La nonviolenza e' in cammino. 571



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 571 del 19 aprile 2003

Sommario di questo numero:
1. Campagna "Pace da tutti i balconi": la bandiera della pace continui a
sventolare
2. Maria G. Di Rienzo: una traccia in sei incontri per discutere in gruppo
della violenza
3. Judith Butler: lutto e responsabilita'
4. Donatella Massara: per una bibliografia sulle donne nella Shoah
5. Eduardo Galeano: Cuba ci fa male
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. APPELLI. CAMPAGNA "PACE DA TUTTI I BALCONI": LA BANDIERA DELLA PACE
CONTINUI A SVENTOLARE
[Da Diego Cozzuol, del coordinamento della campagna "Pace da tutti i
balconi", riceviamo e diffondiamo. per contatti: Giorgio Bugliesi, tel.
3482460295, e-mail: giorgio.bugliesi at cdg.it; Diego Cozzuol, tel. 3281027178,
e-mail: sito at bandieredipace.org; sito: www.bandieredipace.org]
Il conflitto iracheno, nella sua parte piu' cruenta volge al termine. Le
tensioni purtroppo continueranno all'interno di un paese composto da
molteplici etnie, tradizioni e sensibilita' sociali e culturali. Purtroppo
ancora una volta non viene smentito l'antico adagio che con lucidita'
avverte che "la violenza genera altra violenza". Il nostro appello fin
dall'inizio della campagna ha messo in relazione il segno della bandiera
della pace con la situazione irachena. Ora ci giungono parecchie richieste
da parte di cittadini che ci chiedono un "segnale" per ritirare o lasciare
esposta la bandiera.
La nostra campagna si e' basata semplicemente su un invito che i cittadini
hanno accolto e fatto proprio, e percio' non ci sentiamo nella posizione di
poter lanciare un "segnale", specialmente sulla bandiera della pace che non
appartiene ad altri che ai singoli cittadini, ed e' sostenuta non da
imposizioni dall'alto, ma dalla presa di coscienza e dalle motivazioni che
ognuno ha saputo dare alla propria bandiera.
Possiamo tuttavia rilanciare un nuovo invito, in linea del resto con la
sensibilita' che, partendo dalla situazione del conflitto iracheno, si e'
progressivamente evidenziata, ovvero una fortissima presa di posizione nei
confronti della guerra in quanto tale. Del resto, la settantina di piccoli e
grandi conflitti che sono tuttora in corso nel mondo, la situazione
drammatica che sta vivendo il continente africano, ci sollecitano a
continuare la nostra riflessione e soprattutto il nostro impegno concreto in
questo senso.
Ecco allora un nuovo appello che vogliamo rilanciare: invitiamo tutti i
cittadini, tutte le associazioni, i movimenti, le istituzioni, gli enti,
siano essi pubblici o privati, religiosi o laici, a tenere esposta la
bandiera della pace per rendere visibile il proprio no a tutte le guerre, ed
il proprio si' alla promozione di una cultura della pace e alla via del
dialogo per la soluzione mediata dei conflitti.
Il nostro paese e' diventato in questi mesi un vero e proprio arcobaleno
lungo mille chilometri, un forte e visibilissimo invito alla pace che la
nostra societa' civile ha saputo lanciare a tutto il mondo; le bandiere che
sventoleranno anche nei prossimi mesi estivi dai nostri balconi
continueranno cosi' a testimoniare a turisti e visitatori a vario titolo del
nostro paese l'impegno per la pace da parte dei cittadini italiani ed il
loro desiderio di operare per eque e dignitose condizioni di vita per per
ogni popolo percorrendo le vie del dialogo e della nonviolenza.

2. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: UNA TRACCIA IN SEI INCONTRI PER DISCUTERE
IN GRUPPO DELLA VIOLENZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Ma come si fa ad interrompere il ciclo della violenza?
Nello stesso modo in cui si interrompe il ciclo dell'ignoranza, educandosi
ed educando.
*
Primo incontro: la violenza e' inevitabile?
Cominciate con il dare uno sguardo al vostro giornale locale. Esaminatelo:
quanti articoli contengono resoconti di violenze? Quali tipi di violenza
vengono riportati? Pensate che il giornale dia un'immagine accurata della
violenza presente nella vostra comunita'? Confrontate le notizie con le
violenze di cui siete stati testimoni o avete fatto esperienza nella vostra
comunita' (siate accorti: alcune persone che hanno subito violenza non
desiderano discuterne). Potete continuare discutendo le notizie riportate
dalla tv e dalla radio Quali storie vengono raccontate? Che tipi di violenza
vengono riportati? Perche' pensate che siano state scelte proprio quelle
storie?
Troverete facilmente, al termine della discussione, questo tipo di
ambivalenza: la violenza ci ripugna, ed allo stesso tempo ci attrae; la
violenza ci allarma, ed allo stesso tempo ci intrattiene.
E molti diranno che la violenza e' inevitabile. Quando riflettiamo sul
mondo, sulla nostra comunita' e su noi stessi e' facile arrivare a questa
conclusione: e' facile cioe' essere pessimisti riguardo la natura umana,
quando vediamo cosa siamo capaci di farci l'un l'altro.
Arrenderci alla violenza, per quanto pervasiva essa sia, significa
glorificarla. Questo non vuol dire che per non arrenderci alla violenza
vivremo in un mondo di fantasia, dove tutto e' bello e gioioso. Dobbiamo
diventare capaci di usare le nostre abilita' per trasformare una cultura di
violenza in una cultura di pace. Per fare questo, dobbiamo essere del tutto
realistici e del tutto visionari e pieni di speranza.
E' utile cominciare a riconoscere la nostra complicita' verso la cultura
della violenza ed assumere responsabilita' rispetto ad essa. Di certo ci
tenta di piu' biasimare qualcun altro per tutto quello che non va nel mondo:
e' il resto della mia famiglia, e' la chiesa, e' il governo, e' il
capitalismo globale... Oppure possiamo maledire i nostri geni o il modo in
cui siamo stati educati. Attenzione: non sto dicendo che non abbiamo
necessita' di una chiara analisi sugli effetti che la famiglia, il governo,
il capitalismo ecc. hanno nel creare un mondo violento. Sto dicendo che
tutto questo non ci esime dalla responsabilita' personale. Se ci sentiamo
privi di potere rispetto al cambiamento questo tende a divenire, nella
nostra vita, una profezia autorealizzata; se ci sentiamo solo "vittime"
della situazione ci e' piu' facile diventare oppressori quando ne abbiamo
l'occasione.
Chiudete l'incontro leggendo o raccontando la storia di un cambiamento
ottenuto in maniera nonviolenta.
*
Secondo incontro: produrre alternative nel pensiero e nell'azione
Riflettete sui motivi per cui si usa violenza, trovando esempi
significativi.
"Noi usiamo la violenza per...":
1) Perche' altre persone facciano i nostri interessi (la schiavitu', antica
e moderna, e' uno degli esempi piu' ovvi). Al termine della lista,
chiedetevi: Qual e' la nostra visione alternativa dell'interdipendenza degli
esseri umani?
2) Perche' altre persone si conformino al nostro modo di credere, agire e
comportarci (crociate, inquisizione, ecc.). Al termine della lista
chiedetevi: Qual e' la nostra visione alternativa delle differenze?
3) Per prendere qualcosa dalle altre persone (diamanti, petrolio, acqua). Al
termine della lista chiedetevi: Qual e' la nostra visione alternativa
dell'uso delle risorse?
4) Per punire i malvagi (ovvero secondo la mentalita' per cui essi devono
soffrire giacche' hanno causato sofferenza). Al termine della lista
chiedetevi: Qual e' la nostra visione alternativa della giustizia, una
visione che trasformi sia la vittima, sia l'offensore?
5) Per proteggere noi stessi e gli indifesi (questa e' la ragione piu'
addotta da coloro che ritengono la violenza inevitabile: ricordate loro che
l'uso della violenza e' sempre perdente a lungo termine e non va confuso con
la forza o l'autodifesa, che possono appartenere entrambe all'agire
nonviolento). Al termine della lista chiedetevi: Qual e' la nostra visione
alternativa della sicurezza personale e della sicurezza della comunita'?
L'uso della violenza sembra l'ordine naturale delle cose solo perche' non
abbiamo preso sufficientemente sul serio le alternative, usando le risorse
che abbiamo per incoraggiarci, sostenerci ed ispirarci l'un l'altro sulla
strada della nonviolenza. Provate a trovare queste risorse nelle vostre
conoscenze, nella vostra fede, nelle vostre esperienze, nelle vostre
relazioni e mettetele a disposizione del gruppo. (Anche qui potete redigere
una lista: qualcuno suggerira' libri e film, qualcun altro raccontera'
un'esperienza, ecc.).
*
Terzo incontro: come usiamo il potere?
Prendete come paradigma l'elettricita'. Cosa vi permette di fare? E quali
sono i rischi nell'usarla?
Quali altre cose, nella vita, sono utili ed allo stesso tempo sollevano
questioni complesse, e possono essere pericolose? Il modo in cui pensiamo al
potere e' una di queste cose.
Adesso ponetevi queste altre domande: chi prende le decisioni nella vostra
famiglia, nel vostro gruppo di attiviste/i, nel vostro comune e nella vostra
nazione? Chi ha dato alle persone che prendono decisioni l'autorita' per
farlo? In quale modo giudicate se una decisione e' giusta o sbagliata?
Il potere e', semplicemente, l'abilita' di far accadere le cose e
controllarle. Per giudicare come lo si sta usando dobbiamo sapere da dove
viene, le intenzioni con cui viene utilizzato e i risultati del suo uso.
Discutendo inizialmente sull'elettricita' avete probabilmente notato che
essa puo' nascere da risorse rinnovabili o da impianti inquinanti, avrete
sottolineato i benefici della luce e del calore e i pericoli della scossa e
dell'incendio.
La violenza e' un uso sbagliato, o un abuso, di potere. Il tipo di potere
che ne risulta si chiama dominio. Saperlo non deve indurci a rifiutare il
potere in se'. Noi possiamo immaginare un mondo senza violenza, ma abbiamo
bisogno di potere per realizzarlo. Anche se ci sentiamo deboli e
insignificanti, ognuno di noi ha il potere di agire per cancellare le
ingiustizie e portare guarigione e riconciliazione al mondo. Questo potere
diviene piu' grande quando agiamo insieme. C'e' un detto: il male trionfa
quando la gente buona non fa nulla. Per ciascuno di noi, il potere implica
la responsabilita' rispetto al modo in cui lo usiamo.
Riflettete ora sulle seguenti implicazioni del potere:
1) Forza fisica
Noi possiamo far accadere delle cose o impedire che accadano tramite la
minaccia e l'uso della violenza fisica. Il bullo nel cortile della scuola e
le superpotenze internazionali (stati, corporazioni economiche, ecc.) usano
lo stesso principio: sono piu' grosso di te, percio' le cose si fanno a modo
mio. Chiedetevi: perche', quando non riusciamo nei nostri intenti, ci
rivolgiamo alla violenza fisica? Quali sono le alternative?
2) Risorse
Se io possiedo o controllo qualcosa di cui voi avete bisogno, io ho potere
su di voi. Posso usarlo per indurvi a comportarvi in una maniera specifica.
Le istituzioni economiche globali usano questo sistema con le nazioni,
richiedendo che esse adottino determinate politiche con la promessa di aiuto
finanziario, o la minaccia della sottrazione di assistenza. Questo accade
solo quando pochi controllano risorse di cui molti hanno bisogno. Quale
alternativa possiamo offrire?
3) Conoscenze
E' una sfaccettatura del problema precedente. Il sapere sta diventando una
merce soggetta a protezionismi legali internazionali, percio' puo' essere
comprato e venduto, anche quando di tratta del sapere tradizionale di
qualcun altro. Un altro lato della questione e' l'uso distorto che i media
fanno delle conoscenze. A che alternative possiamo pensare?
4) Posizione sociale
E' il potere dei presidenti, dei primi ministri, dei capi religiosi, dei
direttori, dei manager, ecc. E' un potere che puo' reggersi solo sul
consenso di coloro che vengono "governati" (naturalmente esso puo' essere
indotto o estorto). In che modo possiamo assicurarci che le persone in
posizioni sociali elevate rendano conto delle loro decisioni ed agiscano in
base ad un consenso condiviso?
5) Carisma
E' il potere esercitato da coloro che chiedono la nostra attenzione in
ragione della forza della loro personalita': i loro convincimenti possono
essere positivi o no. Come giudichiamo l'uso del potere, mentre ne facciamo
esperienza e lo osserviamo?
*
Quarto incontro: come possiamo agire giustamente?
Pensate ad un'occasione in cui avete detto: "Questo non e' giusto". Puo'
riguardare qualcosa che vi e' accaduto personalmente, o qualcosa di cui
siete stati testimoni. Cosa vi ha fatto decidere che la situazione era
sbagliata? Come siete arrivate/i a quell'opinione? Quali erano i vostri
sentimenti al proposito? Perche' siamo piu' sensibili a certe forme di
ingiustizia che ad altre?
Quando parliamo di giustizia, la prima immagine che puo' venirci in mente
comprende magistrati, avvocati, testimoni, imputati... Ma la giustizia e'
qualcosa di piu' di un tribunale: e' etica, prima che semplicemente legale.
La giustizia concerne le azioni giuste da compiere per restaurare giuste
relazioni. Cio' che "giusto" significa e' aperto alla discussione, ma
dobbiamo essere capaci di pensare oltre lo stabilire la colpevolezza od
innocenza rispetto alle leggi.
L'ingiustizia e' una forma di violenza. E' anche una produttrice di
violenza, ove chi subisce ingiustizie usa la violenza nel tentativo di
raddrizzare i torti. L'ingiustizia fa crescere tutti i tipi di violenza
politica: che noi condanniamo, ma dobbiamo essere capaci di riconoscere ogni
ingiustizia con cui la violenza viene giustificata e di offrire mezzi
nonviolenti per la sua risoluzione. Una relazione equa non si ottiene con
mezzi ingiusti.
Riflettete ora sui seguenti tipi di ingiustizia che sono allo stesso tempo
violazioni nei confronti degli individui e terreno di coltura per la
violenza.
1) Ingiustizia economica
Concerne la non equa distribuzione della ricchezza. Una nazione o regione
puo' essere ricchissima di risorse naturali ed ospitare una popolazione alla
fame. Le persone possono essere sfruttare e spossessate al punto di non
avere mezzi per il proprio sostentamento. La globalizzazione economica
compone questa ingiustizia appunto a livello globale.
2) Ingiustizia politica e sociale
All'interno di ogni stato, che essi si fondi su una democrazia
rappresentativa o no, possiamo trovare un'attiva negazione dei diritti
sociali e politici delle persone, persino di quelli stabiliti dallo stato in
questione. Spesso cio' accade in nome della "sicurezza nazionale".
Notiamo anche una disaffezione, da parte di cittadine e cittadini, nel
partecipare responsabilmente ad elezioni, perche' esse/i sentono che i corpi
decisionali eletti non sono ne' rappresentativi ne' inclini a rispondere
all'elettorato. La presunzione di ottenere giustizia dai meccanismi legali
e' pesantemente inquinata dal fatto che i potenti e i ricchi hanno maggiori
risorse per sostenere i processi, possono sfruttare cavilli legali o leggi
ad hoc, e sfuggire cosi' alle conseguenze delle loro azioni.
3) Ingiustizia culturale
La minaccia dell'imperialismo e della colonizzazione alle identita'
culturali e' continua, sostenuta dalla violenza e, in modo piu' sottile,
dall'influenza dei media. Tutto cio' che e' affermativo della vita,
liberatorio e comunitario nelle culture locali viene distrutto, per essere
rimpiazzato con una cultura "globale" orientata al commercio. Il modo in cui
tale cultura intende la vita e' questo: soddisfazione individuale, ottenuta
a qualsiasi costo; successo economico e glorificazione della violenza.
4) Gli "ismi" del dominio (sessismo, razzismo, ecc.)
Sono i modi in cui si deumanizzano le persone in base al loro aspetto
fisico, al loro sesso, a stereotipi razziali, alla loro eta'. Le umiliazioni
che ne risultano sono devastanti per i corpi e le menti delle persone, che
vengono trattate come "inferiori". A volte le persone trattate in questo
modo possono pensare che la violenza sia l'unica risposta efficace alla
situazione in cui vivono.
Adesso fatevi queste domande: Come lavoriamo per trasformare le ingiustizie
in relazioni giuste? Come facciamo giustizia?
*
Quinto incontro: che tipo di identita'?
Mettete insieme i simboli che dicono qualcosa di cio' che voi siete: la
vostra carta d'identita', la vostra patente di guida, la tessera di
un'associazione, ecc. Che cosa simboleggia tutte le particolarita' che fanno
di voi stessi cio' che siete, ovvero le relazioni, le attivita', gli
interessi, la personalita'?
Adesso chiedete a ciascuno di scrivere una lista di dieci parole che lo/la
descrivono. Raccogliete le liste e distribuitele in modo che ad ognuno
tocchi una lista diversa da quella che ha compilato: cercate di individuare
tramite essa, anche con l'aiuto del resto del gruppo, la persona a cui si
riferisce.
Potremmo sorprenderci, al termine di questo esercizio, nello scoprire che le
altre persone non ci vedono nel modo in cui noi ci vediamo. Ci sono almeno
due buone ragioni per cui dovremmo arrivare a riconoscere questo: la prima
e' che le relazioni spesso vanno incontro a difficolta' proprio quando non
capiamo che il punto di vista degli altri su di noi non coincide con il
nostro; la seconda e' che talvolta non riusciamo a distinguere fra l'ideale
di cio' che vorremmo essere e la realta' di cio' che siamo.
Ad esempio, un gruppo puo' avere di se' un'immagine identitaria di comunita'
calda e accogliente, e credere profondamente a questa immagine. Per il
visitatore o il nuovo arrivato che scopre di non essere ascoltato, o che
nessuno gli parla, la visione sara' l'esatto opposto. Ne' fare parte del
medesimo gruppo da' ad ogni membro una percezione identitaria eguale.
Il mosaico unico e irripetibile che ognuno di noi e' prende le sue tessere
da molteplici situazioni ed impulsi: il nostro sesso, la nostra
nazionalita', le nostre relazioni, le nostre attivita', la nostra fede se
l'abbiamo, i nostri convincimenti, e cosi' via. Poiche' molta della
costruzione d'identita' avviene attraverso le relazioni con gli altri, essa
e' intimamente connessa anche ai modi in cui comprendiamo ed usiamo la
violenza, il potere e la giustizia. La non accettazione o il rigetto di
coloro che non hanno le nostre stesse caratteristiche, i settarismi e i
fondamentalismi, sono spesso risposte di un'identita' che si sente
minacciata a causa delle proprie linee di definizione, che sono rigide e
insensibili.
Fatevi queste domande: C'e' differenza nell'accettare le persone a livello
di buone relazioni umane ed accettare cio' in cui queste persone credono?
Come possiamo conciliare il nostro impegno con l'apertura verso gli altri?
Il concetto di differenza cosa ci suggerisce?
*
Sesto incontro: come vogliamo agire?
Riflettere su tutte le questioni sollevate in questo scritto e' il primo
passo di un viaggio ben piu' lungo. Discuterne fra voi ha probabilmente
fatto nascere intuizioni e nuovi approcci ai problemi, nonche', spero, la
determinazione di non essere soddisfatti dalle cose cosi' come stanno e il
riconoscimento delle immense risorse che giacciono in ciascuna/o di noi.
Fatevi queste domande: Come possiamo lavorare per il cambiamento in noi
stessi? E nei nostri gruppi? E nella societa'?
1) Concentrarsi su un problema e guardarlo in profondita'
Perche' le nostre azioni siano efficaci, devono essere ben preparate e noi
dobbiamo conoscere bene l'istanza di cui desideriamo occuparci. Questo vale
per le istanze "locali" come per quelle "globali". Qualsiasi sia il problema
che decidete di affrontare, consideratelo attentamente e imparate dai modi
in cui altre persone hanno risposto allo stesso problema in altri luoghi.
2) Sapere quello che si intende fare
Dire alle persone, per esempio, di smettere di abusare di altre o di cessare
un conflitto non e' sufficiente. Nella maggior parte dei casi, la violenza
ha a che fare con tutta una serie di istanze e problemi che non sono quelli
che appaiono in superficie. Dobbiamo riflettere su come rispondere in modi
nonviolenti, e su come sviluppare soluzioni che rimuovano o riducano le
cause della violenza. Dobbiamo diventare capaci di suggerire alternative e
nuovi modi di relazione. L'enorme violenza che leggiamo nel mondo ogni
giorno rischia di sopraffarci solo se crediamo, come la cultura della
violenza desidera, che non ci sia nulla da fare, che noi siamo troppo
piccoli per comportare un cambiamento. Nello scegliere di fare qualcosa, per
quanto piccolo sia, noi sentiamo di fare la differenza ed iniziamo
effettivamente un processo di cambiamento. Non preoccupatevi di cio' che non
potete ancora ottenere, cominciate con qualcosa che potete realizzare.
3) Coinvolgere altre persone
Chi potreste coinvolgere nella vostra lotta contro la violenza? Il vostro
gruppo parrocchiale, i vostri amici, i vostri colleghi? Ci sono
organizzazioni che gia' lavorano su questo, nel vostro territorio? Come
potete entrare in rete con esse? Come creare uno spazio accogliente e sicuro
in cui tutti questi potenziali alleati possano parlarsi?
4) Non tenete le vostre idee ed i vostri piani per voi stessi
Assicuratevi che altra gente sappia cosa intendete fare, condivida i
documenti e le riflessioni che avete prodotto, possa dare a voi suggerimenti
e altre riflessioni (fate quello che sto facendo io in questo momento,
insomma... e grazie per la vostra attenzione).
"Non e' sufficiente parlare di pace. Bisogna credere in essa. E non e'
sufficiente crederci. Bisogna lavorare per essa" (Eleanor Roosvelt).

3. RIFLESSIONE. JUDITH BUTLER: LUTTO E RESPONSABILITA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 aprile 2003. Cosi' la filosofa
americana e' stata presentata in un recente articolo sullo stesso giornale
da Ida Dominijanni: "Judith Butler e' una delle massime figure di spicco nel
panorama internazionale della teoria femminista. Docente di filosofia
politica all'universita' di Berkeley in California, ha pubblicato nell'87 il
suo primo libro (Subjects of Desire) e nel '90 il secondo, Gender Trouble,
testo tuttora di culto nei campus americani, cruciale per la messa a fuoco
delle categorie del sesso, del genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies
that matter (Corpi che contano , Feltrinelli '95), del '97 The Psychic Life
of Power. Filosofa di talento e di solida formazione classica, Butler
appartiene a quello stile di pensiero post-strutturalista che intreccia la
filosofia politica con la psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale;
e a quella generazione del femminismo americano costitutivamente
attraversata e tormentata dalle differenze sociali, etniche e sessuali fra
donne e dalla frammentazione dell'identita' che ne consegue. Decostruzione
dell'identita', analisi del corpo fra materialita' e linguaggio, critica
della norma eterosessuale e dei dispositivi di inclusione/esclusione che
essa comporta, critica del potere e del biopotere sono gli assi principali
del suo lavoro, che sul piano politico sfocia in una strategia di
radicalita' democratica basata sulla destabilizzazione e lo shifting delle
identita'. Fin da subito attenta ai nefasti effetti dell'11 settembre e
della reazione antiterrorista sulla democrazia americana, Butler e' fra gli
intellettuali americani maggiormente imegnati nel movimento no-war. "La
rivista del manifesto" ha pubblicato sul n. 35 dello scorso gennaio il suo
Modello Guantanamo, un atto d'accusa del passaggio di sovranita' che negli
Stati Uniti si va producendo all'ombra dell'emergenza antiterrorista: fine
della divisione dei poteri, progressivo svincolamento del potere politico
dalla soggezione alla legge, crollo dello stato di diritto con le relative
conseguenze sul piano del diritto penale (demolizione delle garanzie
processuali) e del diritto internazionale (violazione di trattati e
convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in nome della liberta' e la
soppressioone delle liberta' si saldino in un'unica offensiva di abiezione
dei "corpi che non contano", per le strade di Baghdad e nelle gabbie di
Guantanamo"]
Sebbene alcuni esponenti della sinistra americana sostengano che gli Stati
Uniti dovrebbero assumersi in pieno "le responsabilita' dell'occupante" e
imporre la legge e l'ordine in Iraq, e' importante ricordare che la
responsabilita' primaria dell'occupante e' di mettere fine all'occupazione.
Nel caso dell'Iraq, significa che gli Stati Uniti, insieme con l'Onu, devono
immediatamente pensare a una transizione verso una forza internazionale di
peace-keeping in grado di difendere le persone e le proprieta' e consentire
il graduale ritiro di tutte le forze militari statunitensi. Se vogliamo che
l'Iraq si autogoverni e' necessaria la presenza di un corpo internazionale
che consenta la transizione dall'occupazione militare alla democrazia. E'
sconcertante che gli Stati Uniti stiano assegnando gli appalti per la
ricostruzione dell'Iraq, come se adesso fossero loro i padroni del paese. E'
sconcertante che i contratti vengano assegnati a compagnie legate da ragioni
di interesse a Cheney e altri rappresentanti del governo. Per quanto tocchi
agli Stati Uniti l'obbligo di sostenere i costi della ricostruzione delle
infrastrutture irachene, essi non hanno alcun diritto di trarre profitto
dalla devastazione che hanno provocato. I loro contributi dovrebbero
configurarsi come "risarcimenti" amministrati da soggetti di diritto
internazionale, possibilmente il Tribunale penale internazionale o la Corte
dell'Aja, con rappresentanti del popolo iracheno come parte in causa.
Naturalmente non ci sono molte possibilita' che l'amministrazione Bush
accetti un piano simile, visto che ha gia' avuto modo di dimostrare
ampiamente e coerentemente il proprio disprezzo per il diritto e altre forme
di solidarieta' internazionale. Ha rifiutato di rispettare la Convenzione di
Ginevra a Guantanamo, non ha aderito al Tribunale penale internazionale, si
e' ritirata dal Trattato sui missili antibalistici e nel momento in cui
portava il mondo sull'orlo della quarta guerra mondiale ha trattato l'Onu
come uno "strumento" non indispensabile.
Mi sgomenta, inoltre, vedere il personale militare statunitense giocare a
baseball negli intervalli fra un attacco mortale e l'altro o passare ore e
ore a commemorare i suoi morti mentre per le migliaia di morti iracheni non
e' prevista alcuna forma di pubblico cordoglio. E sono anche allarmata, come
chiunque altro, che i militari Usa abbiano contrastato in modo cosi'
inefficace i saccheggi e la violenza criminale; tuttavia penso che sarebbe
un errore sollecitare un rafforzamento delle funzioni di polizia dei
militari sul lungo periodo. Ci sono organismi internazionali di
peace-keeping fatti apposta, ed e' tempo che gli Stati Uniti cedano loro il
passo rapidamente ed effettivamente, per fermare quella che minaccia di
diventare una occupazione militare a tutto tondo, dove l'occupante rivendica
diritti di proprieta' sulle risorse naturali, sulla forza lavoro e sul
profitto.
Oltre a chiedere la fine dell'occupazione e il passaggio rapido agli
organismi di peace-keeping, e' cruciale per la sinistra statunitense
continuare a portare avanti le sue azioni di cordoglio e contrizione. I
"die-in" di Boston, alcune settimane fa, sono state manifestazioni molto
efficaci e sono riuscite ad infrangere il black out steso dai media sulla
maggior parte delle manifestazioni delle ultime settimane (compresa quella
cui molti di noi hanno partecipato sabato scorso a San Francisco sotto un
diluvio). I "die-in" iniziarono negli anni '80 come manifestazioni di
protesta contro il mancato finanziamento della ricerca sull'Hiv e l'Aids:
quei grandiosi eventi di strada mettevano in scena drammaticamente la forza
mortale dell'inerzia del governo. Folle di persone si lasciano cadere in
terra mentre altre disegnano con il gesso il contorno dei corpi, e le sagome
restano li' quando la polizia, a fatica, rimuove tutti quei corpi come se si
trattasse di morti.
I "die-in" sono una forma di commemorazione dei morti che li reimmette nella
vita, nel discorso pubblico e nel campo visivo: li getta per strada come
corpi morti che non possono ne' devono essere dimenticati. Ancora una volta
c'e' stata una enorme perdita di vite umane per mano del governo americano,
una perdita che gli Stati Uniti cercano di sottrarre alla realta'. Percio'
dovremmo piangere i morti pubblicamente e fare dello spazio pubblico il
luogo in cui commemorare la realta' di quella perdita. La copertura
fotografica fornita dai media passa rapidamente ad altro, scivola via dalla
realta' delle morti provocate dagli Stati Uniti, tentando di tamponare
l'orrore: come se i media, mostrando le immagini, temessero di suscitare
compassione per gli iracheni e di mettere a nudo il governo nella sua
ferocia. I "die-in" riescono a restituire quegli omicidi alla realta',
insistono sul riconoscimento di quelle vite perdute e sull'inaccettabilita'
dell'aggressione militare statunitense.
Le manifestazioni di lutto pubblico e sincero per coloro che gli Stati Uniti
hanno ucciso corrono il rischio di essere definite "antipatriottiche" di
questi tempi; quasi che assumersi la responsabilita' della carneficina
causata significasse svilire gli Stati Uniti o, addirittura, essere solidali
con i loro nemici. La stampa americana mostra solo immagini selettive delle
vittime, con resoconti succinti su come sono morte - esempio, i sessanta
civili morti al mercato di Baghdad - e senza tornare mai sulla storia ne'
seguirne gli sviluppi. E' come se il giornalismo investigativo stesso fosse
diventato un'attivita' "antipatriottica".
Si tratta di un patriottismo statunitense basato sul non voler vedere ne'
conoscere le conseguenze dell'aggressione militare. Perfino le immagini del
saccheggio dei palazzi governativi e dei musei nazionali da parte di
iracheni sono state criticate da Rumsfeld perche' potrebbero distrarre
l'attenzione dalla narrazione della "liberazione", che dovrebbe fornire la
spiegazione razionale della violenza statunitense. I reporter che hanno
messo in dubbio la strategia di guerra statunitense o che si sono espressi
in modi non pienamente approvati dai militari americani sono stati
sanzionati in pubblico per la loro mancanza di solidarieta', e in alcuni
casi licenziati. E' come se la critica e il dissenso non facessero piu'
parte dell'idea di democrazia che si intende "difendere". I reporter, le
riviste e i giornali che introiettano questa accusa di "antipatriottismo"
agiscono in base alla paura di essere marchiati come troppo solidali con "il
nemico" e dunque indistinguibili da lui.
Si tratta esattamente della stessa terrorizzazione delle coscienze che
caratterizzo' i processi dell'epoca di McCarthy negli anni Cinquanta. Non
dovrebbe dunque sorprendere nessuno che alcune citta' dell'Oregon stiano
tentando di associare le proteste no-war al tradimento e minaccino di
mettere in carcere chi esercita quella liberta' di espressione che ritiene
garantita dalla Costituzione. Quando si calpesto' la Costituzione per
consentire a Bush di vincere le elezioni presidenziali, non sapevamo ancora
quale degrado quella Costituzione avrebbe subito nel breve giro di qualche
mese.

4. MATERIALI. DONATELLA MASSARA: PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLE DONNE NELLA
SHOAH
[Questa traccia bibliografica curata da Donatella Massara (per contatti:
e-mail: donatella.massara at fastwebnet.it) abbiamo estratto dall'utilissimo
sito www.url.it/donnestoria/home.htm che riporta una serie di repertori
bibliografici e di materiali di approfondimento sul pensiero e l'azione
delle donne, che vivamente raccomandiamo a chi ci legge; dal medesimo sito
riportiamo anche la seguente breve scheda sull'autrice: "Donatella Massara
e' nata in Piemonte alla fine del 1950. Abita a Milano. Ha vissuto con la
madre in questi dieci anni, ha amato molto sua madre Rosalda Damiano. E' da
lei che ha imparato ad amare il pensiero e a scrivere e dal padre a leggere
i libri e praticare le immagini fotografiche. Ha studiato fra Biella e
Milano in varie scuole. E' convinta di non avere imparato molto dalla
scuola, di piu' dalla cultura dei genitori, per esempio dalla madre e dalla
sorella, esperte di moda, ad apprezzare i segni, e dagli ambienti
extrascolastici pratiche di vita, di comunicazione. Nel 1988 prende la
laurea in filosofia con una tesi svolta con il prof. Enrico I. Rambaldi su
Kierkegaard giovane presso la cattedra di storia della filosofia
dell'Universita' Statale di Milano. Frequenta e consegue l'attestato del
corso di perfezionamento per gli anni 1997-'98, 1998-'99 in discipline
filosofiche e storiche presso l'Universita' Bocconi di Milano e del corso di
perfezionamento "La cittadinanza: donne, storia, diritto, cultura" per gli
anni 1997-'98, 1998-9'9 presso l'Universita' Tor Vergata di Roma. Ha
insegnato in varie scuole e dal 1989 al 2000 nei licei, per due anni negli
istituti tecnici a ordinamento speciale (Itsos), filosofia e storia. In
questi anni ha speso tempo e energie a trasmettere l'eredita' simbolica del
pensiero filosofico femminile e della storia della differenza sessuale. Ha
dedicato a questi temi due ricerche e programmazioni didattiche per il
conseguimento degli attestati del corso di perfezionamento dell'Universita'
Bocconi. Percepisce l'idea di femminismo nel 1968. E' stata attiva nella
sinistra extraparlamentare negli anni '70. Nel 1975 apre con altre donne il
dissenso con la sinistra extraparlamentare elaborando un documento
collettivo di rottura con l'organizzazione extraparlamentare Avanguardia
Operaia e da allora dedica la sua attivita' alla politica delle donne. Fonda
con altre nel 1975 la Palazzina di via Mancinelli a Milano mentre frequenta
il cosiddetto gruppo n. quattro creato da Lia Cigarini e via Col di Lana.
Conosce la Libreria delle Donne di Milano nel 1977 e la politica  e la
filosofia della differenza studiando e frequentando Lia Cigarini, Luisa
Muraro, altre relazioni femminili amichevoli e amorose, fra le quali
Gabriella Lazzerini, Nilde Vinci, con le quali riconsolida la
venticinquennale e tuttora viva intesa politica di via Mancinelli. E' con
Nilde che fonda il Gruppo Immagine e partecipa all'Associazione Lucrezia
Marinelli, verso la quale mantiene attenzione e interesse. Socia del Circolo
della Rosa dal 1993. Scrive dagli anni '70 sulle principali riviste
femministe e su altri mezzi di stampa su questioni legate al pensiero, alla
scrittura, alla politica  e alla cinematografia delle donne. I suoi testi
sono pubblicati dal Quotidiano dei Lavoratori, Il Manifesto, Leggere Donna,
Il Paese delle Donne edizione milanese e nazionale, Fluttuaria, Noi Donne,
Via Dogana, Cooperazione Educativa, Mediterranea. Ha collaborato al libro
del Centro studi e documentazione Pensiero Femminile, 100 titoli ( a cura di
Aida Ribero e Ferdinanda Vigliani), Guida ragionata al femminismo degli anni
Settanta, Luciana Tufani Editrice, Ferrara 1998. E' fra le autrici in Laura
Modini, L'occhio delle donne. Repertorio dei film in videocassetta, stampato
in proprio dall'Associazione Lucrezia Marinelli, Sesto San Giovanni
(Milano), via Falk 44. Attualmente si sta occupando della comunicazione via
computer partecipando a La Citta' delle Donne, ha ideato ed e' moderatrice
con altre di DonnaPensieroScrittura, due conferenze di RCM ( Rete Civica
Milanese), e' impegnata nella conduzione e nel dibattito della Libreria
delle donne e del Circolo della Rosa di Milano. Da cinque anni lavora alla
stesura di un libro incentrato su filosofia dell'inizio, del soggetto
proprio, e dell'autorita' materna. Ha scritto un breve saggio di avvio a una
riflessione sulle disparita' sociali in attesa di pubblicazione. Sta
elaborando documenti di un diario del '77 e di anni successivi. Ha domandato
di partecipare agli incontri della Comunita' di storiche legata a Mariri'
Martinengo". Donatella Massara ha pubblicato molti saggi ed articoli,
contribuito a volumi e ricerche, curato ipertesti e siti; nel sito da cui
abbiamo estratto questa bibliografia e' possibile leggere anche vari suoi
scritti. Naturalmente, come accade per tutte le bibliografie, chi legge
questa trovera' certo l'assenza di alcuni libri vicini al suo cuore, ed
alcune delle schede sono troppo frettolose ed alcune sintesi potranno non
persuadere: si potra' contribuire a migliorare questo gia' utile lavoro
segnalando suggerimenti e integrazioni all'autrice - per parte nostra ci
permettiamo di rinviare ad esempio alle schede biobibliografiche di autrici
apparse su questo notiziario nei numeri 488-489]
1. Alcuni libri pubblicati prima del 1995
1. 1. Testimoni
- AA. VV., La vita offesa: storia e memoria dei Lager nazisti nei racconti
di duecento sopravvissuti, a cura di Anna Bravo e Daniele Jalla; con la
collaborazione di Graziella Bonansea, Lilia Davite, Anna Gasco, Grazia
Giaretto, Elena Peano; e con il contributo di Anna Maria Bruzzone;
prefazione di Primo Levi; Milano, Franco Angeli, 1986;
- Artom E., Diari: gennaio 1940 - febbraio 1944, Centro di documentazione
ebraica contemporanea, Milano, 1966;
- Berg, Mary, Il ghetto di Varsavia, Diario, (1939-1944), Torino, Einaudi,
1991;
- Bruck, Edith, Due stanze vuote, (1943-1960), Venezia, Marsilio, 1974;
- Bruck, Edith, Chi ti ama cosi', (1932-1959), (1959), Venezia, Marsilio,
1974;
- Del Monte Anna, (a cura di Giuseppe Sermoneta), Ratto della signora Anna
del Monte trattenuta a' Catecumini tredici giorni dalli 6 fino alli 19
maggio anno 1749, Roma, Carucci, 1989;
- Edwardson, Cordelia, La principessa delle ombre (1938...),(1984), Firenze,
Giunti, 1992;
- Elias, Ruth, La speranza mi ha tenuto in vita. Da Theresienstadt e
Auschwitz a Israele, (1988), Firenze, Giunti, 1993;
- Fenelon Fania, C'era un'orchestra ad Auschwitz, Firenze, Vallecchi, 1978;
- Filippa, Marcella, Avrei capovolto le montagne, Giorgina Levi in Bolivia,
1939-1946, Firenze, Astrea-Giunti, 1990;
- Hillesum, Etty, Lettere, 1942-1943, (1986), Milano, Adelphi, 1990;
- Hillesum, Etty, Diario 1941-1943, (1981), Milano, Adelphi, 1985;
- Kolmar, Gertrud, Il canto del gallo nero, selezione di poesie e lettere
(1938-1943), (1933), prefazione di Marina Zancan, Verona, Essedue, 1990;
- Lasker-Schuler, Else, Il mio cuore e altri scritti, (1962, 1959,1969),
traduzione e nota critica di Margherita Gigliotti e Enrica Pedotti, Firenze,
Giunti, 1990;
- Lasker-Schuler, Else,  Marc F., Lettere al Cavaliere Azzurro (1912-1915),
(1989), Torino, Einaudi, 1991;
- Levi, Lia, Una bambina e basta, (1938-45), Roma, edizioni e/o, 1994;
- Millu, Liana, I ponti di Schwerin, (1938...), Genova, Ecig, 1994;
- Treves, Alcalay Liliana, Con occhi di bambina (1941-1945), Prefazione di
Liliana Picciotto Fargion, Firenze, Giuntina, 1994;
- Warburg, Spinelli Ingrid, Il tempo della coscienza. Ricordi di un'altra
Germania 1910-1989, Bologna, Il Mulino, 1990.
*
1. 2. Narrativa
- Ozick, Cinthia, Il rabbino pagano, (1961...), Milano, Garzanti, 1995;
- Paley, Grace, Piccoli contrattempi del vivere, (1956), Firenze,
Astrea-Giunti, 1986;
- Paley, Grace, Enormi cambiamenti all'ultimo momento, (1960), Milano, La
Tartaruga, 1982;
- Semel Nava, Gershona, Firenze, La casa Usher, 1989.
*
1. 3. Storia ebraica
- Antoniazzi Villa Anna, Un processo contro gli ebrei nella Milano del 1488.
Crescita e declino della comunita' ebraica alla fine del Medioevo, Bologna,
Cappelli, 1985;
- Balbi, Rosellina, Il ritorno degli ebrei nella Terra Promessa, Bari-Roma,
Laterza, 1983;
- Lasker-Schuler, Else, La terra degli Ebrei, (1937), Firenze, Giuntina,
1993;
- Riemer, Judith, Dreyfuss G., Abramo: l'uomo e il simbolo, (1993), Firenze,
Giuntina, 1994;
- Limentani, Giacoma, L'ombra allo specchio, Milano, La Tartaruga, 1988;
- Epstein, Helen, Figli dell'Olocausto, (1979), Firenze, Giuntina, 1982;
- Macrelli, Rina, Vacca d'Israele sta in Squaderno 1 cultura, politica,
delizie, delitti, Archivi Lesbici Italiani (ALI), Firenze, &stro, 1989;
- Foa, Anna, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all'emancipazione, Bari-Roma,
Laterza, 1992;
- Nirenstein, Fiamma, Il razzista democratico, Milano, Mondatori, 1990;
- Picciotto, Fargion Liliana, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati
dall'Italia (1943-1945). Ricerca del Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea, Milano, Mursia, 1991;
- Voghera Luzzatto Laura, Una finestra sul ghetto. Stefano Incisa e gli
ebrei di Asti, prefazione di P. De Benedetti, Roma, Carucci, 1983.
*
2. Alcuni libri pubblicati dal 1995
2. 1. Testimoni
- Auerbacher, Inge, Io sono una stella. Una bambina dall'olocausto, (1986),
Milano, Bompiani, 1995;
- Bassani Liscia Jenny, La storia passa dalla cucina, pp. 89, Pisa, 2000. In
questo breve racconto autobiografico, arricchito da bei disegni a carboncino
e da ricette di cucina, l'A. ricorda con humour le sue esperienze anche
drammatiche di adolescente, durante il periodo di clandestinita' trascorso
con la famiglia a Firenze;
- Bauman Janina, Un sogno di appartenenza: la mia vita nella Polonia del
dopoguerra, Bologna, il Mulino, 1997;
- Broggini Renata, La frontiera della speranza: gli ebrei dall'Italia verso
la Svizzera 1943-1945, Milano, Mondadori, 1998;
- Canetti Veza, Le tartarughe, pp.262, Venezia, 2000. Veza Canetti, moglie
di Elias, ha consegnato a queste pagine, sotto forma di romanzo,
l'indimenticabile capitolo del suo esilio, una testimonianza su dignita' e
debolezza degli uomini in tempi dominati dalla vilta';
- Charney Ann, Ritorno a Dobryn, Marsilio, 2000. Dopo aver vissuto i suoi
primi cinque anni di vita nascosta in un fienile, al termine della guerra,
una bimba ebrea scopre la vita e il mondo esterno;
- Elena Colonna, Milena e i suoi fratelli, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2003;
- Deoriti Alessandra, Paolucci Silvio, Ropa Rossella (a cura di), Le storie
estreme e la storia: i racconti della Shoah, Chiaravalle, L'orecchio di Van
Gogh, 1999;
- Dwork Deborah, Nascere con la stella: i bambini ebrei nell'Europa nazista,
Venezia, Marsilio, 1999;
- Filippini Lera Enrica, Lea Cavarra Mara, ... i fiori di lilla' quel
giorno. Una storia piccola, Modena, Istituto storico della Resistenza, 1995;
- Fink, Ida, Frammenti di tempo, (1987), Feltrinelli, 1995;
- Formaggini Gina, Stella d'Italia Stella di David. Gli ebrei dal
Risorgimento alla Resistenza, Mursia, Milano 1970, rist. 1998;
- Hahn Beer Edith, La moglie dell'ufficiale nazista, come una donna ebrea
sopravvisse alla Shoah, Susan Dworkin, Milano, Garzanti, 2001;
- Hoffman, Eva, Come si dice, (1959-1979), (1989), Roma, Donzelli, 1996;
- Jacobson, Louise, Dal liceo ad Auschwitz, (1942-'44), Roma, L'Arca,
L'Unita', 1996;
- Jona Davide, Foa Anna, Noi due, Bologna, Il Mulino, 1997;
- Kluger, Ruth, Vivere ancora, (1938-1988), (1992), Torino, Einaudi, 1995;
- Levi, Donatella, Vuole sapere il nome vero o il nome falso, (1938...)
Padova, Il Lichene, 1995;
- Levi Lia, Maddalena resta a casa, 1938, pp. 142, Milano, 2000. Il libro fa
parte di una collana "La Storia attraverso le storie" per lettori dai 10 ai
13 anni. Il libro racconta la storia di una famiglia ebrea, il cui padre
viene portato via dalla polizia fascista. Una scheda a fine volume riassume
e spiega tutti gli avvenimenti storici;
- Leitner Isabelle, Leitner Irving A., Frammenti di Isabella: memoria di
Auschwitz, Milano, Mursia, 1996;
- Lewis, Helen, Il tempo di parlare. Sopravvivere nel lager a passo di
danza. Diario di una ballerina ebrea, (1939...), (1992), Torino, Einaudi,
1996;
- Maistrello Federico, Cronaca di una deportazione. Maria Sara Rosenthal,
vedova Bohm. Conegliano - Auschwitz, Treviso, Istresco, 1996;
- Millu Liana, Il fumo di Birkenau, ottava ed., Firenze, Giuntina, 1995;
- Millu Liana, Dopo il fumo: sono il n. A 5384 di Auschwitz Birkenau, a cura
di Piero Stefani, Brescia, Morcelliana, 1999;
- Morpurgo Elena, Zaban Luisa e Silvia, Guerra, esilio, ebraicita'. Diari di
donne nelle due guerre mondiali, a cura di Paola Magnarelli, Il Lavoro
editoriale, Ancona 1996;
- Springer Elisa, Il silenzio dei vivi: all'ombra di Auschwitz, un racconto
di morte e di resurrezione, Milano, Cde, 1998;
- Blady Szwajger, Adina, La memoria negata, Milano, Sperling, 2002;
- Walech Capozzi Alba, A. 24029. Testimonianze di una ebrea senese nei campi
di concentramento nazisti, Siena, Nuova Immagine, 1995;
- Wind Ruth - Non ti aspetto piu', mamma. All'ombra dell'Olocausto. pp.158,
Alexa, Milano, 2000. Autobiografia attraverso il carteggio personale di una
donna, Ruth Wind, passata attraverso due guerre mondiali, il nazismo, i suoi
lutti;
- Regina Zimet Levy, Al di la' del ponte, Garzanti, 2003.
*
2. 2. Narrativa
- Assouline Pierre, La cliente, pp.168, Parma, 2000. L'occupazione della
Francia e la memoria della persecuzione razziale al centro di un incalzante
e sottile thriller psicologico;
- Dell'Oro Erminia, La casa segreta. La paura e il coraggio, la speranza di
tornare a vivere, pp.159, Milano, 2000. Storia vera di due ragazzini, uno
ebreo, l'altro no, le cui vite si intrecciano quando cominciano le
persecuzioni razziali. E' allegato al libro un apparato didattico con
vocabolario, spunti per una riflessione o un approfondimento a scuola;
- Kofman Sarah, Rue Ordener, rue Labat,  pp. 101, Palermo, 2000. Racconto
degli anni dell'infanzia dell'autrice, vissuta a Parigi negli anni
dell'occupazione nazista;
- Kohl Christiane, L'ebreo e la ragazza. pp. 406, Milano, 1999. Storia di
un'intensa amicizia, ambientata a Norimberga nel '32, tra una giovane e
brillante fotografa ed un maturo commerciante ebreo: la "strana coppia"
suscita pettegolezzi nel condominio fino alla denuncia, al processo e alla
condanna. Avvincente e drammatico racconto di vita quotidiana negli anni del
nazismo;
- Lapid Haim, Breznitz, pp.228, Venezia, 1999. Romanzo giallo di
ambientazione isareliana, pieno di suspense: attraverso gli occhi del suo
ispettore Breznitz, Haim Lapid ci mostra i diversi volti della societa'
israeliana contemporanea;
- Lapid, Shulamit, Professione giornalista, (1989), Milano, La Tartaruga,
1996;
- Michaels, Anne, In fuga, (1996), Firenze, Giunti, 1998;
- Polak Chaja, L'altro padre, pp. 145, Firenze, 2000. Attraverso una serie
di flashbacks, l'Autrice ci narra il disagio esistenziale di una adolescente
in conflitto tra il suo desiderio di fedelta' verso il padre mai conosciuto
e il bisogno di amare il padre adottivo;
- Rabinyan Dorit, Spose persiane, pp. 198 Vicenza, 2000. Opera prima di una
giovane autrice israeliana, tradotta in numerosi paesi, con successo di
pubblico e di critica;
- Reberschak Sandra, Domani dove andiamo?, pp. 117, Firenze, 2001. Romanzo
sul confronto generazionale tra madre e figlia, che ha per protagonista
l'anziana matriarca, tipica "madre ebrea", dolcissima, invadente,
giudicante, apprensiva;
- Weinreich Beatrice (a cura di), Racconti popolari yiddish, pp. 430,
Vicenza, 2001. Grande lavoro di indagine in un patrimonio quanto mai
frammentario e disperso, il libro e' una vera e propria summa delle favole
yiddish piu' belle e piu' trasmesse nelle comunita' ashkenazite. Ripresa da
un "Oscar" Mondadori di alcuni anni fa.
*
2. 3. Storiche della Shoah
- AA. VV., Le donne delle minoranze: le ebree e le protestanti d'Italia, a
cura di Claire E. Honess e Verina R. Jones, Torino, Claudiana, 1999;
- AA. VV., La deportazione femminile nei lager nazisti, Convegno
internazionale, Torino, 20-21 ottobre, 1994, Consiglio regionale del
Piemonte, Aned, Franco Angeli, 1995;
- Arendt Hannah, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, pp. 315,
Milano, 2001. Ora in edizione economica il libro che raccoglie gli articoli
che la Arendt, inviata del "New Yorker", invio' al suo giornale durante il
processo Eichmann a Gerusalemme;
- Arian Levi Giorgina, Montagnana M., I Montagnana. Una famiglia ebraica
piemontese e il movimento operaio (1914-1948), pp. 150, Firenze, 2000.
Questo libro si propone di colmare una lacuna lasciata dagli storici sulla
partecipazione alla lotta antifascista e alla Resistenza di una famiglia
ebrea, i Montagnana. Arricchisce il testo un'ampia appendice fotografica;
- Associazione Figli Della Shoah (a cura di), Per non dimenticare la Shoah.
Documenti e testimonianze. Dalla raccolta di Gianfranco Moscati, pp. 63,
Milano, 2001. Catalogo della mostra tenuta a Milano a Palazzo Reale a Milano
in genn.-febbr. 2001;
- Bacchi Maria, Cercando Luisa, Sansoni, 2000;
- Beccaria Rolfi L. (et al.), La deportazione femminile nei lager nazisti,
relazione introduttiva di Anna Bravo, a cura di Lucio Monaco, Milano,
Angeli, 1995;
- Cassin Elena, San Nicandro: un paese del Gargano si converte all'ebraismo,
prefazione di Alberto Cavaglion, Corbaccio, 1995;
- Cevidalli Salmoni Anita, "Tu ritorneresti in Italia?", pp. 183, Torino,
2000. Libro di ricordi d'infanzia e giovinezza, fino alla "scoperta"
all'epoca delle persecuzioni razziali del proprio essere ebrea. Poi la
partenza per il Brasile per non "arianizzarsi" e passare dalla parte dei
persecutori. L'A. e' stata insegnante all'Istituto Italiano di Cultura di
San Paolo;
- Cjmbel Rifka Sarah, Memorie, pp. 57, Casale M., 2000. Pubblicate a cura
del Comune di Casale Monferrato, queste memorie toccanti nella loro
semplicita' vogliono e riescono ad essere un contributo perche' non si
dimentichi la tragedia della Shoah;
- Di Cori Paola, Le scrittrici e la Shoah, sta in Il racconto della
deportazione nella letteratura e nel cinema / Fiano ... (et al.), Bergamo,
Fondazione Serughetti La Porta, 1999;
- Friedmann Friedrich G., Hannah Arendt. Un'ebrea tedesca nell'era del
totalitarismo, pp. 186, Firenze, 2001. Saggio sulla vita e le opere della
Arendt, viste sopratutto nelle contraddizioni e nelle sfide derivate dal
fatto di provenire da una cultura ebraica e tedesca insieme;
- Gardenal Gianna, L'antigiudaismo nella letteratura cristiana antica e
medioevale, pp. 340, Brescia, 2001. Attraverso una serie di testi scritti
dai piu' illustri teologi dell'antichita' e del medioevo, l'A. analizza il
costituirsi della figura negativa dell'ebreo nell'immaginario occidentale;
- Germain Sylvie, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, pp. 252, Roma,
2000. Non tanto una biografia - della Hillesum si sa poco, solo quello che
ha scritto nel famoso "Diario" - quanto una testimonianza di fede e volonta'
di vivere, malgrado l'internamento nel lager;
- Herweg, Monika Rachel, La yidishe mame. Storia di un matriarcato occulto
ma non troppo da Isacco a Philip Roth, (1994), Genova, Ecig, 1996;
- Massariello Merzagora Giovanna e G. P. Marchi (a cura di), Il Lager. Il
ritorno della memoria. Atti del convegno internazionale 6-7 aprile 1995 -
Universita' degli Studi di Verona, Aned, Edizioni Lint, Trieste, 1997;
- Nirenstein, Fiamma, Isreale. Una pace in guerra, Bologna, Il Mulino, 1996;
- Ofer Dalia, Lenore J. Weitzman, Donne nell'Olocausto, Introduzione di Anna
Bravo, Le Lettere, Firenze 2001;
- Pisanty Valentina, L'irritante questione delle camere a gas. Logica del
negazionismo, Bompiani, Milano 1998;
- Rossi-Doria Anna, Antisemitismo e antifemminismo nella cultura
positivista, sta in (a cura di Alberto Burgio), Atti del convegno omonimo
tenuto a Bologna nel 1997, Nel nome della razza: il razzismo nella storia
d'Italia, 1870-1945, Bologna, Il mulino, 1999;
- Rossi-Doria Anna, Memoria e storia, il caso deportazione, Rubbettino,
Soveria Mannelli 1998;
- Schroder Nina, Le donne che sconfissero Hitler, Pratiche editrice, 2001;
- Sossi Federica, Nel crepaccio del tempo: testimoniare la Shoah, Milano,
Marcos y Marcos, 1998;
- Sullam Calimani Anna V., I nomi dello sterminio, Einaudi, Torino 2001;
- Treves Alcalay Liliana, Melodie dall'esilio. Percorso storico-musicale
degli ebrei e marrani spagnoli, pp. 200, con CD allegato, Firenze, 2000.
L'A. segue le tracce degli esuli nelle terre di rifugio e insieme va alla
ricerca delle testimonianze lasciate da quei criptogiudei che per secoli,
braccati dall'Inquisizione, continuarono a cantare la loro fede ebraica;
- Valensi, Lucette e Wachtel N., Memorie ebraiche, (1986), Torino, Einaudi,
1996;
- Vincenti Lucia, Storia degli ebrei a Palermo durante il fascismo:
documenti e testimonianze; saggio introduttivo Gabriella Portatone, Palermo,
Offset studio, 1998;
- Wieviorka Annette, L'era del testimone, (1998), Milano, Raffaello Cortina,
1999;
- Wieviorka Annette, Auschwitz spiegato a mia figlia, postfazione di Amos
Luzzatto, Torino, Einaudi, 2000;
- Zuccotti Susan, L'olocausto in Italia, prefazione di Furio Colombo,
Milano, Tea, 1995.

5. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: CUBA CI FA MALE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 aprile 2003. Eduardo Galeano e' nato
nel 1940 a Montevideo (Uruguay). Giornalista e scrittore, nel 1973 in
seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal
suo paese. Ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura.
Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale
fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le
sue opere, fondamentali sono: Le vene aperte dell'America Latina,
recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco,
Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra
gli altri suoi libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua
maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista
che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes,
Mondadori, Milano]
Le prigioni e le fucilazioni a Cuba sono delle gran belle notizie per il
superpotere universale, che ha una voglia matta di togliersi una volta per
tutte questa spina ostinata. Sono invece gran brutte notizie, notizie tristi
che fanno molto male, per noi che crediamo che il coraggio di quel paese,
piccolo ma cosi' capace di grandezza, sia ammirevole, ma che crediamo anche
che la liberta' e la giustizia vadano di pari passo o non vadano da nessuna
parte.
Tempi di gran brutte notizie: come se non ne avessimo abbastanza della
iniqua impunita' della strage in Iraq, il governo cubano commette questi
atti che, come direbbe il signor Carlos Quijano, "peccano contro la
speranza".
Rosa Luxemburg, che diede la vita per la rivoluzione socialista, dissentiva
da Lenin nel progetto di una nuova societa'. Lei scrisse parole profetiche
su cio' che non voleva. Fu assassinata in Germania, ottantacinque anni fa,
ma continua ad avere ragione: "La liberta' solo per i partigiani del
governo, solo per i membri di un partito, per quanto siano numerosi, non e'
liberta'. La liberta' e' sempre la liberta' per colui che pensa in modo
diverso". E anche: "Senza elezioni generali, senza una liberta' di stampa e
una liberta" di associazione illimitate, senza una lotta di opinioni libere,
la vita vegeta e marcisce in tutte le pubbliche istituzioni, e la burocrazia
arriva ad essere l'unico elemento attivo".
Il ventesimo secolo e questo scampolo del ventunesimo ci hanno dato
testimonianza di un doppio tradimento del socialismo: la destabilizzazione
della democrazia, che ai nostri giorni e' arrivata al colmo con il sergente
Tony Blair, e il disastro degli stati comunisti trasformati in stati
polizieschi. Molti di quegli stati si sono gia' disintegrati, senza infamia
e senza lode, e i loro burocrati riciclati servono il nuovo padrone con
entusiasmo patetico.
La rivoluzione cubana nacque per essere diversa. Sottoposta a un'incessante
pressione imperiale, e' sopravvissuta come ha potuto e non come avrebbe
voluto. Si e' molto sacrificato quel popolo, intrepido e generoso, per
continuare a stare in piedi in un mondo pieno di prostrati. Ma nel duro
cammino che ha percorso in tanti anni, la rivoluzione ha perso
progressivamente il vento della spontaneita' e della freschezza che al
principio l'aveva sostenuta. Lo dico con dolore. Cuba ci fa male.
La cattiva coscienza non m'imbroglia la lingua per ripetere quel che ho gia'
detto all'interno e fuori dell'isola: non credo, non ci ho mai creduto, alla
democrazia del partito unico (nemmeno negli Stati Uniti, dove c'e' un
partito unico travestito da bipolarismo), e non credo neppure che
l'onnipotenza dello stato sia la risposta all'onnipotenza del mercato.
Credo che le lunghe condanne al carcere siano degli autentici autogol.
Trasformano in martiri della liberta' d'espressione dei gruppi che operavano
apertamente dalla casa di James Cason, il rappresentante degli interessi di
Bush all'Avana. La passione liberatrice di Cason era andata cosi' lontano
che lui stesso fondo' la sezione giovanile del Partito Liberale Cubano con
la delicatezza e il pudore che caratterizzano il suo capo. Agendo come se
quei gruppi fossero una minaccia, le autorita' cubane gli hanno reso
omaggio, e gli hanno regalato il prestigio che le parole acquisiscono quando
sono proibite. Questa "opposizione democratica" non ha nulla a che vedere
con le genuine aspettative dei cubani onesti. Se la rivoluzione non le
avesse fatto il favore di reprimerla, e se a Cuba ci fosse piena liberta' di
stampa e di opinione, questa presunta dissidenza si squalificherebbe da sola
e riceverebbe il castigo che si merita, il castigo della solitudine, per la
sua nota nostalgia dei tempi coloniali in un Paese che ha scelto il cammino
della dignita' nazionale.
Gli Stati Uniti, instancabile fabbrica di dittature nel mondo, non hanno
l'autorita' morale per dare lezioni di democrazia a nessuno. Potrebbe invece
dare lezioni di pena di morte il presidente Bush, il quale, come governatore
del Texas si e' proclamato campione del crimine di stato firmando 152
esecuzioni.
Ma le rivoluzioni vere, quelle che si fanno dal basso e dall'interno come si
fece la rivoluzione cubana, hanno forse bisogno di imparare cattive
abitudini dal nemico che combattono? La pena di morte non si puo'
giustificare, ovunque venga applicata.
Sara' Cuba la prossima preda nella strage di Paesi intrapresa dal presidente
Bush? L'ha annunciato suo fratello Jeb, governatore dello stato della
Florida, quando ha detto: "Adesso bisogna guardare il vicinato", mentre
l'esiliata Zoe Valdes chiedeva gridando alla televisione spagnola "che
facciano scoppiare il dittatore con una bomba". Il ministro della Difesa, o
per meglio dire dell'Attacco, Donald Rumsfeld, ha messo in chiaro: "Per
adesso no".
Sembra che il pericolosimetro e il colpometro, le macchinette che scelgono
vittime nel tiro a segno universale, puntino piuttosto verso la Siria.
Chissa". Come dice Rumsfeld: per adesso.
Credo al sacro diritto all'autodeterminazione dei popoli, in qualunque luogo
e in qualunque tempo. Posso dirlo, senza che niente mi tormenti la
coscienza, perche' l'ho detto pubblicamente ogniqualvolta questo diritto e'
stato violato in nome del socialismo, con gli applausi di un vasto settore
della sinistra, come successe, ad esempio, quando i carri armati sovietici
entrarono a Praga nel 1968, o quando le truppe sovietiche invasero
l'Afghanistan alla fine del 1979.
A Cuba sono visibili i segni della decadenza di un modello di potere
accentratore, che trasforma in merito rivoluzionario l'obbedienza agli
ordini che vengono calati dall'alto.
L'embargo e altre mille forme di aggressione, paralizzano lo sviluppo di una
democrazia alla cubana, alimentano la militarizzazione del potere e offrono
alibi alla rigidita' burocratica. I fatti dimostrano che oggi e' piu' che
mai difficile aprire una cittadella che si e' andata fortificando man mano
che e' stata obbligata a difendersi. Ma i fatti dimostrano anche che
l'apertura democratica e', piu' che mai, imprescindibile. La rivoluzione,
che e' stata capace di sopravvivere alle furie di dieci presidenti degli
Stati Uniti e di venti direttori della Cia, ha bisogno di quell'energia,
energia di partecipazione e di diversita', per far fronte ai tempi duri che
ci attendono.
Devono essere i cubani, e solo loro, senza che nessuno vada a metterci mano
dall'esterno, ad aprire nuovi spazi democratici e a conquistare le liberta'
che mancano, all'interno della rivoluzione che loro hanno fatto e dalle
profondita' della loro terra, che e' la piu' solidale che io conosca.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 571 del 19 aprile 2003