ovvio che gli Stati Uniti non vogliono un esito del genere. I curdi dell'Iraq settentrionale, poi, che rappresentano un'altra grande parte della popolazione, cercano una qualche forma di autonomia, cosa che farebbe infuriare la Turchia, cosi' come gli Stati Uniti. Serve pertanto un cambiamento di regime che porti al potere un personaggio identico a Saddam Hussein, un regime militare a base sunnita che sia in grado di tenere sotto controllo la popolazione. Si tratta per di piu' di un programma esplicito. (...) Nel marzo 1991, subito dopo la guerra del Golfo, gli Stati Uniti detenevano il controllo completo dell'area. Ci fu una ribellione sciita nel Sud, una grande ribellione cui aderirono alcuni generali iracheni. I ribelli non chiesero aiuto agli Stati Uniti, ma solo di essere autorizzati a utilizzare le armi irachene catturate. Ma George Bush primo era di un'altra idea: autorizzo' il suo amico Saddam Hussein a far ricorso all'aviazione per schiacciare la resistenza sciita. In seguito il generale Norman Schwarzkopf disse che, quando autorizzo' Saddam a usare l'aviazione, era stato ingannato dagli iracheni: non si era reso conto che avrebbero davvero utilizzato gli aerei militari, se li avesse autorizzati a farlo. E questo dimostra quanto sia infido Saddam Hussein, sempre pronto a ingannare. Cosi' Saddam utilizzo' l'aviazione militare per distruggere gli sciiti e i curdi del Nord. Proprio in quel periodo Thomas Friedman, allora corrispondente diplomatico del "New York Times" - che significa portavoce del dipartimento di Stato presso il "New York Times", cioe' colui che esprime la linea del dipartimento di Stato - fu molto franco al riguardo: per gli Stati Uniti la soluzione migliore in assoluto sarebbe stata una "giunta militare dal pugno di ferro", capace di governare l'Iraq esattamente come Saddam Hussein ma con un altro nome, perche' a quel punto Saddam Hussein era diventato piuttosto impresentabile. Se fosse stato impossibile adottare una soluzione del genere, se ne sarebbe dovuta cercare una di ripiego; ma la soluzione ideale sarebbe stata indubbiamente quella. Ed e' un programma del genere che stiamo attualmente cercando di mettere in pratica. Ecco perche' la Cia e il dipartimento di Stato stanno organizzando riunioni con i generali iracheni che hanno disertato negli anni Novanta. Non sara' una soluzione semplice, ma forse e' proprio quella che si prepara per il futuro. 9. RILETTURE. FRANCA BASAGLIA ONGARO: UNA VOCE Franca Basaglia Ongaro, Una voce, Il Saggiatore, Milano 1982, pp. VIII + 150, lire 6.500. Una raccola di "riflessioni sulla donna" di una delle piu' acute e generose maestre di impegno e di pensiero. 10. RILETTURE. LAURA CONTI: AMBIENTE TERRA Laura Conti, Ambiente Terra, Mondadori, Milano 1988, pp. 210, lire 10.000. "L'energia, la vita, la storia", una piana introduzione all'ecologia dell'indimenticabile studiosa e militante. 11. RILETTURE. ANTOINETTE FOUQUE: I SESSI SONO DUE Antoinette Fouque, I sessi sono due, Pratiche, Milano 1999, pp. 196, lire 28.000. Una densa e vivace raccolta di scritti della grande intellettuale femminista. 12. RILETTURE. LEA MELANDRI: L'INFAMIA ORIGINARIA Lea Melandri, L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997, pp. 120, lire 20.000. Ah, quanto e' utile di tanto in tanto rileggere queste scritture di trent'anni fa. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 599 del 2 luglio 2003
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