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Diario da Kabul #5
- Subject: Diario da Kabul #5
- From: "Aldo Daghetta" <stopnow at hotmail.com> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Thu, 08 May 2003 01:03:42 +0100
Diario da Kabul Di Simona Lanzoni - PangeaVorrei scrivere di Kabul scene di vita quotidiana, ne vedo talmente tante che non so da dove cominciare, dopo un po' di tempo che ci si trova qui l'occhio si abitua e la mente non seleziona piu' scene di ordinaria miseria. Bambini che si lavano dentro una pozzanghera di fango alta un metro, persone che si mettono a fare i bisogni sul ciglio della strada, mendicanti che si attaccano alla tua macchina per avere elemosina, bambini che si picchiano per strada, la polizia militare che ti ferma, gli insistenti sguardi degli uomini che ti seguono fino a perderti di vista. ....Mi chiedo qui la parola pace quando comincera' ad avere un vero significato.
Kabul rispetto al marzo dell'altr'anno e' molto cambiata, strade affollate brulicanti di piccole attivita' commerciali, hanno anche ricominciato a costruire nuovi palazzi, buon segno, vuol dire che si spera in un futuro migliore!!! Ma se si fa attenzione, ci si accorge ben presto che e' solo il genere maschile che occupa lo spazio pubblico! È con loro che mi confronto ogni giorno, ti sorridono, ti convincono, ti mandano a quel paese e tu fai lo stesso, ma le donne? Le donne occupano solo lo spazio del burqa, loro colorano di blu le strade come parti di cielo che qui, a 1800 metri, splende come non mai! Cammino veloci, fanno compere ma non vendono, hanno quasi sempre bambini con se. Il vento fa ondeggiare le stoffe disegnando i contorni dei loro corpi. Non ho mai il piacere di incontrarne occhi di donna con cui trattare il prezzo su una merce. Qui le donne continuano a fare una vita completamente segregata. Il loro compito e' quello di cucinare, badare alla casa, fare figli e occupare fisicamente lo spazio domestico; la noia qui non esiste, prende il nome di depressione per chi conosce questo termine altrimenti non si sa, si vive una vita apatica, senza sapere, senza sentire....Molte donne, che negli anni 90 erano profughe insieme alle loro famiglie in Pakistan, avevano garantita un minimo di liberta', tornate da poco in Afghanistan si sono ritrovate di colpo a subire una nuova vita di restrizioni perche' gli stessi mariti non danno loro il permesso di fare cose per paura del giudizio sociale. Il Vento, la polvere mi entra in bocca e si infila in ogni piega della pelle, quando tira vento penso che il velo sia una grande invenzione, almeno mi protegge! Protezione, con questa parola si giustifica tutto in questa societa' assolutamente patriarcale e conservatrice,-"le donne vanno protette"- dicono questi uomini,- "da chi"- chiedo io, -"dagli uomini"- rispondono loro!!! -"Ma non potreste controllarvi un po' di piu' voi maschietti?"- le storie di stupri e di rapimenti qui si sprecano!!! La parola pace avra' mai un significato? Pace non e' solo assenza di guerra, il conflitto sociale ed etnico a Kabul e' sempre in agguato (senza parlare del resto dell'Afghanistan dove ancora si combatte tra i signori della guerra) e la repressione sociale che viene applicata a partire dalle donne e' il sintomo di una piu' forte spinta verso un violenza radicata e sommersa che continua a interagire nelle relazioni sociali.
Pace, "se vuoi la pace prepara la pace".Non ho risposte a questa frase applicata in quest'ambiente, penso che prima ancora di parlare di pace qui si debba parlare di conoscenza alla ricerca di un dialogo tra il genere maschile a quello femminile. La pace qui e' un bisogno enorme, nessuno la puo' regalare, non c'e' cooperazione internazionale o aiuti di emergenza che tengano, sono gli stessi afghani che devono costruirla... La polvere resta ancora nelle pieghe della mia pelle....vento portale via e svelami la pazienza del dubbio e dell'attesa.....
[Nota: A partire dal 1 Maggio 2003 il sito www.peacelink.it pubblica le lettere inviate da Luca Lo Presti, presidente della Fondazione Pangea Onlus, che insieme alla fotografa e ricercatrice Stefania Scarpa sara' a Kabul per seguire l'avvio del progetto Jamila, promosso da Pangea insieme all'associazione locale HAWCA (Humanitarian Assistance for Women and Children of Afghanistan)].
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