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La nonviolenza e' in cammino. 589
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 589
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 22 Jun 2003 01:36:32 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 589 del 22 giugno 2003 Sommario di questo numero: 1. "A. Rivista anarchica": un dvd e un libro per ricordare Fabrizio De Andre' 2. Le relazioni del convegno nazionale delle Caritas diocesane 3. Nella Ginatempo: il movimento contro la guerra dopo Baghdad 4. Augusto Cavadi: la memoria come azione quotidiana e riflessione autocritica 5. Thomas Schaffroth intervista Andre' Gorz 6. Nadia Cervoni: ancora detenuta Leyla Zana 7. Amnesty International: ancora detenuta Aung San Suu Kyi 8. Action for peace: campagna europea contro la costruzione del muro di separazione che devasta villaggi e campi coltivati palestinesi 9. Una lettera dei refuseniks israeliani agli amici palestinesi, contro il terrorismo 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. "A. RIVISTA ANARCHICA": UN DVD E UN LIBRO PER RICORDARE FABRIZIO DE ANDRE' [Da "A. Rivista anarchica" (per contatti: tel. 022896627, fax: 0228001271, e-mail: arivista at tin.it, sito: www.anarca-bolo.ch/a-rivista) riceviamo e diffondiamo. Fabrizio De Andre', chi non lo sa, e' stato un grandissimo cantautore antimilitarista e libertario] Per ricordare Fabrizio De Andre', dopo il dossier "Signora liberta', signorina anarchia" (2000), e il Cd + libretto "Ed avevamo gli occhi troppo belli" (2001), ecco il Dvd + libretto "Ma la divisa di un altro colore" (2003). Nel Dvd e' presente, innanzitutto, il documentario "Faber" (56'), realizzato dai registi Bruno Bigoni e Romano Giuffrida nel 1999, prodotto da Minnie Ferrara & Associati e presentato al Festival del Cinema a Torino di quell'anno. Nel documentario, girato in Sardegna, a Genova e a Milano (i tre luoghi principali di De Andre'), sono intervistati una quindicina di amici n on famosi del cantautore, dal prete che fece da tramite durante il rapimento al rom che lo aiuto' per una sua canzone dedicata agli zingari. Fanno da colonna sonora le sue canzoni, la sua voce inconfondibile. Accanto a "Faber" ci sono due interpretazioni tanto originali quanto significative. Moni Ovadia, accompagnandosi alla chitarra, interpreta "La guerra di Piero". Lella Costa, a sua volta, interpreta "Il girotondo", accompagnata da Mauro Pagani al flauto traverso, da due chitarristi e da un coro di voci bianche composto da 18 bambine. Nel libretto, dopo la dedica di Dori Ghezzi e l'introduzione della redazione della rivista anarchica "A", ci sono: un'intervista quasi sconosciuta rilasciata da De Andre' ad un periodico antimilitarista nel 1991; il "Diario di viaggio" del regista Bigoni che racconta come nacque "Faber"; uno scritto del 1914 contro la guerra dell'anarchico Errico Malatesta; un brano di Marina Padovese sugli stupri e altre violenze contro le donne nei recenti conflitti balcanici; la testimonianza di Teresa Sarti (presidente di Emergency) sull'incontro a meta' degli anni '90 tra lei e Gino Strada da una parte e De Andre' e Dori Ghezzi dall'altra; un breve saggio comparativo tra le canzoni antimilitariste di Leonard Cohen e di De Andre'; i testi delle due canzoni antimilitariste di Fabrizio interpretate nel Dvd da Moni Ovadia e da Lella Costa; una scheda curata da Emergency sulle loro attivita' ed in particolare sul Centro chirurgico di Goderich (Sierra Leone), al quale e' destinata la meta' dell'utile ricavato dalle vendite del Dvd + libretto "Ma la divisa di un altro colore". Il senso di quest'operazione editoriale e' innanzitutto quello di ricordare e rivendicare l'impegno profondamente antimilitarista e antibellico del cantautore genovese, pienamente inscritto nella sua dichiarata opzione anarchica e libertaria. In questo contesto, l'impegno sviluppato da Dori e Fabrizio in favore di Emergency, cosi' come il costante contributo di De Andre' in favore della pubblicistica anarchica (e in particolare della rivista "A") si legano tra loro e stanno indirettamente alla base di questo strano "prodotto". "Ma la divisa di un altro colore" costa 20 euro; da 3 copie, 19 euro; da 5 copie, 18 euro; da 10 copie, 16 euro, da 20 copie in su', 15 euro. In caso di pagamento anticipato, non si pagano le spese postali. Per pagare anticipatamente, si puo' effettuare un versamento sul nostro conto corrente postale, un bonifico sul nostro conto corrente bancario oppure inviare un assegno non trasferibile al nostro indirizzo postale. Se invece si desidera pagare contrassegno, bisogna aggiungere 4 euro quale contributo fisso (qualunque siano i prodotti richiesti e l'importo complessivo). Naturalmente l'ordinativo - sia prepagato sia in contrassegno - puo' comprendere anche una o piu' copie del dossier "Signora liberta', signorina anarchia" (costo 3 euro l'uno, da 10 copie in su 1,50 euro) e/o del Cd + libretto "Ed avevamo gli occhi troppo belli" (una copia 14 euro; da 3 copie 13 euro; da 5 copie 12 euro; da 10 copie 11 euro; da 20 copie in su' 10 euro). Per eventuali ulteriori chiarimenti, visitate il nostro sito (nella homepage c'e' l'icona di De Andre') o telefonateci. Attenzione. Come il Cd + libretto, anche questo Dvd + libretto e' un numero straordinario di "A", quindi ha l'Iva compresa nel prezzo, non ha ne' scontrino ne' documento di trasporto, puo' essere strillonato e venduto come un periodico qualsiasi. Il dvd ne e' parte integrante. "Ma la divisa di un altro colore" puo' essere acquistato: per corrispondenza (come sopra spiegato); presso numerose sedi anarchiche, centri sociali, ecc.; sui banchetti di Emergency; in una serie di librerie e negozi, il cui elenco aggiornato si puo' consultare sul sito di "A". Si tratta di quelle librerie e di quei negozi che accettano le nostre inconsuete condizioni commerciali, cioe' il conto assoluto (nessun diritto di resa), il pagamento anticipato e uno sconto (massimo) del 25% sul prezzo di copertina. A livello nazionale "Ma la divisa di un altro colore" e' disponibile nei punti-vendita Feltrinelli Librerie, RicordiMediaStores, Feltrinelli Libri e Musica e Feltrinelli Village. Segnaliamo poi la libreria Robin (Biella), l'Unicopli e le librerie Centofiori, Odradek, Utopia (Milano), il negozio di Gianni Tassio in via del Campo e la libreria Voltapagina (Genova), la libreria San Michele (Albenga), l'Info-shop Mag6 (Reggio Emilia), il negozio Tasti Neri (Urbino), le librerie Anomalia, Odradek, Rinascita (Roma). Consultate l'elenco aggiornato sul nostro sito. Per ulteriori informazioni, contattateci: Editrice A, casella postale 17120, 20170 Milano; tel. 022896627, fax: 0228001271, e-mail: arivista at tin.it, sito: www.anarca-bolo.ch/a-rivista, conto corrente postale: 12552204; c. c. bancario 107397, Banca Etica, filiale di Milano, abi 05018, cab 01600. 2. SEGNALAZIONI. LE RELAZIONI DEL CONVEGNO NAZIONALE DELLE CARITAS DIOCESANE Nel sito della Caritas italiana (www.caritasitaliana.it) segnaliamo gli atti del XXIX convegno nazionale delle Caritas diocesane tenutosi ad Orosei dal 16 al 19 giugno sul tema "Scelte di giustizia, cammini di pace". Segnaliamo e raccomandiamo alla lettura le eccellenti relazioni di Francesco Montenegro, Juergen Moltmann, Mauro Magatti, Enrico Chiavacci, Giancarlo Perego, Gregorio Rosa Chavez, Giuliana Martirani, Paolo Beccegato, Vittorio Mozza, Renato Raffaele Martino. 3. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: IL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA DOPO BAGHDAD [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento. Nella Ginatempo (per contatti: nellagin at tiscali.it) e' una prestigiosa intellettuale impegnata nei movimenti delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti; e' docente di sociologia urbana e rurale all'universita' di Messina; ha tenuto per alcuni anni il corso di sociologia del lavoro, svolgendo ricerche sul tema del lavoro femminile; attualmente svolge ricerche nel campo della sociologia dell'ambiente e del territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa in Italia, 1975; La citta' del Sud, 1976; Marginalita' e riproduzione sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello Stretto, 1999. Tra altre che condividiamo pienamente, alcune delle opinioni qui espresse non ci persuadono, e proprio in quanto esse sono assai diffuse nel movimento per la pace ci pare siano segno della necessita' di approfondimenti ineludibili e dell'urgenza di una pienamente consapevole e rigorosa scelta della nonviolenza; a maggior ragione ci pare opportuno proporre questo intervento dell'autorevole pensatrice e militante alla riflessione di tutte le persone che leggono questo foglio] L'incubo della guerra imposta dagli Usa contro il volere della maggioranza dell'umanita', ed oggi questa infamia del dopoguerra in Iraq dove gli occupanti/aggressori stracciano ogni residuo di legalita' e di decenza. Abbiamo perso? Siamo al tappeto come movimento antiliberista e antiguerra? No, io non credo. Non ho mai pensato che avevamo la concreta possibilita' di fermare la potenza piu' armata del mondo, costringendola a desistere da quella strategia lungamente elaborata assai prima dell'11 settembre. L'obiettivo di fermare la guerra era utopico, non illusorio: cioe' era la giusta direzione anche se la meta da raggiungere e' lontana. Cie' che era sbagliato era ritenere, da parte di alcuni, che si trattasse di fermare solo la guerra in Iraq che veniva assunta come paradigma di "una guerra sbagliata", perche' senza giustificazioni umanitarie o di difesa, e fondata su una aggressione arbitraria non autorizzata dall'Onu. L'insufficienza culturale ed etica di questo approccio consiste nella riserva mentale di ritenere che la guerra puo' essere in certi casi un'ultima risorsa (vedi documento dell'Internazionale Socialista) e rivelarsi una guerra giusta a conti fatti, imposta da una superiore ragione. L'errore politico di questa impostazione, invece, sta nel rimuovere il ruolo della guerra preventiva e l'analisi corretta del contesto mondiale successivo all'89, con l'emergere dell'unipolarismo Usa e della guerra permanente globale come strumento di dominio del mondo. Il nuovo ruolo degli Usa, la loro strategia, il nuovo espansionismo militare spacciato per strategia di sicurezza nazionale, la programmazione di una "guerra dei trent'anni" o come ha affermato Kristol (membro del Pnac, Project for new american century) della quarta guerra mondiale, le minacce ad una lunga serie di "Stati-canaglia": tutto cio' non faceva parte delle analisi dei maggiori esponenti del centro-sinistra perche' richiede una vera crisi della loro propria visione del mondo, ancora oggi fondata sul pensiero unico dominante, sull'accettazione della globalizzazione capitalistica come unico mondo possibile e sulla subalternita' agli Usa cui non riescono mai a negare un ruolo progressivo, neanche di fronte all'evidenza. Cosi' come non interpretavano correttamente la guerra contro l'Iraq, oggi queste forze non sono in grado di interpretare il cosiddetto dopoguerra, ritengono che la parentesi cruenta sia finita e che tutto sommato e' meglio far governare l'Iraq agli Stati Uniti che al sanguinario dittatore Saddam Hussein. Invece no. La guerra non e' finita, in Iraq si trasforma in una guerra d'occupazione fondata sul saccheggio di tutte le risorse e sull'espropriazione di tutti i diritti politici, oltre che umani, del popolo iracheno. E se guardiamo l'Afghanistan ci rendiamo conto che il governo fantoccio messo dagli Usa per gestire il territorio, l'oleodotto ed i contratti col consorzio Unolocal (di cui Karzai era stato funzionario) non e' riuscito a pacificare il paese, continua l'occupazione militare del territorio, le repressioni, gli attentati e gli eccidi. I nostri alpini fanno la' una guerra a bassa intensita'. Ed in Serbia, qualcuno si e' preoccupato di analizzare i giganteschi problemi dei profughi, della miseria generalizzata, della devastazione del territorio con le sue risorse ed infrastrutture, dell'inquinamento gravissimo da uranio impoverito con conseguente diffusione di malattie da radioattivita' in vasti strati della popolazione? Ma a Kumanovo la Nato ha costruito la piu' grande base militare dell'Europa dell'est: serve per concretare la sudditanza politica e militare dell'Europa vecchia e nuova al nuovo dominio Usa. Dunque cio' che si rimuove e' la dimensione della guerra (infinita permanente globale) ed il suo significato reale: lo strumento scelto dal paese leader della globalizzazione per governare la crisi economica e di consenso che la globalizzazione porta con se' e che coinvolge innanzi tutto proprio gli Stati Uniti. Per questi motivi dobbiamo guardare alla guerra all'Iraq come ad una tappa, un tassello della guerra permanente globale di cui fa parte integrante il tentativo di controllo del Medio Oriente, dunque la Palestina e tra poco Siria, Libano e Iran e le aree petrolifere di tutta questa parte del mondo. Il controllo del petrolio e' essenziale agli Usa per il controllo della economia mondiale, in un contesto in cui la supremazia del dollaro e' incrinata e le risorse petrolifere diventano piu' scarse. Chi controllera' il petrolio nei prossimi anni avra' il potere di dominare il mondo. Questo elemento ha scatenato fortissime contraddizioni intercapitalistiche tra gli Stati Uniti e i paesi che hanno detto no alla guerra all'Iraq (Francia, Germania, Russia e Cina) e spiegano perche' abbiano deciso di appoggiare l'ondata pacifista. E' un pacifismo che puzza di petrolio e non sappiamo ancora come andra' a finire: dietro il ruolo dell'Onu e la gestione del dopoguerra in Iraq c'e' una guerra commerciale tra governi e tra contratti petroliferi. Le multinazionali e i governi potranno anche trovare degli accordi, lasciando scoperto politicamente il movimento mondiale per la pace. Per questo dobbiamo mantenere una sana lucidita' di analisi e non avere fiducia nei governi, sapendo invece che dobbiamo rafforzare il nostro movimento come una lunga resistenza contro la guerra infinita e tutte le sue tappe, rifiutando i modelli di riarmo europeo o le giustificazioni all'uso della forza, da qualunque parte provengano. Ad esempio, prepararci ad una chiara dissociazione contro la ripresa di nuove crociate contro il terrorismo, che potrebbero essere appoggiate anche dalle forze della "sinistra moderata" e ricominciare in molte parti del mondo, a partire dalla Cecenia, contro la quale si potrebbe accanire il governo russo, assai poco pacifista quando si tratta del suo cortile di casa. * Rilanciare l'opposizione alla guerra infinita Ripartire da quel concetto semplice e radicale che dice: no alla guerra senza se e senza ma. Il che significa no a tutte le guerre, non solo a quelle "sbagliate" cioe' non autorizzate dall'Onu oppure troppo indecenti, perche' senza piu' veli umanitari. Significa dire no per sempre alle guerre umanitarie, alle guerre contro il terrorismo, alle guerre per la democrazia, oppure per disarmare gli altri mentre noi spendiamo miliardi di dollari per armarci fino alle stelle. E su questo io credo che i popoli del mondo hanno cominciato a vincere. E' vero, abbiamo subito una sconfitta militare, ma quando mai avremmo potuto sfidare il gigante Usa sul piano militare? Ma abbiamo segnato una straordinaria vittoria politica il 15 febbraio, ottenendo l'isolamento politico della guerra preventiva, dell'arroganza imperiale di Bush. E soprattutto abbiamo fermato la guerra nelle teste di milioni di persone, cioe' abbiamo cominciato a delegittimare la guerra, a buttarla fuori dalla storia. E' cominciata un'epoca nuova in cui milioni di persone nei cinque continenti hanno iniziato una rivoluzione culturale. Forse le prossime generazioni guarderanno alla guerra come noi oggi guardiamo al cannibalismo o all'incesto. Il problema oggi e' come sottrarre ai governi piu' potenti della terra il potere di guerra, la licenza pubblica di uccidere. Il dominio imperiale del mondo si esprime con la guerra infinita contro i cosiddetti Stati canaglia. Le prime vittime di questa guerra sono i popoli dei paesi poveri, non siamo noi, popoli dell'Occidente. Si tratta infatti di una guerra/genocidio che nega il diritto alla vita per milioni di persone, sottoposte alla morte per fame, per sete, e per bombe. Noi siamo implicati in questa strategia di morte perche' il nostro ricco paese e' complice dell'attuale leadership imperiale Usa e sostiene i nuovi armamenti ed i nuovi bombardamenti. Non e' sufficiente dire che siamo contro le scelte di guerra del nostro governo per tirarci fuori da questa complicita'. Noi siamo il cavallo che viene bardato e frustato per correre ad uccidere i poveri del mondo: non basta la diserzione morale, non basta che rallentiamo la corsa, dobbiamo disarcionare il cavaliere ed invertire la corsa. Infatti le nostre risorse ed i nostri soldati verranno impiegati per la guerra infinita, anche se e soprattutto se ce ne laviamo le mani, sia pure con sdegno e riprovazione. Voglio dire che il no alla guerra per essere efficace deve diventare vero conflitto. Da posizione di principio deve trasformarsi in azione di lotta, sempre nonviolenta ma radicale, coinvolgente, di massa. Il pacifismo della testimonianza ha prodotto poco finora, sul piano dell'efficacia delle decisioni politiche. Come dice Ingrao, siamo confrontati oggi col potere piu' forte e piu' terribile del mondo, quello dell'apparato bellico industriale globale. Davanti ad un potere cosi' autoritario e sovrastante dobbiamo cercare nuove forme di lotta efficaci che non siano piu' soltanto le marce, le sfilate e le preghiere. Conflitto globale contro i signori della guerra. L'obiettivo realistico che dovremmo raggiungere e' quello di muovere contro le scelte di guerra la maggioranza dell'opinione pubblica dell'Occidente attraverso campagne efficaci, radicali nei contenuti, nonviolente nei metodi, maggioritarie nella partecipazione, in grado di danneggiare efficacemente i meccanismi dei poteri di guerra e di rendere evidente l'ingovernabilita' del mondo attraverso lo strumento guerra. Ma chi siamo veramente noi di fronte alla guerra ? Io credo che la nostra opposizione alla guerra come movimento dei movimenti non nasca direttamente dai nostri interessi colpiti. Voglio dire che la nostra esistenza quotidiana e' molto piu' toccata dalla sospensione dei diritti democratici (vedi Napoli e Genova 2001), dalla decurtazione dei salari, dalla disoccupazione e precarieta' generali, dalla abolizione dei diritti sindacali, dall'impoverimento crescente che anche in Occidente progredisce insieme alla forma autoritaria dello Stato. E molto giustamente molti di noi hanno osservato che gli sfruttati dei paesi ricchi e tutto il movimento antiliberista sono nel mirino della repressione globale, cioe' sono le vittime di una trasformazione epocale delle democrazie occidentali verso una forma di Stato militarista che ha distrutto le liberta' e i diritti. Ma credo che i nostri diretti interessi piu' colpiti siano economici, sindacali, politici, cioe' sono bisogni che vanno oltre la mera sopravvivenza. Credo che la maggior parte di noi avverta l'urgenza delle lotte sociali che sono direttamente legate alla nostra quotidianita', al nostro stare nella societa' civile, nei sindacati, nel mondo del lavoro. E' molto difficile invece sentire l'urgenza di un conflitto reale per opporsi alla guerra che i nostri governi portano agli altri popoli. Siamo molto piu' concentrati non a lottare contro la guerra infinita ma contro la piccola guerra di casa nostra. Quella economica e sociale che colpisce noi vittime della ingiustizia in Occidente E' umano e inevitabile che il liberismo di casa nostra ci coinvolga di piu' quando ci privatizzano i servizi sotto casa, ci licenziano o ci condannano all'ete' di quarant'anni alla precarieta' senza sbocco. Dunque l'opposizione alla guerra non puo' che essere un conflitto di tipo nuovo, non basato sugli interessi immediati ma su una rivolta etica generalizzata. Cioe' un conflitto che nasce piu' dai valori che dagli interessi. Una rivolta etica che dovrebbe portare a rifiutare di produrre armi da parte del movimento operaio di tutto il mondo, cosi' come da parte degli intellettuali, scienziati e classi medie in vario modo asserviti al capitale e alla guerra. E, d'altra parte, non abbiamo sempre detto che il movimento dei movimenti e' una novita'? Un movimento contro l'ingiustizia globale, che si batte per i poveri del mondo, un movimento che e' nato con una forte spinta etica. Dunque non una riedizione del vecchio movimento operaio ma un soggetto nuovo che rifiuta le compatibilita' di questo mondo perche' crede in un altro mondo possibile Questa eticita' dell'opposizione alla guerra ne costituisce anche il limite intrinseco. Infatti tanti sono disposti a manifestare e ad appendere le bandiere, ma quanti veramente sono pronti a lottare per bloccare l'invio di soldati, per circondare le basi militari, per esprimere un conflitto piu' diretto? Purtroppo, io credo, ancora pochi, perche' gli interessi immediati o la mera sopravvivenza di noi occidentali non e' messa duramente in crisi dalla guerra agli altri popoli. Dunque ancora a lungo dovremo lavorare come attivisti del movimento per tenere desta e vigile la coscienza di massa, per costruire resistenza, per offrire continuita'. * Saldare le lotte sociali al conflitto contro i poteri di guerra Continuare a rendere visibili alcuni nodi. Ad esempio il nesso che lega il genocidio per bombe al genocidio per fame e sete. La poverta' e l'ingiustizia sociale ed economica per essere imposte a tutto il mondo non occidentale, vista la macroscopica ingovernabilita' degli squilibri in crescita, richiedono ormai solo la guerra militare come bastone di comando. E' il tentativo estremo del capitalismo di imporre questa globalizzazione - che produce miliardi di affamati- per tamponare la crisi economica di sovraproduzione attraverso il rilancio dell'economia di guerra e per affrontare manu militari la crisi energetica, asservendo i paesi arabi al disegno delle multinazionali petrolifere. C'e' poi un nesso che va svelato fino in fondo ed e' quello tra la precarieta' globale nei paesi ricchi d'Occidente e la militarizzazione globale. Faccio un solo esempio. La Fao all'ultimo vertice di Roma ha chiesto 24 miliardi di dollari per dimezzare la fame nel mondo nel 2015. Neanche queste briciole i paesi ricchi d'Occidente sono disposti a dare. Confrontiamo questi 24 miliardi con i quasi 500 miliardi di dollari che costituiscono il bilancio delle spese militari Usa per il 2003. Siamo di fronte non solo ad una gigantesca sproporzione nella distribuzione delle risorse, ma ad una trasformazione epocale dallo Stato sociale allo Stato militarista. Le risorse maggiori verranno destinate a fabbricare armamenti, sottraendole alle spese sociali, alle varie forme richieste di reddito di cittadinanza, di salario sociale ed altre garanzie per i poveri d'Occidente, a partire in primo luogo dagli immigrati. Le spese per la sanita', l'istruzione e tutti i servizi vengono decurtate a favore delle privatizzazioni e questo produce piu' precarieta', piu' licenziamenti, piu' disoccupazione. C'e' dunque un gigantesco spostamento di risorse dall'ex-Welfare al nuovo Warfare. Qui si possono saldare le nostre lotte sociali alle lotte per il disarmo: "contro un Airbus di guerra un milione di eurosalari di cittadinanza" potrebbe essere una buona campagna europea che salda i valori agli interessi e smette di relegare il conflitto per il disarmo nell'angolino della semplice testimonianza. Dovremmo riuscire ad articolare uno sciopero generalizzato che coinvolga tutte le figure sociali contro la precarieta' globale e contro la militarizzazione globale. Dalle spese militari alle spese sociali, non un soldo per la guerra ma case agli immigrati, no alla nuova finanziaria di guerra. Inoltre la politica militare e' l'altra faccia della medaglia della politica economica internazionale. Non possiamo porci come centrale solo il problema della distribuzione del reddito tra le classi sociali dell'Occidente, dimenticando il problema della distribuzione del reddito tra noi e il resto del mondo. Perche' e' proprio qui il nodo: e' questo macroscopico squilibrio tra il reddito del Nord Ovest del mondo e tutti i restanti paesi che produce la guerra. Oggi capire e contestare la globalizzazione significa mettere al centro insieme politica interna e internazionale, politica economica e politica militare, lotte sociali e lotte per il disarmo, neoliberismo e guerra. * Le campagne Cominciamo col disarmare l'economia di guerra a partire da una campagna di boicottaggio dei consumatori contro le benzine implicate nella guerra all'Iraq ( Esso, Chevron, Texaco, Bp-Amoco) e contro i principali prodotti delle multinazionali Usa. Dovremmo dare grande respiro a questa campagna, sul piano internazionale: il nostro no alla guerra dovrebbe volare sull'abbassamento dei titoli in borsa e dei listini prezzi di queste compagnie. Una vera sanzione dal basso contro quegli Stati e quegli interessi multinazionali che hanno innescato il meccanismo della produzione di guerre a mezzo guerre. Questa campagna si collega ad un disegno di lungo periodo che dobbiamo perseguire: la lunga marcia dentro l'economia attraverso la riconversione degli apparati industriali di armi verso usi civili, attraverso il boicottaggio delle banche armate, attraverso il potenziamento del commercio equo e solidale e la Banca Etica. I 110 milioni del 15 febbraio potrebbero essere capillarmente coinvolti in questa campagna che significa diventare attivisti di pace attraverso il mercato mondiale. E i sindacati di tutto il mondo dovrebbero essere chiamati a grandi discussioni e riflessioni sui necessari piani di riconversione delle produzioni di armi perche' "anche se vi credete assolti siete per sempre coinvolti". Ma il meccanismo della guerra militare deve essere compreso non solo nei suoi nessi con le politiche del neoliberismo ma nella sua specificita', nel suo estendersi, nei suoi nuovi armamenti, nel pericolo nucleare, nell'abisso di morti che si spalanca sotto i nostri occhi. E per opporci alla guerra infinita ed ai nuovi armamenti e' necessario andare agli obiettivi: le basi militari da cui partono gli aerei, i nuovi territori dove tengono pronti gli Eurofighter, i cantieri che costruiscono le portaerei, le fabbriche che producono le nuove bombe all'uranio impoverito, le multinazionali come l'Alenia che partecipa alla costruzione di pezzi del nuovo scudo spaziale. Dobbiamo cominciare a creare azioni di conflitto vero contro le fabbriche di morte. Ma non piu' solo le armi leggere come abbiamo fatto a Brescia in occasione della Fiera delle armi Exa. La nostra resistenza contro il riarmo, per un vero disarmo globale, per un'Europa che chiuda le basi militari e inauguri un nuovo modello alternativo di Difesa, basato sulla difesa popolare nonviolenta e sui Corpi civili di pace, comincia dalla nostra contestazione delle basi militari e della loro presenza in Italia. La campagna sulle basi militari puo' cominciare dalla rivendicazione della chiusura delle basi straniere ("gettiamo a mare le basi americane", ricordate?) che e' stata al centro delle lotte del nostro movimento dopo il Social Forum di Firenze ed in collegamento con il trainstopping. E' una campagna che puo' avere molto successo perche' ben legata ai territori ed alla sensibilizzazione delle popolazioni locali e dovremmo lavorare molto per articolarla sulla mappa italiana, per collegarla a livello europeo, per organizzare una periodicita' delle lotte e delle iniziative. Ma e' un terreno cruciale. Disarmo economico e disarmo militare: sono i venti che possono gonfiare le vele della nostra nave, oggi cadute in bonaccia. Ma prepariamoci alla tempesta. 4. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LA MEMORIA COME AZIONE QUOTIDIANA E RIFLESSIONE AUTOCRITICA [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso sull'edizione palermitana de "La repubblica" del 21 maggio 2003. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Ad essere spietatamente sinceri con se stessi, ogni anniversario luttuoso per il movimento antimafia rischia di diventare un incubo. O, per lo meno, una spina inquietante. Da una parte, infatti, si avverte il rischio di assuefarsi al ritualismo, trasformando in atto dovuto - e stereotipato - ogni iniziativa in memoria dei caduti. Dall'altra, pero', basta scambiare due parole con un figlio, o con un allievo a scuola, per constatare come stiano gia' entrando nell'adolescenza le generazioni troppo giovani per ricordare cosa e' accaduto e perche' e' accaduto. Da qui il dilemma: commemorare, pur rischiando l'automatismo dell'ufficialita', o concentrarsi sulle tragedie del presente, accettando l'oblio del passato anche recente? Tra i vari modi di sciogliere il dubbio, per il terzo anno consecutivo l'Associazione di volontariato culturale "Giovanni Falcone" di Palermo propone al movimento antimafia, e a i cittadini piu' in generale, un'ipotesi: in memoria dei caduti di ieri, segnalare all'attenzione pubblica qualche personalita' che si spenda - oggi - per gli stessi ideali. Due anni fa un pastore valdese di origine nigeriana che combatte la tratta delle donne provenienti dalla sua terra; l'anno scorso una donna di Monreale che prova ad offrire nel suo quartiere popolare occasioni di aggregazione e di formazione. E quest'anno? Si e' individuata una figura singolare che a Corleone, da parecchi anni, intreccia instancabilmente la fatica intellettuale (la rivisitazione storiografica di Placido Rizzotto, la fondazione del giornale - prima stampato ora in internet - "Citta' nuove") con l'impegno nel territorio (come funzionario statale, come sindacalista, come animatore d'iniziative politico-culturali). Come i due operatori sociali che lo hanno preceduto nella breve storia della Targa "Falcone", Dino Paternostro e' noto ma non notissimo. Egli appartiene, infatti, a quella fascia di cittadini adulti, consapevoli, attivi che lavorano nel silenzio della quotidianita', lontani dai riflettori, ma che proprio per questo assicurano la continuita' della resistenza contro il sistema di potere mafioso e - secondo il comitato organizzatore - meritano, per un giorno nella vita, di essere additati a mo' di incoraggiamento per loro e per tutti quelli come loro. Per evitare di sostituire con una sorta di agiografia in tono minore l'esaltazione delle vittime canoniche, la consegna annuale della Targa e' stata concepita, anche quest'anno, come occasione per riflettere, a partire da una biografia, su problematiche di contesto. Per questo, la sera del 22 maggio, presso la Chiesa di S. Giovanni dei Napoletani in corso Vittorio Emanuele, la premiazione di Paternostro sara' inserita allinterno di una manifestazione piu' articolata nel corso della quale (oltre a momenti di fruizione artistica curati dal Circolo di cultura cinematografica "Controcampo" e dai professori d'orchestra Massimo Barrale e Marta Pasquini) il deputato Giuseppe Lumia ed il giornalista Tano Gullo avvieranno una riflessione critica sull'esperienza della "primavera" corleonese. "Il coraggio della verita' in terra di mafia" - titolo complessivo dell'incontro - allude certamente al coraggio di denunziare la verita' del prepotere mafioso, ma anche di ammettere lucidamente che errori - individuali o collettivi - sono stati compiuti in quest'opera di denunzia. E' un fatto che anche elettoralmente, nello stupore - si potrebbe dire senza esagerare - del mondo intero, la patria di Liggio e di Riina ha optato per un'amministrazione trasparente e impegnata senza equivoci nella lotta alle cosche. Ma e' un fatto altrettanto evidente - e la cosa non offre minori motivi di riflessione - che gli stessi elettori, dopo una congrua esperienza, hanno rivolto altrove i consensi. Chi sono i nuovi rappresentanti dei cittadini? Perche' sono riusciti a invertire i ruoli fra chi era in maggioranza e chi faceva opposizione? E' un passo in avanti per Corleone o solo il sintomo del tramonto di un'illusione? E se - anche in considerazione dei legami con uno schieramento nazionale che stravolge la legislazione per favorire l'impunita' - non si tratta di un progresso culturale e civile, possiamo solo maledire il vento di destra che soffia impetuoso in tutto l'Occidente o non anche individuare sviste, inadempienze, superficialita' da parte di chi ha avuto in mano le redini del governo locale? Piu' ampiamente: intellettuali, organi di stampa e di informazione, agenzie educative come la scuola e le chiese, magistrati, forze dell'ordine, partiti e sindacati dichiaratamente antimafiosi hanno mantenuto l'occhio vigile e aperto sull'intero orizzonte o si sono in qualche misura ripiegati su obiettivi settoriali e minimali? Insomma: che antimafia hanno fatto e stanno facendo quelli che dicono di averla fatta e di volerla fare? Negli ambienti di centro-destra simili analisi autocritiche non sono frequenti. Si preferisce il trionfalismo ipocrita o, se proprio si deve constatare un fallimento, la gogna con nome e cognome del colpevole del giorno (salvo poi a riabbracciarlo se risulta elettoralmente indispensabile nella tornata successiva). Ma nelle aree progressiste non si puo' rinunziare ai bilanci, rispettosi delle persone quanto impietosi nei confronti degli errori oggettivi. E' questione di stile. E di metodo. E di efficacia della risposta strategica, di lungo periodo, ai mafiosi, ai loro complici e - qualora se ne accertasse l'identita' con ragionevole certezza - ai loro referenti politici. Senza contare che si potrebbe scoprire che la parziale riuscita delle "primavere" siciliane (palermitana in primis) e' interpretabile come metafora del semi-fallimento (o, se si preferisce, del semi-successo) del progetto socialdemocratico in diversi Paesi europei (Italia non esclusa). 5. RIFLESSIONE: THOMAS SCHAFFROTH INTERVISTA ANDRE' GORZ [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 giugno 2003. Thomas Schaffroth scrive su varie testate di lingua tedesca. Dal quotidiano citato estraiamo anche la seguente breve scheda su Gorz: "Andre' Gorz nasce a Vienna nel 1924. Dopo l'annessione dell'Austria alla Germania di Hitler, la sua famiglia, di origine ebraica, lascia il paese per trasferirsi a Parigi. Una decisione che influenzera' molto la decisione di Gorz di scrivere in francese e di non recarsi mai piu' in Germania, anche quando il nazismo sara' sconfitto. Una decisione a cui Gorz rimarra' fedele fino agli anni Ottanta, quando sara' invitato per una serie di seminari da parte del sindacato tedesco dell'allora Germania occidentale. Laureato in ingegneria, Andre' Gorz partecipa attivamente ai primi anni di vita della rivista "Les Temps Modernes" fondata da Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Il suo nome e' legato alla pubblicazione del libro Addio al proletariato (Edizioni lavoro), in cui viene prefigurata la fine della centralita' del lavoro industriale nelle societa' capitalistica come conseguenza della crescente automazione del processo lavorativo. Negli anni recenti la sua bibliografia si arricchisce ancora del libro La strada del paradiso (Edizioni lavoro), del pamphlet a favore della riduzione dell'orario di lavoro Il lavoro debole (Edizioni lavoro), del volume Capitalismo, socialismo e ecologia (Manifestolibri) in cui ipotizza l'incontro tra il movimento operaio e l'ambientalismo, della critica alle nuove forme di sfruttamento presente ne La metamorfosi del lavoro (Bollati Boringhieri) e in Miserie del presente, ricchezze del possibile (Manifestolibri)"; tra le altre opere di Andre' Gorz pubblicate in precedenza: La morale della storia, Il Saggiatore; Il traditore, Il Saggiatore; Il socialismo difficile, Laterza; Critica al capitalismo di ogni giorno, Jaca Book; Sette tesi per cambiare la vita, Feltrinelli; Ecologia e politica, Cappelli] Questa primavera, il teorico della societa' Andre' Gorz ha pubblicato in Francia il suo nuovo libro dal titolo L'immateriel. Connaissance, valeur et capital (Editions Galilee, Parigi, 2003. L'uscita in Italia del volume e' prevista per l'inizio di autunno a cura della Bollati Boringhieri). Dopo l'ultimo testo da lui pubblicato, tradotto in Italia con il titolo Miseria del presente, ricchezze del possibile (Manifestolibri), in questo libro l'ottantenne filosofo sviluppa ulteriormente le sue riflessioni sul "capitale umano", la cui importanza ha ormai superato quella del "capitale materiale". Ma ai fini del sistema capitalistico, il capitale cognitivo puo' avere una funzione solo a condizione di essere privatizzato: un processo che accentua le contraddizioni in ordine alla valutazione del sapere, cosi' come alla sua utilizzazione e trasformazione in capitale. - Thomas Schaffroth: Nel tuo nuovo libro hai messo in forse l'esistenza di una societa' capitalistica del sapere, e la sua stessa possibilita' di esistere. A tuo parere, l'economia cognitiva e il capitalismo sono inconciliabili. Per quale motivo? - Andre' Gorz: Perche' nella cosiddetta economia cognitiva i parametri economici tradizionali non sono piu' validi. La principale forza produttiva - il sapere - non e' quantificabile: la prestazione lavorativa fondata sul sapere non puo' piu' essere misurata in ore di lavoro. E nonostante tutti i possibili artifici, la trasformazione del sapere in capitale - in capitale monetario - incontra ostacoli insormontabili. In breve, le tre categorie fondamentali dell'economia politica - il lavoro, il valore e il capitale - non possono piu' essere definite in termini aritmetici, ne' misurate con parametri unitari. Oltre tutto, proprio in quanto non misurabili, rendono sempre piu' difficile l'applicazione di concetti quali plusvalore, pluslavoro, valore di scambio, prodotto sociale lordo. Quando gli esperti di macroeconomia cercano di quantificare con gli strumenti tradizionali i risultati economici e i trend di sviluppo, in realta' procedono a tentoni nel buio. L'economia cognitiva rappresenta di fatto una crisi di fondo del capitalismo, e prefigura un'altra economia, nuova e ancora da fondare. Ed e' su questo che verte il dibattito in corso a livello mondiale su cosa sia di fatto la ricchezza, e a quali criteri debba corrispondere. L'economia ha sempre piu' bisogno di parametri qualitativi piuttosto che quantitativi. - T. S.: Lo studioso americano Jeremy Rifkin ha sostenuto, nel suo libro L'era dell'accesso, che il capitale cognitivo immateriale ha un ruolo centrale nella creazione di valore, e rappresenta la componente piu' importante del capitale aziendale. Importanti imprese esternalizzano il loro capitale materiale, e vendono ormai soltanto sapere e servizi... - A. G.: In effetti e' cosi'. Ma la parola "sapere" viene usata per definire cose molto diverse tra loro, per le quali non disponiamo di un parametro unitario. Consideriamo innanzitutto le capacita' artistiche, la fantasia e la creativita', molto richieste nell'ambito pubblicitario, nel marketing, nel design, nell'innovazione, dato che riescono a conferire alle merci - anche a quelle piu' comuni - un valore artistico, simbolico e incomparabile. La pubblicita' e il marketing costituiscono una delle maggiori - anzi probabilmente la maggiore industria cognitiva: nella misura in cui attribuiscono alle merci qualita' uniche e incomparabili, le imprese possono vendere i loro prodotti, almeno per qualche tempo, a prezzi maggiorati. Detengono una sorta di monopolio, e si procurano cosi' una rendita monopolistica, aggirando temporaneamente la legge del valore; in altri termini, frenano il calo del valore di scambio delle merci, anche se queste vengono prodotte a costi sempre minori in termini di ore di lavoro e di personale. - T. S.: In questo processo, qual e' il rapporto tra sapere e conoscenza? - A. G.: I saperi, nel senso di competenze e procedimenti tecnici e scientifici, possono avere un ruolo consimile, ma la portata dei loro effetti e il loro valore d'uso hanno un'importanza assai piu' diretta. A differenza delle capacita' artistiche e innovative, le competenze e i procedimenti possono essere trasmessi o formalizzati anche separatamente, da chiunque ne faccia uso; possono essere trascritti in forma digitale e informatizzati per fini produttivi senza alcuna apporto umano aggiuntivo. Da questo punto di vista, il sapere e' capitale fisso, e' mezzo di produzione. Ma rispetto ai mezzi di produzione del passato presenta una differenza determinante: e' riproducibile, praticamente a costo zero, in quantita' illimitata. Per quanto possano essere state costose le ricerche alla sua origine, il sapere digitalizzabile tende a diventare accessibile e utilizzabile a costo zero. Se infatti viene riprodotto e utilizzato in miliardi di copie, i costi alla sua origine diventano praticamente irrilevanti. Cio' vale per tutti i programmi di software, cosi' come per il contenuto di sapere dei farmaci. Se si vuole che funzioni come capitale fisso e consenta il prelievo di un plusvalore, il sapere deve diventare necessariamente una proprieta' monopolistica, tutelata da un brevetto che assicuri al suo detentore una rendita di monopolio. La quotazione in borse del capitale costituito dal sapere dipendera' dall'entita' della rendita prevedibile. Su questa base si possono creare gigantesche bolle finanziarie, che un bel giorno scoppiano all'improvviso. Il crack borsistico, prevedibile fin dalla meta' degli anni '90, dimostra quanto sia difficile trasformare il sapere in capitale finanziario, e farlo funzionare come capitale cognitivo. - T. S.: Hai detto piu' d'una volta che l'economia cognitiva prefigura la necessita' di un'"altra economia", di un'altra societa', la cui possibilita' pratica si sta gia' delineando... - A. G.: Si': il sapere non e' una merce qualsiasi, e non si presta ad essere trattato come proprieta' privata. I suoi detentori non se ne privano nell'atto di trasmetterlo. Quanto piu' si diffonde, tanto piu' ricca diventa la societa'. Per sua stessa natura, il sapere richiede di essere trattato come un bene comune, di essere considerato a priori come il risultato di un lavoro sociale e collettivo. Privatizzarlo vuol dire limitare la sua accessibilita', il suo valore d'uso sociale. Negli ultimi dieci o vent'anni, cio' appare sempre piu' evidente, tanto che in tutto il mondo si e' costituito un fronte anticapitalistico di lotta contro l'industria cognitiva: ad esempio l'industria chimica e farmaceutica, ma anche quella del software, e in particolare Microsoft. Di fatto, il capitalismo cognitivo non si limita a impossessarsi del sapere al quale ha dato origine, ma privatizza anche cio' che e' incontestabilmente bene comune, come il genoma di piante e animali e quello umano. E attinge a costo zero al patrimonio culturale comune per utilizzarlo come "capitale culturale" o "capitale umano". Con il termine di "capitale umano" si designano soprattutto le capacita' umane e le forme di sapere non formalizzabili, che gli individui sviluppano giorno per giorno nei rapporti con i loro simili. A essere strumentalizzate e sfruttate nel "capitalisme cognitif" - come lo definiscono in Francia i teorici vicini a Toni Negri - non sono quindi soltanto le ore di lavoro prestate, ma anche il tempo invisibile dedicato alla propria crescita culturale e umana. Tutte le attivita' individuali svolte al di fuori del tempo di lavoro e finalizzate alla propria realizzazione possono essere dunque considerate attivita' produttive. Quest'attivita' e' diventata quindi una delle principali fonti di produttivita' e creazione di valore. In una vera societa' cognitiva l'economia dovrebbe essere posta al servizio della cultura e della realizzazione di se', e non viceversa, come accade oggi. Del resto, questo concetto lo troviamo gia' in Marx, laddove scrive che la vera ricchezza e' "lo sviluppo di tutte le energie umane in quanto tali, non misurate in base a un parametro precostituito". E' su questo che si basa la rivendicazione di un reddito d'esistenza garantito. - T. S.: Hai detto che anche sul piano pratico si sta gia' delineando un'altra economia, al di la' del capitalismo... - A. G.: Si', ad esempio nei free nets e nella cultura del software con libero accesso ai codici e alle fonti per gli utenti di internet. Del resto, le imprese lavorano ormai in buona parte nell'ambito di reti, e si concertano al momento di prendere una decisione. L'auto- organizzazione, l'auto-coordinamento e il libero scambio sono oggi alla base della produzione sociale; e sono realizzabili senza bisogno di una pianificazione centrale, ne' dell'intermediazione del mercato. I produttori, collegati tra loro in rete, si accorderebbero preventivamente e in maniera mirata per produrre a seconda dei bisogni, e svolgerebbero la loro funzione produttiva come un complesso di "attivita' collettive a priori", scambiando beni e servizi ai quali non si sarebbe conferito previamente il carattere di merci. Il denaro diventerebbe quindi superfluo, e al capitale verrebbe sottratta la sua stessa base. Anche se non sottovaluto certo gli ostacoli ai quali andrebbe incontro uno sviluppo del genere. - T. S.: La societa' cognitiva che hai descritto sarebbe una societa' comunista... - A. G.: Esattamente. - T. S.: Hai rimproverato ai battistrada delle intelligenze artificiali e della vita artificiale di preparare non gia' una societa' del sapere, ma una civilta' post- umana... - A. G.: Questo e' per me un punto importantissimo. Ad esempio, il filosofo berlinese Erich Hoerl ha dimostrato, in una tesi davvero magistrale, che nel corso degli ultimi 150 anni la scienza si e' sempre piu' distaccata dalla realta' percepibile attraverso i sensi: nel mondo reale, un pensiero sempre piu' matematizzante pone oramai in luce soltanto le strutture inquadrabili in termini matematici. Ad esempio, il linguaggio matematico dei calcoli informatizzabili ha contribuito ad alienare non solo la scienza, ma anche il capitalismo dai problemi di senso e dalle interazioni sociali, escludendo come non reale tutto cio' che non e' calcolabile. A forza di processi di pensiero asensoriali e matematici, si e' arrivati man mano a una condizione ambientale e a un tipo di vita che non e' piu', fisicamente e mentalmente, a misura d'uomo. Da questo i detentori del potere desumono la necessita' di creare esseri umani piu' efficienti. La follia del potere economico e militare e l'ossessione efficientista hanno bisogno di intelligenze artificiali, di macchine umane artificiali. Di una societa' del sapere si potra' parlare soltanto quando la scienza e l'economia non saranno piu' assoggettate agli imperativi del capitale, ma perseguiranno obiettivi politici e sociali, ecologici e culturali. Questi concetti sono oggi condivisi anche da un numero ancora esiguo, ma in costante aumento, di esponenti del mondo scientifico. 6. DIRITTI UMANI: NADIA CERVONI: ANCORA DETENUTA LEYLA ZANA [Da Nadia Cervoni (per contatti: giraffan at tiscalinet.it, sito: www.donneinnero.org) riceviamo e diffondiamo. Per contattare il gruppo Donne in nero - donne curde-turche: e-mail: jin-kadin at donneinnero.org. Nadia Cervoni e' impegnata nelle Donne in nero ed in numerose iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza. Leyla Zana, intellettuale kurda, tra le figure piu' significative dell'impegno per i diritti umani, eletta al Parlamento della Turchia, ha subito durissime persecuzioni e la privazione della liberta' per il suo impegno per i diritti del suo popolo, la democrazia e la dignita' umana; e' in corso una campagna internazionale per la sua liberazione] Ankara, 20 giugno, quarta udienza del processo. Silvana Barbieri di "Punto Rosso" che con la delegazione di europarlamenti ha assistito anche a questa udienza mi ha raccontato brevemente al telefono quanto accaduto nella giornata di oggi. La difesa di Leyla e' riuscita finalmente ad ottenere che venissero ascoltati quattro testimoni della difesa, nonostante la determinata resistenza della corte e del procuratore. I testimoni non si sono fatti intimidire e sono riusciti a rilasciare chiaramente la loro testimonianza che tendeva a scagionare gli imputati dall'accusa di terrorismo. La difesa come nelle volte precedenti ha chiesto di nuovo la scarcerazione degli imputati, cosi' come previsto dalla Corte europea per i diritti umani. La richiesta e' stata negata dalla Corte di Ankara che ha fissato la prossima udienza per il 18 luglio 2003, annunciando che dovranno essere sentiti altri testimoni d'accusa. E' parere della difesa che il processo andra' ancora avanti, almeno fino ad agosto, forse si spera in una distrazione vacanziera da parte delle delegazioni internazionali. 7. DIRITTI UMANI. AMNESTY INTERNATIONAL: ANCORA DETENUTA AUNG SAN SUU KYI [Da Amnesty International (per contatti: tel. 064490224, cell. 3486974361, e-mail: press at amnesty.it) riceviamo e diffondiamo. Aung San Suu Kyi , figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha subito dure persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le è stato conferito il premio Nobel per la pace; tra le sue opere: Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, 1996, 1998] Amnesty International ha appreso con preoccupazione la notizia che Aung San Suu Kyi si trova agli arresti nella prigione di Insein, sulla base della Sezione 10(a) della Legge sulla protezione dello Stato del 1975. "Ribadiamo con forza la nostra richiesta alle autorita' di Myanmar di rilasciare immediatamente e senza condizioni Aung San Suu Kyi" - ha dichiarato Paolo Pobbiati, coordinatore Myanmar della sezione italiana di Amnesty International. "Chiediamo inoltre al Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo (Spdc) di rilasciare U Tin Oo, vicepresidente della Lega nazionale per la democrazia e almeno 130 persone che dovrebbero essere a loro volta in stato d'arresto, a seguito degli episodi del 30 maggio, solo a causa delle loro pacifiche attivita' politiche". "Nonostante lo Spdc abbia dichiarato che Aung San Suu Kyi e' trattenuta a tutela della sua incolumita', la dirigente politica e premio Nobel per la pace si trova in realta' agli arresti sulla base di disposizioni che negano i fondamentali diritti umani e la considerano una minaccia alla sovranita' e alla sicurezza dello Stato" - ha denunciato Pobbiati. Amnesty International e' particolarmente preoccupata per il fatto che Aung San Suu Kui si trovi agli arresti sulla base di una legge che permette fino a un anno di detenzione arbitraria, senza accusa ne' processo e senza possibilita' di assistenza legale o di revisione giudiziaria, sulla base di un'ordinanza del potere esecutivo rinnovabile per un massimo di cinque anni. "Tutti i detenuti, compresa Aung San Suu Kyi, devono avere immediatamente accesso ad avvocati, familiari e cure mediche" - ha ribadito Pobbiati, il quale ha aggiunto che Amnesty International non si sente affatto rassicurata dalle dichiarazioni delle autorita', secondo le quali i detenuti saranno rilasciati "al momento opportuno". 8. INIZIATIVE. ACTION FOR PEACE: CAMPAGNA EUROPEA CONTRO LA COSTRUZIONE DEL MURO DI SEPARAZIONE CHE DEVASTA VILLAGGI E CAMPI COLTIVATI PALESTINESI [Da Action for peace (per contatti: info.actionforpeace at tiscali.it) riceviamo e diffondiamo] Iniziato nel giugno del 2000, il "recinto di sicurezza" israeliano sara' composto di reticolati ad alta tensione, filo spinato, barriere anticarro, trincee, muri di cemento armato di 3 metri di altezza, sensori e telecamere a circuito chiuso, torrette di guardia seminate lungo tutto il confine, zone di passaggio e strade percorribili presidiate da checkpoints e posti di blocco. Il governo di Tel Aviv ha dichiarato che il recinto sara' terminato entro un anno dal suo inizio. Circa 15 villaggi palestinesi si troveranno lungo il percorso del muro: questi saranno isolati dal resto del territorio palestinese e dalle proprie terre, che saranno espropriate. Si stima che le terre confiscate ammonteranno a circa 16.000 ettari (quasi tutti nel nord della Cisgiordania). Le terre confiscate comprenderanno frutteti, la maggiore produzione palestinese, terreni coltivabili e pozzi idrici (si prevede l'espropriazione di 30 pozzi idrici durante la prima fase di costruzione del muro, per un totale di circa 4 milioni di metri cubi di acqua). Ricordate il muro di Berlino? Non servono muri e recinti per raggiungere una giusta pace. Per informazioni e per aderire alla campagna: info.actionforpeace at tiscali.it 9. APPELLI. UNA LETTERA DEI REFUSENIKS ISRAELIANI AGLI AMICI PALESTINESI, CONTRO IL TERRORISMO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2003. Il 15 giugno i media palestinesi hanno pubblicato questa lettera firmata da circa 100 obiettori di coscienza israeliani, comprendenti anche donne e riservisti. La lettera chiede ai palestinesi di opporsi al terrore e di lavorare con il movimento pacifista israeliano contro l'occupazione. La lettera e' stata redatta da cinque refuseniks attualmente in carcere per il loro rifiuto di far parte di un esercito di occupazione - Hagai Matar, Matan Kaminer, Adam Maor, Shimri Tzameret e Noam Bahat. Questi cinque giovani stanno per affrontare la corte marziale la prossima settimana a causa del loro rifiuto. Chiedono di svolgere servizio civile anziche' militare. La maggioranza delle dozzine di refuseniks che hanno firmato la lettera, ha passato del tempo in carcere a causa del rifiuto. La lettera e' stata pubblicata integralmente il 15 giugno su "Al Shark El Awsat", "El Hyat El Jedida", "El Quds" ed "El Hayam" e la notizia e' stata ripresa il 16 giugno dal quotidiano israeliano "Haaretz". Per informazioni: shministim at hotmail.com Per un sostegno diretto:conto bancario: 495522 Mizrahi Bank, filiale 024 Kfar-Saba, Israel. La traduzione di questa lettera e' a cura di Ronit Dovrat e Sveva Haertter] Cari amici, noi sottoscritti siamo coloro che rifiutano l'occupazione (refuseniks). Una parte di noi ha rifiutato del tutto il servizio di leva perche' lo riteniamo strumento della politica criminale dell'occupazione portata avanti dal governo israeliano. Una parte di noi ha rifiutato di prestare servizio militare nei territori occupati. Tutti paghiamo un prezzo personale pesante a causa della nostra scelta, molti di noi vengono rinchiusi nel carcere militare per settimane o anche per molti mesi. Facciamo parte di un vasto movimento in Israele, un movimento di donne e di uomini ebrei e arabi che si spendono contro l'occupazione e l'oppressione del popolo palestinese. Come compagni di lotta, abbiamo sentito il bisogno urgente di rivolgerci a voi rispetto a un tema che ci riguarda tutti: gli attacchi che vengono fatti dalle organizzazioni palestinesi contro civili israeliani innocenti. In ogni conflitto e' difficile comprendere l'altra parte, ma proprio come noi dobbiamo ricordare che la maggioranza dei palestinesi non e' composta da terroristi, voi dovete ricordare che la maggioranza degli israeliani non e' composta da soldati di occupazione. Negli attacchi suicidi trovano la morte vittime innocenti - bambini e vecchi, donne e uomini, ebrei, arabi e immigrati, sostenitori ed oppositori dell'occupazione. Queste azioni sono immorali. Sappiamo che, contrariamente a quanto crede la maggioranza degli israeliani, il terrorismo non e' il motivo dell'occupazione. Ma questi omicidi a sangue freddo, che colpiscono in modo casuale ed indiscriminato, terrorizzano la maggior parte degli israeliani fino ad un punto in cui diventa facile per Sharon ed i suoi alleati giustificare l'occupazione. Gli attacchi terroristici rendono i palestinesi detestabili agli occhi dei cittadini israeliani (e di altri a livello mondiale) ed aiuta a convincerli della necessita' di perpetuare l'occupazione. Quindi ogni attacco terroristico allontana il giorno in cui gli israeliani capiranno che l'occupazione deve finire. Noi non viviamo sotto occupazione. Noi non sappiamo come sia vivere per mesi ed anni sotto coprifuoco, senza lavoro e possibilita' di studiare, dignita' ed indipendenza. Possiamo solo provare ad immaginare l'impeto della rabbia e della disperazione causato dall'occupazione e provare ad indovinare quanto deve essere difficile guardare oltre l'uniforme del soldato sul bulldozer, al blocco stradale o nell'elicottero e cercare di trovare un essere umano. Noi rifiutiamo di essere parte delle forze di occupazione, anche per fare in modo che voi possiate vedere gli israeliani come persone come voi, che lottano, che incontrano difficolta' ed a volte riescono a superarle. Noi che rifiutiamo, ci assumiamo le responsabilita' per cio' che avviene nella nostra societa' attraverso l'atto del rifiuto e siamo disposti a pagarne il prezzo. Il prezzo che voi, nostri compagni di lotta della parte palestinese, rischiate di pagare in modo piu' pesante, ma noi crediamo che ne valga la pena. Una lotta palestinese che non comprenda attacchi contro civili sara' quella piu' efficace. Una lotta che colpisca direttamente l'occupazione. Manifestazioni, scioperi generali, azioni congiunte con il movimento pacifista israeliano, tutte queste azioni saranno piu' efficaci di qualsiasi attentatore suicida. L'esercito di occupazione chiedera' senza dubbio un prezzo sanguinoso, ma il mondo presto si accorgera' che le pallottole non hanno il potere di fermare un popolo che lotta per la propria liberta'. La vittoria della lotta contro l'occupazione sara' la vittoria della giustizia e della pace - la vittoria dei palestinesi e degli israeliani. Cordialmente. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 589 del 22 giugno 2003
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