intervista alla figlia di Jon Cazacu



Care e cari, nel sito di "MIGRA" c'è questa lunga intervista alla figlia di
Jon Cazacu; se desiderate farla girare noi ovviamente ne siamo felici
           (ciao da Daniele e dal resto della redazione)

Jon Cazacu, bruciato per la seconda volta.

di Sabatino Annecchiarico

sommario: A 3 anni dalla morte di Jon Cazacu, arso vivo dal padrone
dell'azienda dove lavorava, la Cassazione ha annullato due sentenze di
condanna nei confronti dell'assassino, Cosimo Iannece Nelle parole della
figlia, la delusione, il dolore, il ricordo, il dispiacere per le figlie
dell'uomo che uccise suo padre….

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Il 14 marzo del 2000 veniva bruciato vivo Jon Cazacu (ingegnere rumeno che
lavorava da operaio) nella località di Gallarate, in provincia di Varese
(una delle più ricche dell'Italia): aveva preteso dal suo datore di lavoro
Cosimo Iannece un trattamento dignitoso per il suo lavoro da piastrellista.
Una richiesta che lo mettesse più vicino ai diritti già acquisiti dai
lavoratori italiani.<br>Jon Cazacu, dopo un mese di atroci sofferenze
dovute alle bruciature che coprivano quasi il 90 per cento del suo corpo,
morì all'ospedale Gaslini di Genova. <br>A tre anni della sentenza, che
aveva condannato Cosimo Iannece a 30 anni sia in primo che in secondo grado
(con il rito abbreviato evitando così l'ergastolo) la Cassazione l'annulla
per "carente motivazione", da parte dei giudici, sulla effettiva volontà
d'uccidere dell'imputato.<br><br>

"Sono assolutamente sbalordita" afferma Florina Cazacu, figlia maggiore di
Ion Cazacu: "non mi aspettavo una cosa simile. Non me lo aspettavo da loro:
dalla giustizia. Affermano che non hanno avuto abbastanza prove per
giudicare l'omicidio volontario. Non vorrei creare una polemica e
intervenire nelle decisioni prese dai giudici: voglio credere che sappiano
bene cosa hanno fatto. Ma mi sembra un po' strano, e non vorrei essere
fraintesa: se uno porta benzina a casa di mio padre, gliela versa addosso e
con il proprio accendino gli dà fuoco, cos'altro serve per capire se c'è o
non c'è un omicidio volontario? Ripeto, non vorrei che questa mia
osservazione qualcuno la prendesse per il verso sbagliato. Per me, anche se
non posso essere obiettiva in questa storia, mi sembra sufficiente la prova
dei fatti. Comunque, i giudici hanno preso questa decisione e avranno le
loro ragioni".<br><br>

<i>Cosa significa per voi familiari questa decisione della Cassazione?</i><br>

Che dovremmo cominciare tutto da capo, tornando a Milano. Vedo la mia mamma
stanca e distrutta. Lei era convinta che tutto fosse finito. C'è un
abbattimento anche psicologico e morale. Il fatto stesso di tornare a
Milano, non le dà pace. Per noi è molto difficile questo nuovo passaggio.
Vorrei che finisse subito tutto.<br><br>

Florinda Cazacu, 21 anni, è ora studentessa al secondo anno del corso di
laurea in Giurisprudenza in Romania. E' poliglotta: parla inglese,
francese, spagnolo, italiano e certamente rumeno. E' nata a Ràmnich Vàlcea
(Romania) in un paese di 120.000 abitanti ma oggi vive in Italia con un
permesso di soggiorno "umanitario" e finanzia da sé i suoi studi. Non
esclude la possibilità di restare a vivere in Italia, anche se afferma che
ancora è troppo presto per decidere. <br>"Noi, gli <i>extra-comunitari</i>,
così come veniamo chiamati, cerchiamo un futuro migliore, più brillante per
poter vivere in modo sereno e finire la giornata senza l'incubo di cosa
mettere sul tavolo il giorno successivo".<br> <br>

<i>Lei ritiene che in Italia sia possibile trovare questa vita
migliore?</i><br>

Almeno lo spero, non posso dire che sono sicura, ma lo desidero, lo sogno.
Dobbiamo provare e poi vedremo che conclusioni tirare.<br><br>

<i>Suo padre migrò per l'Italia quando lei aveva appena 14 anni. Di lui
cosa ricorda?</i><br>

Quando lo ho visto al mattino partire con le valigie sono rimasta molto
triste. Ricordo ancora le parole che mi disse: "non essere triste, il tuo
papa tornerà presto." Il primo anno mi è mancato tanto e quando è tornato
per la prima volta ero così felice che mi sono dimenticata della mia
sofferenza quando era partito. Sentivo la gioia di quello che faceva, anche
senza la sua vicinanza. Ero felice quando mi portava regali o semplicemente
quando ci telefonava. Sapevo che lui non era venuto in Italia per il
desiderio di conoscere un altro Paese. Lui l'aveva fatto per necessità.
Aveva l'obbligo di portare avanti una famiglia. Per farci studiare, per
vestirci, darci da mangiare.<br><br>

<i>Qual era l'immagine che lei aveva di quest'Italia?</i><br>

Quando mio padre ci telefonava dall'Italia mi credevo immersa in una favola
per tutto quello che raccontava. E sognavo che un giorno anche noi lo
avremmo raggiunto. Immaginavo l'Italia come un grande sole e credevo che il
mondo fosse tutto rosa. Scoprii dopo che fra sogno e realtà, le cose erano
e sono molto diverse. Che la vita non era così facile. Che si deve sempre
lottare per andare avanti.<br><br>

<i>Qual è la difficoltà maggiore che ha trovato in Italia?</i><br>

Quando spiego a qualcuno che sono rumena, noto che certe persone fanno un
passo indietro e mi sento guardata dai piedi alla testa. Sento una
sensazione strana, come dei brividi. Questa è stata una delle difficoltà
maggiori che ho vissuto. Personalmente potrei dire che sono americana o di
un'altra nazione, per non sentirmi male. Ma io non provo vergogna di essere
rumena. E lo dico anche se sento quella strana sensazione quando le persone
fanno gesti come di distacco. Per fortuna non tutti sono così. Mi sono
fatta amici e ho trovato persone con un cuore grande. Poi c'è una
differenza tra quel mondo, il mio Paese e questo mondo. Noi siamo ancora
tradizionalisti. In Romania ho vissuto cose che ancora qui non ho visto:
una vita sociale più all'aperto, in piazza, per le strade. A fine anno si
esce in strada per festeggiare, magari per bere un bicchiere di vino
assieme a uno sconosciuto che come te festeggia. Questa stessa cosa abbiamo
provato di riviverla con i miei qui: ma è stato impossibile. Qui quando ci
hanno visti per strada sono scappati. Quasi come se avessero paura di noi.
Non so perché: è una strana cosa. Forse noi siamo più comunicativi. Questo
è uno dei motivi per i quali mi manca il mio Paese. E mi vien voglia di
ritornare. Mi manca la Romania e mi manca il tempo di quando ero bambina
assieme a mio padre.<br><br>

<i>Un'immensa tristezza, vero?</i><br>

Avevo 17 anni quando mi hanno tolto mio padre e io ho dovuto maturare in
fretta. Ho dovuto fare la figlia e la mamma allo stesso tempo. Questa
maturità mi ha portato ad avere una visione della vita che non possedevo. E
questo è duro. Sento che ho una ferita che si chiuderà sì, ma lascerà per
sempre la cicatrice. Se dovessi fare una fotografia di me, direi così: ho
lasciato prematuramente quella bambina che credeva la vita fosse facile e
ha dovuto imparare tutto in fretta e per forza. Mi hanno costretto a
diventare adulta molto prima del tempo. Per questo c'è molta
tristezza.<br><br>

<i>Ha un messaggio per gli italiani?</i><br>

Direi loro di lasciare tutto quell'odio che si trova in questo mondo e che
cerchino di stare bene con sé stessi. Poi di non fare tanta differenza tra
loro e gli extra-comunitari, come sempre ci chiamano. Di considerarw che
tutti noi siamo partiti non per piacere, per divertimento. Siamo stati
costretti a partire.. Nessuno ama lasciare la propria gente, la propria
cultura, la propria terra. Non è facile venire a vivere in un mondo che si
vede strano, stranissimo.<br> <br>

<i>Ma c'è qualcosa in particolare che chiederebbe agli italiani?</i><br>

Chiederei loro di offrirci almeno la possibilità dell'amicizia. Almeno
questo. L'amicizia. E soprattutto di considerarci come persone. Persone
come sono loro. Nient'altro.<br><br>

<i>E avrebbe invece un messaggio per i suoi connazionali che vorranno o
dovranno venire in Italia?</i><br>

La prima cosa che direi è: la vita qui non è così facile come si pensa
dalle nostre parti. Cercherei in questo senso di prepararli un po' a quello
che troveranno. Vorrei aiutarli a capire che da queste parti non è come la
favola che ci fanno vedere. Li avvertirei che il faccia a faccia con questa
realtà a volte può portare grandi delusioni.<br><br>

<i>Lei, che oltretutto studia giurisprudenza, cosa pensa della legislazione
italiana con riferimento all'immigrazione?</i><br>

Non so cosa pensare, solo posso dire che quando ho dovuto fare il permesso
di soggiorno ho sentito la legge molto pesante. Comunque, vorrei non
affrontare questo argomento.<br><br>

<i>Lei ha fatto notare più volte che siete chiamati extra-comunitari.
Perché questa sottolineatura?</i><br>

Non mi piace questa parola. Quando la usano ho l'impressione che ci
dividano. Sento che quando ci dicono extra-comunitari mettono da una parte
il bene e dall'altra il male, il brutto, il cattivo. E' vero che ci sono
persone che arrivano in Italia e fanno danni, ma non si può giudicare
un'intera popolazione per quello che ha commesso un singolo.<br><br>

<i>Con quale parola la sostituirebbe?</i><br>

Non so. Per me basta dire che uno è rumeno, o meglio un immigrante. Non
extra-comunitario. Credo che a nessuno possa piacere essere chiamato
extra-comunitario. Non mi vergogno di essere rumena o del mio nome, perché
allora chiamarmi extra-comunitaria? Non lo capisco. <br><br>

<i>Due parole su Cosimo Iannece le vuol dire?</i><br>

Mi spiace per le sue figlie che non hanno colpa. Mi dispiace per loro che
sono ancora piccole: credo che cresceranno in una società che tenderà a
emarginarle per il passato del padre. Però avranno la possibilità in un
domani di "saldare i conti" con il padre. Magari quando uscirà dalla
galera. Io questa possibilità non l'avrò mai. Quanto al padre, Cosimo
Iannece, sarebbe stato sufficiente per me e per noi che lui riconoscesse i
fatti. Non negandoli e macchiando la memoria di mio padre. Il ricordo di
lui è l'unica cosa che ci hanno lasciato. E questa memoria non la
cancelleremo né permetteremo che venga macchiata.<br><br>

<i>Tornando al recente annullamento della sentenza, può accadere secondo
lei che Cosimo Iannece sia scarcerato? E in questo caso vi sentirete
sconfitte?</i><br>

Non credo che accada. Ma se così fosse, né mia madre né mia sorella e
neppure io ci sentiremo sconfitte. Continueremo ad andare avanti. L'unica
sconfitta in quel caso sarà la giustizia italiana.