Report dall'Iraq #57




Non è stata leggera la notte a Bgahdad.
Una notte cupa e buia sotto le bombe, i missili ed i rastrellamenti delle truppe amricane. Una notte passata schiacciati l’uno contro l’altro nelle case e nei rifugi improvvisati. Alcuni persino nascosti tra le rovine di quella che era la loro casa. Una notte di fame e di paura passata con l’incubo dell’arrivo dei marines: il fuoco dell’ artiglieria contro la facciata della casa, le grate delle porte e delle finestre divelte a colpi di mitragliatore. E poi le botte le percosse, la testa incappucciata.

No, non sono cambiate le notti di Baghdad.

Le bombe sono tornate a cadere senza interruzione, quelle bombe devastanti che provocano crateri profondi alcuni metri, che spazzano via un edificio come fosse costruito con i mattoncini del Lego e colpito da un maglio di acciaio.

Eppure è stata una notte dove si potevano trovare molti in strada accomunati e divisi da sentimenti diversi. Dalla curiosità di vedere e capire cosa accadeva: se davvero gli americani erano in città, e se proprio erano arrivati perché continuare a bombardare, sparare, ferire ed uccidere. Altri erano in strada armati con pistole e fucili, forse “Feddayn”, forse no, forse soldati spogliati della divisa. Altri ancora erano i diseredati, i disperati, le vittime più vittime persino delle vittime che si possono intravedere maciullate tra i sassi, le acque fetide e le buche provocate dalle bombe. Quelli che non hanno più neppure una casa, un luogo dove rifugiarsi, una vecchia automobile nella quale nascondersi, Quelli che si sdraiano sui carretti abbandonati nelle strade, che trovano riparo in mezzo alle macerie tirando su con le mani fragili muri di mattoni per ripararsi dalla vista dei soldati.

Baghdad è senza acqua, e senza luce da una settimana. Le malattie infettive iniziano decimare gli scampati ai bombardamenti. I bambini vivono in condizioni spaventose. Il tifo, il colera si insinuano in migliaia di cittadini provocando focolai di contagio inimmaginabili.

Gli ospedali ed i ricoverati sono abbandonati a loro stessi: non una medicina, non una sacca di plasma, non una fiala di anestetico, non una confezione di antibiotici, non un metro di filo di sutura è più presente nella farmacia degli ospedali. Non più un infermiere, pochi i medici, stremati ed impotenti. Un disordine pieno di sporcizia e spazzatura, una puzza nauseabonda che prende la gola. Non un soldato americano si è presentato chiedendo se avessero bisogno di qualcosa.

I bombardamenti sul popolare ed affollato quartiere di Mansour hanno provocato solo nella mattina di oggi 35 morti e più di cento feriti tra i civili.

Il mio contatto, che è tornato all’hotel dove aveva passato oltre due settimane insieme ad un collega film-maker, mi riferisce di azioni di piccola e crudele ferocia ai danni della popolazione civile: prendere a calci una donna che porta una pila impressionante di stoviglie tra le braccia; inseguire due ragazzi di non più di 14/15 anni per centinaia di metri con una jeep al solo scopo di terrorizzarli; fermare e perquisire, sopra e sotto i vestiti, uomini e donne ridendo poi di loro, e del loro imbarazzo e vergogna.

Alì ha 24 anni, e si è rifugiato nell’albergo con l’amico Fahed perché amici del proprietario dell’hotel e della sua famiglia. Parla inglese Alì e non ha difficoltà a simpatizzare con i due reporters indipendenti. Alì suona la chitarra, dagli amici è conosciuto come “Jim” per via della sua smodata passione per la musica rock, Jim Morrison ed i Doors in particolare. Confessa che gran parte del buon inglese che parla lo deve ai testi delle canzoni imparate a memoria attraverso le trasmissioni televisive dei canali satellitari musicali che seguiva ogni notte, come ipnotizzato. Alì non sa neppure più che fine abbia fatto la sua famiglia, i genitori e le sorelle, ma “sente” che stanno bene, è certo, senza averne alcuna prova, che si sono rifugiati fuori Baghdad, nella fattoria di uno zio. E parla Alì, parla di musica, vuole essere informato, è compiaciuto di conoscere ed amare canzoni conosciute anche dai reporters. Parla Alì e rivela che prima dei bombardamenti, la sera spesso si trovava con altri amici per suonare e cantare le “cover” di qualche pezzo musicale, sempre dei Doors naturalmente, la sua passione.

La casa di Alì è crollata sotto un pesante bombardamento, sostiene di essere vivo per miracolo perché proprio in quel momento sceso fino al fiume per andare a prendere due secchi d’acqua putrida necessari alla madre per bollire le verdure, i ceci e le patate. Ha sentito il boato, ha visto le fiamme, il fumo. Ha cominciato a correre come un matto verso la sua casa, i secchi per l’aria, tutta l’acqua a terra, ma correva Alì, correva come un matto. Poi la vista delle macerie, le grida dei feriti, il terrore sui volti e negli occhi dei sopravvissuti. E come in un sogno, o forse in un incubo, nel dissolversi della nuvola di detriti e polvere ha visto la sua famiglia. Tutti vivi. Sporchi, laceri, ma vivi. E’ stata questa l’ultima volta che Alì li ha visti. Non è andato con loro dallo zio fuori città. E’ voluto rimanere con i suoi amici in città. Rimane un attimo in silenzio Alì, e poi piange. I reporter non sanno come consolarlo, come lenirgli il dolore. Gli ricordano che sta bene, che i suoi familiari sono in salvo che nella drammaticità della situazione potrebbe persino dirsi fortunato, se questa parola potesse avere un senso, qui a Baghdad. Continua a piangere Alì e risponde di essere consapevole che la vita sua, dei suoi genitori e delle sorelle sono la cosa più importante, e che è felice di questo. Piange Alì perché tra le rovine della sua casa è rimasta sepolta, distrutta, la sua chitarra. Che in qualche modo era gran parte della sua vita. Piange Alì, ed il suo pianto non si ferma. Uno dei due reporter mette mano allo zaino e tira fuori una armonica e dice ad Alì che è per lui, che è un regalo. Alì la guarda, alza gli occhi sui reporters e chiede: la conosci “The End” dei Doors?

Che la notte sia leggera.
r.



[NOTA: L'archivio di questi report e' disponibile su

http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php

Queste corrispondenze sono inserite da *Robdinz* che e' in contatto
dall'Italia , attraverso le linee telefoniche internazionali, con varie
persone che sono a Baghdad e che fanno riferimento per i contatti ai
telefoni di due alberghi della capitale, dove è ospitata la stampa
internazionale. Si tratta di operatori dell'informazione indipendente,
free-lance, 6 o 7 human shields, e qualche cittadino di Baghdad che lavora
con loro. *Robdinz* non è a Baghdad ma funziona come una sorta di "ponte"
per far arrivare notizie ed informazioni in tempo reale raccolte con grande
onestà intellettuale e capacità professionale nella attuale realtà
(drammatica) della città.]