La nonviolenza e' in cammino. 582



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 582 del 15 giugno 2003

Sommario di questo numero:
1. Severino Vardacampi: due volte si'
2. Matteo Soccio: una bibliografia essenziale su sobrieta', stili di vita,
economia nonviolenta
3. Alessandro Marescotti: un libro sull'esperienza delle bandiere di pace
4. Francesca Borrelli intervista Susan Sontag sul suo libro "Davanti al
dolore degli altri"
5. Paola Springhetti intervista Luisa Muraro sul suo libro "Il Dio delle
donne"
6. Maria Luisa Boccia presenta "A piu' voci" di Adriana Cavarero
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: DUE VOLTE SI'
Votero' si' al referendum che, in quanto vi e' di limpido e condivisibile
nelle intenzioni dei promotori, cerca di difendere il diritto alla salute
minacciato dall'imposizione degli elettrodotti.
Votero' si' al referendum che, in quanto vi e' di limpido e condivisibile
nelle intenzioni dei promotori, cerca di difendere i diritti (mi sia
consentito di dire: i diritti umani) dei lavoratori dipendenti delle piccole
imprese.
Votero' si', in uno stato di costrizione che detesto.

2. MATERIALI. MATTEO SOCCIO: UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SU SOBRIETA', STILI
DI VITA, ECONOMIA NONVIOLENTA
[Da "Azione nonviolenta" di gennaio-febbraio 2003 riprendiamo questa
bibliografia a cura di Matteo Soccio, una delle piu' autorevoli figure
dell'impegno di pace e della riflessione nonviolenta]
Sobrieta'
- G. Bologna - F. Gesualdi - F. Piazza - A. Saroldi, Invito alla sobrieta'
felice, 3a ed. Bologna, Emi, 2001.
- G. Bormolini, I vegetariani nelle tradizioni spirituali, Torino, Il Leone
Verde, 2000.
- R. Dahlke, Digiuno e consapevolezza, Milano, Tecniche Nuove, 1999.
- G. Gazzeri (a cura di), Il segreto di Igea. Guida pratica al digiuno
autogestito, 2a ed., Genova, Manca, 1990.
- R. Lejeune, Digiunare. Guarigione e festa del corpo e dello spirito,
Milano, Ancora, 1990.
- A. Nicora, Sobrieta' e castita': virtu' del cristiano, Casale Monferrato,
Piemme, 1997.
- J. Pieper, La temperanza, Brescia, Morcelliana, 2001.
- G. Savonarola, La semplicita' della vita cristiana, Milano, Ares, 1996.
- G. Zanga, Filosofia del vegetarianesimo, Torino, Bresci, 1987.
*
Stili di vita
- C. Baker, Ozio lentezza e nostalgia. Decalogo mediterraneo per una vita
piu' conviviale, Bologna, Emi,2001.
- G. Battistella, Nuovi stili di vita. Intuizioni ed esperienze, 3a ed.,
Bologna, Emi,1997.
- G. Martirani, La civilta' della tenerezza. Nuovi stili di vita per il
terzo millennio, 3a ed., Milano, Paoline Editoriale Libri,1997.
- A. Naess, Ecosofia. Ecologia, societa' e stili di vita, Como, Red/Studio
Redazionale,1994.
- W. Pasini, I tempi del cuore. Lentezza e fretta nella vita e nell'amore,
Milano, Mondadori, 1996.
- P. Sansot, Passeggiate, Milano, Pratiche, 2001.
- P. Sansot, Sul buon uso della lentezza. Il ritmo giusto della vita,
Milano, Pratiche, 1999.
- P. Sansot, Vivere semplicemente, Milano, Pratiche, 2000.
- A. Saroldi, Giusto movimento. Piccola guida al paese inesplorato dei nuovi
stili di vita, 2a ed., Bologna, Emi, 1997.
- T. Troglodita, Uso libero e libero uso. Barattare, regalare, condividere,
ospitare: nuove ricchezze per diversi stili di vita, Milano, Stampa Natura
Solidarieta', 1997.
- B. Vallely, Stili di vita. Manuale di ecologia quotidiana. 1001 modi per
salvare il pianeta, Padova, Muzzio, 2000.
*
Poverta' volontaria, poverta' francescana
- M. V. Breton, La poverta', Milano, Biblioteca Francescana, 1982.
- L. Crippa, Poverta' amata poverta' beata, Milano, Ancora, 1989.
- J. Dupont - G. Augustin, La poverta' evangelica, Brescia, Queriniana,
1973.
- L. Foley - J. Weigel - P. Normile, Vivere come Francesco, Padova,
Messaggero, 2002.
- A. Jacquard, Il valore della poverta'. Un grande scienziato ateo riscopre
l'attualita' del messaggio di Francesco di Assisi, Vicenza, Neri Pozza,1996.
- A. G. Melani (a cura di), La poverta', S. Maria degli Angeli (Pg),
Porziuncola, 1967.
- C. Squarise (a cura di), La poverta' religiosa. Un approccio
interdisciplinare, Bologna, Edb, 1991.
- D. M. Turoldo, Profezia della poverta', Sotto il Monte (Bg), Servitium,
1998.
*
Consumo responsabile
- Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al consumo critico. Informazioni
sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole, 7a ed., Bologna,
Emi, 2001.
- G. Garbillo, Consumo sostenibile. Per consumare solo cio' che e'
necessario, Milano, Stampa Natura Solidarieta', 1996.
- F. Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al
commercio equo e solidale, Milano, Feltrinelli, 2002.
- Movimento gocce di giustizia, Miniguida al consumo critico e al
boicottaggio, 5a ed. Padova, Coop. spes Editrice, 2001.
- A. Valer, Bilanci di giustizia, Bologna, Emi, 1999.
*
Economia nonviolenta
- AA.VV., Denaro e fede cristiana. Testimonianza e fede dei cristiani per un
uso consapevole del denaro, Bologna, Emi, 2001.
- E. Baldessone - M. Ghiberti - G. Viaggi, L'Euro solidale. Carta d'intenti
per la finanza etica in Italia, 2a ed. Bologna, Emi, 2000.
- Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al risparmio responsabile,
Bologna, Emi, 2002.
- M. K. Gandhi, La voce della verita', Roma, Newton Compton, 1991. (Cfr.
cap.: "Idee economiche", pp. 200-247).
- M. K. Gandhi, Il mio credo il mio pensiero, Roma, Newton Compton, 1992.
(Cfr.: pp. 201-275).
- I. Ghizzoni (a cura di), Manuale del risparmiatore etico e solidale, 2a
ed., Piacenza, Berti, 2002.
- T. Perna, Fair Trade, Torino, Bollati Boringhieri, 1998. (Sul commercio
"equo e solidale").
- G. Salio, Elementi di economia nonviolenta, Quaderni di "Azione
Nonviolenta", n. 16, Verona, Edizioni del Movimento Nonviolento, 2001.
- G. Stiz - cooperativa "Il seme", Guida alla finanza etica, Bologna, Emi,
1999.
- Wuppertal Institut (a cura di), Futuro sostenibile. Riconversione
ecologica, nord-sud, nuovi stili di vita, 3a ed., Bologna, Emi, 1999.

3. LIBRI. ALESSANDRO MARESCOTTI: UN LIBRO SULL'ESPERIENZA DELLE BANDIERE DI
PACE
[Alessandro Marescotti e' presidente della rete telematica pacifista
Peacelink (per contatti: sito: www.peacelink.it, tel. 0997303686, e-mail:
info at peacelink.it)]
Il libro "Bandiere di Pace - Il mondo in costruzione", Chimienti editore,
sara' presentato ufficialmente a Roma presso la Sala della Protomoteca in
Campidoglio il 26 giugno 2003 alle ore 10 alla presenza degli autori, tra i
quali Giulietto Chiesa e padre Alex Zanotelli. Invitato a partecipare il
sindaco Walter Veltroni.
Il progetto editoriale e' stato promosso dal Comitato per la campagna "Pace
da tutti i balconi" (www.bandieredipace.org), dall'associazione telematica
PeaceLink (www.peacelink.it) e dall'associazione MegaChip di Giulietto
Chiesa (www.megachip.it).
Dalla politica internazionale al ruolo geopolitico e culturale dell'Italia
nel piu' generale contesto dei rapporti tra Oriente ed Occidente, dal
"progetto" americano alla risposta pacifista, passando attraverso i
sentimenti, i pensieri, le paure, le speranze del "popolo delle bandiere
arcobaleno". Un libro che parla alla societa' e al mondo politico, che si
spinge a delineare le future strategie dell'azione nonviolenta, che vuole
essere il segno tangibile di un'iniziativa di pace che non si arresta.
Si e' ragionato molto attorno alla domanda: come si possono rilanciare le
bandiere della pace?
Una delle risposte e' stata questa: per rilanciare le bandiere e' utile
partire da un libro e da un dibattito appassionato attorno ai suoi temi. Lo
abbiamo fatto soprattutto perche' crediamo che tutte le istanze del popolo
della pace, raccolte simbolicamente nelle bandiere arcobaleno che a milioni
hanno colorato le nostre citta', possono mettere radici salde e durature
solo se si promuove la cultura di pace. Costruire un mondo nuovo e'
possibile.
*
Indice:
- Prefazione di Nicoletta Landi (Comitato "Pace da tutti i balconi");
- Introduzione di don Albino Bizzotto ("Beati i Costruttori di Pace");
- Giulietto Chiesa, La sopravvivenza dell'Impero (il progetto americano, il
ruolo dell'informazione, la Chiesa, i pacifisti. Un'analisi severa e
puntuale della situazione politica internazionale e dei suoi possibili
sviluppi);
- Giuseppe Goffredo, "Scontro di civilta'" o "crisi di civilta'"? (il ruolo
geopolitico e culturale dell'Italia fra Europa e Mediterraneo e fra Oriente
e Occidente);
- Gisella Desiderato, Il simbolo e le testimonianze: I. La bandiera
arcobaleno tra storia e leggenda; II. L'onda che sommerge i leader (si
tratta dei messaggi - circa 4.000 - inviati da coloro che hanno aderito alla
campagna "Pace da tutti i balconi". I messaggi sono stati letti, selezionati
ed analizzati da G. Desiderato. E' la fotografia di un popolo, dei suoi
sentimenti, delle sue paure e speranze, della sua voglia di lottare, urlare,
agire, pregare per la pace. Il database, curato dall'Associazione Peacelink,
puo' essere consultato andando sul sito www.bandieredipace.org oppure
all'indirizzo http://db.peacelink.org/volontari/search2.php?id=5 );
- Carlo Gubitosa e Alessandro Marescotti, Le strategie dei pacifisti tra
efficacia e consenso sociale (una lettura sociologica del movimento
pacifista condotta attraverso un'analisi dei linguaggi e della sua
trasversalita'. La campagna delle bandiere di pace e le sue implicazioni.
Analisi del cambiamento della societa' italiana: il fenomeno pacifista nella
sua percezione sociale e nel suo agire politico. Internet e nonviolenza come
strumenti strategici per organizzare le campagne del movimento pacifista);
- Alex Zanotelli, Questo sistema uccide (non siamo cose, siamo volti),
intervista a cura di Maria Piera Lo Prete (la critica al sistema economico
fondato sul profitto e sulla sopraffazione costituisce l'elemento
fondamentale del messaggio di Zanotelli. Analisi delle caratteristiche del
movimento contro la guerra: forza, debolezza, prospettive. L'esperienza
missionaria in Africa, la fede, la solidarieta' globale)
*
Una parte dei proventi derivanti dalla vendita del libro (corrispondente al
10% del prezzo di copertina) sara' destinato al finanziamento di iniziative
di pace, solidarieta' ed informazione democratica.
Un numero elevato di volontari si e' attivato per la promozione e la
diffusione del libro sull'intero territorio nazionale. A tal fine si sono
costituiti coordinamenti provinciali e regionali con i rispettivi referenti.
Sono state contattate migliaia di persone attraverso l'invio di e-mail
(PeaceLink ne ha inviate poco meno di 15.000). Le risposte sono state
numerosissime e piene di entusiasmo. I contatti, presi allo scopo di
verificare la fattibilita' della realizzazione e diffusione del libro sono
stati incoraggianti, anzi sono andati ben al di la' delle nostre previsioni.
Si e' costruita cosi' una fitta rete di collaborazioni tramite internet.
Cio' ha reso possibile l'organizzazione di incontri territoriali e l'avvio
di un progetto di costituzione di redazioni regionali per le attivita' di
informazione a mezzo stampa. Un risultato importante raggiunto grazie al
lavoro svolto con grande entusiasmo e a tempo pieno da Piero Chimienti.
Attualmente i referenti sono oltre 60, i quali, a loro volta, coordinano le
attivita' di diverse decine di associazioni, gruppi e comitati di volontari
che operano per la promozione e la diffusione del libro.
Siamo solo all'inizio di un'avventura che si muove con le nostre tastiere,
le nostre gambe e le nostre idee migliori.
Il libro sara' in vendita presso le librerie "Feltrinelli", librerie "Il
libraccio", le botteghe del commercio equo e solidale, e presso tutte le
librerie che ne hanno fatto espressa richiesta all'editore. L'elenco e'
riportato sul sito di PeaceLink e su tutti quelli che hanno aderito a questa
iniziativa editoriale.

4. LIBRI. FRANCESCA BORRELLI INTERVISTA SUSAN SONTAG SUL SUO LIBRO "DAVANTI
AL DOLORE DEGLI ALTRI"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2003. Francesca Borrelli si e'
laureata in lettere moderne con indirizzo in critica letteraria, con tesi
sulle Strutture concettuali e iconiche nell'opera di Carlo Emilio Gadda;
all'87 redattrice culturale del quotidiano "Il manifesto", di cui ha
diretto, nella precedente veste grafica, il supplemento libri. Attualmente
e' inviata per la sezione cultura; ha collaborato a diverse riviste
letterarie con recensioni e interviste; nel secondo semestre del 1997 ha
tenuto diversi seminari nelle universita' statunitensi di Yale, Berkely,
Browne, Harvard; ha pubblicato molti saggi, ed ha tra l'altro curato i
volumi di AA. VV., Un tocco di classico, Sellerio, Palermo, 1987; e AA. VV.,
Pensare l'inconscio. La rivoluzione psicoanalitica tra ermeneutica e
scienza,  Manifestolibri, Roma 2001. Susan Sontag - troppo nota per aver
bisogno di presentazioni - e' una prestigiosa intellettuale americana nata a
New York nel 1933; fortemente impegnata per i diritti civili; tra i molti
suoi libri segnaliamo alcuni suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in
Contro l'interpretazione e Stili di volonta' radicale, presso Mondadori; e
Malattia come metafora, presso Einaudi]
Non c'e' forma della rappresentazione - dalla pittura, al cinema, al teatro,
alla letteratura, alla fotografia - che Susan Sontag non abbia
appassionatamente frequentato, indagato, messo alla prova di quel che passa
per essere scontato e al suo sguardo non lo e' mai. Persino l'apparizione
dei primi grattacieli di New York, davanti agli occhi increduli della
attrice polacca protagonista del suo ultimo romanzo In America, si
staccavano con prepotenza dal fondale della nostra immaginazione, ingombrata
da milioni di immagini documentarie e cinematografiche, per avanzare verso
il lettore trascinandolo a una rinnovata meraviglia. Ma forse, di tutte le
arti che hanno catturato l'attenzione di Susan Sontag, la fotografia e'
rimasta nei decenni quella verso cui ha mantenuto una affezione piu'
costante, probabilmente per la seduzione esercitata dal suo carattere di
leggibilita' universale, per l'intrinseca democraticita' del suo valore
testimoniale, che valica le frontiere stabilite dalle lingue e dai
background culturali, sebbene non ci sia evidenza che possa fare a meno
della parola per essere interpretata.
Quando circa trent'anni fa apparve il saggio di Susan Sontag Sulla
fotografia la sua eco fu tale che si riprodusse in una miriade di citazioni,
imitazioni, parafrasi; e non soltanto perche' quasi nulla era stato scritto
fino a allora sull'argomento, ma perche' quel saggio - inaugurale di un
interesse che sarebbe velocemente diventato di moda - conteneva gia' in se'
un panorama dal quale ben poche considerazioni sembravano restare escluse.
Solo apparentemente il libro che esce in questi giorni da Mondadori -
nell'ottima traduzione di Paolo Dilonardo, con il titolo Davanti al dolore
degli altri - riprende la riflessione sulla fotografia per estenderla alle
immagini di guerra: e' piuttosto la storica alleanza tra due messe a fuoco,
quella dell'obiettivo e quella delle armi, a costituire il vero soggetto di
questo saggio.
Fin da quando vennero inventate, le macchine fotografiche stabilirono con la
morte un rapporto privilegiato: negli interni familiari funzionavano a
fissare preventivamente la fisionomia dei propri cari, prima che
diventassero cari estinti, mentre in esterni inseguivano le azioni di guerra
selezionando le atrocita' da mostrare e quelle da occultare; quando non si
dedicarono a ritrarre i prigionieri politici e i presunti avversari
dell'ideologia al potere, pochi istanti prima che venissero fatti fuori. Da
che e' stato possibile, la memoria si affida al fermo-immagine piu' di
quanto ricorra alle sequenze cinematografiche o televisive, perche' - come
ci ricorda Susan Sontag - la fotografia ha l'incisivita' di una massima,
funziona come una citazione, avverte come un proverbio. Il suo contributo al
realismo si nutre di falsificazioni - dalla famosa immagine del soldato
repubblicano ritratto da Robert Capa, all'altrettanto celebre bacio
coreografato da Robert Doisneau: d'altronde, la fotografia "non e' mai solo
il trasparente resoconto di un evento", se non altro perche' "inquadrare
vuol dire escludere", e in fase di stampa i ritocchi sono frequenti. Per non
dire delle potenzialita' aperte dall'era digitale, dove l'arte della
manipolazione e' diventata talmente sofisticata da rendere obsoleta ogni
preventiva messa in scena del fotografo.
La contemplazione di una immagine ci trasforma in voyeur, quando ritrae
violenze e orrori della guerra ci muove a compassione, ma si sa che le
nostre emozioni sono instabili, dunque non possiamo farvi affidamento;
soprattutto perche' - come Susan Sontag ripete piu' volte nel suo libro e
nel corso di questa intervista - "non si dovrebbbe mai dare un 'noi' per
scontato quando si tratta di guardare il dolore degli altri".
*
- Francesca Borrelli: Sebbene lei si sia dedicata con crescente passione
alla tessitura di trame narrative, sembra tuttavia che le sia eticamente
necessario aprire delle parentesi di lavoro da dedicare a altrettanti
affondo nella realta': dall'indagine sulla malattia come metafora alla
ricognizione delle immagini di guerra condotta in quest'ultimo libro. Forse
non e' un caso che anche le sue ultime opere di finzione siano radicate in
un contesto storico...
- Susan Sontag: Proprio cosi', anche se in questo momento ho un dubbio circa
il fatto di avere davvero bisogno di questi intervalli da dedicare a una
indagine etica sulla realta'. Scrivere romanzi mi appassiona di piu', dunque
queste parentesi le sento un po' come un sacrificio. Tuttavia, come ha detto
Oscar Wilde, posso resistere a qualsiasi cosa, salvo alle tentazioni... Ora
che ci penso a posteriori, mi sembra che questo mio libro sia frutto del
destino, ma in realta' e' la conseguenza, appunto, di una tentazione, per
giunta arrivata in una forma anch'essa molto attrente per me: circa due anni
fa mi venne richiesto di tenere una conferenza all'universita' di Oxford
sulla falsariga di un tema che riguarda i diritti e gli errori umani. La
conferenza non era pagata e non era nemmeno previsto il rimborso del
biglietto aereo, perche' i proventi erano destinati a Amnesty International:
tutte condizioni particolarmente tentatrici. Pensai in prima istanza di
scrivere qualcosa sulla guerra - e' questo infatti il vero soggetto del
libro piu' di quanto non lo sia la fotografia - e buttai giu' un primo
canovaccio. Eravamo alla fine di febbraio del 2001, passata la conferenza
pensai che avrei potuto fare di meglio e mi misi a ampliare quella prima
stesura nel corso del successivo anno e mezzo. Intanto ci furono gli
attentati al World Trade Center, una nuova stagione venne aperta dalla
aggressivita' della politica estera di Bush, e tutto questo mi rese piu'
necessario affrontare in modo critico il problema della guerra, che da
sempre mi ossessiona. Dopo essere stata tante volte a Sarajevo credo di
avere una conoscenza della guerra molto piu' profonda che non della
politica. Mi interessava chiedermi quali sentimenti mi provoca, interrogare
le reazioni degli altri, senza limitarmi a esprimere opinioni. E'
incredibile, nonostante tutte le riprese televisive che hanno mostrato
l'assedio di Sarajevo, come in quei giorni ci fossero intellettuali
brillanti, intelligenti, abituati a viaggiare, il cui senso della realta'
non aveva alcun rapporto con la realta' stessa. Mi sono sentita chiedere da
un famoso professore di Oxford quale linea aerea avessi scelto per andare a
Sarajevo, come se fosse possibile sorvolare quello spazio aereo con una
compagnia di volo civile, per poi atterrare in una citta' sottoposta ai
bombardamenti. Prima che partissi, un redattore della "New York Review of
Books" si offri' di mandarmi la rivista nei due mesi in cui sarei stata via.
Gli feci presente che a Sarajevo le poste non funzionavano. Nessun
problema - disse lui - ti mandero' un corriere. Saranno due casi limite, non
so, certo che mi torna sempre in mente la stessa domanda: quando diciamo
"noi" di fronte alla guerra, a chi corrisponde effettivamente questo "noi"?
Mi sembra una entita' un po' sospetta, quanto meno da indagare.
*
- Borrelli: Nel suo saggio Sulla fotografia (Einaudi) lei ha scritto che
come strumento per filtrare il mondo e trasformarlo in immagine mentale, la
stampa sembra meno pericolosa delle immagini fotografiche. La pensa ancora
cosi'? Non le sembra che con la loro evidenza muta le immagini fotografiche
scatenino luoghi comuni, cosiderazioni retoriche, sempre che non occultino
l'inganno di una messa in scena?
- Sontag: Non credo che la fotografia sia piu' pericolosa della stampa,
pero' sono d'accordo che dipende molto dal contesto in cui la si usa. Forse
sarebbe piu' semplice dire che per ricordare sono piu' utili le fotografie,
ma se le si vuole capire abbiamo bisogno delle parole. Con questo non
intendo stabilire una gerarchia, perche' anche quel che si comprende e'
spesso vago, soggetto a variazioni. Nell'aprile del 1945 e all'inzio del
mese successivo vennero scattate le prime immagini a Bergen-Belsen, a
Buchenwald e a Dachau, subito dopo la liberazione dei campi nazisti: ecco,
quelle foto ci mostrano meglio di qualunque racconto una esperienza la cui
crudelta' oltrepassa il limite dell'immaginazione; ma le foto hanno sempre
bisogno di didascalie, devono essere inserite in un contesto di parole. Uno
dei problemi che tratto in questo libro riguarda il modo in cui la storia si
struttura attraverso la memoria fissata nelle immagini.
*
- Borrelli: Infatti, lei scrive che "la memoria collettiva non e' affatto il
risultato di un ricordo ma di un patto", che stabilisce cio' che e'
importante e come sono andate le cose, usando le fotografie come tramite tra
gli eventi e i nostri pensieri.
- Sontag: Certo, se io nomino le Brigate Rosse, immediatamente viene in
mente la fotografia del cadavere di Moro estratto dall'auto, se dico nazismo
penso alle immagini dei campi di concentramento, e cosi' via. Mi sembra che
l'aumento delle informazioni si renda piu' gestibile attraverso delle
fotografie funzionanti come icone; il che apre la strada alla formazione di
cliche', ma non mi sembra cosi' importante. Piu' cruciale sarebbe, invece,
cercare di capire qual e' il livello di manipolazione o di censura al quale
certe immagini sono state sottoposte, e se dietro quelle mistificazioni non
si nascondano altri aspetti della realta', non immediatamente intelligibili.
Inoltre, e' piu' difficile digerire gli orrori e le atrocita' relative a
situazioni storiche non documentate a sufficienza: penso, per esempio, alla
guerra di Corea, della quale non ci sono quasi immagini. Il paese fu
selvaggiamente bombardato, ma non e' un fatto che desto' grande impressione,
proprio perche' non arrivavano fotografie delle rovine. Invece, i villaggi
vietnamiti distrutti vennero ampiamente documentati - per esempio dalle foto
di Burrows pubblicate su "Life" gia' a partire dal '62 - e dunque quella
guerra si e' iscritta nella memoria collettiva come un capitolo
particolarmente violento della storia americana. Siamo cresciuti accumulando
archivi di immagini mentali, che in alcuni casi ci portano a ricordare
diversamente da quanto non faremmo se avessimo soltanto accesso a
informazioni non visive. Ma, in generale, si tende sempre di piu' a sfuggire
le ossessioni visive alle quali le fotografie inchiodano. Non soltanto la
memoria e' fatta di cio' che accettiamo di ricordare, ma talvolta per
rendere possibile una riconciliazione bisogna anche che ci accordiamo sulla
necessita' di dimenticare.
*
- Borrelli: In quest'ultimo libro lei torna su alcune osservazioni, fatte
trent'anni fa, a proposito delle conseguenze che l'inflazione delle immagini
ha sulla nostra capacita' di provare compassione. Allora aveva scritto che
l'impatto emotivo era destinato a diminuire man mano che aumentava la nostra
esposizione al dolore rappresentato nelle fotografie. Oggi dissente da
quelle considerazioni, perche' le sembra che nulla provi la
desensibilizzazione a cui ci sottoporrebbe la nostra "cultura dello
spettacolo". Cosa e' intervenuto a farle cambiare idea?
- Sontag: Faccio mia una frase di Henry James, che diceva di non avere mai
un'ultima parola. Quei saggi ebbero tanta influenza e vennero cosi' tanto
ripresi che e' un po' come se me li avessero strappati dalla pelle. Il fatto
e' che fui fortunata, ereditavo un argomento sul quale esistevano a malapena
due studi, e per di piu' risalivano agli anni '30. Cominciai col domandarmi
in che modo questa nuova forma di conoscenza intervenisse nella formazione
dello spirito moderno, e naturalmente venni catturata da Baudelaire: certo,
non e' stato il primo a riflettere sulla modernita', ma questa analogia tra
l'obiettivo fotografico e l'occhio del flaneur, che va in giro a dragare per
fare acquisti e provarsi sul sesso, mi aveva affascinato. Pero', nemmeno
allora intendevo dire che fosse in atto un processo di desensibilizzazione,
piuttosto mi riferivo al fatto che certe immagini ci eccitano e tuttavia,
dopo un po', ci lasciano indifferenti. Con l'andare del tempo, il mio
interesse per la fotografia ha acquisito una valenza piu' politica,
invecchiando mi sono fatta piu' furba, ho cominciato a interrogarmi sulla
differenza che passa tra "noi", che dalla nostra postazione protetta e
economicamente agiata ci permettiamo di cambiare canale di fronte alla vista
di un telegiornale, e, per esempio, gli spettatori di Al Jazeera. Non credo
che loro condividano il disincanto di Baudrillard per il quale oggi
esisterebbero soltanto realta' simulate. O le dichiarazioni di Andre'
Glucksmann, che arrivo' su un aereo militare a Sarajevo, si trattenne poche
ore e poi se ne venne fuori dicendo che quella guerra era un evento
mediatico. Mi domando come sia possibile essere cosi' scollati dalla
realta', vivere cosi' poco presenti a se stessi e alla storia.
*
- Borrelli: Nelle prime pagine del suo libro lei scrive: "Per i militanti
l'identita' e' tutto". Sembra che l'identita' sia diventata una variante
della religione, e si sa che in nome della religione sono state scatenate,
nel corso della storia, molte delle guerre piu' sanguinose. Non crede che
questa retorica dell'identita' sia diventata particolarmente pericolosa?
- Sontag: Non so se l'identita' stia diventando una religione, ma di certo
la religione e' un fattore identitario al quale la costruzione della
modernita' dovrebbe opporsi. Per me e' un puzzle, non so da che parte
entrarci dentro. Probabilmente, questa nuova rivendicazione di identita' ha
a che vedere con il tramonto della politica. D'altronde, mentre sembrerebbe
avviarsi in Europa un proceso di laicizzazione, in America si fa ricorso ai
valori cristiani sempre piu' spesso. Lo sa come ha risposto Bush alla
domanda su chi fosse il suo filosofo preferito? "Gesu' Cristo" - ha detto.
Per tornare alla questione dell'identita' - non importa se di gruppo,
etnica, politica o sessuale - non c'e' dubbio che ci sia anche un problema
di rappresentanza. Negli Stati Uniti, il 30 per cento della popolazione e'
contro Bush, ma nessuno rappresenta i loro interessi. Inoltre, nuove
identita' vengono create dalle trasformazioni del mondo del lavoro, oppure,
in Europa, dalla moneta unica.
*
- Borrelli: Lei fa un accenno, nel libro, al problema di una ecologia delle
immagini. Almeno in alcuni casi, per esempio, e' prevedibile che i primi
spettatori delle fotografie che documentano orrori e morte siano i parenti
delle vittime di quegli orrori e di quelle morti. Crede sia auspicabile un
limite alla diffusione di alcune fotografie particolarmente cruente?
- Sontag: No, i sentimenti dei parenti delle vittime non giustificano la
censura. Ne' si puo' tenere conto di questioni di buon gusto nel fare vedere
come vanno le cose in alcune aree del mondo. Sono una libertaria radicale;
anche nel caso di fotografie pubblicitarie, come ne ho viste tante in
Italia, che secondo me rappresentano un gratuito insulto alla dignita' delle
donne. Ci sono casi in cui alcune immagini vengono mostrate solo per fare
cassetta, me ne rendo conto, tuttavia se si comincia a distinguere cosa
censurare e cosa no ci si mette in una posizione di debolezza. La verita' e'
che gli scrupoli intervengono sempre quando si tratta di mostrare il dolore
di chi ci e' vicino, mai quando si documentano atrocita' perpetrate in zone
remote del mondo. Sul "New York Times", nel novembre del 2001, vennero
publicate tre foto a colori di Tyler Hicks che mostrano, in sequenza, un
soldato talebano trovato ferito in un fosso dalle truppe dell'Alleanza del
Nord, poi denudato e finito dai soldati accorsi per massacrarlo. Forse si
pensava che a Kabul non ci fossero degli Internet-cafe' dove i parenti del
soldato talebano avrebbero potuto accedere a quelle immagini? Non ci si e'
posti il problema. Invece, le fotografie delle persone che si buttavano
dalle torri del World Trade Center sono state viste in Europa molto prima
che ne venisse consentita la diffusione in America. Il video che riprendeva
il giornalista americano Daniel Pearl, rapito a Karachi, poi costretto a
confessare di essere ebreo e dunque sottoposto a un massacro rituale, venne
tolto dalla circolazione con il pretesto che avrebbe ulteriormente
addolorato la vedova. Ma quello stesso video conteneva anche altri
materiali, tra cui immagini di bambini palestinesi uccisi dai militari
israeliani, dunque vederlo dava informazioni utili.

5. LIBRI. PAOLA SPRINGHETTI INTERVISTA LUISA MURARO SUL SUO LIBRO "IL DIO
DELLE DONNE"
[Dall'ottimo sito della Libreria delle donne di Milano
(www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo articolo apparso sul
quotidiano "Avvenire" del 12 marzo 2003. Paola Springhetti, acuta e
sensibile giornalista e saggista, e' direttrice de "La rivista del
volontariato". Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte
della comunita' filosofica femminile di "Diotima". Dal sito delle sue
"Lezioni sul femminismo" riportiamo una sua scheda biobibliografica: "Luisa
Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel
1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e'
laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito
di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta
dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976
lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha
partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli.
Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia
Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini,
che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona
parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli,
Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla
Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine
simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza
divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000).
Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che
pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed
alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei
volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata
madre nel 1966 e nonna nel 1997"]
Il "Dio delle donne" e' quello delle mistiche che hanno vissuto esperienze
religiose talmente intense da rasentare, a volte, l'inenarrabile. I testi di
queste donne, secondo la filosofa Luisa Muraro, sono un "filone d'oro" che
scorre dal Medioevo ai nostri giorni: un filone ancora da scavare. Ad esso
Muraro attinge per il suo ultimo libro che si intitola, appunto, Il Dio
delle donne, ed e' in uscita da Mondadori (pagine 184, euro 15).
Per riuscire a narrare la loro esperienza le mistiche, a partire dalle
"scrittrici beghine" del secolo XIII, ricorrono alla lingua materna, non a
quella colta normalmente usata per la teologia. La lingua materna, infatti,
sembra piu' adatta a raccontare un Dio piu' incontrato che pensato, piu'
esperito che analizzato. E' cosi'? "Si', e' un Dio piu' vissuto che
studiato", risponde Muraro. "Per capire il 'piu'', teniamo conto che,
escluse alcune contemporanee (Simone Weil, Etty Hillesum, Clarice
Lispector), queste donne sono vissute in una civilta' religiosa. L'incontro
con Dio le fa incontrare con qualcuno di cui gia' sapevano: lo riconoscono
infatti, ma hanno la sorpresa di scoprire che invece non ne sapevano niente.
E' l'incontro con un gia' noto che si rivela essere un ignoto e che tale
restera', in un costante rinnovarsi di questo senso di familiarita' che cede
allo stupore della presenza dell'altro, nuovo e incomprensibile. Fatta
l'esperienza dell'incontro, loro vivono per farlo capitare di nuovo nella
loro vita e a questo mondo. Restano 'incinte di Dio'".
Nel libro c'e' un'espressione che mi ha colpito: quello delle donne e' un
Dio che si puo' 'usare'. "'Usare Dio', 'essere usati da Dio', sono formule
che ho trovato in un testo, La passione secondo G. H., il capolavoro di
Clarice Lispector, brasiliana di origine ebreorussa, pubblicato nel 1964.
Queste sue formule hanno una singolare rispondenza con quello che, in quegli
stessi anni, insegnava lo psicanalista inglese Winnicott. 'Essere trovati ed
essere usati, e' il meglio che possa capitarci', diceva ai suoi colleghi.
Non e' questa una frase perfetta per la relazione tra Dio e la creatura
umana?".
L'incontro con Dio presuppone "la liberta' dall'ansia di indagare,
dimostrare, testimoniare l'esistenza di Dio". In che misura e' una liberta'
tipicamente femminile? Risponde Muraro: "Non c'e' niente di 'tipicamente
femminile', perche' donne e uomini siamo creature libere. E' vero che,
storicamente, l'ansia di affermare l'esistenza di Dio (o di negarla), si
registra fra gli uomini e non fra le donne. Nella societa' femminile, per
l'esperienza che ne ho, non ci sono separazioni di fede ne' problemi
interconfessionali. Quest'atteggiamento non e' dettato da indifferenza. Ha a
che fare con il 'dire Dio': da parte femminile, questo dire assume
volentieri le caratteristiche di un segreto e di un sottinteso, qualcosa
che, all'occorrenza, puo' essere taciuto, per lasciare la porta aperta alle
relazioni con le altre, gli altri, ben sapendo che, se Dio esiste, da quella
porta ci passa anche Lui (o Lei). Quello che m'interessava far risaltare,
era la possibilita' di un sapere che non fa questioni di vero/falso, non per
relativismo ma per lasciare che altro si faccia conoscere, cosi' che il vero
di cui abbiamo bisogno trovi le parole per dirsi secondo il contesto e le
relazioni".
Le scrittrici beghine testimoniano la felicita', il senso di pienezza che
prova chi incontra Dio. In che modo si pongono il problema del male? "Molte
di queste scrittrici conoscono il nome e l'insegnamento di sant'Agostino. Lo
seguono nella liberta' dell'amore, non nel suo pessimismo. La loro idea di
fondo e' che niente e nessuno, per finire, resistera' alla bonta' divina.
L'inglese Giuliana di Norwich ha elaborato una mirabile teologia della
maternita' di Dio a partire dall'intuizione che tutto e' bene, tutto finira'
bene. In questo mondo, lo sappiamo, esiste una fascinazione del male.
Giuliana insegna che Dio non la subisce, che il suo sguardo non si fissa sul
peccato, ma sulla sofferenza del peccato. Dio non mi chiede conto del male
che ho fatto, dice, e io non gli chiedero' conto del male che e' entrato in
questo mondo creato da Lui. Questo sguardo che non si fa affascinare dal
male, si ritrova, ai nostri giorni, nelle lettere e nel diario di Etty
Hillesum".
E quando il Dio che si e' cercato di incontrare si allontana, che cosa resta
da fare? "Gli studiosi di mistica parlano, per questa esperienza, di 'notte
oscura', sulla scia di san Giovanni della Croce. Io ho seguito un'altra
strada, che e' di ascoltare in ogni testo il racconto della storia personale
dell'autrice, e di non separarla dalle comuni storie d'amore. In generale,
ho cercato di togliere l'esperienza delle mistiche dalla eccezionalita' in
cui e' stata isolata, per creare invece un circolo ermeneutico tra quello
che esse raccontano e quello che accade a una donna qualsiasi. Citando
Margherita Porete, il fascino della scrittura mistica non e' nella dottrina,
ma nella ricerca delle parole per raccontare una vicenda che ha la
caratteristica di essere".

6. LIBRI. MARIA LUISA BOCCIA PRESENTA "A PIU' VOCI" DI ADRIANA CAVARERO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2003. Maria Luisa Boccia e'
docente di storia della filosofia politica all'Universita' di Siena, e
vicepresidente del Centro studi per la riforma dello Stato; tra le opere di
Maria Luisa Boccia: L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi,
1990; (a cura di), La legge e il corpo, 1997; (con Grazia Zuffa), L'eclissi
della madre, 1998; La differenza politica, 2002. Adriana Cavarero e' docente
di filosofia politica all'Università di Verona; dal sito "Feminist Theory
Website: Zagreb Woman's Studies Center" ospitato dal Center for Digital
Discourse and Culture at Virginia Tech University
(www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala, riportiamo
questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume: a) libri:
Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il filosofo e
il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino 1976; La
teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984;
L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento
1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990. (traduzione tedesca:
Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione inglese: In Spite of
Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York 1995); Corpo in figure,
Feltrinelli,Milano 1995; Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei,
Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997;
Adriana Cavarero e Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe,
Paravia, Torino 1999. b) saggi in volumi collettanei: "Politica e ideologia
dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una storia del moderno
concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119; "Giacomo I e il
Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e teoria dello Stato
all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980,
pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il politico. Da Hobbes a
Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp.
705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in Itinerari e
prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria
contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il contratto
sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il
Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza
sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der
Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener
Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza
sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp.
173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian
Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991);
"Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica,
Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere
al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione
spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria
y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in
Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111;
"Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in
Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and
Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp.
187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita,
a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia
dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di
Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B.
Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della
corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp.
15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la
Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994,
pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in
Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp.
15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di
Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il
segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di
Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der
Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia
Stoller und Helmuth Vetter, WUV-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226;
"Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie
femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino
1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah
Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225]
La sfida del presente, riassunta nel termine globalizzazione, viene da piu'
parti valutata in termini di una forte, probabilmente irreversibile, crisi
della modernita', del suo orizzonte di senso, delle sue categorie; in primo
luogo dell'ordine politico, quale progetto, e del suo soggetto, l'individuo
autonomo e razionale. Altrettanto forte e diffusa e' pero' la tendenza a
rivolgersi proprio al nucleo essenziale della modernita' per misurarsi con
quella sfida, in particolare per contrastare e vincere le reazioni
regressive.
Indicativo di questa ambivalenza e' soprattutto il tentativo di coniugare
globalismo e universalismo, riproponendo su dimensione planetaria il legame
politico democratico che riconduce l'intera costruzione dello Stato, e il
senso e funzionamento della politica, allo "slegamento costitutivo", proprio
di una societa' atomizzata. Per individui eguali e liberi che non hanno
niente in comune, la razionalita' comunicativa, il linguaggio con le sue
norme procedurali, il suo sistema di segni e significati, viene a essere il
solo "legame degli slegati". Sebbene si postuli universale, la normativita'
linguistica si dimostra fragile alla prova dell'urto delle molteplici
istanze identitarie, delle attive mitizzazioni di appartenenze comunitarie
originarie, ovvero fondate altrimenti che sulla politica, anzi volte a
vanificare l'intera mappa della sovranita' e della rappresentanza.
Per rispondere alla sfida, dunque, e' necessario spingersi a "ripensare la
politica, a partire da un ripensamento radicale dell'ontologia e percio' del
rapporto paradigmatico fra parola e politica".
L'intento di radicalizzare la crisi della modernita', "senza eccezioni", per
pervenire a un diverso "nucleo generativo e simbolico della politica" viene
esplicitamente dichiarato da Adriana Cavarero, nelle pagine conclusive del
suo libro (A piu' voci. Filosofia dell'espressione vocale, Feltrinelli, pp.
269, euro 20). La tesi, indiscutibilmente forte e controcorrente rispetto
all'approccio post-moderno, prevalente nel pensiero contemporaneo,
filosofico e non solo, di stabilire un transito, tramite la parola,
dall'ontologia alla politica e', viceversa, enunciata in apertura. E' questo
infatti il percorso che Cavarero sceglie, dal quale fa dipendere l'intera
costruzione del testo. Non e' un aspetto marginale. Piuttosto conferma e
sostanzia titolo e sottitolo e soprattutto, la tematizzazione della voce, in
chiave di priorita', non  discorsiva o contenutistica, ma per l'appunto di
radicale rovesciamento di prospettiva, rispetto sia alla tradizione
metafisica, che sostiene quasi interamente il "macrotesto" occidentale, sia
all'antimetafisica che costituisce la trama comune della messa a tema,
perfino ossessiva, nel Novecento, del linguaggio, e del suo potere
costruttivo del reale.
*
Sulla tradizione metafisica, sulla scena inaugurale della filosofia greca,
primo Platone, Cavarero lavora a lungo, con pazienza e sapienza, mentre sono
per lo piu' sottesi i riferimenti alle filosofie postmoderne.
Significativamente la trama del discorso novencentesco evidenzia altri fili,
altre scritture: i grandi narratori - Calvino, Borges Kafka, Blixen -, il
pensiero femminile/femminista - Arendt, Kristeva, Cixous -, i pensatori che
criticano la tradizione metafisica, avvalendosi, in vario modo, dell'altra
radice fondamentale dell'Occidente, quella ebraica - Arendt ancora,
Rosenzweig, Levinas. Fa eccezione l'appendice, "Dedicato a Derrida", dalla
cui metafisica della presenza, l'"ontologia vocalica dell'unicita'", che in
questo testo si enuncia e prende forma, diverge nettamente.
Perche' la voce, dunque, non come oggetto di studio, importante o preferito,
ma come ontologia? Perche' la voce e' stata ignorata, combattuta, temuta,
condannata alla insignificanza proprio nel linguaggio.
Dunque la storia della tradizione metafisica deve essere riletta come "la
strana storia della devocalizzazione del logos". Come con piu' felice
espressione recita la prima parte del libro, si tratta di ricostruire "come
il logos perse la voce". Quali furono i passaggi, le modalita', l'attitudine
filosofica che portarono a fondare la parola nel pensiero, nel "significato
mentale", separandola dai parlanti, riducendo la vocalita' a componente
fonica del linguaggio, a funzione e strumento? Il proprio della voce, al
contrario, "sta nell'unicita' relazionale di un'emissione fonica che (...)
porta a destinazione il fatto specifico umano della parola".
La questione cruciale, per Cavarero, e' questa destinazione; ma indagare la
parola dal lato della voce e' qualcosa di piu' e di diverso, di
un'inversione prospettica. Se per un verso ci permette, anzi ci obbliga, a
riconoscere che "c'e' parola, perche' ci sono dei parlanti", per altro
verso, piu' radicalmente, la vocalita' comunica un "chi", prima e piu' di un
"che cosa". Dunque la parola a cui e' destinata non e' piu' quella
codificata, imprigionata nell'ordine dei significati, ma e' una parola
innanzitutto relazionale.
*
Cavarero per evidenziare l'importanza di questo diverso approccio alla
parola, e dunque al problema stesso del comunicare e significare, ricorre,
in piu' punti del testo, e sempre in quelli teoricamente decisivi, al
termine risonanza.
Nella parola risuona l'unicita' del parlante: grazie alla materialita' del
fenomeno vocale, dell'emissione, e grazie alla materialita' del fenomeno
acustico, la risonanza che inerisce al suono, transita nella parola. Nella
parola la voce non e' puro suono, emissione di un significato che si genera
altrove - nella mente, nella coscienza, in un processo solitario e muto -,
ma rivela chi parla e dunque instaura la relazione, come prerequisito,
assieme all'unicita', del linguaggio.
Ma poiche' unicita' e relazionalita' sono requisiti che legano il linguaggio
alla contingenza, ai corpi innanzitutto, ma anche ai contesti, hanno
rappresentato un ostacolo del quale liberarsi. Si potrebbe dire con qualche
ragione, se ci soffermiamo a considerare tutte le conseguenze della
posizione opposta, quella di Ireneo Funes, personaggio di Borges, del quale
Cavarero propone una lettura fine e acuta, quale perfetto antimetafisico,
speculare a Platone. Per Funes infatti il linguaggio e' insensato, prima
ancora che passibile di falsificazione, proprio perche' riassume in uno
stesso nome la molteplicita' empirica, la realta' infinita delle cose, e
delle forme, mai simili a se stesse, tantomeno riconducibili a uno stesso
genere o classe.
*
La priorita' della voce, sulla quale Cavarero insiste, non ha come scopo la
voce stessa, la voce in generale; e solo in parte dipende dalla sua
corporeita'. Non e' problema di corpo invece che di linguaggio, ne' di
rilegare l'uno all'altro, o di giocare la potenza del primo - pulsioni,
istinti, inconscio - per sovvertire il secondo, per opporre godimento a
disciplinamento, come alcune e alcuni prefigurano. Per Cavarero la voce e'
cruciale per contrastare la metafisica, ovvero un ordine del linguaggio e
della significazione fondato sull'idea, sul regime visivo della
rappresentazione, sull'astrazione del concetto, che purifica il processo
stesso della significazione da ogni traccia, suono, ovvero pretende di fare
a meno dell'ingombro, imbarazzante, dell'unicita' dell'essere umano
incarnato.
Si puo' dire che l'ontologia vocalica presuppone l'unicita' e allo stesso
tempo la ancora nell'orizzonte del senso, non solo della materialita'. Se
viene privilegiata la voce e' proprio perche' consente di tenersi alla
finitezza (senza cui e' ingannevole qualsiasi dire attorno l'unicita') senza
dover sacrificare al suo statuto contingente la possibilita' stessa della
parola, direi la sua apertura alla continua ricerca di senso e
all'invenzione di significati.
*
Molto altro sarebbe necessario dire sulle prime due parti del libro, nelle
quali Cavarero riscrive la storia maggiore del logos che ha perso la voce, e
quella minore della voce, inevitabilmente femminile, anche se e' emessa da
un uomo o da un essere divino, che attrae seducendo, perche' sottrae la
parola all'esigenza di significare, secondo il regime visivo-concettuale del
pensiero.
Posso accennare solo a una, quella del rapporto tra voce e scrittura, tra
parola scritta e parola verbale. Si tratta, evidentemente, di questione
diversa, da quella del rapporto tra oralita' e scrittura, qualora fosse
pienamente ricollocata nella prospettiva dell'unicita', della quale la voce
dice a un tempo l'esserci e la sua disposizione relazionale, dunque la sua
costitutiva destinazione alla parola.
Un interrogativo e' se dobbiamo far discendere dall'originarieta' del
vocale, che la scrittura, come pratica e come testo, resta consegnata al
semantico inteso come ordine linguistico che strutturalmente tende a ridurre
l'unicita' a superfluo, a sostituirla con gli "enti fittizi" della
soggettivita': uomo, individuo, coscienza, io.
O, viceversa, la parola risuona del vocalico, anche nella scrittura? Detto
altrimenti, posso sfidare l'ordine dei significati, il potere del
linguaggio, posso fare e disfare i significati, nelle diverse pratiche della
parola, verbali e scritte?
Da questo punto di vista la sfida piu' ambiziosa, quella che investe il
"macrotesto" della tradizione, come puo' non tradursi in pratiche testuali,
che configurano un differente equilibrio - instabile e non definitivo, ma
pur sempre equilibrio - tra parola, unicita' e relazione generando una
diversa forma della significazione oltre che differenti testi?
*
Torno brevemente al rapporto tra ontologia e politica. Il "nucleo generativo
e simbolico della politica" che Cavarero trae dall'ontologia dell'unicita',
riprende e radicalizza la concezione di Hannah Arendt, di uno spazio (infra)
che unisce e separa la pluralita' dei singoli e delle singole, e che si
costituisce non come sfera determinata di bisogni e rapporti, ma
sull'interagire che motiva ciascuno e ciascuna, innanzitutto a comunicarsi,
a riconoscere e riconosceri quale pluralita' di voci: polifonia. Questo
spazio - qui l'attualizzazione proposta - e' oggi piu' possibile configuralo
come spazio non territoriale, non definito da confini, da patti e logiche
identitarie, ma come polis, senza geografia, "locale assoluto", lo chiama
Cavarero, generato e perpetuato dal comunicarsi tra parlanti, deprivato di
ogni sostanza comunitaria. Una via d'uscita, insomma, sia dall'universalismo
che dal comunitarismo.
Non da ora sono convinta dell'attualita' e perspicuita' della concezione
arendtiana della politica, per ripensarne forme, pratiche e significati nel
presente. Ma per Arendt, come ricorda Cavarero, ontologia e politica non
coincidono. Detto altrimenti, non c'e' rispondenza immediata tra l'esistenza
delle unicita' e l'agire politico, come condivisione di uno spazio, di un
inter-esse, con e tra altri ed altre. A unire e dividerci tutti e tutte,
dice Arendt, e' la preoccupazione per il mondo, ovvero per le condizioni
potremmo dire, fattuali, comunque durevoli, ma non immodificabili, nelle
quali si pongono, e con le quali si commisurano, le relazioni.
In questo senso, la questione del "che cosa", cioe' dei contenuti dell'agire
politico, della parola che, per Arendt, e' atto politico per eccellenza, e'
centrale, niente affatto secondaria. Questo unisce e divide i parlanti,
organizza le relazioni e le pratiche nello spazio comune, secondo linee non
coincidenti con quelle tracciate dalle regole democratiche, ma neppure lo
rende un luogo aperto, indistinto, della relazionalita'.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 582 del 15 giugno 2003