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La nonviolenza e' in cammino. 562
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 562
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 10 Apr 2003 00:44:09 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 562 del 10 aprile 2003 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: contro il cinismo 2. Enrico Peyretti: non si puo' vivere in un mondo che uccide 3. Antonino Drago: Europa e difesa popolare nonviolenta 4. Fabrizia Ramondino: tra club Bush e clan Saddam 5. Luciano Bonfrate: in memoria di Martin Luther King 6. Osvaldo Caffianchi: in memoria di Primo Mazzolari 7. Benito D'Ippolito: in memoria di Dietrich Bonhoeffer 8. Chiara Zamboni: la forza dell'invisibile 9. Riletture. Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa: L'eclissi della madre 10. Riletture. Antoinette Fouque: I sessi sono due 11. Riletture. Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi: Se noi siamo la terra 12. Riletture. Letizia Paolozzi, Alberto Leiss: Un paese sottosopra 13. Riletture. Silvia Vegetti Finzi (a cura di): Psicoanalisi al femminile 14. Peppe Sini: quello che oggi piu' occorre 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: CONTRO IL CINISMO [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento, che riteniamo di fondamentale importanza. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Dunque il testo da me proposto alla Convenzione permanente di donne contro le guerre [e' il testo intitolato "Cessate il fuoco" apparso come editoriale del n. 557 del 5 aprile 2003 di questo notiziario] a molte non e' piaciuto: succede, e non e' tragico. Comumque poiche' e' anche possibile che non mi sia spiegata, cerco di chiarirne le principali implicazioni cosi' avremo qualcosa di preciso su cui discutere. Ma prima voglio narrare un paio di episodi a mo' di introduzione. Molti anni fa partecipai ad Helsinki a una conferenza della Fdif (Federation democratique internationale des femmes, una specie di Udi internazionale) nel corso della quale le donne dell'Udi facero lo strappo con l'Urss ben prima del Pci, le cinesi uscirono dalla federazione stessa e le vietnamite che erano presenti furono molto festeggiate e interrogate: era in corso la guerra con gli Usa. A un certo punto qualcuna chiese che cosa avremmo potuto fare per essere di aiuto, e con il loro bel sorriso orientale un po' ironico ci risposero "Fate la rivoluzione nel vostro paese". Da allora evito di dire ai vari popoli che cosa debbono fare. Ad esempio evito di dire che il popolo iracheno deve fare la guerra all'imperialismo, dato che ho a casa mia un governo vassallo dell'impero e non sono capace di buttarlo giu'. L'altro fatto e' che penso che senza l'otto settembre 1943 non ci sarebbe stato nemmeno il 25 aprile 1945. Insomma se i politici possono fare rapidi giri di valzer, i popoli hanno bisogno di tempo per uscire da situazioni ambigue e da condizioni difficili e da esperienze niente affatto limpide: una cesura serve. Al popolo iracheno non deve essere chiesto nulla se non di uscire al piu' presto dalla guerra e percio' quello che noi possiamo e dobbiamo fare e' premere sulle Nazioni Unite perche' inducano Usa e Gran Bretagna a smettere. Se il popolo iracheno chiede pace e si arrende, benissimo; se l'esercito iracheno si disfa, niente di diverso da cio' che fece l'esercito italiano nel 1943. Se Usa e Gran Bretagna non accettano di cessare il fuoco e non ammettono che la transizione verso un libero assetto scelto dal popolo iracheno debba essere avviata con la presenza e le garanzie che puo' dare l'Onu, allora se vorra' avviare una resistenza contro l'occupazione il popolo iracheno avra' diritto al pieno appoggio internazionale da parte di tutti i governi e i popoli. A quel punto cerchero' di spiegare che la resistenza nonviolenta e' la piu' efficace e pur senza arrogarmi il diritto di giudicare cio' che gli iracheni vorranno fare diro' che a mio parere certe forme di resistenza come il martirio dei kamikaze sono inaccettabili e dannose. Ha fatto piu' male ai palestinesi che Sharon. Tutto questo esprime un giudizio severo sulle pratiche che a sinistra sono state usate nel secolo scorso per raggiungere il potere e avviare esperienze rivoluzionarie: sono convinta che se per respingere e superare l'imperialismo usi gli stessi suoi metodi ha gia' vinto l'imperialismo, che riesce a mettere in mora il processo rivoluzionario: e' successo ovunque dall'Urss al Vietnam alla Cina a Cuba; ovunque vi sia stata violenza e militarismo e guerrriglia alla fine alle prime "libere" elezioni ha vinto la destra e il sistema economico capitalistico. Lo conferma per converso anche il Brasile e non per caso li' il processo di fuoriuscita da una condizione quasi coloniale e' avvenuto senza guerriglia. Insomma, se diciamo "Fuori la guerra dalla storia" dobbiamo sapere quel che diciamo e che conseguenze comporta: appunto di giudicare sempre e comunque il ricorso alla violenza armata come un errore. L'insistenza perche' gli iracheni si lascino uccidere pur di prolungare le guerra e fiaccare gli Usa e' di un cinismo ributtante: la lotta antimperialista non si puo' scambiare con un solo bambino ucciso o con una sola bambina terrorizzata. E del resto se si guarda agli Usa i 27.000 immigrati clandestini mandati a morire per poter avere il passaporto statunitense sono vittime dell'imperialismo non meno del popolo iracheno. Non so se sono stata chiara: comunque e' quel che penso. 2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: NON SI PUO' VIVERE IN UN MONDO CHE UCCIDE [Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999] Io sono un seimiliardesimo dell'umanita'. Rispondo solo di questo seimiliardesimo. Rispondo di quello che scoppia nel cuore e martella nella mente. Non rappresento nessuno, anche se so che non sono solo. Ogni umano ha in se' tutta l'umanita', nel bene e nel male. Sono offeso, addolorato, indignato, sono reso sporco di fuori e colpevole di dentro, da questa guerra piu' oscenamente visibile, che mi ripresenta agli occhi tutte le altre guerre nascoste, in un boato spaventoso di male. Mi sento accusato e umiliato di appartenere a questa umanita'. So che la guerra non e' la piu' profonda e grave delle violenze. Le violenze strutturali e culturali sono piu' profonde, piu' gravi, piu' accettate, meno respinte, e sono radice e frutto delle guerre. Ma le guerre sono la loro epifania orrenda, manifestano, anche a chi non vuol vedere, il Grande Male. La guerra pone la domanda cruciale, che ci mette in croce: si puo' vivere o non si puo' vivere in un mondo che uccide, che organizza e studia e finanzia e comanda la morte data ad altri, come uno dei mezzi di azione, per raggiungere degli scopi, per incidere sulla realta'? * La nostra morte e' naturale, e' nostra. La morte di guerra e' artificiale, aggiunta, pensata, voluta, studiata, sapientemente inflitta ad altri. La morte naturale puo' essere sorella, come la chiamava Francesco: per molti, da sempre, e' la porta di una beatitudine sulla terra ignota; per altri e' una quiete silenziosa dopo le tempeste della vita. La morte di guerra e' soltanto nemica, e' l'inferno tracimato sulla terra. Taglia la vita, non la conclude. Non si puo' vivere in un mondo che uccide. Davvero, non si puo' vivere in un mondo che uccide. Come, non si puo' vivere? Ti dicono addirittura che solo cosi' si puo' vivere, sopravvivere, vivere liberi, vivere sicuri, mantenere il nostro livello di vita. Invece, non si puo' vivere in un mondo che uccide. Non si puo' vivere in un mondo che onora e serve e celebra la morte artificiale organizzata e studiata, e le assoggetta la vita: una vita costruita sulla morte, grata e debitrice alla morte, colpevole di morte. Ma poi si vive lo stesso. Si vive rassegnati o disperati. Questa e' la tenaglia, il dilemma in cui la guerra ci condanna: o rassegnati o disperati. Sappiamo sfuggire al dilemma? Oppure vi cadiamo? * Il suicidio e' il grido piu' alto e silenzioso, piu' misterioso, piu' forte e interpellante. Un grido che evitiamo di ascoltare. Evitiamo il suo richiamo di sirena riposante dentro di noi. Evitiamo il grido di chi esce volontariamente, ma scacciato, dal mondo crudele, costretto a disperare definitivamente dell'umanita' irreparabile. E' un grido troppo forte, il suo. Eppure, pur comprendendolo, dobbiamo dirgli, senza rimprovero, che non fa la cosa giusta. La morte che si pretende regina della storia ne ride, se ne appropria. Dice a tutti, sbeffeggiando il tuo dolore, che cosi' le dai ragione. Falsifica il tuo grido. Inoltre, il suicidio sottrae le tue energie di vita alla lotta contro la morte. La morte nemica non merita il tuo tributo. Merita il tuo affronto. Respingi la nemica, pur pronto ad abbracciare la sorella. Cercavi una via di fuga dal mondo in cui veramente non si puo' vivere, e ti trovi precipitato nel campo della morte, la nemica, che ti ha vinto con la disperazione riguardo alla vita. Amavi troppo la vita per sopportarla inquinata di morte. Ma la vita non era tutta morte. * Non e' suicidio la morte di Rachel Corrie, l'ultima, per ora, di tanti che si interpongono tra gli omicidi, soprattutto a scudo dei civili, prima a prevenire, poi a fermare, se possibile, la corsa della morte, a costo di esserne investiti. Essi sperano piu' di tutti. Non cascano nel dilemma: o rassegnati o disperati. Con la loro vita e i loro corpi fanno argine all'onda di morte, sperando di risvegliare l'umanita' sopita in chi spara e bombarda. Vive in loro lo spirito dell'antico cavaliere, scudo vivo dei deboli, oggi perduto dai militari superarmati, reincarnato ora, ma piu' puro perche' senza arma ne' corazza, nei corpi civili di pace. * Una via disperata e' invece quella di chi combatte contro la guerra contaminato dalla guerra, contro la violenza contagiato dalla violenza. Crede di usare la forza piu' grande e invece conferma i metodi della guerra, come gli unici possibili. Non trova il modo di essere alternativo. E' catturato e si crede libero solo perche' si divincola e colpisce. Gli oppositori violenti alla guerra e alla violenza sono dei disperati, urlano senza speranza, e sono complici involontari di cio' che credono di non volere. Sono i collaboratori piu' ambiti dalla guerra, perche' la servono nel campo degli oppositori. Sono combattenti per la pace che tradiscono la pace. * Altri cercano una via di fuga nella vita privata. Guerra e pace, l'immenso enciclopedico affresco di Tolstoj sull'esistenza, e' stato interpretato come pace nel privato, guerra nel pubblico. Anche nel privato ci sono guerre, ma spesso c'e' una sufficiente tregua, pazienza, costruttivita', vicinanza. Ecco, qui vivere si puo'. Il mondo privato, familiare, amicale, produttivo, collaborativo, bene o meno bene, manda avanti la vita. E poi c'e' tanto da fare che ci tiene occupati, cioe' distratti (qualcuno ha parlato di "armi di distrazione di massa"). Si puo' vivere a patto di emarginare dagli occhi, dal cuore e dai pensieri la guerra, che si impone come regola regina nel mondo delle grandi relazioni, nelle quali pero' sono coinvolti e travolti tutti i piccoli. La televisione porta in casa, sulla tavola della vita, la tempesta di morte che e' la guerra. Ma sono solo immagini, i morti non gridano, sono lontani. I titoli esplosivi dei giornali ti entrano in tasca, nella borsa. Ma basta un po' di anestesia, un po' di callo sulla pelle, e le abrasioni brucianti, le offese intime, diventano sopportabili, comunque vengono sopportate. Non ci posso far niente, non possiamo farci niente. Speriamo che finisca presto. Per non finire disperati, si finisce rassegnati. * C'e' anche chi parteggia, per l'uno o per l'altro non importa: dacci dentro, fagliela pagare tutta, non badare alle chiacchiere e non fare tante parole, non andare per il sottile, finiscilo presto. E' un modo di essere sia disperati che rassegnati. Disperati perche' non c'e' soluzione meno sanguinosa, rassegnati perche' a questa regola ci si inchina, e' la propria regola. * La guerra arruola tutti, disperati e rassegnati: venite a servire la morte! Restate nel vostro angolo, lasciatemi fare il mio lavoro di ammazzare! Questo seimiliardesimo non vuole disperare e non vuole rassegnarsi. Egli diserta l'uno e l'altro campo. Anche se non sapesse dove andare, il suo primo dovere e' disertare. No alla disperazione. No alla rassegnazione. Dite che non c'e' speranza? E io la cerco ugualmente! Dite che non c'e' altra realta' che questa? E io non accetto questa. Se voi ci morite dentro, io moriro' fuori da queste mura. Forse i miei occhi faranno in tempo a scorgere altri orizzonti. Forse altri cammineranno piu' avanti di me, su quella via, su cui del resto vedo che tanti altri, molto migliori e piu' forti di me, si sono da tempo incamminati. Una verita' ha colpito il mio sguardo. Non una verita' intellettuale, non una verita' di fede, non una verita' di parte, non una ideologia (come dicono per diffamarla), ma una verita' biologica, prima e vitale come la nascita, come il respiro, come il mistero dell'esistenza. Una verita' umile e misteriosa, che abbiamo in comune anche con gli animali senza altra parola che gli occhi, e con le piante silenziose e ferme, che bevono dalla terra e respirano col vento. Da bambino ho visto uccidere prima di veder morire. Prima di vedere spegnersi il respiro dei miei vecchi, nella casa raccolta attorno al loro letto, ho visto uccidere, sulla piazza del paese per loro sconosciuto e straniero, tre uomini prigionieri, inermi, accerchiati, in potere altrui. Ora erano vivi, camminavano spaventati, in mano ai padroni della loro vita, ora tornavano come sacchi bucati, perdenti sangue, gettati su un carretto trainato da un asino a capo chino, piu' pietoso degli umani. Non uccisi in combattimento, nella spietata maledetta necessita' di guerra, ma nei postumi della guerra, infetti di odio e di vendetta. Non colpevoli provati di qualche atrocita' o colpa personale, ma colpevoli soltanto di far parte del gruppo nemico. Uccisi per quella facilita' ad uccidere, che la guerra, fosse pure la piu' giustificabile come fu la Resistenza armata contro il nazifascismo, induce in persone normali, trasformate facilmente in strumenti in balia di un superiore meccanismo omicida. Quella verita' e': non uccidere. Io l'ho imparata quel giorno, da quei tre uccisi. A me tocca stare attaccato a quella verita', ripeterla come eco del suono continuo del fiume accidentato della vita. * La prima e piu' necessaria delle leggi di vita ha sempre patito mille eccezioni. Si uccide non solo contro la legge, ma anche coperti da qualche emendamento aggiunto a quella. E il mondo diventa invivibile. Il mondo uccide. A volte sembra che l'intero mondo, le potenze del mondo, si lancino in un'orgia di uccisioni. Non si puo' piu' vivere in un mondo che uccide. Non si puo' lasciare che il mondo uccida. Vi siamo entrati perche' un uomo e una donna, coi corpi congiunti in amore, ci hanno fatto nascere per vivere, non per morire, non per uccidere, non per mettere un abisso tra una vita e l'altra, tra un corpo e l'altro. Con lo stesso misterioso gesto e con mille cure abbiamo aggiunto al mondo i nostri figli: ogni volta che li guardiamo ci ammoniscono che la vita si da' e non si toglie. Non uccidere e' legge. Questa parola e' potente, perche' non e' mia, non e' tua. Non e' una delle nostre tante e fiacche parole. Chi crede in Dio la sente scendere da lui. Chi pensa la sente dire dalla ragione. Chi vive la sente pulsare nelle vene della vita. Anche l'animale che ti guarda, ti dice: non uccidermi. Anche la pianta che stormisce, canta: non stroncare alcuna vita; se te ne nutri rispettala delicatamente come la vita tua. Tutti udiamo la stessa parola, se vogliamo udirla. La piu' antica parola, stravolta e tradita, ritorna sempre nuova, piu' potente quanto piu' offesa. Nel mondo che uccide, ogni seimiliardesimo di umanita' la ode, l'ascolta o non l'ascolta. Oggi, nel dolore dell'offesa, tante persone e popoli, tanti come mai prima, in un movimento mondiale, l'ascoltano. Non sappiamo se il movimento contro la guerra durera', crescera', se sara' coerente e tenace. Forse si', forse no. Ora c'e'. La guerra lo ha suscitato. Senza che compaia sulle bandiere e nei gridi, e' quella parola che lo convoca: non uccidere. E' parola che disperde le ragioni della morte usata contro altri viventi. Se ne parli, c'e' chi ti dice che non e' una parola sufficiente: ci sono conflitti acuti, estremi; ci sono minacce assolute; ci sono circostanze eccezionali; e infine, ecco la loro contro-parola: la guerra - cioe' l'uccidere - e' la risorsa estrema! Ma e' una "risorsa" che interessi e forze anti-umanita' non vedono l'ora di usare! Ed e' "estrema", cioe' massimamente esterna: e' "fuori dalla ragione" (alienum a ratione), diceva Papa Giovanni nella Pacem in terris, pensare che la guerra, specialmente nell'era atomica, possa essere mezzo di giustizia. * E invece il non uccidere e' parola necessaria e sufficiente, se le permettiamo lo sviluppo che contiene. Non e' una negazione, ma un'affermazione. Non e' un divieto, ma un diritto di liberta'. E' mio diritto non essere ucciso, ma altrettanto non diventare uccisore. E' un no che diventa subito un si', se lo accogliamo e lo coltiviamo. Il no alla guerra che uccide, il no al mondo che uccide, sono il si' al mondo senza guerra, senza uso della morte, cioe' libero dalle armi e dal calcolo omicida. Solo se si chiude la strada della guerra, possono aprirsi nelle menti, nelle culture, nelle politiche, altre vie oggi escluse, ma possibili, anzi gia' esistenti. Il movimento attuale per la giustizia (new global) e per la pace (not in my name) e' ricco di possibilita'. Porta le ragioni dell'umanita'. Deve guardare piu' lontano della tragedia in corso, pensare piu' profondamente della indignazione, dello scandalo e del dolore. Il pensiero e la volonta' di giustizia e di pace non ignorano nulla delle esigenze realistiche, della necessita' di leggi e di sagge sanzioni, del bisogno di autorita' responsabile, della (per ora irrinunciabile) funzione della forza pubblica a contenimento della violenza privata - forza che e' diversa e opposta alla violenza bellica -, ma vogliono semplicemente invertire il senso di una politica che non e' politica, fino a quando continua a mettere in conto l'uccidere. 3. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO: EUROPA E DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA [Ringraziamo di cuore Antonino Drago (per contatti: tel. 0817803697, fax: 06233242218, e-mail: drago at unina.it) per questa lettera della quale pubblichiamo ampi stralci. Tonino Drago, nato a Rimini nel 1938, docente di storia della fisica all'Universita' di Napoli, da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997] Scrivo in collegamento a quanto scritto da Lidia Menapace nell'editoriale "Per un'Europa della pace e della difesa popolare nonviolenta" nel n. 559 del 7 aprile 2003. Tutta la politica europea dopo il 1989 e' stata giocata attorno a quel punto che Lidia sottolinea: rifiutare la prospettiva di una difesa solo difensiva, che sarebbe stata naturale per dei popoli scampati per miracolo dall'ecatombe nucleare (programmata per loro dai sapientoni militari Usa e Urss), e che all'Est avevano saputo sconfiggere i governi piu' duri con la sola forza della nonviolenza, a mani nude. Ma poco dopo il 1989 l'Europa ha imboccato la via di distaccarsi dal Mediterraneo e dall'Africa a cui e' collegata geograficamente per mantenere il patto atlantico (Nato) e tentare casomai di fare l'alternativa bipolare agli Usa. Maastricht e poi l'euro sono una precisa politica, che ha avuto come pendant militare il finanziamento massiccio dell'industria aereonautica, allo scopo di inseguire la speranza che tra dieci anni l'Europa diventi indipendente da quella Usa; e mentre un F-16 consta 15 miliardi di dollari, un Tornado ne costa 40 e l'Efa molti di piu'; ma per l'Europa vale la pena costruire il Tornado e l'Efa per quella speranza di rendersi indipendenti. Lidia, ti ricordi Ruggero e perche' si e' dimesso? Perche' sosteneva una spesa cruciale per aiutare l'industria aereonautica europea (Airbus), mentre invece Berlusconi aveva gia' deciso (da Genova G8) che quella Usa andava bene e che la nostra politica internazionale aveva solo da dire si' agli Usa. Per cui anche la vita politica partitica italiana si gioca tutta tra i nostalgici del bipolarismo, che lo vogliono rinnovare con l'Europa che si contrappone agli Usa, e i servi degli Usa; questo vale per la politica sull'esercito come sulla politica estera. Purtroppo Lilliput, Social Forum e girotondini sembrano non aver capito questo gioco e tengono aperta la porta a questi partiti che nei fatti poi non possono distaccarsi troppo dalla politica di prepotenza bellica su tutto il mondo (chi dei partiti non ha votato a favore dell'esercito italiano che deve difendere innanzitutto il livello di benessere della popolazione?). D'altra parte, scegliere una difesa alternativa o la Difesa popolare nonviolenta (Dpn) significa rompere con una tradizione europea di potere mondiale, rottura che ridurrebbe l'Europa a commerciare con l'Africa invece che con gli Usa... Dico questo non per fare il pessimista, ma per segnare dei confini tra gli amici e di chi ci e' compagno di viaggio solo in poche cose politiche. Bisogna saperlo... La campagna di obiezione alle spese militari per la Difesa popolare nonviolenta ora e' arrivata a raggiungere due dei tre obiettivi che si era proposta (nuova legge sull'obiezione di coscienza e prima istituzione statale per la Difesa popolare nonviolenta, l'Ufficio nazionale per il servizio civile) ed e' molto vicina anche al terzo (opzione fiscale). In settimana la campagna di quest'anno verra' lanciata a Roma. E avra' di positivo soprattutto il fatto che dopo cinque anni che la Difesa popolare nonviolenta e' stata stabilita per legge (230/98), i soldi specifici (200.000 euro) sono stati finalmente sbloccati dall'Ufficio nazionale per il servizio civile, da una lotta che ha visto pochi nonviolenti a lottare contro gli strozzamenti finanziari prima e poi le manovre dilatorie del governo. 4. RIFLESSIONE. FABRIZIA RAMONDINO: TRA CLUB BUSH E CLAN SADDAM [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 aprile 2003. Fabrizia Ramondino e' una prestigiosa scrittrice e intellettuale] Per l'Europa non si aggira piu' il fantasma di Marx. Ma una domanda-fantasma che quotidianamente i mass-media ci rivolgono ossessivamente: ´Sei per Bush o per Saddam? Sei per una guerra lunga o breve?". Personalmente la vivo come se in passato mi avessero chiesto rispetto a mafia e camorra: "Sei per Provenzano o per Riina? Per Cutolo o Pupetta Maresca?". Perche' c'e' una grande analogia tra le guerre tra bande mafioso-camorristiche e quella tra l'amministrazione di Bush jr. e Saddam Hussein. Del clan di Saddam Hussein sappiamo quasi tutto: e' un feroce dittatore, che non ha esitato a sterminare i suoi nemici, compresi parenti stretti e accoliti, e con ogni mezzo, dall'impiccagione al colpo di fucile alle armi biologiche. Quanto si sottolinea meno e' che e' stato usato come un fantoccio degli Usa, quando conveniva loro (un fantoccio, comunque e sempre, furbo e abilissimo); che i suoi delitti e sterminii non sono stati denunciati e combattuti in tempo ne' dagli Usa ne' dall'Onu, ne' dall'Unione europea, ne' da tanti pacifisti unilaterali, o per connivenze politico-economiche, o per opportunismo o per cecita'. Tranne eccezioni, come Danielle Mitterrand, Amnesty International, qualche ong. Del club Bush jr. fanno parte i teorici della guerra preveniva, gia' proposta da loro fin dal '92, e figuri (a volte gli stessi) strettamente legati all'industria di guerra e del petrolio, e alla finanza selvaggia. Un club di malavita: economica (vedi tra l'altro lo scandalo Enron e quelli successivi); politica (corruzione elettorale, espansione e dominio su tutti i territori, disinteresse strategico), con l'uso tattico, quindi mutevole di volta in volta, di "amici" e "nemici"; religiosa (quante volte viene invocato, in nome della guerra, il nome di Dio invano) il che li accomuna ai riti di iniziazione della mafia, in cui del patto fa parte anche una ritualita' religiosa. Per conoscere la dottrina politica del club Bush jr. non c'era bisogno che qualche giorno fa il giornale "Internazionale" pubblicasse, tradotto dal settimanale tedesco "Der Spiegel", un articolo su questo argomento. Alcuni giornalisti italiani sembrano essere caduti dalle nuvole, avere fatto letteralmente "la scoperta dell'America". Queste carte non erano segrete, sono ampiamente note da anni (e mesi fa sono state diffuse dalla rivista "Limes", dal "Manifesto", dal canale tv franco-tedesco Arte). Allora delle due l'una: o gran parte dei giornalisti italiani sono male informati o sono in mala fede. Le connessioni tra potere politico, economico, malavita, mass-media ci sono note da anni, in qualunque regime si svolgano, tanto nelle dittature che nelle democrazie, per natura sempre imperfette (e sempre piu' spesso imperfettissime, come nel caso di quella attualmente amministrata dal club Bush jr.). Per studiare questi nessi, oltre tanta letteratura specialistica, consiglierei di leggere La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertold Brecht. Un'opera degli anni Trenta, iniziata nell'esilio finlandese dell'autore, tanto invisa ai politici del dopoguerra, che non fu rappresentata, ne' negli Usa, ne' nella Repubblica federale tedesca ne' nell'ex Repubblica democratica tedesca, se non dopo la morte dell'autore, nella seconda meta' degli anni '50. La parabola brechtiana e' ispirata ad Al Capone, con chiari riferimenti all'ascesa di Hitler. Ma proprio perche' e' una parabola vale per tutti gli stati in cui diventano dominanti affari sporchi, scambio di voti, connessioni con la malavita organizzata, sete di potere, ideologie della lotta tra "bene" e "male", manipolazione dei mass-media. Siccome gli Usa sono una democrazia (seppure sempre piu' imperfetta) l'opera e' stata rappresentata a New York nell'autunno 2002 con grande successo di pubblico; e l'attore protagonista (nei panni di Arturo Ui) era Al Pacino, che nella recitazione e nell'aspetto imitava Bush jr. Sui modi per uccidere l'uomo ampia e' la scelta: dal coltello al fucile, dalla bomba atomica alla bomba "stupida" o a quella "intelligente"; ma anche dalla fame alla sete. Ora, tornando alla domanda-fantasma di prima, perche' dovrei scegliere tra due bande criminali rivali? Come cittadina, non solo italiana, ma del mondo, sono per l'affermazione di un diritto e di una legge, locale o Onu-versale, che ci garantisca nei limiti del possibile dalle loro intimidazioni e delitti. Fra le crepe del potere, di cui non dimentichiamo il quarto, si alzano, flebili e tollerate con fastidio, le voci di Gandhi, di Ernst Bloch, di Aldo Capitini, di Nelson Mandela, ispirate a una terza via tra guerra e pace. Tutte persone che hanno pagato con la morte, la prigionia, l'esilio, l'indifferenza, il disprezzo, le loro utopie. 5. MEMORIA. LUCIANO BONFRATE: IN MEMORIA DI MARTIN LUTHER KING [Ricorrendo qualche giorno fa l'anniversario della morte di Martin Luther King - assassinato il 4 aprile 1968 - il nostro collaboratore Luciano Bonfrate ci ha messo a disposizione questo suo sonetto caudato. Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama. Dal 1955 (il primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di attentati e repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther King: tra i testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1994 (edizione italiana curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona 1993; L'"altro»"Martin Luther King (antologia a cura di Paolo Naso), Claudiana, Torino 1993; "I have a dream", Mondadori, Milano 2001. Opere su Martin Luther King: Arnulf Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di Martin Luther King, Feltrinelli, Milano 1996. Esistono altri testi in italiano (ad esempio Hubert Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a nostra conoscenza sono perlopiu' di non particolare valore: sarebbe invece assai necessario uno studio critico approfondito della figura, della riflessione e dell'azione di Martin Luther King (anche contestualizzandole e confrontandole con altre contemporanee personalita', riflessioni ed esperienze di resistenza antirazzista in America). Una introduzione sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con una buona bibliografia essenziale] A una vita di studio e di preghiera forse pensava King, recar conforto con le parole lievi e la sincera fede, traendo i di' in placido porto. Conobbe allora quella piu' severa prova, di opporre dritta lotta al torto: uno volle essere di quella schiera che cerca liberta', cammin non corto. La verita' fa liberi, nutrice a chi soffri' per lunga grave pieta, la verita' che di pace e' radice la verita' che e' in marcia e che disseta chi ha sete di giustizia, e all'infelice reca il sollievo della buona meta. E con la forza quieta del persuaso agire nonviolento accese un lume che non sara' spento. 6. MEMORIA. OSVALDO CAFFIANCHI: IN MEMORIA DI PRIMO MAZZOLARI [Ricorrendo il 12 aprile l'anniversario della morte di Primo Mazzolari il nostro collaboratore Osvaldo Caffianchi ci ha messo a disposizione questo testo. Primo Mazzolari, nato nel 1890 a S. Maria di Boschetto (Cremona), ordinato sacerdote nel 1912, partecipo' alla prima guerra mondiale; parroco tra i poveri, antifascista e uomo della Resistenza, precursore del Concilio Vaticano II; nel 1949 fondo' la rivista "Adesso", svolse un'intensa attivita' di pubblicista e scrittore; e' morto a Cremona nel 1959. Opere di Primo Mazzolari: naturalmente nell'ambito che particolarmente ci interessa e' fondamentale Tu non uccidere, La Lucusta, Vicenza 1955, ora anche Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991; si veda anche La chiesa, il fascismo e la guerra, Vallecchi, Firenze 1966. Presso La Locusta di Vicenza sono state pubblicate decine di opere di Mazzolari. Una decina di volumi sono stati pubblicati dalle Edizioni Dehoniane di Bologna. Viaggio in Sicilia e' stato ripubblicato nel 1992 da Sellerio. Opere su Primo Mazzolari: A. Bergamaschi, Mazzolari, un contestatore per tutte le stagioni, Bologna 1969; L. Bedeschi, L'ultima battaglia di don Mazzolari, Morcelliana, Brescia; AA. VV., Don Primo Mazzolari, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1999] Veniva dalla Resistenza, don Primo Mazzolari che reca dura la scienza del bene e del male, il conoscere insieme il valore del pane e del vino, la fame e la morte. Veniva dalla campagna, don Primo Mazzolari che conosce il ciclo dei giorni e dei raccolti, e la disperazione della grandine e della fame e come gli uomini fecondino la terra e tutto e' fatica e rigoglio. Veniva dalla sequela, don Primo Mazzolari credeva nell'assurdo di un figliuolo dell'uomo che i potenti condannarono a vile morte e che mori' indifeso. Credeva nell'assurdo: il mansueto che accetta l'ingiustizia di morire e che cosi' di morte l'ingiustizia per sempre smaschera e annienta la violenza con l'umile suo gesto di negare di aggiungere violenza alla violenza. Sapeva lottare, don Primo Mazzolari con le arti della volpe e del leone, con scienza di serpente e di colomba, il lento lavoro della goccia che scava la pietra stilla a stilla a scheggia a scheggia scava la pietra. E sapeva le parole, don Primo Mazzolari, le parole che sanno girare ruote e trascinare carri muovere le montagne. E se dovessi, cari, dire tutto quel che mi pare di saper di lui questo direi, che Primo Mazzolari prese sul serio l'unico comando: tu non uccidere. Chi vuol rendergli onore questo ricordi, a questo apprenda tutto il cuor gentile suo: tu non uccidere. 7. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: IN MEMORIA DI DIETRICH BONHOEFFER [Ricorrendo il 9 aprile l'anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ci ha messo a disposizione questo testo. Dietrich Bonhoeffer, nato a Breslavia nel 1906, pastore e teologo, fu ucciso dai nazisti il 9 aprile del 1945; non e' solo un eroe della Resistenza, e' uno dei pensatori fondamentali del Novecento. Tra le opere di Dietrich Bonhoeffer: Resistenza e resa (lettere e scritti dal carcere), Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988; Etica, Bompiani, Milano 1969; presso la Queriniana di Brescia sono stati pubblicati molti degli scritti di Bonhoeffer (tra cui ovviamente anche Sanctorum Communio, Atto ed essere, Sequela, La vita comune). Tra le opere su Dietrich Bonhoeffer: Eberhard Bethge, Dietrich Bonhoeffer, amicizia e resistenza, Claudiana, Torino 1995; Italo Mancini, Bonhoeffer, Morcelliana, Brescia 1995; AA. VV., Rileggere Bonhoeffer, "Hermeneutica" 1996, Morcelliana, Brescia 1996; Ruggieri (a cura di), Dietrich Bonhoeffer, la fede concreta, Il Mulino, Bologna 1996] I. Quando impiccarono Dietrich Bonhoeffer dal cielo si senti' come un sospiro profondo. Il buon Signore aveva perso un forte e buon compagno, e ne gemeva triste. All'ora nona si rirallegrava il cielo tutto che' Dietrich Bonhoeffer compiuta la sua corsa era tornato infine a casa. II. E voi miei cari a cui qui intorno al fuoco in questa veglia io riracconto ancora la storia vera e la vera leggenda del buon Dietrich Bonhoeffer, resistete come lui resistette. E non crediate che non ha senso questo nostro esistere resistere, cercare, accarezzare lottare per la vita e la giustizia. 8. RIFLESSIONE. CHIARA ZAMBONI: LA FORZA DELL'INVISIBILE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 aprile 2003. Chiara Zamboni e' docente di filosofia del linguaggio all'Universita' di Verona, partecipa alla comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le opere di Chiara Zamboni: Favole e immagini della matematica, Adriatica, 1984; Interrogando la cosa. Riflessioni a partire da Martin Heidegger e Simone Weil, IPL, 1993; L'azione perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994; La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli (Vr) 1997] C'e' qualche cosa che non torna nell'affermazione che la guerra in corso e' una guerra tutta affidata alle immagini delle televisioni, dei fotoreporter, una guerra dalla visibilita' totale che crea spettatori totali. Ho in mente una foto - circolata in questi giorni sul "Manifesto" e altri giornali - che e' stata costruita apposta per rafforzare questa idea e che per la sua sfacciata intenzione mi risulta perfino irritante: un camion della croce rossa che distribuisce viveri alla gente in Iraq e sopra il camion sette o otto giornalisti che fotografano, riprendono. Un'affermazione che non viene smentita dal fatto che il governo americano non vuole che questo conflitto diventi veramente visibile attraverso il lavoro dei giornalisti, perche' teme che possa succedere come nella guerra del Vietnam dove i servizi dei giornali avevano "disturbato" le strategie degli apparati militari. Anche il governo americano si comporta come se tutto fosse visibile, tanto e' vero che ritiene che molto sia da tenere nascosto. L'idea di fondo resta la stessa. C'e' qualche cosa che non torna nel dire che tutto si gioca nella visibilita'. Il visibile e' tale perche' e' leggibile da codici gia' previsti. Cio' che si vede nelle immagini, quel che viene raccontato nella notizia e' nuovo, ma si affida per essere capito a qualcosa di riconoscibile, ripetibile, confrontabile con quel che gia' sappiamo. Non mette in crisi i codici che condividiamo. Ma nel visibile, nei fotogrammi, nei racconti di guerra, e' presente anche l'invisibile, che e' la cerniera del visibile, il suo piano verticale. Non ha niente a che fare con quel che viene nascosto con intenzione, e che, in questa guerra, si puo' portare a visibilita' a volte con dei coraggiosi servizi giornalistici. C'e' un invisibile che insiste come una nota ripetuta nel basso continuo del presente e che noi sentiamo, ci immaginiamo, vediamo. Cogliamo in altro modo e con altri sensi. L'importanza della visibilita', su cui oggi tanto si insiste, e' estranea alla mia esperienza. Le donne sanno bene che l'essenziale per loro sta tra visibile e invisibile: tra la dimensione pubblica - che magari squaderna il privato allo sguardo di tutti, ad esempio nelle foto dei morti per il bombardamento al mercato di Baghdad - e sentimenti, sensazioni che sono intime, segrete - il che e' molto diverso da "nascoste" - e che tessono la trama del presente e gli danno una qualita' propria. Non si tratta tanto di un sentimentalismo gia' previsto, per cui di fronte ad un'immagine di una bambina irachena dagli occhi enormi, spauriti, che guarda un gigante di soldato, mi trovo a commuovermi ed e' una emozione provocata, tutta superficiale perche' messa a tema dal linguaggio stesso della foto, che vedo sul giornale. Una foto scattata per commuovere. Il sentimento e' interno al codice stesso che ha guidato la fotografia, o che ha fatto scrivere quella notizia. Diffido di quel sentimentalismo, che mi riempie e mi fa sentire totale, totalmente "buona" o "ostile" - il che e' lo stesso: sempre un assoluto e quindi in fondo niente. L'invisibile ha a che fare con sentimenti che non ci riempiono come un assoluto, che lasciano spazio a molto da immaginare, da sentire, da capire, da pensare. Ha a che fare con la fiducia che nel presente c'e' quello che viene mostrato e c'e' qualcosa che non e' mostrato e che muove a livelli piu' profondi. Penso ad esempio al desiderio di vita e di allegria che ho capito, piu' che visto, nella gente di Baghdad che non si e' comportata solo secondo una razionalita' efficiente e prevedibile, organizzandosi bene, prima dei bombardamenti annunciati. A Baghdad nei giorni prima della guerra la gente faceva provviste, e in citta' si faceva anche altro che non aveva niente a che fare con il sopravvivere. Walden Bello, in un articolo sul "manifesto" del 30 marzo scorso, descrive ad esempio le ragazze e i ragazzi testardamente intenzionati a continuare le lezioni all'universita' su Giulietta e Romeo di Shakespeare con i loro professori. Come ricordo, poco prima che Belgrado venisse bombardata nella guerra del Kossovo - e anche quello era un bombardamento annunciato - che le ragazze e i ragazzi stavano a chiacchierare ai tavoli dei caffe' godendosi il sole. Che invisibile c'e' in un gesto apparentemente cosi' assurdo, cosi' poco razionale come questo? Ci leggo il voler difendere il piacere e la felicita' della vita, prima di tutto vivendola, e poi, soltanto poi, organizzandone la difesa. Ci vedo la fiducia che la prima e piu' fondamentale difesa di cio' che e' vita e' semplicemente vivere con pienezza. Ovvero continuare a godere di una bella giornata, di un grande testo letterario, per di piu' nella lingua del nemico che ti sta per attaccare. Questa e' una forza dell'ordine dell'invisibile. E' una fede non in un dio o nell'altro, o nello stesso sotto diverse bandiere, ma e' fede nella scintilla di infinito che c'e' nell'esistenza e che noi preserviamo piu' vivendola - incarnandola, si potrebbe dire - che combattendo per essa come fosse un valore oggettivo. Nel momento in cui si trasforma in qualcosa di oggettivo, l'abbiamo gia' perduta. Chi scrive di questa come di altre guerre solo in termini di potenza di armamenti, di strategie, di battaglia mediatica della visibilita' sia sul fronte interno che esterno, di aiuti umanitari, di ricostruzione, non abbia presente la forza dell'invisibile nel visibile. Ne parla una donna algerina, raccontando dell'esperienza sua e di altre donne in un'altra guerra che ha la forma della guerriglia e che dura ormai da anni in Algeria. E' Zazi Sadou, in Fare pace dove c'e' guerra ("Quaderni di Via Dogana", 2003). Parla delle donne che, minacciate di morte, ogni giorno si fanno belle, che e' segno certo visibile, ma la bellezza e' qualcosa di piu': e' legame tra se' e se' e il proprio corpo, e' armonia tra l'inconscio e lo sguardo degli altri, e' ringraziamento a chi ci ha donato l'esistenza, e' esercizio di vita. Ha molto della piega visibile di una trascendenza invisibile. E' per questo che dico che non e' necessario guardare o leggere troppo per sapere che oltre le strategie militari, le morti violente e i poteri c'e' quell'invisibile e forte che tesse legami all'interno dell'angoscia delle madri, dell'amarezza dei vecchi, della paura nello sguardo di quel giovane soldato americano preso prigioniero. La fiducia nell'invisibile permette di vederne i segni. Di immaginarci anche cio' che non vediamo. E di immaginarci molto e secondo verita'. Un tempo questa capacita' veniva chiamata profetica. Le profetesse dei vangeli e delle prime comunita' cristiane sapevano vedere nel presente segni che altri non vedevano. Dobbiamo incominciare a chiederci quale nuova forma questa capacita' profetica oggi abbia preso e come essa possa essere ricchezza anche per quegli uomini stanchi del dominio del visibile, talmente realistico da risultare finto. 9. RILETTURE. MARIA LUISA BOCCIA, GRAZIA ZUFFA: L'ECLISSI DELLA MADRE Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa: L'eclissi della madre, Pratiche, Milano 1998, pp. 260, lire 28.000. "Fecondazione artificiale: tecniche, fantasie e norme" recita il sottotitolo: uno dei libri piu' interessanti sui complessi temi posti dallo sviluppo delle tecniche di riproduzione artificiale. 10. RILETTURE. ANTOINETTE FOUQUE: I SESSI SONO DUE Antoinette Fouque: I sessi sono due, Pratiche, Milano 1999, pp. 196, lire 28.000. Una raccolta di interventi della prestigiosa militante e pensatrice francese, con un'introduzione di Lia Cigarini. 11. RILETTURE. SILVIA LAGORIO, LELLA RAVASI, SILVIA VEGETTI FINZI: SE NOI SIAMO LA TERRA Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi: Se noi siamo la terra, Il Saggiatore, Milano 1996, pp. 128, lire 18.000. Una riflessione a piu' voci di grande suggestione: tre psicoanaliste riflettono sulla maternita' e sul "Regno delle Madri" tra psiche e mito, natura e societa'. 12. RILETTURE. LETIZIA PAOLOZZI, ALBERTO LEISS: UN PAESE SOTTOSOPRA Letizia Paolozzi, Alberto Leiss: Un paese sottosopra, Pratiche, Milano 1999, pp. 196, lire 28.000. Quasi un'antologia (arbitraria e scintillante) di, e un confronto con, e una riflessione su una delle pubblicazioni piu' rilevanti del femminismo italiano, quel "Sottosopra" che dal 1973 e' una delle voci e degli specchi e dei grembi di alcuni dei pensieri e di alcune delle pratiche piu' originali e ineludibili di riconoscimento e di liberazione che le donne offrono all'umanita'. 13. RILETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI (A CURA DI): PSICOANALISI AL FEMMINILE Silvia Vegetti Finzi (a cura di): Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. XVIII + 402, lire 28.000. Un libro appassionante: acute studiose come Silvia Vegetti Finzi, Simona Argentieri, Adele Nunziante Cesaro, Anna Maria Accerboni Pavanello, Nadia Fusini, Francesca Molfino, Anna Salvo, Luisa Mele, Gabriella Buzzatti, sono le autrici di densi e fini saggi su "Le isteriche o la parola corporea" e su grandi figure come Anna Freud, Melanie Klein, Marie Bonaparte, Lou Andreas-Salome', Sabina Spielrein, Helene Deutsch, Karen Horney, Françoise Dolto, Luce Irigaray. 14. EDITORIALE. PEPPE SINI: QUELLO CHE OGGI PIU' OCCORRE 1. Non essere irresponsabili: la morte e' la morte, la guerra uccide, uccidono le armi, uccidono gli eserciti. A tutte le uccisioni devi opporti. 2. Non essere frivoli: in altri tempi si potra' perdere tempo in futili giochi. Ora occorre fermare la guerra. 3. Non essere astratti: cerchiamo di capirci: due cose possiamo e dobbiamo fare, qui e adesso: a) bloccare la macchina bellica Usa in Italia: con l'azione diretta nonviolenta nostra, e con l'intervento degli enti locali fedeli alla Costituzione italiana; b) cacciare il governo italiano golpista complice della guerra stragista e terrorista: con lo sciopero generale, e con la denuncia penale. 4. Non essere bugiardi: ogni esagerazione, ogni meschinita', ogni mezza verita' (che e' gia' una completa bugia), ogni ignoranza, ogni furberia da parte nostra, sono gia' un aiuto alla guerra, sono gia' complicita' con la guerra. 5. Non essere autistici: le manifestazioni per la pace devono servire a convincere altri all'impegno. Ciascuno di noi faccia un esame di coscienza sul suo modo di porsi e di condursi, sulla comprensibilita' e sull'altrui percezione delle nostre azioni. 6. Non essere fessi: se la nostra lotta non e' intransigente, essa non e' nulla. Se non riusciamo a fermare la guerra, tutto il nostro dire ed agire e' stato chiacchiera e fumo. Se non si sceglie la nonviolenza, siamo solo i buffoni del re. 7. Non essere le scimmie dei potenti: quelli tra noi che si sentono piccoli napoleoni sono solo dei fascisti; quelli tra noi che vanno e che mandano al macello sono solo dei fascisti; quelli tra noi che auspicano la catastrofe contribuiscono alla sua realizzazione. Quello che oggi piu' occorre e' che la nostra azione sia limpida; quello che oggi piu' occorre e' la scelta della nonviolenza. Solo la nonviolenza puo' fermare la guerra. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 562 del 10 aprile 2003
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