Iraq e strategie geopolitiche



Iraq e strategie geopolitiche
di Federico Razzoli

Da un'analisi disincantata del periodo che ha preceduto l'ultima guerra in Iraq (sempre che si possa parlare di piu' guerre e non di una sola iniziata nel 1992) puo' derivare un'utile autocritica per buona parte delle associazioni, movimenti, collettivi, gruppi, ma soprattutto per molti individui che compongono il movimento pacifista, no global o new global, che dir si voglia.

E' appurato che Bush aveva intenzione di ricorrere all'uso della forza gia' da prima che iniziassero le sue minacce a Saddam Hussein. Il problema degli Usa erano le spese militari: la maggior parte dei paesi del mondo, inclusi tre che possiedono il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, erano fortemente contrari a questa guerra. Dunque gli Usa avrebbero dovuto sobbarcarsi la quasi totalita' dei costi di un conflitto contro un paese dotato di armi chimiche, di soldati fanatici abituati ad addestrarsi nel deserto e con la possibilita' di evocare guerre sante. Per ridurre le spese, devono aver pensato, occorreva ridurre gli armamenti del nemico prima della guerra. Una volta fatto questo, si poteva addirittura incutere sufficiente timore all'esercito nemico da convincere i generali ad una resa a tavolino.

La strategia utilizzata e' molto semplice: si chiedevano ispezioni da parte dell'Onu a ritmi serrati, sapendo che l'Iraq aveva armi da nascondere (non tutte quelle che sosteneva Bush, pero' le aveva). L'Iraq, pur di non far scoppiare la guerra, permetteva le ispezioni, ma non prima di aver di volta in volta smantellato gli armamenti che non avrebbe dovuto possedere nei siti che stavano per essere ispezionati. Questo soddisfaceva gli ispettori, interessati piu' che altro al risultato finale dell'ispezione, ma i ritardi dovuti allo smantellamento erano usati dal governo americano a supporto della tesi surreale: "l'Iraq non collabora". I paesi contrari alla guerra allora insorgevano, dichiarando che la situazione non giustificava un conflitto. I movimenti pacifisti non si fermavano mai. I commedianti americani fingevano di avere le mani legate a causa di questi due fattori; ma ribadivano al contempo le minacce all'Iraq e chiedevano ispezioni a ritmi ancor piu' rapidi. Questo circolo vizioso si e' ripetuto finche' gli Usa non hanno ritenuto le difese iraqene sufficientemente irrisorie. Blix ha dichiarato che l'armamentario iraqeno non era mai stato cosi' povero e, poco tempo dopo, il conflitto e' iniziato.

Le posizioni dei governi sul conflitto, sia favorevoli che contrarie, erano guidate principalmente (o forse soltanto) da motivazioni economiche, che pero' non e' importante analizzare in questa sede. Quello che e' importante notare e' come le proteste pacifiste abbiano in realta' fatto il gioco degli Usa, almeno fino a prima dello scoppio della guerra, contribuendo a rendere realistico il loro teatrino e ad incoraggiare i governi "pacifisti" (una contraddizione di termini salvata dalle virgolette). Le proteste erano doverose, certo. Moralmente obbligate, certo. Ma sono doverose anche ora, eppure si sono assopite. In tempo di pace si attuano feroci e folli politiche che rendono indispensabili nuove guerre per la conservazione degli equilibri di forza internazionali. Perche' aspettare che si prospetti una nuova guerra per manifestare? In realta' e' ora il momento migliore per protestare contro la prossima guerra. Per protestare contro le politiche del capitalismo selvaggio, del militarismo, dell'imperialismo, dei mercanti di morte, idee e azioni insane, selvagge, abominevoli che schiacciano costantemente interi popoli sotto il proprio tallone. Bisogna agire ora, non dopo.

Ci sono associazioni e individui che si occupano costantemente dei paesi ridotti allo stremo e alla merce' dei nostri giochi di potere. Invito queste associazioni a portare queste loro idee nell'azione politica, anche se in molti casi lo fanno gia'. Invito le associazioni che non si occupano di queste faccende a rifletterci. Il momento giusto per agire e'... sempre.