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La nonviolenza e' in cammino. 557
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 557
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 4 Apr 2003 23:18:36 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 557 del 5 aprile 2003 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: cessate il fuoco 2. Enrico Peyretti: la guerra 3. Unione delle comunita' e delle organizzazioni islamiche in Italia: mozione approvata il 23 marzo 2003 a Bologna 4. Ancora un appello ai Comuni per delibere che vietino il transito di armi 5. Joy Harjo: no 6. Ida Dominijanni presenta "Power inferno" di Jean Baudrillard 7. Un ponte per... e Ics: fermare la guerra, aprire subito i corridoi umanitari 8. Fabio Alberti: una lettera aperta ai deputati italiani 9. I popoli europei vogliono la pace 10. Luisa Morgantini, le violazioni dei diritti umani in Birmania 11. Gianfranco Bettin presenta "Quando sei nato non puoi piu' nasconderti" di Maria Pace Ottieri 12. Beati i costruttori di pace: una notizia e una proposta 13. Ettore Masina: salviamo Amina Lawal 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: CESSATE IL FUOCO [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento che riteniamo di fondamentale importanza. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] La Convenzione permanente di donne contro le guerre chiede un immediato "cessate il fuoco" dall'assemblea delle Nazioni Unite, perche' la politica torni ad occupare lo spazio della ragione e la guerra - come follia collettiva - sia respinta dalle nostre coscienze in tutte le sue implicazioni culturali, prima fra tutte quella di attribuire ad essa guerra una qualsiasi legittimita', utilita', giustificazione da tutte le parti. La guerra e' solo un massacro al quale ci si deve opporre in ogni modo non bellico. Noi non amiamo ne' eroismi ne' eroi e non chiediamo a nessun popolo di essere eroico e di coltivare dissennati disegni di "onore militare", due parole nefaste che si sorreggono a vicenda. Lo sventurato popolo iracheno deve essere convinto a non resistere alla violenza militare a difesa di un regime indifendibile e ad organizzarsi per resistere in forma nonviolenta all'occupazione, e a poter dichiarare le sue ragioni anche contro il regime interno: ogni popolo ha diritto di esistere come meglio puo' e nessuno puo' essere chiamato da nessuno a fare la parte dell'eroe di turno. Noi siamo del tutto contrarie a qualsiasi esaltazione della bella morte in guerra per i vari nobili principi che di volta in volta ci vengono sbandierati in faccia. Da tempo sappiamo che semmai la strada e' quella di addestrarsi per tempo per fermare le "resistibili ascese" dei vari "Arturo Ui" come diceva Bert Brecht, e con lui ancora diciamo "beato il popolo che non ha bisogno di eroi". * Noi chiediamo che si riunisca al piu' presto l'assemblea delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco e l'inizio di una trattativa politica e diplomatica, e che il Consiglio d'Europa sostenga la volonta' di pace dei popoli europei: tutti e tutte insieme contrastiamo l'inquinamento culturale che chiama a nuove crociate religiose o politiche e nuovi massacri e nuovi delitti collettivi e nuove legittimazioni della violenza. Non uno dei movimenti di resistenza armata e di guerriglia, mosso pur da grandi ragioni ideali e da grandi ragioni poltiche per sottrarsi agli imperialismi, ha avuto buon esito: anche chi ha vinto, come l'"eroico" Vietnam ha poi ceduto a forme di destra economica e politica. Non si combatte l'ingiustizia con mezzi ingiusti: l'ingiustizia della guerra ti si attacca addosso cone un contagio e distrugge le ragioni che avevi. Che cosa abbiamo detto a Firenze? non c'e' pace senza giustizia raggiunta con mezzi pacifici: il machiavellismo dovrebbe essere dichiarato defunto. * Noi ci sottraiamo al coro consueto e inascoltabile, alle stonate fanfare sugli eroi ed eroismi: di solito chi ne parla non ha dovuto misurarsi di persona con guerre, bombardamenti, deportazioni, miseria, fame, paura, e crede che la Resistenza italiana sia stata soprattutto un movimento militare, una guerra risorgimentale: fu un grande movimento di presa di coscienza politica e quando anche fu armato non fu mai militare e in ogni modo non volle mai eroismi: il resistente fugge, si mette in salvo e mette in salvo per quanto pu' vite altrui. E alla fine dichiara solennemente: "mai piu'". Noi vogliamo che la guerra esca dalla storia: e' piu' infettiva della peste e piu' dannosa dell'aids. Con la guerra nessuna connivenza culturale: noi pensiamo e operiamo su un'altra lunghezza d'onda, noi vogliamo un'Europa neutrale e disarmista fornita di un addestramento diffuso di difesa popolare nonviolenta, che rappresenti non l'antagonista militare degli Usa, bensi' l'alternativa politica e morale all'impero, appunto l'altro mondo possibile. 2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: LA GUERRA [Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999] La pace e' un diritto indistruttibile, che la guerra non sopprime ma esalta. Il diritto sopravvive all'offesa. Vincera' Maramaldo. L'orrendo onore del misurarsi nella capacita' di uccidere, in relativa parita', non c'e' piu'. Le maggiori guerre recenti o sono plotoni d'esecuzione o forza suprema che mira sul piu' debole. Alla guerra serve la vilta': per uccidere e sottomettere bisogna ingannare. L'informazione di guerra e' falsa perche' e' un'arma. Gandhi insegno' a lottare con la "forza dell'attenersi alla verita'" (satyagraha) e del "dire la verita' al potere". Per Capitini, la nonmenzogna e parte della forza nonviolenta. La strapotenza esercitata nella conquista bellica, si disonora. La responsabilita' del piu' forte verso il mondo e' tutta l'opposto. La superbia e' stolta: semina dolori e rovina che le ricadono addosso. Ogni vittoria e' rovina, perche' partorisce la vendetta. Gli Usa, per farsi impero, rovinano la propria democrazia. La potenza non ha altro destino che declino e crollo, con rovine attorno, se non si risolve nella condivisione del potere e nell'eguaglianza dei diritti. La guerra e' orrenda, il dominio e' peggiore. E' lo scopo della guerra. Questa e' violenza diretta, vistosa, ripugnante. Il dominio e' violenza strutturale, piu' profonda, piu' subita, meno respinta. Fa scorrere sangue meno visibile, ma piu' abbondante: ogni giorno muoiono per violenze strutturali sei volte le vittime dell'11 settembre. Hanno lo stesso identico valore di quelle. Il crimine e' piu' grande, ma piu' accettato. L'11 settembre parve agli Usa lesa maesta', ma era lesa umanita', come mille altri crimini, in gran parte compiuti dall'Occidente, da noi. Con la guerra, gli Usa confermano negli offesi la regola della vendetta. La guerra di Bush non e' contro una dittatura, perche' ogni guerra e' dittatura, offende la prima liberta' di vivere. Non e' anzitutto per il petrolio o contro l'euro. Non e' contro il terrorismo, perche' gli da' nuovi pretesti, e perche' ogni guerra e' terrorismo. Non e' di liberazione, ma di dominio, come dichiarato fin dagli anni '90 nel Project for New American Century (www.newamericancentury.org), i cui autori sono oggi tutti nello staff di Bush. Nel documento Rebuilding America's Defense, settembre 2000, si legge: "Inoltre, il processo di trasformazione, anche se implica un cambiamento rivoluzionario, probabilmente sara' lungo, in mancanza di un evento catastrofico e catalizzatore - come un nuovo Pearl Harbour" (p. 63) ["Further, the processe of transformation, even if it brings revolutionary change, is likely to be a long one, absent some catastrophic and catalyzing event - like a new Pearl Harbour"]. L'evento e' venuto l'11 settembre ed e' stato l'occasione per la guerra. Questa denuncia ormai corrente non e' anti-Usa. L'accusa di antiamericanismo e' disonesta, perche' assolve la volonta' di dominio di quel governo, e offende il popolo statunitense, che ha cittadini come Rachel Corrie, identificandolo in quella politica. Tutte le chiese cristiane, non solo il papa, hanno condannato come minaccia alla fede comune il messianismo fondamentalista e apocalittico di Bush, ben documentato, speculare al fondamentalismo violento islamista. La chiara risposta delle chiese ha un bel valore ecumenico, sia intracristiano, sia verso l'Islam autentico, e costruisce pace tra civilta' e religioni. Il nuovo popolo della pace, cresciuto dentro questa tragedia, e' motivo di forte speranza. Il rifiuto dell'uccidere come uno dei mezzi della politica, non e' mai stato cosi' vasto, spinto anche dalla eccezionale oscenita' di questa guerra. Esso supera la sinistra tradizionale, compromessa con le guerre, fino al Kossovo. Ma il movimento deve guardarsi dalle provocazioni tese a squalificarlo e da infiltrazioni di protesta violenta. Proseguendo il movimento new global, dovra' ripudiare anche la guerra economica, che usa la fame come arma. La pace positiva esige che cambiamo e riduciamo i nostri consumi-rapina. Non e' la pace che deve giustificarsi, ma la guerra. E' rozza illusione che le armi oggi sradichino le dittature. Solo la giustizia e la comunicazione tra i popoli, oggi molto piu' possibile, possono liberare gli oppressi liberando in loro la coscienza della propria dignita'. Non il pacifismo attivo rafforza i dittatori, ma la violenza simile alla loro. Eletto o impostosi, un violento e' sempre violento. Il vizio delle armi va sradicato. "Mai piu' eserciti e guerre" e' il motto della Perugia-Assisi nonviolenta (ben piu' che pacifista) e, nel prossimo settembre, della Assisi-Gubbio, con Francesco incontro al lupo. Come la tratta degli schiavi, la schiavitu' legale (per Aristotele era naturale) e la faida, la guerra e i suoi mezzi vanno espulsi dalla civilta'. Tappa intermedia e' il transarmo, riduzione di ogni armamento a mezzi puramente difensivi (anche per l'Europa), i soli leciti per la Carta dell'Onu e la nostra Costituzione. L'Onu, legge di pace, e' oggi piu' forte, perche' non ha ceduto agli Usa, costretti ad aggirarla, ridotti a fuorilegge. Il diritto internazionale vigente, fondato nel 1945 contro la guerra, prevede una forza di polizia (che riduce la violenza) e vieta la guerra (che la moltiplica). Inoltre, le capacita' civili di difesa e liberazione senz'armi sono oggi piu' sperimentate (posso inviare bibliografia storica: peyretti at tiscalinet.it). La resistenza e' anzitutto interiore: la guerra ci contamina, trascinandoci a parteggiare con una violenza o a disperare con le vittime. Questa maledetta tentazione va superata nel piu' profondo e nel piu' alto dello spirito. 3. DOCUMENTAZIONE. UNIONE DELLE COMUNITA' E DELLE ORGANIZZAZIONI ISLAMICHE IN ITALIA: MOZIONE APPROVATA IL 23 MARZO 2003 A BOLOGNA [Riceviamo e diffondiamo la mozione approvata il 23 marzo 2003 a Bologna dall'assemblea delle associazioni islamiche in Italia. Per informazioni e contatti: tel. 3397222393 (Hamza Piccardo)] L'assemblea delle associazioni islamiche in Italia, promossa dall'Ucoii (Unione delle comunita' e delle organizzazioni islamiche in Italia) riunita a Bologna il 23 marzo 2003, ha approvato la seguente mozione: Gli avvenimenti che si susseguono in Iraq colpiscono con inusitata violenza la nostra coscienze di credenti e di uomini e donne amanti della giustizia e della liberta'. La violenta aggressione che il popolo iracheno sta subendo, da parte di preponderanti forze armate appartenenti alla coalizione anglo-americana e' una ulteriore tappa del progressivo deterioramento della situazione politica internazionale. La dittatura che ha oppresso il popolo iracheno, come del resto la maggior parte delle dittature che opprimono i popoli nel mondo, e' stata a lungo sostenuta da quelli stessi che oggi hanno scatenato una guerra spaventosa per eliminarla. Questa tuttavia e' solo la ragione ufficiale e insistentemente comunicata della guerra contro l'Iraq, che si configura invece come guerra d'aggressione per motivi di sordidi interessi petroliferi e per imporre un unico modello politico e culturale a tutto il mondo. Il mondo arabo e islamico si trova in questa fase sulla prima linea che subisce l'impatto della volonta' degli Usa e ad essere l'ostacolo al progetto di ridisegnare a loro piacere la cartina del Medio Oriente. Il movimento pacifista e di solidarieta' che si e' sviluppato in tutto il mondo e' segno evidente che l'opinione pubblica ha ben capito il valore della posta in gioco, ha ben percepito l'accelerazione che questa guerra potra' dare ad un processo di involuzione della democrazia gia' in atto in molti paesi. Siamo certi che la guerra non sia contro l'Islam nella sua dimensione rituale o consuetudinaria, ma contro i principi di liberta' degli individui e dei popoli che l'Islam ha insegnato e propugna nelle coscienze e nella sua pratica di educazione degli individui e di partecipazione al governo delle nazioni. In questa situazione, tanto carica di preoccupazione per la condizione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in Iraq siamo del tutto convinti che l'appello allo sforzo obbligatorio contro la guerra emesso da alti consessi di giureconsulti islamici, debba essere recepito in pieno dalla nostra comunita' in Italia. Va da se' che debba essere attentamente considerato il contesto sociale e politico in cui il musulmano e la musulmana si trovano a dover dare risposta a questa chiamata in difesa del fratello popolo dell'Iraq, della giustizia, della pace mondiale e di quei principi del diritto internazionale che se fossero stati rispettati avrebbero portato la crisi a ben altre e non cruente soluzioni. Abbiamo avuto la misericordia divina di trovarci in un paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione si e' schierata contro la guerra e in cui, nonostante le posizioni assunte dal governo, milioni di cittadini sono impegnati quotidianamente in una testimonianza attiva della loro disapprovazione e della loro opposizione. Noi musulmani e musulmane dobbiamo essere insieme a questi uomini e donne, religiosi e laici, di molte, se non di tutte le tendenze ideologiche, insieme a tutti coloro che hanno sinceramente a cuore i valori della pace, della giustizia e della solidarieta'. Questi credenti, cattolici e protestanti, stimolati dai loro valori etici e dalle inequivocabili posizioni del Papa e delle loro rispettive gerarchie stanno dimostrando, impegno e continuita' ammirevoli. Anche a livello politico istituzionale una parte importante di governi europei, guidati dalle posizioni franco-tedesche si muovono in controtendenza agli Usa, arricchendo il progetto dell'Unione Europea di autonomia e fierezza morale. Noi che crediamo fermamente che l'ingiusta uccisione di un solo uomo equivale ad uccidere tutta l'umanita' e che salvarne uno solo equivale a salvarla tutta intera, non possiamo essere assenti o timidi in questo momento. Sfuggendo ad ogni tentazione all'isolamento e alla paura dobbiamo essere parte attiva e resistente di questo grande fenomeno di coscienza mondiale che sta dicendo con tutto il fiato che ha in corpo che la violenza non e' una scelta possibile, che, come dice la Costituzione della Repubblica bisogna ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Dobbiamo essere presenti, insistendo pacificamente nella richiesta di pace contro chi insiste nella sua scelta di guerra. Dobbiamo essere attivi e coraggiosi nella testimonianza solidale a coloro che in Iraq, in Palestina e in ogni altro paese del mondo soffrono l'oppressione politica, l'occupazione militare, la miseria e l'ingiustizia sociale. Siamo credenti e troveremo nella relazione con Colui Che e' il piu' Alto, con il Signore dei mondi, nella preghiera, nell'invocazione e nel digiuno la forza e la pazienza di superare questo momento difficile e crescere nella nostra presenza e compartecipazione alla societa' civile di questo nostro paese. Siamo sottomessi alla volonta' di Colui Cui nessuno si puo' sottrarre e Lo invocheremo con tutto il cuore e con tutta l'anima affinche' faccia cessare questo atroce massacro. Siamo parte cosciente e coerente di questa societa', saremo impegnati con coloro che s'impegnano, con coloro che manifestano, utilizzando ogni mezzo lecito e legalmente utilizzabile per rendere noto a chi ci governa la nostra avversione e la nostra contrarieta' ad ogni passiva acquiescenza verso ogni forma di violenza degli Stati, delle organizzazioni e dei singoli. Per quanto riguarda le iniziative concrete che, autonomamente o in relazione con altre associazioni proponiamo alle nostre realta' territoriali, l'assemblea raccomanda quanto segue: 1. veglie di preghiera; 2. digiuno nel giorno di lunedi' 31; 3. venerdi' 4 aprile, dedicare la khutba alle tematiche della pace e dell'impegno per essa; 4. partecipare e promuovere attivita' comuni di riflessione, manifestazioni, mostre, ecc.; 5. esporre ovunque possibile la bandiera della pace come segno esterno della nostra volonta' e determinazione; 6. promozione del boicottaggio dei prodotti made in Usa e delle societa' petrolifere che partecipano all'impresa militare; 7. impegno nelle attivita' di solidarieta' con il popolo iracheno e con gli eventuali profughi. Ricordiamo ai fratelli e alle sorelle l'importanza dell'invocazione, essa e' lo scudo del credente. Erano presenti e hanno sottoscritto il documento i delegati delle associazioni islamiche delle localita' sottoelencate (altre adesioni saranno trasmesse nei prossimi giorni): Nizza Monferrato, Anzola Emilia, Rovigo, Sesto S. Giovanni, Bologna, Firenze, Pisa, Colle Val d'Elsa, Verona, Arcole (VR), Reggio Emilia, Imola, Poggetto (BO), Sassuolo (MO), Carpi (MO), Albenga (SV) Imperia, Sanremo (IM) Savona, Genova, Voltri-Pre' (GE), La Spezia, Cremona, Torino, Catania, Roma Centocelle, Foggia, Bari, Perugia, Milano Centro Islamico, Milano Casa della Cultura, Milano Istituto Islamico, Parma, Citta' di Castello (PG), Perugia, Rubicone, Ancona, Iesi, Pesaro, Fossombrone (PS), Fano, Osimo, Porto San Giorgio, Campiglione, Padova, Comunita' Trentino Alto Adige, Bolzano, Udine, Comunita' del Vicentino, Teramo, Comunita' di Brescia e provincia (Vobarno, Castrezzato, Paratico, Vestone, Gavardo, Calcinato, Costa Volpino), Rovereto, Carrara-Avenza, Alessandria, Bassano, Modena, Ravenna, Cesena, Com. Islamica del Sud (Napoli), Admi (Ass. Donne Musulmane d'Italia), Gmi (Giovani Musulmani d'Italia), Islamic Forum in Europe (comunita' bengalese), Milli Gorus (comunita' turca), Unione dei Medici Arabi in Europa (Italia). Per informazioni: tel. 3397222393 (Hamza Piccardo). Bologna, 23 marzo 2003 4. INIZIATIVE. ANCORA UN APPELLO AI COMUNI PER DELIBERE CHE VIETINO IL TRANSITO DI ARMI [Dal sito di Unimondo (www.unimondo.org) riprendiamo questo comunicato, diffuso dall'agenzia di stampa "Redattore sociale" il primo aprile (www.redattoresociale.it)] Generalizzare le delibere delle amministrazioni comunali e provinciali per evitare "i trasporti della morte", ovvero che mezzi carichi di armi destinate all'Iraq attraversino le strade italiane. A lanciare la campagna, in tutta Italia, sono il settore pace del Prc, Arci, Legambiente, Cobas toscani, e anche don Luigi Ciotti, che in un comunicato ha espresso la sua adesione all'iniziativa. In Toscana sono infatti gia' sei i Comuni che hanno adottato delibere di divieto di transito ai convogli carichi di armi dirette in Iraq. "Mi auguro - ha sottolineato Alfio Nicotra, responsabile nazionale del settore pace del Prc e rappresentante del partito nel comitato "Fermiamo la Guerra" - che in particolare i Comuni e le Province interessati dai traffici della base Usa di Camp Darby adottino analoghe deliberazioni". Secondo Nicotra anche "l'impiego del porto di Talamone per il carico e il trasporto di armi ed esplosivi destinati alle truppe americane in Iraq e' illegittimo, perche' rappresenta una palese violazione dello stesso deliberato del Consiglio Supremo di Difesa che ha dichiarato l'Italia paese non belligerante". Intanto in questi giorni, come hanno sottolineato Arci, Legambiente e Cobas, camion scortati e diretti verso "destinazioni ignote" continuano ad uscire da Camp Darby. Per questo, ribadiscono, esiste il rischio concreto che la Toscana diventi la prima regione italiana per impegno bellico, "in contrapposizione al volere espresso dalla maggioranza della popolazione". E proprio per ribadire il no alla guerra in Iraq, un no concreto, anche don Luigi Ciotti ha aderito all'iniziativa: "la scelta di fermare per un preciso numero di giorni il transito dei mezzi finalizzati al trasporto di armi ed equipaggiamenti militari sul proprio territorio comunale e provinciale - ha sottolineato - assume il valore di un gesto simbolico (e allo stesso tempo concreto) per esprimere la propria contrarieta' alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, nel rispetto dell'art. 11 della Costituzione italiana". "La distanza geografica dal conflitto - ha aggiunto Ciotti - non puo' renderci passivi, indifferenti o complici di scelte che ci chiedono di coinvolgerci direttamente. Nell'esprimere vicinanza per le realta' locali che deliberano in questa direzione credo sia necessario evidenziare che quando le parole non riescono piu' a comunicare la concreta volonta' di giustizia e pace, diventa indispensabile inventare forme di linguaggio nonviolente in grado di far sentire la propria intonazione e voce". 5. POESIA E VERITA'. JOY HARJO: NO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 aprile 2003, che cosi' presenta il testo e l'autrice: "Scritta nei giorni scorsi, la poesia che pubblichiamo si indirizza contro tutte le guerre. Joy Harjo e' la piu' importante poetessa indiana-americana contemporanea, e' nata a Tulsa, Oklahoma, nel 1951 e appartiene alla tribu' dei Creek. Ha insegnato in numerose universita' corsi di letteratura e diretto seminari di "creative writing". Attualmente insegna presso l'Universita' della California a Los Angeles e abita a Honolulu, Hawaii. In questi ultimi anni si e' anche dedicata allo studio del sassofono e insieme al suo gruppo, "Poetic Justice", ha recentemente inciso un Cd, in cui blues, ritmi tribali, versi delle sue poesie si fondono creando una musica di grande forza e suggestione. I suoi libri sono stati piu' volte gratificati da importanti premi letterari internazionali - tra cui il "William Carlos Williams", il "Delmore Schwartz", 1'"American Indian Distinguished Achievement in the Arts". Recentissimo e' un altro prestigioso riconoscimento, il Penn Award, ricevuto a New York. Tutte le sue raccolte tradotte in italiano sono a cura di Laura Coltelli: Secrets from the Center of the World, Segreti dal centro del mondo, Urbino 1992; In Mad Love and War, Con furia d'amore e in guerra, Quattroventi, Urbino 1996; She Had Some Horses, Lei aveva dei cavalli, Sciascia, Roma 2001"] Si', ero proprio io a tremare di coraggio, con un fucile del governo alla schiena. Scusa se non ti ho salutato come meritavi, tu che sei mio parente. Non erano mie le lacrime. Io ho un serbatoio interno. Saranno poi versate dai miei figli, dalle mie figlie se non imparo a trasformarle in pietre. Si', ero io quella in piedi alla porta sul retro, nel vicolo, con una bracciata di grano per i vicini. Il diluvio di sangue non l'avevo previsto. Non pensavo che loro, dimenticata l'amicizia, sarebbero tornati ad ammazzare me e i bambini. Si', ero io quella che volteggiava sulla pista da ballo. Che chiasso abbiamo fatto e che felicita'. Ho amato tutto il mondo in quella musica sciocca. Non ho capito la danza terribile in mezzo al ritmo secco dei proiettili. Si'. L'ho sentito l'odore di grasso bruciato dei cadaveri. E come una scema ho sperato che le nostre parole si sollevassero a inceppare l'artiglieria in mano ai dittatori. Dovevamo andare avanti. Cantavamo il nostro dolore per depurare l'aria dagli spiriti nemici. Si', certo che le ho viste quelle terribili nuvole nere mentre cucinavo. E i messaggi che i moribondi scandivano nel tramonto cinereo. Tutti quanti dicevano: "madre". Non c'era niente di questo nei notiziari. C'erano sempre le stesse cose. La disoccupazione che saliva. Un'altra regina incoronata coi fiori. Poi c'erano i risultati sportivi. Si', la distanza era grande tra il tuo paese e il mio. Pero' i nostri bambini giocavano insieme nel viottolo tra le nostre case. No. Non litigavamo mai. 6. LIBRI. IDA DOMINIJANNI PRESENTA "POWER INFERNO" DI JEAN BAUDRILLARD [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2003. Ida Dominijanni (per contatti: idomini at ilmanifesto.it) e' una prestigiosa giornalista e saggista. Jean Baudrilland (autore tra l'altro dell'assai noto Lo scambio simbolico e la morte, ristampato recentemente da Feltrinelli) e' uno dei piu' noti filosofi francesi viventi] In territorio iracheno compaiono i kamikaze, e in libreria e' pronto un nuovo intervento di Jean Baudrillard sul terrorismo suicida, Power Inferno (Cortina), il seguito del precedente pamphlet su Lo spirito del terrorismo uscito pochi mesi dopo l'11 settembre. E nell'orgia di anatemi contro il martirio fondamentalista che inevitabilmente si scatena nelle laiche democrazie in armi, e' un buon esercizio leggere le scarne pagine del filosofo francese, sopportandone tortuosita' retoriche e toni apocalittici, e scontando lo scarto fra il suo evento di partenza - ancora una volta, gli attentati dell'11 settembre - e lo scenario della guerra irachena, dove il ritorno del "martirio" acquista significati almeno in parte diversi. L'esercizio e' buono, perche' Baudrillard ostinatamente insiste nel suo obiettivo di rovesciare come un guanto le affermazioni del senso comune democratico sullo "scandalo" terrorista, pur senza ridurre di un centimetro la portata destabilizzante del suo impatto sulla coscienza dell'epoca globale. E anzi, contestando radicalmente tutte le interpretazioni del fenomeno volte a questa riduzione: sia quella che vede nei kamikaze dei pazzi suicidi manipolati da poteri esterni, sia quella che li erige a espressione reale della disperazione dei popoli oppressi, l'una e l'altra tentando, da sponde opposte, di riportarli in qualche modo alla nostra grammatica politica. L'ipotesi di Baudrillard, gia' avanzata nel testo precedente, e' un'altra: l'impatto simbolico del terrorismo suicida e' enorme e innegabile -cosi' come resta per lui innegabile e irriducibile la portata di "evento" dell'11 settembre -, perche' e' al cuore del nostro sistema simbolico che esso punta a colpire e colpisce, opponendo il vuoto di una morte che non si scambia con niente a un'organizzazione sociale basata sulla conservazione a ogni costo della vita e sul pieno dello scambio di merci. Una morte scelta contro il progressivo estinguersi e annientarsi dei valori della cultura occidentale: gioco del piu' uno, sfida simbolica che punta al rialzo come tutte le sfide simboliche che si rispettino, che cioe' non tendono a risultati "concreti" - l'11 settembre non ha fermato la globalizzazione, e i martiri di Saddam non fermeranno l'invasione angloamericana - ma allo spiazzamento dell'ordine simbolico "nemico". Dove e da dove nasce questa sfida mortale? Inutile cercare antecedenti e precedenti nell'anarchia, nel nichilismo, nel fanatismo; inutile consolarsi con la riduzione del fondamentalismo a "residuo" arcaico o premoderno destinato a scomparire nelle magnifiche sorti e progressive della democrazia globale. Il terrorismo suicida e' un prodotto specifico della globalizzazione, argomenta Baudrillard invitandoci pero' a rovesciare il cannocchiale di alcune interpretazioni contigue alla sua: il movente del terrorismo "non e' l'odio di coloro cui e' stato tolto tutto e nulla reso, bensi' quello di coloro cui si e' dato tutto senza che possano restituirlo. Non e' l'odio dello spossessamento e dello sfruttamento, bensi' quello dell'umiliazione. Ed e' a quest'ultima che il terrorismo vuole rispondere: umiliazione per umiliazione". Umiliante e' stata infatti per gli Stati Uniti la "disfatta simbolica" dell'attacco alla potenza delle Torri, e per giunta senza ritorsione possibile: "La guerra risponde all'aggressione, ma non alla sfida". Anzi, la alimenta. Se e' dalla saturazione del desiderio tramite merci che le periferie del mondo globale si sentono umiliate; se e' dalla vocazione assimilatrice di un universalismo democratico ormai ridotto a macchina omologante che si sentono minacciate, una guerra fatta in nome della democrazia e del benessere non potra' che rilanciare la sfida mortale della "resistenza" terrorista alla globalizzazione. 7. APPELLI. UN PONTE PER ... E ICS: FERMARE LA GUERRA, APRIRE SUBITO I CORRIDOI UMANITARI [Dalle associazioni umanitarie Un Ponte per... e Ics (Consorzio italiano di solidarieta') riceviamo e diffondiamo. Per informazioni e contatti: Catherine Dickehage, tel. 3485814954; Lello Rienzi, tel. 066780808 - 3389110373, fax 066793968] In Iraq da 13 giorni la guerra ha prodotto solamente morti e sofferenze tra le popolazioni civili e un'emergenza umanitaria che puo' rapidamente diventare generalizzata e drammatica. Molte citta' sono da giorni senza acqua e senza rifornimenti alimentari, molte case sono state distrutte e un crescente numero di sfollati ha bisogno di aiuti e di assistenza. Con il procedere della guerra centinaia di migliaia di persone possono essere a rischio di vita - oltre che per i bombardamenti e per i combattimenti - per fame, sete, malattie. La guerra colpisce anche gli operatori umanitari e di pace che si adoperano per fermare la guerra e portare aiuto alle popolazioni. "La guerra va fermata prima che produca irreparabili conseguenze - ha dichiarato il presidente dell'Ics, Giulio Marcon - sia umanitarie che politiche. Come organizzazioni umanitarie il nostro primo compito e' di fermare la guerra, la prima e principale causa delle emergenze umanitarie". Di fronte alla catastrofe umanitaria che cresce ogni giorni di piu' in Iraq, l'unica opzione possibile che bisogna percorrere e' un immediato e incondizionato "cessate il fuoco". Solo l'interruzione della guerra puo' permettere di arginare l'emergenza umanitaria e dare protezione alle popolazioni. "E' compito di ogni paese democratico e della comunita' internazionale - ha dichiarato Fabio Alberti, presidente di Un Ponte per... - adoperarsi per proteggere le popolazioni civili dagli attori bellici. Il silenzio dei governi e degli organismi internazionali di fronte a questa catastrofe rischia di essere una passiva complicita' con la deriva bellica cui stiamo assistendo". Per questo - invitando i parlamentari a mettere in campo le dovute azioni - chiediamo al governo italiano di: a) attivarsi per l'immediata convocazione del Consiglio di Sicurezza e dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per richiedere ai belligeranti un "immediato cessate il fuoco"; b) attivarsi presso le Nazioni Unite per richiedere l'immediata apertura di corridoi umanitari, controllati da osservatori e personale delle Nazioni Unite che permettano alle agenzie umanitarie e alle Ong di far arrivare aiuti ed assistenza in condizioni di sicurezza; c) fare pressione sui governi dei paesi coinvolti negli attuali eventi bellici per rispettare le Convenzioni di Ginevra per quanto riguarda la protezione delle popolazioni civili e il trattamento dei prigionieri di guerra; d) di fare pressione sulla coalizione anglo-americana per impedire che - come a Bassora e nelle altre citta' assediate - si interrompa l'erogazione di acqua potabile o di energia elettrica con lo scopo di condurre alla disperazione la popolazione civile; ogni azione militare deve cessare per permettere il ripristino di acqua ed energia elettrica; e) di riconoscere per tutta la durata della guerra e del dopoguerra ai cittadini iracheni e curdi che giungano in Italia un permesso di soggiorno per protezione temporaneo come disposto dall'art. 20 del Dl 25/07/98 n. 286. 8. APPELLI. FABIO ALBERTI: UNA LETTERA APERTA AI DEPUTATI ITALIANI [Da: "un ponte per ..." (per contatti: posta at unponteper.it) abbiamo ricevuto e diffondiamo questo appello del 3 aprile. Fabio Alberti è presidente di "Un ponte per..." e del recentemente costituito Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq (sito: www.tavoloiraq.org). I nostri lettori gia' conoscono il tenore e gli esiti del dibattito parlamentare: povero nostro paese, in cui oggi le piu' alte cariche e alcuni decisivi poteri, alcune fondamentali istituzioni e funzioni dello stato, sono nelle mani di barbari golpisti complici della guerra terrorista e stragista] Cari amici, mentre la Camera affronta il problema delle conseguenze umanitarie della guerra i nostri volontari e cooperanti, in Iraq, ad Amman, in Iran per l'intervento di soccorso alle popolazioni colpite, le possono osservare in diretta. In questi pochi giorni abbiamo gia' assistito, e non in televisione, a corpi martoriati, famiglie in fuga, bambini senz'acqua. Ieri il coordinatore iracheno di una delle ong aderenti al "Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq" e' rimasto ferito, insieme a molti altri, all'interno degli uffici della Mezzaluna Rossa. Anche la vita degli operatori umanitari e' a rischio. E' con questi fatti nella mente che vi scriviamo: fermate questo massacro. Fermate questa guerra illegale. Impedite che su una popolazione gia' provata da 12 anni di embargo e 35 di dittatura si abbattano altre sciagure. L'Italia e' un paese che conta: unisca la sua voce a quella di decine di paesi che chiedono che l'attacco si fermi. E nel frattempo si pretenda che siano almeno rispettate le Convenzioni di Ginevra sulla protezione dei civili. Si chieda la restituzione dell'energia elettrica e dell'acqua alle citta'. Si chieda che gli armamenti proibiti, come le bombe a grappolo, siano bandite. Si pretenda la istituzione di corridoi umanitari e che sia consentito alle agenzie dell'Onu, alle ong, alla Croce Rossa, di operare in sicurezza. Si chiarisca che l'intervento umanitario non compete allo stesso esercito che bombarda o ai paesi che lo appoggiano. Nei mesi scorsi ci siamo mobilitati insieme alla grande parte della societa' civile italiana per impedire che la guerra scoppiasse. Oggi il nostro compito e' sul campo per cercare di soccorrere le popolazioni. Il vostro e' quello di fermare la guerra. Cordiali saluti Fabio Alberti, residente del Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq Roma, 3 marzo 2003 9. APPELLI. I POPOLI EUROPEI VOGLIONO LA PACE [Dalla segreteria nazionale di Pax Christi (per contatti: e-mail: paxchristi at tiscali.it, sito: www.paxchristi.it) riceviamo e diffondiamo] In questi mesi le nostre organizzazioni hanno combattuto con i mezzi pacifici di cui dispongono, a cominciare dalla preghiera, per scongiurare una guerra inutile e ingiustificata. Stiamo proseguendo e proseguiremo nel nostro impegno, ma dinanzi alla tragedia sanguinosa e senza senso che si sta consumando in Iraq, chiediamo con forza ai responsabili politici europei, al governo italiano, ai parlamentari di ogni schieramento, di assumere tutte le iniziative, secondo le proprie possibilita' e responsabilita': - per un cessate il fuoco che ponga termine all'inutile strage in Iraq; - per la convocazione dell'Assemblea generale dell'Onu, al fine di bloccare - in base alla risoluzione n. 377 - qualsiasi azione che preveda l'uso della forza al di fuori delle regole fondamentali stabilite dalla Carta delle Nazioni Unite e per ristabilire la pace; - perche' il ritorno alla pace, il ristabilimento della democrazia e la ricostruzione dell'Iraq avvengano sotto l'egida delle Nazioni Unite, uniche garanti della legalita' internazionale; - perche' l'Unione europea assuma un'iniziativa politica per porre fine alla violenza in Terrasanta e promuova una Conferenza di pace per l'intero Medioriente. I popoli europei vogliono la pace. Noi siamo convinti che l'Italia debba assumere subito un ruolo attivo per fermare una guerra, che oltre ad aver gia' deteriorato fortemente le relazioni internazionali, alimentera' il terrorismo e destabilizzera' ulteriormente il Medioriente. Aderiscono all'iniziativa: Paola Bignardi (Aci - Azione Cattolica Italiana), Luigi Bobba (Acli - Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), Grazia Bellini (Agesci - Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani), Mario Marazziti (Comunita' di Sant'Egidio), Leonardo Becchetti (C. V. X. - Comunita' di Vita Cristiana Italiana), Edio Costantini (Csi - Centro Sportivo Italiano), Edo Patriarca (Forum Permanente del Terzo Settore), Marco Acquini (Giovani per un mondo unito - Movimento dei Focolari), Carlo Costalli (Mcl - Movimento Cristiani Lavoratori), Gianmarco Proietti (Mgs - Movimento giovanile salesiano), don Tonio Dell'Olio (Pax Christi), Marco Bersani (Societa' San Vincenzo De Paoli), Sergio Marelli (Volontari nel mondo - Focsiv), Alberto Ferrari (Ctg - Centro Turistico Giovanile), Argia Passoni (Ordine Francescano Secolari Minori), Marco Calvetto (Gioc - Gioventu' Operaia Cristiana). Con l'adesione e il sostegno della Tavola della pace. 10. DOCUMENTAZIONE. LUISA MORGANTINI: LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN BIRMANIA [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento di Luisa Morgantini, parlamentare europea da sempre impegnata per la pace e i diritti umani, sullo stato dei diritti umani in Birmania pronunciato davanti all'assemblea plenaria del Parlamento europeo del 13 marzo 2003] Sono ormai troppi anni che in Birmania viene perpetrata una sistematica violazione dei diritti umani da parte del regime militare - il parlamento dovrebbe vivere e non c'e' - anche se miglioramenti, non c'e' dubbio, sono intervenuti nei settori della vita politica e sociale, cosi' come passi positivi sono stati fatti nell'espressione delle liberta' individuali, tra tutti la liberazione di una straordinaria donna che, con fermezza e dignita', conduce una resistenza democratica e nonviolenta - parlo di Aung San Suu Kyi - che pero' ancora non e' libera e non puo' muoversi liberamente. Ma in realta' la Birmania e' ancora oggi caratterizzata da repressioni sulle minoranze etniche, stupri e violenze sulle donne; le eliminazioni di dissidenti politici e le esecuzioni sommarie non sono terminate; le torture, le carceri e i lavori forzati sono all'ordine del giorno. Malgrado le smentite del governo, credo che continui l'arruolamento forzato dei bambini nell'esercito e anche, purtroppo, nelle forze militari ribelli. Vi sono migliaia di persone sofferenti, non conosciute attraverso i mezzi di informazione come, per fortuna, lo sono stati i tredici anni di arresti domiciliari imposti al Nobel per la pace. Basti pensare, ad esempio, al tragico regime dei bambini-soldato: "Arruolare un bambino conviene perche' fa lo stesso lavoro di un adulto, ma non viene notato dall'esercito nemico", ha avuto il coraggio di dire un ufficiale. E' ancora pratica ordinaria il lavoro forzato: da recenti sondaggi di Amnesty International e' emerso che circa il 90 per cento della popolazione dello Stato Shan e' soggetto al lavoro forzato. Queste persone non hanno scelta: o il lavoro forzato o la prigione. Il loro lavoro, per il quale non ricevono alcuna paga, consiste nella costruzione di infrastrutture militari, strade, edifici, campi militari e anche nell'eseguire prestazioni militari. Lavorano senza sosta da mattina a sera, senza ricevere cibo, ad eccezione di una piccola quantita' di riso tostato. Nonostante il codice penale birmano abbia bandito il lavoro forzato, la situazione non e' mutata, cosi' come non e' mutata nonostante la presenza dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Anche gli ultimi sforzi portati avanti dal governo thailandese sono risultati vani, a causa del netto rifiuto opposto dalle autorita' birmane, che non hanno dato agli oppositori politici neppure il permesso di lasciare il paese per parlare dei problemi economici che lo affliggono. Soprattutto, continuano i soprusi dell'esercito birmano, dei servizi segreti, della polizia e di altre forze dell'ordine. Io credo davvero che, come dicevano anche altri colleghi, l'Unione europea dovrebbe, da una parte, continuare a esercitare la sua influenza per far si' che i negoziati tra le forze democratiche, le minoranze etniche e lo Stato riprendano il prima possibile e, dall'altra, sottoporre le autorita' birmane a pressioni, mantenendo, quindi, l'attuale politica di restrizioni verso la Birmania adottando misure ancora piu' incisive soprattutto per frenare la piaga del lavoro forzato; in questo direzione va il ritiro di imprese straniere dalla Birmania, nonche' farsi carico di portare avanti una politica di aiuti economici per i rifugiati, gli sfollati e la popolazione civile, al di fuori del controllo dei militari, dando spazio e forza alla societa' civile, alle associazioni dei lavoratori e alle Ong locali. 11. LIBRI. GIANFRANCO BETTIN PRESENTA "QUANDO SEI NATO NON PUOI PIU' NASCONDERTI" DI MARIA PACE OTTIERI [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2003. Gianfranco Bettin e' una delle voci piu' qualificate dell'impegno degli enti locali contro la guerra e dei movimenti pacifisti e per la globalizzazione dei diritti] "Per migliaia di clandestini kossovari, rumeni, pakistani, bengalesi, cinesi, iraniani, sloveni, croati, serbi, e' Gorizia la soglia dell'Europa, nei momenti piu' caldi hanno varcato il confine fino a trentamila persone all'anno, l'equivalente di una nave al giorno, scavalcando la rete o passando dai buchi segnalati da pezzetti di stoffa": Gorizia, frontiera estrema del Nordest italiano, in realta' passaggio da e per l'Europa, o meglio tra un'Europa e l'altra e tra Europa e Oriente, e' un luogo chiave della mappa delle odissee contemporanee descritte in un libro bellissimo di Maria Pace Ottieri, Quando sei nato non puoi piu' nasconderti. Viaggio nel popolo sommerso, pubblicato dalle edizioni Nottetempo (pp. 172, euro 12). Maria Pace Ottieri, vera scrittrice (come gia' nei suoi altri libri, Amore nero, Mondadori 1984, e Stranieri. Un atlante di voci, Rizzoli 1997) oltre che attenta e partecipe cronista di drammi e avventure che danno il senso di quante peripezie riserbi la sorte a chi entra nel vortice dell'attuale movimento del mondo, percorre dalla Sicilia all'estremo Nord le piste degli immigrati, quasi sempre clandestini, nel nostro paese, in particolare dopo l'avvento della Bossi-Fini. "In ogni storia e' nascosta una vita che va liberata dalla scorza del silenzio", ci dice Ottieri: "Senza il racconto, le ultime avventure degne di questo nome, le inaudite imprese di mare e di terra di uomini del deserto e delle montagne, resterebbero inenarrate". Le storie che in questo libro ci vengono restituite sono innumerevoli, letteralmente. Ognuna, poi, si fonde con le altre, sospesa un giorno, o una notte, continua poi dentro un'altra, riappare in un altro luogo, s'incarna in altre persone. Maria Pace Ottieri diventa una Shehrazade di strada, capace di intendere le lingue o, almeno, i sentimenti e i disegni di vita, la capacita' di immaginare un futuro diverso, che muovono le persone che incontra (nei loro rifugi di fortuna o nei luoghi che danno accoglienza malgrado tutto, malgrado l'Italia infame e razzista che gli cresce intorno: di questo paese davvero dignitoso e civile Ottieri disegna un profilo puntuale, delle sue fatiche e delle sue generose attivita', con personaggi spesso straordinari e a volte inattesi, cioe' non solo tra i preti o i laici delle associazioni antirazziste e di impegno sociale, ma fra gli stessi addetti ai pattugliamenti delle coste). Libro dunque che ha uno spessore e una profondita' che vanno ben oltre il suo valore contingente di documentazione su un brano decisivo della storia in corso - del "presente come storia", cioe' - Quando sei nato non puoi piu' nasconderti fa anche un primo bilancio sulla politica della destra, fissando con fatti e dati velleita' e crudelta' della nuova legge, il degenerare delle politiche di accoglienza, comprese quelle per i rifugiati. Proprio tra Trieste e Gorizia questa chiusura progressiva e indiscriminata viene ben documentata da Ottieri, in parallelo alla crescita del ruolo dei trafficanti di uomini, che di tali politiche di chiusura si alimentano. Un libro importante, dunque, per le cose che narra non meno che per il modo in cui le narra: una scrittura alta che, nella sua qualita' e nella sua forza, nella sua intensita', rappresenta gia' un atto di giustizia verso le vite "sommerse" che riporta alla luce. 12. INIZIATIVE. BEATI I COSTRUTTORI DI PACE: UNA NOTIZIA E UNA PROPOSTA [Da Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) dei "Beati i costruttori di pace" - una delle piu' note e apprezzate associazioni nonviolente in Italia - riceviamo e diffondiamo] Cari amici, vi annunciamo che il sito internet dei Beati i costruttori di pace (www.beati.org) si sta avviando verso una sostanziale riorganizzazione. Presto uscira' una nuova veste grafica che vuole essere piu' accativante e fruibile per una agile navigazione. Il sito vorrebbe essere anche una piattaforma aperta al contributo di tutti quelli che volessero contribuire con articoli, iniziative o appelli relativi alle tematiche della pace e della nonviolenza. Lo scopo e' quello di creare una rete il piu' possibile estesa sul territorio che garantisca attualita' e molteplicita' di idee al sito stesso, nel tempo. Per coloro che sono interessati a collaborare si consiglia di spedire un e-mail a webmaster.beati at libero.it presentandosi e proponendo le proprie idee o il materiale da pubblicare. Grazie. Beati i costruttori di pace 13. INIZIATIVE. ETTORE MASINA: SALVIAMO AMINA LAWAL [Ringraziamo Ettore Masina (per contatti: ettore.mas at libero.it) per questo appello. Su Ettore Masina riportiamo la seguente scheda biobibliografica scritta da lui stesso su nostra richiesta e gia' pubblicata sul n. 418 di questo foglio: "Nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, ho molto viaggiato al seguito di mio padre ufficiale. Dal 1934 al 1937 abbiamo abitato in Cirenaica e i ricordi di quel soggiorno (a Bengasi e a Derna) sono in me ancora vivissimi. Vi rintraccio con evidenza i segni del colonialismo italiano. Siamo poi finiti a Varese per diversi anni. In quella citta' sono stato presidente della Fuci e ho pubbllicato i miei primi articoli e racconti sul quotidiano locale "La Prealpina". Mi sono allontanato da Varese per Milano perche' vi sono diventato libraio e poi giornalista: prima al quotidiano cattolico "L'Italia", poi al "Popolo di Milano" e infine a "Il Giorno" di Baldacci e poi di Pietra. Vi ho fatto prima il vicecapocronista, poi l'inviato. Quando papa Giovanni annunzio' che avrebbe indetto un Concilio, Italo Pietra, benche' agnostico, ebbe chiara l'idea che sarebbe stato un evento rivoluzionario e comincio' a mandarmi periodicamente a Roma, per raccogliere informazioni e scrivere articoli comprensibili ai lettori. Nel 1963 mi trasferi' stabilmente a Roma, dove da allora vivo con la mia famiglia. Con mia moglie Clotilde (preziosa compagna di ideali e di speranze: la grazia piu' grande che il Signore mi abbia donato) vivemmo il Concilio quasi "dal di dentro". Nella nostra casa si radunavano ogni sera vescovi, teologi, giornalisti, da Helder Camara a padre Rahner, da padre Chenu a Raniero La Valle, da don Carlo Colombo a Giancarlo Zizola. Fu il periodo piu' felice della nostra vita, ci diede una tale vitalita' che desiderammo intensamente di avere un nuovo figlio: cosi' Pietro Paolo si aggiunse a Emilio e Lucia. Seguii i viaggi di Paolo VI in Palestina, in India, all'Onu, a Fatima. Ebbi grande stima di questo pontefice pur vedendone alcuni limiti, anche gravi. "Le Monde" scrisse una volta che io ero "le journaliste le plus proche a la pensee si non a la personne de Paul VI". Durante il viaggio in Palestina fui radicalmente scosso dalla visione della poverta' di grandi masse. Al mio ritorno decisi con mia moglie di dare vita a un'associazione che si proponesse, mediante un'autotassazione mensile degli aderenti, di aiutare comunita' di poveri in cerca di liberazione. Nacque cosi' quella che poi si chiamo' Rete Radie' Resch (dal nome di una bambina palestinese morta di pomonite in una grotta). La rete si e' espansa al di la' di ogni previsione. Per trent'anni l'ho coordinata io, finalmente nel 1994 sono riuscito a far si' che essa assumesse una piena conduzione collettiva. E io me ne sono andato verso altre avventure. A spingermi a fondare la rete e' stato l'incontro fra la mia inquietudine (il non poter piu' vivere come se non avessi visto certe cose) e l'evangelizzazione di Paul Gauthier. Paul rimane il mio grande maestro spirituale, colui che, anche precorrendo la teologia delle liberazione, mi ha aperto gli occhi sull'importanza del magistero dei poveri. Ha dato dunque completezza e profondita' alla mia sequela di tanti altri uomini e donne "di Dio" che avevo frequentato sino a quel momento o dei quali avevo letto con amore gli scritti. Qualche nome? Simone Weil e Suhard, Tolstoj e Dostoevskij, Dossetti, La Pira e Lazzati, Steinbeck, Mounier, Merton, Voillaume eccetera eccetera. Nel 1969 l'insistenza di alcuni dirigenti della Rai e il desiderio di sperimentare il "nuovo" giornalismo mi fecero accettare di entrare in via Teulada. Dopo un breve periodo di grande felicita' (sotto la direzione di Fabiani) cominciarono ben presto i miei problemi. Nel 1974 per essere stato uno degli estensori del manifesto "Ai cattolici democratici" perche' votassero no al referendum abrogativo del divorzio, fui sospeso dal video per sette mesi. Appena ebbe vita il TG2, vi passai e godetti nuovamente di liberta', ma l'estromissione di Andrea Barbato, contro la quale mi ero battuto, mi fece cadere in disgrazia presso il nuovo direttore, Sergio Zatterin, il quale mi privo' di ogni ruolo. Ridotto, come si dice, ai minimi termini, nel 1983 finii per accettare il reiterato invito del Pci di candidarmi come indipendente nelle sue liste. Fui eletto nel collegio Brescia-Bergamo e in quello Varese-Como-Sondrio. Optai per il primo e vi fui rieletto nel 1987. Durante i dieci anni del mio mandato ho rappresentato il gruppo della Sinistra Indipendente nella Commissione Esteri. Nella mia prima legislatura sono stato vicepresidente del Comitato per la cooperazione internazionale; nella seconda, su designazione unanime dei gruppi, presidente del Comitato Internazionale per i diritti umani. Ho guidato delegazioni di parlamentari in Tanzania, Zimbabwe, e nei campi profughi palestinesi. Sono stato "osservatore estero" in Cile, in occasione delle elezioni del 1989. Ho rappresentato la Camera dei deputati italiani alla cerimonia dell'investitura della Commissione per la pace nel Salvador. Ho partecipato a missioni, anche altamente drammatiche, in Somalia, Sudan e Sud-Sudan, Cina, Croazia, Slovenia e Serbia. Sono stato presidente dell'Associazione Italia-Vietnam. Molte di queste cose sono state raccontate in due miei libri autobiografici. Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e guerriglieri (Gamberetti, 1997) e Il prevalente passato. Un'autobiografia in cammino (Rubbettino, 2000). I miei altri libri: Il Vangelo secondo gli anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella storia (Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in serbo-croato), El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile, Corno d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud: Cile, Vietnam, Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire. Monsignor Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993 col titolo Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele, 1995), Comprare un santo (Camunia, 1994); Il Volo del passero (San Paolo, tradotto in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo, 1999), Il Vincere (San Paolo, 2002)"] Care amiche, cari amici, benche' tutti i nostri sforzi debbano continuare per una immediata cessazione del massacro iracheno, certamente non possiamo salvare in questo momento una o l'altra persona travolta dalla guerra. Ma possiamo tuttavia riaffermare i valori della dignita' e della preziosita' della vita umana, accorrendo idealmente la' dov'e' possibile farlo. E' imminente l'uccisione per lapidazione di Amina Lawal, una ragazza nigeriana, che, cone Safyia, e' stata condannata a questa morte atroce per avere partorito una bambina senza essere sposata. Salvammo Safyia con una mobilitazione di milioni e milioni di persone. Adesso questa mobilitazione non c'e' - o e' enormemente minore. * Spero che anche tu e i tuoi parenti ed amici vogliate fare qualcosa. Potete: a) andare sul sito italiano di Amnesty International e firmare l'appello proposto da questa grande organizzazione; b) firmare l'appello che trovate di seguito e inviarlo per posta all'indirizzo riportato; c) firmare l'appello in attach e inviarlo al fax 0023495231032; d) inviarlo all'Ambasciata nigeriana in Italia, via Orazio 18, 00193 Roma. So che hai tante cose da fare. Per questo ti prego di farlo subito. Grazie. Ettore Masina * His Excellency Olusegun Obasanjo, President of Nigeria The Presidency State House, Aso Rock Abuja, Federal Capital Territory, Nigeria fax 0023495231032 Vostra Eccellenza, ricordando che la Nigeria ha ratificato a suo tempo la Convenzione contro la tortura e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, chiedo al Suo governo di impedire l'esecuzione di Amina Lawal (stato di Katsina), Ahmadu Ibrahim e Fatima Usman (stato di Niger) nonche' Mallam Ado Baranda (stato di Jigawa), condannati a morte da tribunali della sharia e la cui esecuzione mediante lapidazione e' imminente. RingraziandoLa per l'attenzione, Le trasmetto i miei distinti saluti. Nome e cognome indirizzo completo firma data 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 557 del 5 aprile 2003
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