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La nonviolenza e' in cammino. 560
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 560
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 7 Apr 2003 21:21:55 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 560 dell'8 aprile 2003 Sommario di questo numero: 1. Giuliana Sgrena: Baghdad, il suono che uccide 2. Giuliana Sgrena: terrore e strage a Baghdad 3. Giuliana Sgrena: zittita l'informazione 4. Giuliana Sgrena: su Baghdad raid senza sosta 5. Giuliana Sgrena: strage di bambini 6. Giuliana Sgrena: la notte di Baghdad 7. Giuliana Sgrena: i sopravvissuti di Babele 8. Giuliana Sgrena: Baghdad, assedio al buio 9. Giuliana Sgrena: show televisivo di Saddam 10. Giuliana Sgrena: l'ora dell'ultimo assalto 11. Riletture: Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia 12. Riletture: Jean Ziegler, La fame nel mondo spiegata a mio figlio 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: BAGHDAD, IL SUONO CHE UCCIDE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 marzo 2003. Giuliana Sgrena, inviata a Baghdad, e' una illustre giornalista e saggista, esperta conoscitrice delle questioni globali, del rapporto nord/sud, della situazione dei paesi arabi ed islamici, della realta' mediorientale. E' da sempre impegnata per i diritti umani, per i diritti dei popoli, per i diritti delle donne, per la pace. Presentiamo qui i suoi articoli degli ultimi giorni] Il sole e' tornato a risplendere a Baghdad dopo giorni infernali di tempesta di sabbia e di pioggia. E sullo sfondo del cielo azzurro ieri sono riapparse anche le nubi di fumo nero che salgono dalle trincee piene di petrolio in fiamme e rendono l'aria comunque irrespirabile, anche senza la sabbia. La Sadoun, la principale via commerciale che attraversa il centro della capitale, ieri ha ripreso una parvenza di vita dopo giorni di totale paralisi: qualche negozio ha riaperto i battenti, c'e' anche qualche ufficio di cambio aperto, ma non ci sono dinari iracheni, il dollaro dopo il massimo raggiunto qualche giorno fa - 3.000 dinari per 1 dollaro - e' di nuovo sceso a 2.900. Ma gli iracheni non cambiano piu' in questi giorni dopo che li avevamo visti alla vigilia dell'attacco affollarsi nei numerosi cambivalute con sacchi di soldi (letteralmente, visto che il taglio prevalentemente diffuso della cartamoneta e' quello da 250 dinari, anche se ora sono comparsi preziosi e ricercati pezzi da 10.000). Gli iracheni hanno esaurito le disponibilita' in dinari o aspettano un cambio migliore? La Sadoun ha ripreso una parvenza di vita anche per la presenza di numerosi leader tribali - inconfondibili nel loro abbigliamento: jellaba e kefiah - riuniti nell'adiacente hotel Baghdad. Saddam Hussein tiene in particolare considerazione i leader tribali - circa 150 in rappresentanza di quasi 8 milioni di iracheni, che negli ultimi anni hanno rafforzato le loro usanze tradizionali - per il ruolo che possono giocare nella resistenza contro l'invasione anglo-americana. Nel messaggio che il rais aveva indirizzato loro, due giorni fa quando li aveva ricevuti, aveva anche indicato nei dettagli le tattiche da adottare per aggredire il nemico, una sorta di decalogo per la guerriglia. Un piano pare suffragato anche da un sostegno finanziario. Comunque la maggior parte della popolazione di Baghdad continua a rimanere chiusa in casa e non certo perche' segue il diktat di Bush agli iracheni. Non esce perche' tutte le attivita' sono paralizzate - scuole, luoghi di lavoro, commerci - e soprattutto perche' continuano a cadere le bombe. Tutta la notte e tutto il giorno, incessantemente. Le sirene - che segnano l'inizio e la fine dell'allarme - oramai si sovrappongono in un unico suono lamentoso, terrificante. Coperto solo, verso sera, dalla voce altrettanto lacerante del muezzin che ci arriva attraverso un altoparlante gracchiante. I boati delle bombe e dei missili si fanno piu' pesanti di notte quando squarciano il silenzio e il buio e fanno tremare le pareti delle case, anche a distanza, rendendo impossibile il sonno. Non c'e' ormai zona tranquilla nella capitale, quella degli edifici governativi e' bersagliata da giorni e ieri di nuovo particolarmente presa di mira, soprattutto vicino al ministero dell'informazione, colpito nuovamente anche il palazzo presidenziale al-Salam. Ma non viene risparmiata la periferia, soprattutto quella meridionale, dove ieri mattina si sono registrati otto morti e 44 feriti, che si vanno ad aggiungere ad altri 36 feriti delle ultime ore, solo nella capitale. A sud di Baghdad si e' attestata la guardia presidenziale per sbarrare la strada alle truppe di invasione. I bombardamenti mirano da una parte a fiaccare la resistenza militare - ma ieri un altro elicottero Usa sarebbe stato abbattuto dagli iracheni a sud di Baghdad - e dall'altra a terrorizzare la popolazione e per accrescere il terrore vengono usate anche le bombe assordanti. L'effetto psicologico e' senza dubbio garantito, soprattutto sulla parte piu' vulnerabile della popolazione, i bambini. Ma aumentano anche i problemi cardiaci, le morti da infarto e gli aborti provocati dalla guerra. Il giorno dopo il massacro piu' grave dall'inizio della guerra - una quindicina di vittime ma c'e' chi parla di 21 - compiuto verosimilmente - anche se sull'accaduto fervono le polemiche - da due bombe sganciate sul quartiere sciita Shaab, a nord della capitale, si fanno i primi bilanci: 4.000 i feriti e 350 i morti civili, la maggior parte donne e bambini dall'inizio della guerra, il 20 marzo. A riferirlo e' stato ieri in una conferenza stampa il ministro della sanita', Amid Midhat Mubarak, che ha anche riferito di bombardamenti che hanno colpito un ospedale a Bassora, dove, ha detto, sono state usate anche le cluster bomb, e a Nassiriya, mentre a Najaf e' stato colpito un presidio medico e ucciso l'autista di una autoambulanza. Il ministro della sanita' ha poi deplorato, come avevano gia' fatto nei giorni scorsi altri esponenti di governo, le Nazioni Unite, e Kofi Annan in particolare, per aver sospeso la "oil for food", la risoluzione che permette agli iracheni di importare merci in cambio della vendita di petrolio. Ieri intanto, a dimostrazione di come il rais mantenga ancora il potere, la televisione irachena ha mostrato le immagini di un vertice presieduto da Saddam Hussein e al quale avrebbero partecipato i capi del partito Baath, molti esponenti di governo, i comandanti della Guardia repubblicana, il figlio del rais Uday e il vicepremieri Tarek Aziz. La questione umanitaria, rimbalzata anche al Consiglio di sicurezza, riguarda medicine e cibo in particolare. Anche se il governo iracheno dice di essere autosufficiente. Almeno per ora. Ieri sull'autostrada che porta verso Bassora erano in partenza venti enormi camion gialli carichi di farina per rifornire le panetterie della capitale del sud, dove la situazione e' drammatica non tanto e non solo per la mancanza di cibo quanto di elettricita', e di acqua, e quella che c'e e' inquinata. Il ministro del commercio, Mohammed Mehdi Salah, che ieri ha improvvisato un incontro con i giornalisti sull'autostrada, ha detto che i rifornimenti servono soprattutto per dimostrare alle popolazione assediata dalle truppe anglo-americane che non e' stata abbandonata da Baghdad. Ma ieri e' cominciato l'esodo delle prime colonne di profughi da Bassora. All'atteggiamento delle autorita' che ostentano autosufficienza, sia per medicine che per disponibilita' di sangue e di personale medico, fa da contraltare la situazione negli ospedali, dove invece le carenze sono evidenti e sottolineate anche dal personale che vi lavora. Naturalmente la maggior parte dei problemi sono dovuti all'embargo e al blocco della "oil for food" e con questo pretesto il governo preferisce non far ricorso agli aiuti esterni. Le autorita' ammettono la disponibilita' di organismi internazionali ad un aiuto umanitario, ma per ora si limitano ad apprezzare e ringraziare. 2. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: TERRORE E STRAGE A BAGHDAD [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 marzo 2003] Si pensa sempre che non possa esserci nulla di peggio delle ore appena trascorse sotto i bombardamenti e invece la notte, ogni notte, riserva nuove sorprese. Il peggio e' arrivato ieri sera, verso le sette, con il bombardamento di un mercato nel quartiere sciita di Shula a nord ovest di Baghdad: 55 i morti, decine e decine i feriti ricoverati nell'ospedale An-Nour. La scena e' la stessa che si e' presentata due giorni fa, in un altro quartiere sciita, Shaab. Un cratere e intorno la distruzione. Le immagini, quelle della distruzione: corpi insanguinati per terra, pietosamente coperti dai primi soccorritori, scene di dolore e di disperazione. Tra i fagotti sul pavimento coperto di macerie c'e' anche cio' che rimane di due bambini. Al vicino ospedale An-Nour una donna si colpisce ripetutamente il volto, gridando: dall'altra parte di una finestra c'e' un uomo giovane, bendato e sanguinante. Il ministro dell'informazione Al Sahhaf e i suoi portavoce elencano l'aritmetica di una giornata devastante: settanta morti ieri a Baghdad, dice la voce ufficiale irachena, le prime tremende bombe anti-bunker all'opera. Il tempo e' stato bellissimo - cosa che aiuta gli aerei americani e il loro carico. Giovedi' sera i cacciabombardieri si erano ancora una volta accaniti contro la capitale irachena e i suoi abitanti. E ieri, venerdi', non e' stata certo la giornata di festa musulmana ad intimidire i piloti dei caccia. La guerra ieri e' entrata anche nelle moschee, nei sermoni dei vari imam. Nella Um El-marik, la moschea "madre di tutte le battaglie", dalla definizione coniata da Saddam Hussein in occasione della guerra del Golfo del 1991 e costruita proprio per ricordare la resistenza di allora, e' toccato all'imam Thaer El-Ani rivolgersi ai fedeli di alto rango. Piu' che una moschea infatti la Um El-Marik e' un monumento, costosissimo, poco frequentato in tempi normali, ma utilizzato per le grandi occasioni. La guerra indubbiamente merita una preghiera del venerdi' nella periferica Um El-Marik, dove la situazione ieri a mezzogiorno era particolarmente tesa perche' una bomba era appena caduta poco lontano provocando morte e terrore. Tra un detto del Corano e un'invocazione di Allah, l'imam ha assicurato - con l'autorevolezza di un uomo di Dio - gli iracheni della vittoria: "La vittoria sara' dalla nostra parte perche' crediamo in Dio, preghiamo di piu' e Dio ci aiutera'. La vittoria verra', inshallah". 'Tutti i soldati che ci proteggono andranno in paradiso", ha aggiunto, ricordando pero' che "Dio e' l'unico che puo' dare e togliere la vita". Thaer El-Ani ha voluto lanciare anche un appello per il superamento di tutte le dispute religiose tra musulmani, un invito dal sapore ancora prima politico che religioso. Non basta infatti lo storico patriottismo iracheno della comunita' sciita ad allontanare il timore che gli sciiti possano approfittare dell'invasione per cercare di conquistare quel potere che e' stato tenuto saldamente nelle mani dei sunniti. Una notte senza precedenti, quella tra giovedi' e venerdi'. Il sibilo acuto degli aerei squarciava il silenzio prima ancora dell'effetto delle bombe che facevano tremare i palazzi da un lato all'altro dell'immensa citta'. Obiettivi soprattutto i due principali centri di comunicazione sui due lati del Tigri, quello via Al Rashid A-Sinek e quello di Al-Mamun, che si trova accanto alla torre Saddam, da dove si puo' ammirare il panorama della citta', rimasta miracolosamente intatta. Colpito il centro di comunicazione di Al-Al-Wia sulla centralissima Sadoun street, e numerosi altri obiettivi nel centro e alla periferia della citta'. Quasi tutta la rete telefonica e' saltata, aumentando il panico della popolazione. A colpire sono stati i missili cruise e tomahawk che hanno distrutto anche delle case vicino al centro di comunicazione nel mirino, ma sono state usate anche le bombe a perforazione. Nel pomeriggio e' stata poi distrutta anche la sede del partito Baath nel quartiere residenziale di Al-Mansour, provocando vittime. I primi dati forniti in mattinata dal ministro dell'informazione, Mohammed Said Al-Salaf, parlavano di 7 morti (saliti poi a 8) e di un centinaio di feriti, ma il bilancio era destinato ad aggravarsi con il persistere dei bombardamenti. E comunque si presentava piu' grave nella citta' assediata del sud, Bassora, dove le vittime sono state 113. Gli effetti della guerra vanno al di la' dei feriti e dei morti delle bombe: in ospedale arrivano anche diverse persone che non sono state colpite direttamente ma che sono state spaventate a morte. Aumentano anche gli infarti e i problemi cardiaci, soprattutto per gli anziani, ci conferma un medico di "Medici senza frontiere" che lavora presso l'ospedale Al-Kindi. Sulle donne e i bambini l'effetto e' ancora piu' devastante. In un piccolo ospedale privato, il Saint Raphael, a pochi metri dalla riva del Tigri - una trentina di camere, un ambiente molto curato, con una serra di piante al centro dell'atrio al pianterreno - incontriamo suor Maryanne Pierre, prima infermiera nella governativa Medical city e poi, da tredici anni, responsabile amministrativa dell'ospedale. Un reparto della clinica e' riservato all'ostetricia, il resto alla chirurgia generale. "Alla vigilia della guerra - racconta la suora - molte donne che stavano portando a termine la gravidanza sono venute qui per partorire con il taglio cesareo, volevano far nascere il loro bambino prima della guerra. In un mese abbiamo fatto 300 tagli cesarei. Ora invece arrivano donne - durante i bombardamenti - che abortiscono spontaneamente per il terrore delle bombe, ne ricoveriamo quattro o cinque al giorno, ma subito dopo l'intervento se ne tornano a casa, hanno troppa paura dei bombardamenti e dicono: voglio morire a casa mia", racconta la suora. Con gli estranei preferiscono non parlare e nemmeno ascoltare, vogliono solo dimenticare, ma la paura si legge nei loro occhi. E anche il dolore. I bambini, solitamente silenziosi anche negli ospedali dove si curano le peggiori malattie, hanno cominciato a urlare, l'isteria e' il primo effetto dei continui bombardamenti, poi il vomito, continuo, la diarrea. Per gli anziani i maggiori problemi sono quelli di cuore, conferma suor Maryanne. "Abbiamo molto sofferto - racconta ancora la suora - la guerra del Golfo, la guerra economica, la guerra psicologica e ora di nuovo le bombe". Tra l'altro l'interruzione delle comunicazioni telefoniche complica il lavoro, "se abbiamo bisogno di uno specialista - sostiene suor Maryanne - dobbiamo mandare qualcuno a cercarlo e se si tratta di un malato grave o di un intervento urgente...". L'ospedale fornisce un'assistenza gratuita a chi non ha possibilita' di pagare gli interventi, le medicine e la degenza. Innanzitutto ai religiosi, alle famiglie del personale dell'ospedale e ai poveri inviati dalla Caritas. Gli assistiti sono prevalentemente cristiani? "Quando qualcuno arriva per un ricovero o una visita non chiediamo la religione, nelle camere c'e' un crocifisso e la Madonna ma vi dormono tranquillamente anche i musulmani che ci apprezzano per la nostra professionalita' e umanita'. L'Iraq e' un paese laico, non c'e' fanatismo religioso, prima il partito e poi la religione". E suor Maryanne aggiunge: "Anche i finanziamenti arrivano indifferentemente da cristiani e musulmani, tutti iracheni". 3. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: ZITTITA L'INFORMAZIONE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 marzo 2003] In guerra, sotto le bombe che continuano a bersagliare Baghdad, anche i lutti si elaborano velocemente. Sono passate poche ore dalla piu' sanguinosa strage dall'inizio della guerra, che ha provocato oltre sessanta morti nel mercato di Shula, e nuovi obiettivi sono stati colpiti, altre vittime civili, nel quartiere Mamunia, alla periferia della citta', e il ministero dell'informazione "svuotato" da un missile. In questo caso si puo' dire che sia stata un'operazione chirurgica: da lontano l'edificio appare quello di sempre, manca forse qualche antenna sul tetto e i vetri alle finestre, ma avvicinandosi ci si accorge che il palazzo all'interno e' stato completamente distrutto. Le postazioni televisive che stazionano sul terrazzo che sporge dal primo piano sono ancora la', come sempre. Gli operai indifferenti a quanto accaduto la notte prima continuano a lavorare all'ampliamento dell'edificio al pian terreno, dove stanno costruendo nuovi uffici per i media internazionali, mentre il cuore dell'edificio non esiste piu'. Non era imprevisto l'attacco al ministero dell'informazione, soprattutto dopo che l'ultima fase dei bombardamenti aveva preso di mira tutti i mezzi di comunicazione, mettendo fuori gioco tre canali televisivi e la rete telefonica. Ma con la sua distruzione viene meno uno dei simboli del regime e soprattutto uno dei centri di propaganda che in tempo di guerra e' essenziale. E cosi' deve essere stato percepito se ieri una folla si e' radunata davanti al ministero per protestare contro l'attacco americano. Lavoratori, militanti del partito Baath, ma anche numerosi artisti, persino qualche "diva", che si sono dispiegati sulle scale e la terrazza del press center dando vita ad uno spettacolo improvvisato con bandiere di diversi colori - che nel loro insieme ricordava quella arcobaleno sventolata dai pacifisti di casa nostra -, una protesta corale, accompagnata dalla musica patriottica diffusa da un improbabile registratore. La folla ondeggiava sulle scale al suono della musica - che avrebbe anche potuto essere rock -, come in un musical. Il messaggio era forte: la vita contro la morte. Lo slogan "Baghdad vincera'", mentre i resti del missile che aveva colpito il palazzo venivano portati come un trofeo. I bombardamenti continuano a martellare la capitale. Anche la conferenza stampa del ministro dell'informazione Mohammed Said al-Salaf e' stata "scossa" da un missile che ha colpito poco lontano e per la prima volta ha turbato anche il ministro e ha accelerato la fine dell'incontro con i giornalisti, meno numerosi comunque di quanti avessero registrato, poco prima, lo spettacolo popolare. L'invasione subira' una sosta, secondo gli annunci che arrivano dagli Stati Uniti, ma non i bombardamenti che anzi si aspettano piu' pesanti nelle prossime ore proprio per preparare il terreno alla ripresa dell'avanzata verso la capitale. Baghdad e' sostanzialmente in stato d'assedio e quello che sembrava solo uno spauracchio - l'immagine della "Stalingrado della Mesopotamia", come aveva prospettato qualche esponente del regime - comincia ad assumere qualche contorno di verosimiglianza, quello che invece non e' ancora chiaro e' il grado di resistenza che Baghdad potra' opporre all'invasione. Comunque la battuta d'arresto dimostra le difficolta' che incontrano le truppe nella loro avanzata. Anche molti successi vantati nel sud dalla propaganda anglo-americana non corrispondono alla realta'. Ce lo hanno confermato i sette giornalisti italiani entrati in Iraq dal Kuwait, poi intercettati dalle forze irachene a Bassora perche' sprovvisti di visto, che sono arrivati ieri pomeriggio a Baghdad. Sono state cosi' fugate le preoccupazioni sulla loro sorte suscitate dalla mancanza di notizie: i satellitari non si possono usare e le reti telefoniche sono distrutte. Come siete stati trattati? "Siamo stati sicuramente trattati meglio di come sarebbe stato trattato qualsiasi iracheno entrato in Italia senza visto", sono tutti d'accordo. I sette - Toni Fontana dell'Unita', Francesco Battistini del Corriere, Lorenzo Bianchi del Carlino-Nazione, Ezio Pasero del Messaggero, Luciano Gulli del Giornale, Leonardo Maisano de Il Sole 24 ore, Vittorio Dell'Uva del Mattino - arrivati nel sud dell'Iraq giovedi' avevano passato la giornata e la notte nel porto di Um Qasr, sotto il controllo delle truppe britanniche, poi si erano diretti verso Bassora, ci racconta Toni Fontana. "Superati i check point britannici, dopo un ponte c'era un carro armato americano, e poi piu' nulla, da quello che ci avevano detto immaginavamo di trovare un campo di battaglia e invece la situazione si presentava tranquilla, sotto il controllo degli iracheni. Dopo cinquecento metri a un distributore di benzina abbiamo chiesto informazioni, due vigili ci hanno risposto gentilmente, ma poi sono arrivati militanti del Baath che si sono insospettiti, ci hanno portato alla sede del partito e ci hanno accusati di essere entrati illegalmente nel paese". "Comunque sono stati gentilissimi e abbiamo passato la notte in albergo, all'hotel Sheraton di Bassora, pagando la nostra camera (50 dollari), ma non c'era nulla da mangiare", continua Toni Fontana. "La citta' e' distrutta dai bombardamenti", aggiunge un altro dei giornalisti e "abbiamo visto anche della gente in fuga". La mattina, ieri, "abbiamo preso le nostre macchine - due jeep e una macchina normale - e, con quattro uomini che ci hanno scortati, siamo partiti per Baghdad, alle nove e mezzo". Ed eccoli qui, li abbiamo incontrati, verso le quattro del pomeriggio, subito dopo il loro arrivo all'hotel Palestine, dove sono in attesa di regolarizzare la loro posizione. Sei ore per percorrere i cinquecento chilometri che separano la seconda citta' dell'Iraq dalla capitale. Com'era la strada, avete incontrato truppe? "No, era tutto tranquillo, qualche posto di blocco, soprattutto vicino a Baghdad, ma senza problemi, visto che per di piu' eravamo scortati", racconta Toni Fontana. Esistono due grandi strade che collegano Baghdad al sud, una si avvicina a Najaf e Kerbala, le citta' sante sciite, a poco piu' di cento chilometri dalla capitale l'una e a un'ottantina l'altra, dove sono in corso pesanti scontri con le truppe di invasione. "Noi abbiamo fatto quella che si avvicina all'Iran", ci dicono. A Najaf ieri in un attacco suicida sono rimasti uccisi quattro americani e ieri pomeriggio in una conferenza stampa il vicepresidente Ramadan ha detto che saranno usati tutti i mezzi disponibili per combattere gli aggressori. Nelle citta' roccaforte dell'opposizione sciita tuttavia gli invasori non hanno trovato quell'appoggio sperato - e forse garantito dall'opposizione dell'esterno che vive a Teheran - anche perche', dopo la guerra del Golfo, gli americani avevano favorito la sollevazione degli sciiti a sud, come dei kurdi a nord, ma poi li avevano abbandonati alla repressione sanguinosa di Saddam. E "abbiamo imparato la lezione", ci aveva detto qualche tempo fa un imam di Kerbala. 4. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: SU BAGHDAD RAID SENZA SOSTA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 marzo 2003] Da una riva all'altra del Tigri, dopo il bombardamento del ministero dell'informazione il centro della stampa internazionale e' stato trasferito dall'altra parte del fiume, all'hotel Palestine. L'ha avuta vinta la Cnn, la prima rete televisiva a lanciare l'allarme "rischio Rashid", l'ormai ex hotel dei giornalisti, per trasferirsi al Palestine trascinandosi dietro gran parte della stampa. Ora siamo tutti qua in quello che e' anche il quartier generale degli human shields, gli scudi umani rigorosamente dislocati nei punti strategici della citta', fortunatamente non ancora colpiti dai missili anglo-americani che anche ieri hanno colpito la citta' senza sosta. Bombardamenti concentrati sulla periferia, ma che cominciano ad avvicinarsi al centro. E che provocano vittime. Secondo fonti irachene sei persone sono morte e cinque sono rimaste ferite nell'attacco compiuto ieri mattina nell'area industriale di Zafraniya, a sud di Baghdad. Bombardamenti che alternano "operazioni chirurgiche" nei ministeri e nei centri di comunicazione con stragi nei quartieri popolari sciiti. Come e' successo negli ultimi giorni a Shaab e Shula. Ma proprio all'ospedale di an-Nour dove sono stati ricoverati i superstiti di Shula, tra i vari feriti in orribili condizioni, tra cui molti bambini - la bomba ha colpito mandando tutto in pezzi, anche i corpi delle persone, che invece a Shaab erano stati carbonizzati -, abbiamo trovato i protagonisti di una storia paradossale. I famigliari di una donna morta venerdi' sera durante il bombardamento del mercato di Shula, non per le bombe ma per la paura, avevano deciso di seppellire la congiunta nella citta' santa di Najaf, cui sono molto devoti tutti gli sciiti, visto che vi si trova il santuario dell'imam Ali', capostipite dello sciismo. Caricata la bara su un furgoncino si erano messi in marcia verso la citta' che si trova a circa 120 chilometri a sud-ovest di Baghdad, dove sono in corso pesanti combattimenti contro le truppe di invasione. I bombardamenti non hanno risparmiato nemmeno il corteo funebre, il furgoncino con la bara e' stato colpito direttamente e il cadavere della donna disperso. Altri tre familiari uccisi e alcuni feriti. Proprio nella citta' santa del quarto califfo, Ali', si e' registrata la prima azione suicida mai registrata in Iraq. Un sottufficiale dell'esercito, Ali Jafar Musa al-Nomani, si e' fatto saltare in aria con la sua macchina piena di esplosivo ad un posto di blocco americano, uccidendo quattro marines e ferendone molti altri. Ali, martire ed eroe, e' stato promosso al grado di colonnello e onorato con una medaglia del massimo grado "Um al-Marik", la madre di tutte le battaglie, concessagli direttamente da Saddam Hussein. Ali e' ormai diventato un nome eroico non solo per la storia sciita ma anche per la guerra contro gli invasori: si chiama Ali anche il contadino che ha abbattuto l'elicottero Apache americano qualche giorno fa a Kerbala. Il kamikaze di Najaf non restera' certamente un caso isolato. "Finora le operazioni di martirio erano condotte individualmente - ha affermato ieri il portavoce militare Hamid al-Raui - ma Ali ha aperto la strada al jihad (guerra santa), e queste azioni continueranno. Siamo innanzitutto musulmani e crediamo nel jihad, e' un dovere prescritto da dio, e' uno dei fondamenti dell'islam, siamo pronti". Dopo che sugli scudi umani il regime iracheno sembra puntare sull'arma insolita dell'azione suicida, dando alla resistenza contro l'invasore una motivazione religiosa cosciente che la popolazione sciita, la maggioranza esclusa dalla gestione del potere saldamente in mano sunnita, puo' essere motivata piu' sul piano religioso che politico. Soprattutto dopo che, ormai molti anni fa, e' stata eliminata la componente laica comunista che aveva una forte base proprio nella comunita' sciita. Del resto il processo di islamizzazione e' stato avviato gia' da qualche anno in Iraq e lo si nota anche dalla quantita' di moschee in costruzione. E il jihad era gia' stato avallato sabato dal vicepresidente Taha Yassim Ramadan che, a tal proposito, aveva detto che tutti i mezzi saranno usati per combattere l'invasore. Che ha dovuto subire una battuta d'arresto nella sua avanzata verso Baghdad, ritenuta dagli iracheni una loro vittoria e sicuramente in parte lo e', per il resto forse va attribuita alla disorganizzazione delle truppe di invasione che pensavano, o almeno propagandavano, di poter arrivare a Baghdad in 72 ore. Invece dopo undici giorni di guerra, hanno dovuto fermarsi in attesa di altri 120.000 uomini e di rifornimenti, e per ora non controllano nessun punto strategico nel sud. Il grosso delle truppe e' ancora in Kuwait, dove e' stato allestito un accampamento che prevede tutte le facilitazioni per i militari, compresa la depilazione per le soldatesse, peccato che abbiano sottovalutato la situazione irachena. Si spara ancora al confine e, da notizie arrivateci da Um Qasr, risulta che le truppe britanniche non controllano la citta' e nemmeno il porto, anche se sono riuscite ad impedire l'attracco di navi con rifornimenti di beni di prima necessita' per la popolazione irachena. Le imbarcazioni cariche di zucchero, te', latte per bambini, olio e detergenti, sono dovute ripartire senza sbarcare il carico. E questo non ha certo contribuito ad accreditare gli invasori presso la gente di Um Qasr. E nemmeno a Bassora dove nei giorni scorsi sono stati colpiti i depositi di cibo e ieri, secondo il ministro dell'informazione Mohammed Said al-Salaf, e' stato bombardato un mercato della verdura. Gli iracheni avrebbero abbattuto ieri due elicotteri. Battuta d'arresto per le truppe, che dovrebbero riprendere l'avanzata verso la capitale il 7 aprile, ma non per i bombardamenti che continuano a martellare Baghdad, il sud e il nord. All'angoscia si unisce l'assuefazione. Le sirene dell'allarme ormai fanno parte della quotidianita', il sibilo dei cacciabombardieri e il tonfo delle bombe arrivano direttamente al cervello superando la capacita' di percezione, di giorno e di notte, provocando un logoramento psicologico inarrestabile. Gli effetti della guerra si vedono inevitabilmente sui prezzi, ieri il dollaro e' tornato a salire e ha superato i 3.000 dinari, una bottiglia d'acqua minerale costa 2.000 dinari (circa 1 euro), anche la frutta e la verdura sono aumentate, per non parlare dei taxi. Il rischio di attraversare la citta' sotto i bombardamenti costa, il prezzo di una corsa dipende ormai dall'orario e dall'intensita' dei bombardamenti. E su questo non c'e' molto da discutere. Il cielo grigio, il fumo delle trincee in fiamme si confonde con le nuvole, mentre le bombe continuano a cadere e quando sono lontane potrebbero essere persino confuse con un tuono, ma quando si avvicinano le pareti e il pavimento tremano richiamandoci alla realta' della guerra. Baghdad e' sotto assedio e anche noi ci sentiamo in trappola. 5. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: STRAGE DI BAMBINI [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2003] I bombardamenti si accaniscono sulla capitale irachena, notte e giorno, come promesso dal segretario alla difesa Usa, Donald Rumsfeld: Bassora e' solo un assaggio di quello che sara' l'assedio di Baghdad. Lo stiamo vedendo, la notte scorsa non c'e' stata tregua. Eppure la mattina la citta' era piu' popolata del solito, i negozi sono ancora quasi tutti chiusi, ma alcuni mercati hanno riaperto, la strada Jumuriya e' tornata agli ingorghi abituali: sul marciapiede si vende di tutto: taniche di benzina, fornelli a gas, utensili vari, vettovaglie e vestiti. Perche' tanto fermento dopo una settimana di paralisi totale e una notte d'inferno? "Evidentemente la gente si aspettava la pioggia di migliaia di bombe nei primi giorni di guerra come minacciata dagli Stati Uniti, invece le cose stanno andando diversamente, i bombardamenti continuano ma le truppe non avanzano e poi bisogna fare rifornimenti, le scorte si esauriscono", ci dice Majid mentre compra la frutta. I prezzi sono aumentati? "Quelli dei pomodori si', costavano 350 dinari al chilo, ora sono arrivati a 1.000 (circa mezzo euro), le arance anche sono aumentate, ma di poco". E ogni mattina ritroviamo gli effetti sanguinosi dei bombardamenti: un'altra strage di civili. Ieri secondo la testimonianza diretta di un reporter dell'Afp di Baghdad - ancora non confermata dal governo iracheno - abbiamo saputo che sabato notte venti persone, tra cui undici bambini, sono morte e dieci sono rimaste ferite in un bombardamento angloamericano su una fattoria nella zona sud della citta'. Sono stati i parenti delle vittime, gli unici a rimanere illesi nella strage, a raccontare che i bombardieri alleati hanno distrutto tre abitazioni del sobborgo di Al Janabiin sventrandole con un missile che ha colpito in pieno le case. Gli undici bambini, sette donne e due uomini morti nell'attacco appartenevano a cinque famiglie. E anche ieri mattina abbiamo trovato gli effetti dei raid notturni: un nuovo centro di comunicazioni, quello di Bab al-Muhaddan, sventrato, colpito un altro palazzo presidenziale sulle rive del Tigri, sarebbe quello abitato dal figlio minore di Saddam, Qusay, che comanda la guardia repubblicana. E' stato nuovamente attaccato anche il ministero dell'informazione e il missile che l'ha colpito ha danneggiato le case vicine. I famosi "danni collaterali". Che cominciano ad essere numerosi. Al-Adhamiya e' un quartiere abitato dai veri baghdadini, i vecchi abitanti della citta', che si vantano di esserlo. Dopo aver superato le nubi di fumo nero provocate dalle trincee di petrolio che ancora bruciano, ci addentriamo nel quartiere incontrando prima orti coltivati a verdure e vivai di fiori, poi la zona piu' commerciale e popolare. Quasi tutti i negozi sono ancora chiusi, ma non le bancarelle di frutta e verdura e le panetterie, che sono obbligate a restare aperte e a mantenere fisso il prezzo del pane. Svoltiamo in una strada sterrata della parte di al-Adhamiya che prende il nome di al-Kam, un cumulo di macerie sbarra la strada. E' quel che resta di una casa sventrata da un missile. "Erano le 12 e 30, l'ora della preghiera di mezzogiorno, c'era chi pregava e le donne cucinavano, quando e' arrivato un boato, la casa colpita e' stata completamente distrutta, quella dietro solo parzialemente, sei i morti, compresa una bambina di dodici anni, e una ventina di feriti". Anche la casa di Husham, che ci racconta l'accaduto, e altre vicine sono state danneggiate. Intorno a noi si e' affollato un gruppetto di persone, ci sono anche alcune donne, questo e' un quartiere sunnita e le donne sono meno bardate delle sciite. Tutti comunque ci assalgono: "Questo non e' terrorismo?! E magari gli americani vengono a dirci che qui abitavano terroristi, era una donna anziana con due figli orfani e la nipote che era venuta a trovarla, una famiglia distrutta". Husham, 26 anni, ingegnere agronomo, lavora al ministero dell'agricoltura, ma da quando c'e' la guerra sono tutti a casa. Anche la moglie Suad, che e' avvocata e lavora in tribunale. Il figlioletto Ibrahim, vuole una fotografia e subito alza le mani a V in segno di vittoria. Perche' pensate che sia stata colpita questa casa? "Per vendetta, perche' gli americani stanno subendo molte perdite nel sud", risponde una ragazza. Ma piu' che certezze, in loro c'e' tanta rabbia, contro gli occidentali: che cosa fate per fermare Bush? Cerchiamo di spiegare che cosa fanno i pacifisti in occidente, ma non possiamo certo dire che le grandi mobilitazioni siano bastate a fermare la guerra e per loro e' questo che conta. Parliamo anche della posizione dei governi, ma Husham taglia corto: "Solo dio e' dalla nostra parte, questo ci basta". Gli facciamo notare che forse non basta. Lui che fara' se arrivano gli americani? "Prendero' il fucile, tutti abbiamo il fucile pronto, siamo tutti mujahidin (combattenti - ndr)", conclude. Anche le donne? "Anche le donne", risponde. Riattraversiamo la citta' passando accanto, sulla riva del Tigri, al palazzo presidenziale bombardato ma la gente non se ne preoccupa, superiamo il ponte, l'unico sopravvissuto intatto alla guerra del Golfo del 1991, perche', mi raccontano, era stato mimetizzato con le piante. Vediamo il centro di comunicazioni al-Mamun anch'esso sventrato mentre la torre Saddam che si trova accanto si e' miracolosamente salvata, tranne i vetri. Poco lontano ci addentriamo nel quartiere residenziale di Qadissiya: villette recintate con giardino, un luogo tranquillo ma particolarmente pericoloso perche' si trova nel mezzo di tanti possibili obiettivi, militari e civili. Proprio per questo gli abitanti di molte di queste case, dopo l'inizio della guerra, si sono trasferiti altrove. E cosi' il missile che ha colpito il quartiere due giorni fa, alle 19 e 30, lasciando un cratere profondo sette metri, ha distrutto tre case (55 abitanti) ma non ha provocato vittime. "I miei figli piangevano sempre sentendo i bombardamenti, cosi' ci siamo trasferiti in campagna e lo stesso hanno fatto i vicini", racconta Mohammed Kamel Ismail, 50 anni, sette figli, mentre rovista tra quel che resta della sua biblioteca. Insegnante di scuola secondaria, teneva delle lezioni anche a casa, e ci mostra tra le macerie la stanza dove insegnava, si trova accanto alla cucina dove sul pavimento sono ancora sparse cipolle e patate. Mentre racconta arrivano alcuni suoi studenti a salutarlo. Si vede che lo stimano molto. "Mi rispettano molto perche' io insegno loro anche quello che c'e' dietro le cose, i retroscena delle cose che succedono, ma d'ora in poi insegnero' loro anche l'odio verso l'occidente", dice. E poi continuando con la sua aria dolce e sommessa, ci confessa: ´Prima io non riuscivo a capire i martiri che si fanno saltare per aria, ora li capisco, non ho piu' niente da perdere e spero che dio mi riservi presto il martirio". Ma lei ha sette figli, che hanno bisogno di un padre, perche' deve sperare nel martirio, ci sono altri modi di combattere gli americani, gli occidentali, non crede? contestiamo. "Il martirio e' il nostro dovere, solo di questo hanno paura gli americani, perche' non sanno come affrontarlo. Per quanto riguarda i figli, sono un padre premuroso, mi alzo di notte per coprirli, il sorriso dei bambini e' uguale dappertutto, che diritto hanno di toglierceli? Ma cresceranno bene perche' li ho educati nell'insegnamento del corano", afferma sicuro. Continua a frugare tra i libri che sono rimasti ammucchiati tra le macerie nella stanza in cui insegnava, trova finalmente il volume che cercava: un libro pregiato, un corano scritto in arabo con traduzione e commento in inglese. E me lo regala. Ma non aveva appena detto di odiare gli occidentali? Comunque non gli avevamo creduto. Poco lontano le bombe continuano a cadere, ci allontaniamo dalla costruzione ancora in bilico, meglio non rischiare. 6. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: LA NOTTE DI BAGHDAD [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2003] La sede che ospitava il comando dell'aereonautica, gia' colpito una volta, e' stato nuovamente bombardato la notte scorsa e completamente distrutto. Tra il cumulo di macerie e' rimasta intatta, incredibilmente, solo la statua di Saddam. "Distruggeranno tutto il paese tranne un uomo, lui", commenta sarcastico un iracheno di passaggio. Lo spettacolo e' impressionante, un segno premonitore? Quello del comando dell'aereonautica non e' l'unico risultato del pesante bombardamento di lunedi' sera. Colpiti diversi edifici in una zona molto popolata, poco lontano dall'hotel Palestine, che ha cominciato a tremare, un terremoto prolungato che alla fine lasciava una sensazione di capogiro e nausea. Poi una pausa, non come la notte precedente quando i missili cadevano ad intervalli impedendo di dormire tutta la notte. Colpiti altri centri di comunicazione, un altro palazzo di Saddam - non finiscono mai! - e la sede del comitato olimpico presieduta dal figlio "sportivo" del rais, Uday. Il primo bilancio ufficiale delle vittime civili viene comunicato dal ministro dell'informazione Mohammed Said al-Sahaf: 60 morti e piu' di 300 feriti, di cui 24 "martiri" a Baghdad, dove i feriti sarebbero stati un centinaio. Il ministro ha anche letto un messaggio di Saddam Hussein agli iracheni e a tutti i musulmani perche' si lancino nella guerra santa contro gli infedeli. Particolarmente duri i toni usati dal rais, che pero' non ha fatto alcun accenno ai fatti particolari di questi ultimi giorni: "Nel nome di Dio - ha detto - ognuno di noi che ricordi la sua religione sara' aiutato da Dio a essere vincitore sui nemici. I nemici fuggiranno maledetti da Dio". Scioccante il bilancio del bombardamento del quartiere Nadir di Hilla, che nel pomeriggio e' salito a 33 persone uccise, fra cui 9 bambini, piu' altre 15 che viaggiavano su un pullmino. Nadir e' un quartiere abitato dagli operai che lavorano in una fabbrica di seta sintetica, precisa il ministro che e' nato proprio a Hilla. Il massacro e' avvenuto il giorno dopo un'altra orrenda strage avvenuta a un posto di blocco di Najaf, dove aveva trovato la morte una famiglia di nove persone. Colpite anche fattorie a sud di Baghdad e antenne tv. I bollettini di guerra invece parlano soprattutto delle battaglie in corso a Bassora, Nassirya e Najaf, al sud, e Mosul al nord. Gli insuccessi militari e le perdite subite indurrebbero gli americani e i britannici, secondo il ministro dell'informazione iracheno, a uccidere indiscriminatamente: sono disperati e isterici. Cosi' disperati e isterici da bombardare anche cittadini occidentali e americani? "Gli americani hanno colpito cittadini americani". La notizia e' sempre di fonte irachena, riferisce il ministro dell'informazione: gli americani hanno bombardato due autobus di "human shields" che da Amman stavano raggiungendo Baghdad, i feriti sono stati ricoverati a Rutba, la cittadina piu' vicina alla frontiera giordana che alla capitale irachena. Mentre scriviamo non siamo riusciti ad avere particolari sull'accaduto e su eventuali vittime. L'interruzione della rete telefonica, dopo che sono stati bombardati molti centri di comunicazione, rende difficile, quando non impossibile la trasmissione di informazioni. Siamo noi a dare la notizia dell'attacco agli "human shields" di passaggio al Palestine, dove hanno il loro quartier generale, rimasto spesso sguarnito dopo che molti scudi sono partiti. Un mese fa erano piu' di 150, provenienti da molti paesi, ora ne sono rimasti una cinquantina e aspettavano i rinforzi che, appunto, stavano arrivando con gli autobus bombardati. Provenienti anche loro da diversi paesi, compresi Stati Uniti e Gran Bretagna. Prima che la guerra cominciasse, con gli human shields, definizione che permetteva di ottenere facilmente un visto, arrivava di tutto: giornalisti, fotografi, personaggi in cerca di avventura, scudi veri e propri, e tra questi chi e' venuto perche' gliel'ha detto la madonna, chi non poteva sopportare di vedere i bambini iracheni alla televisione e chi pensava fosse l'unico modo valido per opporsi alla guerra. Ma ancora prima dell'inizio dei bombardamenti, con il dislocamento degli scudi nei luoghi strategici prescelti dagli iracheni - la centrale elettrica, due centri di potabilizzazione dell'acqua, la raffineria e un deposito di viveri - la schiera degli scudi si e' assottigliata e soprattutto si e' scremata di coloro che non sono disposti a rischiare la propria vita per opporsi alla guerra. Anche tra questi non tutti sono comunque votati al martirio. "Non sono un eroe e non voglio essere un martire, amo troppo la vita e voglio continuare a vivere", sostiene John Richardson, 56 anni di Batley, nel West Yorkshire, che insieme a Robin, anche lui inglese, due giapponesi, una danese e una australiana, vive in una delle due centrali di potabilizzazione dell'acqua prescelte, la "7 aprile". L'impianto di trova a una decina di chilometri da Baghdad, verso nord-ovest, e fornisce acqua a 3-4 milioni di iracheni. John e Robin sono arrivati a Baghdad il 19 febbraio e sono decisi a rimanere fino alla fine della guerra. Perche' hanno deciso di venire in Iraq? "Per dimostrare che la guerra non e' una soluzione", sostiene Robin. "Per mandare un messaggio forte a Bush e a Blair, al nostro governo", conferma John. E se dovessero bombardare la centrale resterete? "La maggior parte dei britannici sono contro la guerra fin dall'inizio, Blair e' pronto a bombardare anche cittadini britannici?". La sfida si gioca sul filo del rasoio. "Ammetto che rischiare la vita e' un atto estremo e radicale, ma non avevo altra scelta, non potevo stare a vedere la propaganda di guerra in tv senza fare niente". John Richardson e' assistente sociale, quando torna riprendera' il lavoro? "Sono venuto qui con un mese di ferie, ma un mese non e' bastato e non so quando finira', comunque restero' fino alla fine, e quando torno non so se avro' ancora il lavoro". Non ha invece problemi di lavoro Monique, francese sulla sessantina, divorziata, tre figli grandi, che, "a parte il primo, non capiscono la mia scelta". La notte la trascorre alla centrale elettrica "al Rashid", che peraltro si trova poco lontano da una caserma, ma non ha paura di morire e nemmeno voglia, anzi e' pronta a prendere il fucile se necessario. "Sono arrivata qui il 13 febbraio e ho condiviso con gli iracheni la speranza di poter evitare la guerra, e dopo l'inizio dei bombardamenti condivido l'angoscia, la paura e il lutto per le morti dei civili". Perche' e' venuta qui? "Innanzittutto perche' sono una rivoluzionaria e lotto contro l'ingiustizia: abbiamo lasciato soffrire questo popolo per dodici anni, sono nati bambini orrendamente deformi a causa delle armi usate durante la guerra del Golfo, e poi una nuova aggressione, una guerra contro l'Onu, la legalita', il diritto internazionale, contro la democrazia, perche' i governi non rispettano l'opinione dei popoli che sono contro la guerra". Intanto si fa sera, e' ora di tornare nel proprio sito per trascorrere la notte aspettando i bombardamenti e sperando che non colpiscano le infrastrutture essenziali per la sopravvivenza della popolazione. Ma John e' consapevole che durante l'assedio di Baghdad tutto potra' succedere. E in parte sta gia' succedendo. 7. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: I SOPRAVVISSUTI DI BABELE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 aprile 2003] Poco piu' di sessanta chilometri separano Baghdad dall'antica Hilla, piu' nota come la mitica Babilonia, capitale del famoso regno di Hammurabi e successivamente dell'impero di Nabucodonosor. Anche se ormai siamo abituati ai bombardamenti che colpiscono Baghdad notte e giorno, man mano che ci allontaniamo dalla capitale si avverte che la guerra e' sempre piu' vicina, quella combattuta non solo dal cielo ma anche sul terreno. Prima si avverte una presenza militare irachena nascosta dietro le trincee che non sono piu' riempite di petrolio dato alle fiamme, come intorno a Baghdad, ma di uomini e armi; poi si trovano campi militari veri e propri con i soldati. Mentre passiamo, la contraerea sta sparando. La strada tuttavia e' trafficata e il mercato di Mahmudia e' affollato anche di molte donne, quelle che non si vedono quasi piu' nelle strade della capitale. Avvicinandoci a Hilla si incontrano villaggi dall'aria un po' piu' "primitiva" o forse e' solo una suggestione provocata dall'approssimarsi a un luogo leggendario, che avevamo visitato alla vigilia di un'altra grande minaccia per i siti archeologici, la guerra del Golfo del 1991. Dei monumenti che avevano segnato gli antichi splendori della citta' restava poco piu' delle fondamenta gia' allora, il materiale da costruzione usato a quei tempi non aveva favorito la conservazione e poco convincente e' risultata la ricostruzione voluta da Saddam Hussein. Comunque ora non c'e' tempo per verificare gli effetti di quella guerra e nemmeno per cercare di riscoprire il fascino del passato di Babilonia. La nostra meta e' un'altra: l'ospedale di Hilla, dove sono ricoverati i feriti sopravvissuti al massacro provocato dal massiccio bombardamento anglo-americano di lunedi' scorso. Fin dall'entrata, gia' l'atrio dell'ospedale e' pieno di feriti, medici, flebo, garze insanguinate. Questo e' solo il pronto soccorso, gli ultimi arrivi, ferite di vario tipo, lo spettacolo piu' raccapricciante lo riservano le corsie dei piani superiori. Al terzo piano stanze piene di feriti: alcuni hanno gia' avuto arti amputati, altri li avranno inevitabilmente. Ferite su tutto il corpo, piu' o meno gravi, sangue, puzza. "Non abbiamo nemmeno i mezzi per la sterilizzazione, si rischiano infezioni, mancano i medicinali", confessa il dottor Ali al-Katib, capo del dipartimento chirurgico. Altri ricoverati, quelli piu' gravi potrebbero andare ad aggravare il bilancio dei "martiri": "Finora sono 67, oltre 250 i feriti, il cento per cento civili", afferma il medico. E conferma che la maggior parte dei feriti sono stati colpiti da cluster bombs. "Non si tratta di bombe che si usano contro i carri armati ma contro la popolazione, sono bombe anti-persona: si vuole terrorizzare la gente", commenta un altro medico, il dottor Dhiga' Ali. Hamid Khalil Hamza, 21 anni, giace su un letto avvolto in una coperta, e' assistito dal padre Khalil ma poi arrivano anche degli amici, ha la gamba maciullata fasciata alla bella e meglio in una garza piena di sangue. La loro casa, come altre del villaggio di al Ghaliz, a 5 chilometri da Babilonia, e' stata bombardata lunedi' verso mezzogiorno. In un altro letto, un vecchio con un braccio fasciato tossisce insistentemente. Ci sono anche alcuni sopravvissuti dell'attacco al pulmino di el Kifl, giovedi' scorso. Sedici i morti, tra cui donne e bambini, che andavano a seppellire una loro congiunta a Najaf. Ali e' sopravvissuto ma ha un braccio tagliato e l'altro conciato male, anche una gamba e' in cattive condizioni. Al quarto piano donne e bambini. In una corsia, accovacciata per terra una madre nascosta sotto un velo nero, intorno a lei le cinque figlie, abbandonato fra le sue braccia il bimbo piu' piccolo, due delle ragazze, le piu' gravi, sono distese sul letto, per le altre non c'e' piu' posto. Tutte, madre compresa, mostrano le tipiche ferite da cluster bomb, sul collo, le braccia, le gambe. Una ha un buco piu' profondo sulla gamba distesa su una garza tutta imbevuta di sangue. Vengono da Nadir, un quartiere popolare di Hilla, da dove arriva anche Nidhal Adi, 48 anni, insegnante nella scuola secondaria Gaza, che si trova poco lontano da casa sua, sta assistendo la figlia, Razad Hakim, di 20 anni. E racconta: "Lunedi' mattina erano da poco passate le dieci quando abbiamo sentito una forte esplosione, schegge dappertutto, alcune hanno colpito me, altre, piu' gravemente, mia figlia al petto. L'abbiamo subito portata qui". Nidhal ha un altro figlio di sei anni, l'ha lasciato con la nonna, il marito e' morto e mostra il velo nero che porta in segno di lutto. E' una donna molto vivace e protesta: "Perche' vogliono distruggere la mia famiglia? Io non ho niente a che vedere con il governo, perche' ci bombardano?". Gia', perche' colpiscono bambini come Burgham Ali', 3 anni, che giace sul lettino con il ventre aperto, il capo bendato e un occhio perduto? Non piange nemmeno. I genitori raccontano, la solita storia che si ripete, questa volta a Hindiya, a meta' strada tra Hilla e Kerbala, dove ci sono state numerose vittime. Marianne, 10 anni, e Huda, 5, due sorelline, stavano giocando davanti a casa nel piccolo villaggio di Twerige, sulla strada verso Kerbala, quando sono arrivate le bombe, racconta Fathma Obeida, la madre di 36 anni. "Ho sentito una forte esplosione e quando sono uscita ho trovato le bambine grondanti di sangue", sono state ferite al capo, entrambe. Anche il marito e' stato colpito, lui e' grave, si trova in terapia intensiva, in un'altra corsia. Vi aspettavate un attacco di questo tipo? "Da giorni, 24 ore su 24, sentivamo gli aerei americani volare sopra di noi, sempre piu' bassi, ma non pensavamo di essere colpiti, nel nostro villaggio non ci sono obiettivi militari, non ci sono soldati", sostiene Fathma, sconsolata per la sorte delle due splendide bambine che si tengono strette mentre sono bersagliate dai fotografi. Una dopo l'altra, tutte le corsie sono zeppe di feriti, piu' o meno gravi, donne, bambini, giovani, anziani. Una donna settantenne, ferita ad un braccio, non ha nemmeno voglia di parlare. Tante vittime. Ma voi vi trovate sulla linea del fronte, a pochi chilometri da Kerbala e le truppe anglo-americane dicono di aver deciso di procedere l'avanzata verso Baghdad lasciando fuori la citta' santa? chiediamo a un medico. "Non siamo sulla linea del fronte non abbiamo visto militari, abbiamo sentito solo gli aerei e le bombe", risponde il dottor Ali al-Khatib. Gli aerei anglo-americani che volano sempre piu' bassi rischiano di provocare gravi danni anche ai luoghi santi che ospitano i santuari del quarto califfo Ali, capostipite degli sciiti, che si trova a Najaf, e dei suoi due figli, gli imam Abbas e Hussein, a Kerbala. Non e' certo il modo migliore per cercare di essere ben accetti dagli sciiti iracheni, e un danneggiamento dei luoghi santi, meta di pellegrinaggio anche degli iraniani - in stragrande maggioranza sciiti - potrebbe persino provocare problemi all'opposizione del Consiglio per la rivoluzione islamica in Iraq con base a Teheran che appoggia l'intervento anglo-americano. Peraltro, gli sciiti iracheni, quelli che vivono qui, non si fidano delle promesse americane. "Abbiamo imparato dal 1991", ci ha detto qualche tempo fa un imam della moschea Abbas, allora gli americani avevano favorito la rivolta degli sciiti ma poi li hanno abbandonati di fronte alla sanguinosa repressione di Saddam. Che il terreno sciita non sia favorevole agli invasori lo dimostra anche il fatto che le truppe avrebbero deciso di avanzare verso Baghdad senza occupare le citta' del sud. L'assedio si sta stringendo intorno alla capitale, non sappiamo se veramente le truppe siano alle porte come dice il Pentagono - il regime iracheno smentisce -, ma sicuramente i bombardamenti sono pesantissimi. Abbiamo visto i missili cadere sulla strada di ritorno da Hilla e poi, rientrati a Baghdad, nel pomeriggio il rumore dei cacciabombardieri si e' fatto sempre piu' intenso. Numerosi gli obiettivi colpiti vicino a luoghi civili, ospedali, un centro di riabilitazione. Soprattutto e' stata danneggiata la sede centrale della Mezzaluna rossa a al Mansour, che coordina anche l'attivita' delle varie Ong presenti in Iraq. Ieri mattina, verso le dieci, i missili hanno colpito un grande magazzino adiacente alla sede della croce rossa irachena, distruggendo oltre al deposito - dove pare ci fossero anche medicine - sette macchine che passavano per la strada, e l'onda d'urto ha mandato in frantumi i vetri, distrutto le suppellettili, i computer, gli schedari che si trovavano dentro la sede dell'organizzazione umanitaria. A denunciare l'accaduto e' il dottor Hisham al-Saadun, direttore della Mezzaluna rossa. Dentro l'edificio si trovava anche Mohammed, il coordinatore di "Un ponte per Baghdad" che lavora appunto in collaborazione con l'istituzione irachena. Mohammed e' stato travolto mentre scendeva per le scale, riportando, per fortuna, solo escoriazioni, secondo quanto ci ha riferito Simona Torretta, rappresentante dell'associazione italiana. Che denuncia soprattutto il fatto che il magazzino, se questo era l'obiettivo, sia stato colpito di giorno quando dentro la sede della Mezzaluna ci sono almeno una trentina di lavoratori. 8. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: BAGHDAD, ASSEDIO AL BUIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 aprile 2003] Baghdad aspetta al buio il suo destino. Per la prima volta dall'inizio della guerra, infatti, la luce nella capitale irachena viene tolta - anche se non si sa da chi - facendo precipitare i suoi abitanti nell'oscurita' totale. Da chiunque sia arrivato l'ordine di staccare la corrente, il segnale che rappresenta e' chiaro a tutti: l'attacco delle forze americane che da giorni si stanno avvicinando, e' ormai prossimo. E infatti durante la notte cruenti combattimenti cominciano nel villaggio di Furat, nei pressi dell'aeroporto internazionale Saddam. La giornata comincia con il solito assedio psicologico, frutto della propaganda contrapposta di Bush e di Saddam che tiene la popolazione sospesa in una sorta di limbo. Le voci dell'avvicinamento delle truppe diffuse dal comando militare statunitense di Doha arrivano anche qui, nonostante le televisioni satellitari siano proibite, vengono subito smentite dal regime iracheno, che ogni giorno pubblica un comunicato militare. Gli Usa dicono di essere a 20 chilometri dall'aeroporto Saddam e di averlo circondato, gli iracheni smentiscono e ieri pomeriggio hanno addirittura portato un pool di giornalisti sul posto per dimostrare che, a vista d'occhio, non si notano presenze americane intorno all'aeroporto. E infatti, a dispetto di quanto sarebbe accaduto poche ore dopo, lo scalo appare insolitamente tranquillo e vuoto di militari. Secondo fonti arabe le truppe di invasione si troverebbero ancora a 170 chilometri sulla direttrice di Kerbala e a 250 su quella di Al Kut. E l'avanzata, secondo il ministro dell'informazione iracheno, Mohammed Said Al Sahaf, avverrebbe solo con truppe paracadutate. Tuttavia le notizie sull'aeroporto hanno suscitato l'allarme. E forse questo era il primo obiettivo della propaganda Usa. Qualcuno ci chiede conferma sottovoce per paura di essere sentito e anche, probabilmente, per paura della risposta. Ma non si sa che cosa rispondere, difficile verificare le notizie anche per chi lo fa per mestiere. Difficile persino rimanere estranei alla guerra di propaganda. I continui bombardamenti tengono la maggior parte della gente chiusa in casa. Uscire e' sempre un rischio anche se nemmeno il tetto di casa e' piu' sicuro. I mercati sono diventati uno dei luoghi piu' rischiosi, ieri ne e' stato colpito un altro a Nahrawan, alla periferia sudorientale della citta': otto morti e cinque feriti, ricoverati presso l'ospedale Al Kindy. Puo' apparire incredibile ma anche una notizia del genere, che dovrebbe essere diffusa immediatamente dalle autorita' irachene, invece di solito rimbalza qui dall'estero. E finisce tra le altre, dopo la sessantina di morti al mercato di Shula e i 67 di Hilla, la tragica corsa delle stragi registra solo i bilanci al rialzo. Nella logica della guerra che inquina anche l'informazione. E le vittime di Nahrawan non sono le uniche registrate ieri nella capitale, altre 14, fra cui donne e bambini, sarebbero rimaste uccise da bombe a grappolo lanciate sul quartiere di Al Douri, nella periferia meridionale della capitale. Il numero delle vittime civili aumenta di giorno in giorno: erano piu' di 1.250 i morti e oltre 5.000 i feriti, fino a ieri a mezzogiorno, secondo il ministro degli esteri iracheno, Naji Sabri. Il ministro ha anche accusato il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Hannan, non solo di non aver fatto nulla per evitare la guerra ma di avere anche facilitato l'invasione con il ritiro degli osservatori al confine tra Kuwait e Iraq. La citta' si accende e si spegne, senza un apparente motivo, questa popolazione abituata alla guerra - ne ha gia' vissute due recentemente - evidentemente ha delle antenne su cui noi difficilmente riusciamo a sintonizzarci. Mercoledi' le strade della citta' si erano parzialmente ripopolate, ma ieri erano di nuovo quasi deserte. I bombardamenti si stanno intensificando, il rombo dei cacciabombardieri e' sempre piu' assordante, e la parte meridionale della citta 'e' ormai sotto il tiro dell'artiglieria. I colpi di cannone si sentono sempre piu' distintamente anche da qui, dal centro della citta'. Sempre piu' frequenti, sempre piu' pesanti, insistenti. Sono diminuite invece le raffiche della contraerea. Le truppe anglo-americane - dicono ancora a Doha - hanno preso il controllo del ponte sull'Eufrate, a una trentina di chilometri da Baghdad, eppure mercoledi' eravamo passati da quelle parti e non avevamo proprio intuito la vicinanza di soldati stranieri. Possibile un cambiamento repentino? Da testimonianze dirette avevamo saputo solo di combattimenti a una decina di chilometri da Kerbala, che si trova a un centinaio di chilometri a sud-ovest di Baghdad. Tuttavia gli "alleati", secondo le loro stesse dichiarazioni, avrebbero deciso di non occupare la citta' e di avanzare direttamente verso Baghdad. A sud della capitale abbiamo visto solo soldati iracheni sparsi, la contraerea che di tanto in tanto sparava, qualche segnale del passaggio dei cacciabombardieri che oltre a sganciare bombe sulla popolazione civile di Hilla e dintorni, hanno bombardato alcuni carri armati che si trovavano sul treno fermo sulla ferrovia, distrutti anche alcuni camion parcheggiati sotto gli alberi. La presenza della guardia repubblicana, guidata dal figlio di Saddam, Qusay, cui e' affidato il compito della difesa della zona centrale del paese e che gli attacchi anglo-americani stanno cercando di fiaccare bersagliandola in continuazione da giorni, si poteva solo intuire mimetizzata dietro i cumuli di sabbia disseminati su ampi terreni ai lati della strada. Anche in citta' la presenza militare e' ancora poco evidente, tanto che risulta veramente difficile immaginare che il nemico, i "mercenari" come li definisce il ministro dell'informazione, siano veramente alle porte. E' difficile prevedere i tempi e i modi dell'arrivo delle truppe anglo-americane, non e' facile nemmeno intuire come gli iracheni ostacoleranno la loro avanzata. Avevano parlato di una battaglia casa per casa coinvolgendo tutta la popolazione, ma non tutta la citta' si presta - almeno a quanto ci pare da analfabeti di questioni militari - a questo tipo di tattica, essendo attraversata da grandi viali. Ma ci sono gia' famiglie che stanno abbandonando la citta' dirigendosi, con i loro averi, verso l'Iran. I bollettini di guerra parlano intanto di distruzione di elicotteri Usa e britannici - una Apache e un Chinook - e di un cacciabombardiere F-18. Nei comunicati oltre all'apporto dell'esercito viene sempre sottolineato anche quello delle milizie del partito Baath, dei Fedayn di Saddam e degli appartenenti alle varie tribu' che sono diventati interlocutori privilegiati di Saddam, che mercoledi' e' riapparso sugli schermi per rassicurare la popolazione della vittoria contro le truppe d'invasione. Nonostante l'opposizione all'invasione anglo-americana non sia definibile con l'appoggio a Saddam, il venir meno di un capo farebbe esplodere subito conflitti che altrimenti forse sarebbero rimandati. 9. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: SHOW TELEVISIVO DI SADDAM [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 aprile 2003] Una mossa a sorpresa, compiuta probabilmente da Saddam Hussein con la duplice speranza di sconcertare il nemico ormai alle porte e di rinsaldare il morale della popolazione di Baghdad. Ieri, con un colpo di scena, il rais e' improvvisamente sceso nelle strade della capitale per immergersi in un bagno di folla immediatamente ripreso e trasmesso dalla tv irachena e, successivamente, dalle televisioni di tutto il mondo. Difficile dire se, come afferma la televisione del regime, si tratti di immagini realmente in diretta e se l'uomo che si vede stringere mani e sollevare al cielo bambini sia davvero Saddam o uno dei suo molti sosia. Di certo, dal punto di vista mediatico l'impatto e' forte, grazie anche a una regia ben orchestrata. Un colpo di scena preceduto nel pomeriggio da un'apparizione televisiva, la prima dopo dieci giorni, in cui Saddam Hussein ha rivolto un breve ma esplicito messaggio alla popolazione: "Colpite il nemico con forza con le armi di cui disponete". Per Saddam Hussein era importante dimostrare a tutti di essere ancora vivo e in salute in queste ore in cui la battaglia finale, quella per la conquista di Baghdad, potrebbe cominciare da un momento all'altro. E se non si tratta di un filmato registrato. quello che si vede nelle immagini e' in affetti un Saddam Hussein in piena forma. In divisa, accompagnato da alcuni militari, il rais viene ripreso mentre visita alcuni quartieri periferici della capitale. Si tratta inequivocabilmente di zone colpite dai missili della coalizione, con sullo sfondo lunghe colonne di fumo nero che si alzano verso il cielo. Il rais appare tranquillo. La folla, molte persone sono armate di kalashnikov, lo circonda, urla slogan contro il presidente Bush, tende la mano per stringere quella di Saddam. A un certo punto qualcuno porge anche un bambino a Saddam che lo prende in braccio, prima di salire sul tetto di una macchina e arringare da li' la folla. Immagini vere o false? Il balletto delle interpretazioni comincia immediatamente ma almeno un paio di punti sembrano certi. Il primo e' che le scene che si vedono sono sicuramente state girate dopo il 20 marzo, giorno di inizio della guerra. Il secondo e' che nel suo messaggio televisivo il rais ha fatto un riferimento preciso all'abbattimento di un elicottero Apache avvenuto il 24 marzo scorso. Intanto per Baghdad anche quella di ieri e' stata una giornata di attesa snervante. L'assedio ormai non e' piu' solo psicologico. Dopo una giornata in cui la ripresa massiccia dei fuochi, e soprattutto del fumo sprigionato dal petrolio che brucia nelle trincee intorno alla citta' e l'avvolge in una nube, rende l'aria irrespirabile, la mancanza della luce ha fatto aumentare il panico. Tanto piu' che per tutto il giorno i caccia avevano sganciato bombe sulla citta' e anche i cannoni, che si erano accaniti sulla zona dell'aeroporto, erano ben udibili dal centro dove ci troviamo. E continuano ad esserlo perche' non sono mai cessati. La zona dell'aeroporto, strategicamente importante per la pista, e' anche disseminata di strutture militari oltre che di residenze presidenziali. Mancanza di elettricita' vuol dire anche mancanza d'acqua, proprio mentre comincia a scoppiare il caldo che fino ad ora era stato incredibilmente rinviato. Una coincidenza in piu': l'elettricita' e' venuta meno proprio sul far della sera ed e' scemata lentamente proprio in una notte senza luna. Un contesto favorevole ad un assalto dei marines o piu' congeniale agli iracheni che conoscono il terreno? Ci vengono inevitabilmente alla memoria le mitiche fughe di Osama bin Laden a cavallo in notti senza luna per non essere intercettato dai raid americani, suggerite dall'amministrazione Usa. Ma i ricordi afghani non calzano molto con l'Iraq. L'Iraq non e' l'Afghanistan. Comunque ieri fonti Usa parlavano di un commando paracadutato nel centro di Baghdad, approfittando del buio, e asserragliato in alcuni edifici. Forse si tratta dei 25 marine, appartenenti alle forze speciali, che gli iracheni dicono di aver preso a Raduniya. Il panico per la mancanza della luce non ha comunque eluso una domanda: chi ha fatto saltare l'elettricita'? La centrale piu' grande che rifornisce Baghdad si trova a 25 chilometri dalla capitale e non e' stata distrutta dalle bombe, lo dicono tutti. Nemmeno quella piu' piccola e piu' vicina al centro, dove sono dislocati gli human shields, e' stata danneggiata, anche se uno di loro sostiene che funziona solo parzialmente. Allora una bomba a grafite? Oppure un oscuramento deciso dal regime iracheno? La domanda non ha trovato risposta in tutta la giornata, e i piu' scettici sono gli iracheni, anche perche' nel pomeriggio l'elettricita' e' tornata in una parte residenziale della citta', quella via Arasat che non e' piu' la stessa strada della moda e dei ristoranti con vino e birra di un mese fa. La guerra ha cambiato le abitudini degli iracheni, anche dei piu' ricchi. E i frequentatori stranieri presenti qui, quasi esclusivamente giornalisti, non hanno piu' tempo e voglia di svaghi, devono arrabattarsi a trovare un caricatore di batterie, a cercare di far funzionare il telefono o a recuperare casse d'acqua che e' diventato il bene piu' prezioso. Quanto durera' questa agonia? Cosa fara' tutta la gente di Baghdad, soprattutto quella che non ha potuto fare scorte di cibo e di altri beni di prima necessita'? La fame, mentre la mancanza d'acqua con il caldo potrebbe provocare presto delle epidemie. La catastrofe umanitaria finora solo paventata dai piani di previsione delle organizzazioni dell'Onu potrebbe presto trasformarsi in realta'.Tutta la citta' appariva ieri in ostaggio, vuota come non mai, i negozi naturalmente chiusi, nemmeno la giornata di festa e la preghiera alle moschee facevano superare i timori del peggio. Da una delle piu' prestigiose moschee di Baghdad, quella dello sheikh Abdulkhader al-Gailani, l'imam Baker Abdelrazaq al-Samarray ha ribadito l'appello al jihad (guerra santa), un dovere per tutti i musulmani. La paura, il panico, per la prima volta si respiravano nell'aria grigia, nelle strade vuote, l'unica presenza e' quella dei militari o dei miliziani del partito Baath sempre piu' numerosi agli angoli delle strade, agli incroci o dietro i mucchi di sacchetti di sabbia o intenti a montare le mitragliatrici anche dentro le aiuole che si trovano lungo i viali che attraversano la citta'. Immancabili e insistenti anche le cannonate a distanza e i caccia che volano bassi. Il boato dei cannoni rimbomba fino qui da noi, i colpi sembrano tutti diretti verso l'aeroporto, i combattimenti sono ancora in corso, ci dicono. Gli americani e i britannici si sono rincorsi tutto il giorno nel dare notizie contrastanti sul controllo del Saddam (anche l'aeroporto naturalmente e' dedicato al rais); la sera, durante la conferenza stampa quotidiana, il ministro dell'informazione Mohammed Said al-Sahaf, non ha smentito, anche perche' alcuni Apache erano stati ripresi da una televisione greca. Anzi. Secondo il ministro, i marine sono stati volutamente lasciati entrare nell'aeroporto, poi sono stati loro tagliati i collegamenti e nelle prossime ore - da ieri sera - ha promesso che se non si arrenderanno saranno attaccati con armi non convenzionali. La domanda allarmata e' stata immediata: armi chimiche? "No, non armi di sterminio, ma martiri". Guerriglia e kamikaze? Sono gia' 6.000 gli arabi entrati in Iraq, provenienti da diversi paesi, per combattere il jihad. Sono arrivati volontari per combattere anche da altri paesi, ne abbiamo incontrati alcuni: bulgari, russi, kazhaki, serbi, persino un canadese. Ma il regime iracheno e' rigido: sono ammessi al jihad solo i musulmani provenienti dai paesi arabi, gli altri possono fare gli scudi umani, ma alcuni di loro, delusi, ripartono. La battaglia dell'aeroporto e' comunque dura e ha gia' provocato numerose vittime. L'accesso ai luoghi della battaglia e ai villaggi vicini non e' consentito; comunque, in due ospedali, al-Kindy e soprattutto a al-Yarmuk, il piu' importante di Baghdad al-Khark, la parte nuova, sono stati ricoverati centinaia di soldati feriti, alcuni gravi. La gente che abita in quella zona e' fuggita terrorizzata: famiglie intere a bordo di camion e di ogni mezzo disponibile si sono dirette verso il centro della citta' per cercare un riparo presso familiari. Ma c'e' chi cerca di fuggire anche dalla capitale, ieri sulla strada di Rashdiya, che va verso nord-est in direzione dell'Iran, si sono formati chilometri di coda. Numerosi i check point che impediscono l'esodo dei profughi, ufficialmente per motivi di sicurezza. Molti sono gia' fuggiti prima, ora sono tutti in trappola, l'unica via praticabile sembrava quella iraniana, anche perche' la frontiera e' piu' vicina. Sulla strada per Damasco e' gia' stato bombardato un autobus, e quella per Amman non viene ritenuta tanto sicura. Anche in questo caso e' difficile verificare le notizie. Non si e' saputo piu' nulla, almeno qui, dei bus degli human shields bombardati, ieri si diceva che sarebbe stato distrutto un ponte a 30 chilometri da Baghdad, ma le verifiche ormai si fanno solo con chi arriva, sempre piu' raramente, dal confine. 10. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: L'ORA DELL'ULTIMO ASSALTO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 aprile 2003] Questa volta il missile e' arrivato vicino, a meno di cento metri dall'hotel Palestine in cui ci troviamo, ed e' caduto nel fiume Tigri. Un rumore assordante ha rotto il silenzio che, dopo tante esplosioni, dominava sulla citta'. La cannonate sparate nella zona dell'aeroporto sono rimbalzate tutta la mattina fino a noi, nel centro della citta', poi il silenzio. Inquietante. Tanto piu' che le notizie sono frammentarie, contrastanti, difficili da verificare. Ci proviamo. In mattinata ci avevano detto che erano stati visti carri armati Abrams schierati in una piazza poco lontana dall'ospedale Yarmuk, sulla strada dell'aeroporto, dove la mattina presto sarebbero stati depositati decine di cadaveri, risultato della sanguinosa battaglia in corso per il controllo dell'aeroporto. Nell'ospedale sono invece ricoverati i numerosi militari feriti, gli altri sono stati portati in un altro, quello di al-Kindy. Successivamente arrivava la notizia che i ponti che attraversano il Tigri collegando le due parti della citta' erano stati chiusi, dagli iracheni che stavano preparando la difesa di Baghdad al-Rusafa, la citta' vecchia, con i carri armati. Intanto camion pieni di soldati con al rimorchio dei pezzi di artiglieria passavano inneggiando a Saddam sul lungo Tigri. Ci siamo, pensavamo. Forse la battaglia finale sta per scatenarsi. Devono averlo pensato anche molti degli autisti e delle guide che seguono i giornalisti che ieri non si sono fatti vedere. E i proprietari di piccoli alberghi e ristoranti che hanno murato porte e finestre. Avranno paura piu' degli invasori o dei saccheggi? Comunque, con a pretesto una botta di consumismo dell'ultima ora prima del diluvio, proviamo ad attraversare il Tigri sul ponte Rashid, nessuno ci ferma, proseguiamo verso il quartiere al Mansour, dove venerdi' Saddam aveva fatto la sua uscita spettacolare, il supermarket che ci ha fornito l'alibi e' quasi completamente "saccheggiato" dagli ultimi costosi acquisti degli occidentali, tutti devono preparare le scorte. Si teme sempre il peggio - forse anche il proprietario del supermarket che ha una pistola infilata nella cintola - dopo che e' saltata l'elettricita' e di conseguenza l'acqua. Le casse di acqua minerale vanno a ruba, ma bisogna dotarsi anche di candele e torce, e poi scatolette in caso di mancanza di cibo. La strada e' quasi deserta, le poche macchine corrono veloci, la tensione e' palpabile anche negli autisti, gli incidenti si moltiplicano. In uno veniamo coinvolti anche noi, non ci voleva proprio. Per fortuna la fretta fa risolvere presto anche i contenziosi stradali. Accanto alla Saddam tower, rimasta miracolosamente in piedi mentre il centro di comunicazione contiguo e' stato completamente sventrato lasciando cadere pezzi anche sulla strada, sono appostati quattro carri armati, e sui lati ci sono altri militari che bivaccano sotto gli alberi un po' ovunque, piu' o meno discretamente. Qualche camion con montato sopra un cannoncino, una specie di "tecnica" che andava e va ancora di moda in Somalia, per ora si tiene in disparte. La militarizzazione della citta' ora e' sempre piu' evidente, anche se non tanto quanto farebbe presupporre una difesa di fronte ad una imminente invasione. Passiamo vicino all'ospedale Yarmuk, tutto normale, diverse macchine parcheggiate, ma non ci sono segni di cadaveri, deve essere stato tutto ripulito. Non si vedono carri armati americani sulla piazza indicataci, solo una postazione piu' nutrita di contraerea nelle aiuole supportata da numerosi militari, mentre un veicolo sventrato e' abbandonato al centro di uno spartitraffico. Se i carri armati dall'aeroporto erano arrivati fino qui, evidentemente si devono essere ritirati. La situazione e' estremamente fluida. Nel cielo due scie bianche indicano il percorso di un cacciabombardiere che si dirige verso la zona dell'aeroporto, evidentemente va in soccorso ai rambo. Le poche macchine che ancora circolano accelerano ulteriormente. Mentre ripercorriamo la strada all'inverso, ritornando verso la citta' vecchia, la situazione e' gia' cambiata, i militari si sono improvvisamente moltiplicati, soprattutto in prossimita' dei ponti. Sotto il Rashid ora sono molti e anche tutto intorno. Anche l'hotel Rashid, ormai deserto, ha chiuso tutti i cancelli. Sullo spiazzo di fronte e' parcheggiata un'autoambulanza della Mezzaluna rossa. Un triste presagio. Nell'albergo che ospita il press center fa la sua apparizione un miliziano del partito Baath, insieme ad un altro in jellaba "mimetica" (lo stesso color verde delle divise), che mostra una giacca di un sottufficiale americano, "conquistata" sulla strada per l'aeroporto, si legge anche il nome: Diaz, un ispanico evidentemente. Non deve aver fatto una bella fine. La battaglia deve essere stata ed e' ancora dura per il controllo dell'aeroporto Saddam. Secondo il ministro dell'informazione Mohammed Said al-Sahaf, e' di nuovo sotto controllo iracheno. "Li abbiamo divisi, tagliato loro ogni collegamento, li abbiamo schiacciati, alcuni sono riusciti a fuggire verso Abu Gharib, ma sono circondati. Sono stati colpiti con artiglieria leggera e pesante. Sul terreno sono rimasti molti loro corpi", ha spiegato il ministro. Ma di corpi e mezzi ne deve avere lasciati molti anche la Guardia repubblicana guidata da Qusay, figlio di Saddam, anche perche' ieri non hanno voluto portarci a vedere l'aeroporto, anche se ce l'avevano promesso. Forse sara' per oggi, se la situazione lo permettera'. Intanto, dopo il tramonto, i colpi di cannone hanno ricominciato a rimbombare pesantemente nell'aria. Poi di nuovo il silenzio, ancor piu' inquietante con il buio pesto che rende invisibile tutta la citta'. Se all'aeroporto la battaglia si combatte soprattutto con i cannoni, i caccia continuano a sganciare bombe anche su altre parti della citta'. Al-Baladiat e' il quartiere orientale di Baghdad abitato da 30.000 palestinesi, sono profughi del 1948, molti vengono da Haifa. Diciotto edifici di tre piani, in mattoni, tutti uguali, con un piccolo cortiletto davanti, collegati da strade sterrate che si diramano dai viali asfaltati. Sui lati mucchi di immondizia. Le donne ci guardano dalle finestre, gli uomini sono per strada e ci mostrano le bombe cadute nella notte tra venerdi' e sabato: sono cluster bomb, ancora li' per terra. "E' cominciato ieri sera (venerdi' sera - ndr) verso le otto, abbiamo sentito gli aerei volare bassi, poi abbiamo visto le bombe che si dividevano in due poi in tanti pezzi, hanno fatto buchi dappertutto sulle pareti - e ce li mostrano - molte persone sono rimaste ferite, sette piu' gravemente", racconta Mahmud, 16 anni. Interviene anche Amir Younis, trent'anni, "quando sono cominciati i bombardamenti, tutti si sono spaventati, i bambini piangevano, gli adulti gridavano, allora abbiamo raccolto tutte le famiglie nelle stanze centrali dei piani di mezzo delle case, perche' i frammenti delle bombe - ci mostrano anche le schegge raccolte - colpivano ad altezza d'uomo, ma avevamo anche paura che i missili entrassero dal tetto. Il terrore e' durato tutta la notte, sono state lanciate tredici bombe. Eravamo preoccupati soprattutto per chi ha problemi cardiaci". Vi aspettavate di essere bombardati? "Si', ce lo aspettavamo. Gli americani non sono nuovi a queste cose, raccontate quanto sta succedendo qui", ci supplica Amir Younis con le lacrime agli occhi. Racconteremo, promettiamo, ma non per questo ci sentiamo meno impotenti di fronte a quello che sta succedendo sotto i nostri occhi. Ci allontaniamo chiedendoci come questi palestinesi potranno mai difendersi dall'invasione, qui non ci sono soldati o milizie per strada, anche se poco lontano ci sono diversi campi ben protetti che ospitano comandi militari e della sicurezza. Incontriamo solo un gruppetto di ragazzi, molto giovani, senza divisa, con kalashnikov, uno ha anche un pugnale infilato nel petto. Si allontanano disperdendosi in un grande campo sterrato dove tra mucchi di sabbia sono nascoste alcune autobotti. 11. RILETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: IL RAZZISMO SPIEGATO A MIA FIGLIA Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani, Milano 1998, 1999, pp. 96, lire 10.000. La nitida riflessione del grande scrittore. 12. RILETTURE. JEAN ZIEGLER: LA FAME NEL MONDO SPIEGATA A MIO FIGLIO Jean Ziegler, La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Pratiche, Milano 1999, pp. 140, lire 16.000. La lucida analisi e l'appassionata denuncia dell'illustre sociologo. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 560 dell'8 aprile 2003
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