La nonviolenza e' in cammino. 554



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 554 del 2 aprile 2003

Sommario di questo numero:
1. Edith Bruck, i giovani volevano sapere
2. Movimento italiano dell'Arca, digiuno contro la guerra
3. Lanza del Vasto, una lettera a Giovanni XXIII
4. Edi Rabini, Alexander Langer e don Tonino Bello
5. Patrizia Abbate, le bombe che partono da Sigonella
6. Alessandro Marescotti, due militari britannici obiettori di coscienza
7. Everjoice J. Win, sedici giorni nel mio mondo violento
8. Marco Giubbani, a tre anni dalla morte di Jean Dominique
9. Fatima Mernissi, la risposta di Mina
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. EDITH BRUCK: I GIOVANI VOLEVANO SAPERE
[Da Edith Bruck, Signora Auschwitz, Marsilio, Venezia 1999, p. 31. Edith
Bruck, scrittrice, nata in Ungheria da una famiglia ebraica, sopravvissuta
alla deportazione, dal 1954 vive a Roma; grande testimone della Shoah,
scrittrice di straordinaria finezza, persona di forte impegno civile. Tra le
opere di Edith Bruck segnaliamo particolarmente Chi ti ama cosi'; Due stanze
vuote; Transit; Signora Auschwitz; tutti ora editi presso Marsilio, Venezia]
I giovani volevano sapere cosa potevano fare loro, che non erano niente, che
non contavano.
"Siete tutto e potete fare molto" li incoraggiavo, elencando una serie di
cose elementari: migliorare prima se stessi e poi il rapporto col mondo.
Partecipare. Rispettare ogni diversita'. Aiutare i piu' deboli. Allontanare
i pregiudizi e i razzismi insiti nella nostra stessa cultura, religiosa o
laica. Cedere il proprio posto sull'autobus a una persona anziana. Aborrire
ogni sorta di violenza o di odio. Vivere veramente la fede, se si crede, non
come qualcosa di gia' acquisito, come fosse un bottone sulla giacca, ma come
conquista morale quotidiana, che non vuol dire andare in chiesa a pregare,
peccare e chiedere l'assoluzione, ma fare i conti con la propria coscienza.
Interrogarsi e capire da se' il bene e il male, cio' che vale e cio' che e'
futile. Vivere la solidarieta' nel senso piu' grande, piu' universalistico,
una sorta di democrazia dell'animo.

2. APPELLI. MOVIMENTO ITALIANO DELL'ARCA: DIGIUNO CONTRO LA GUERRA
[Ringraziamo Vincenzo Sanfilippo (per contatti: tel. 091226513, e-mail:
v.sanfi at virgilio.it) per averci inviato questo intervento del Movimento
dell'Arca di Lanza del Vasto, di cui fa parte. Per informazioni e contatti
si vedano i seguenti siti: http://digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/,
www.canva.org]
Quarant'anni fa Lanza del Vasto fece un digiuno per tutta la durata della
Quaresima per sostenere la richiesta di una parola forte, chiara, decisa,
sulla pace e la nonviolenza durante il Concilio Vaticano II. Scrisse una
lettera a Giovanni XXIII per spiegare le motivazioni che lo inducevano a
quel gesto. La risposta arrivo' il giovedi' santo: la Pacem in terris
rispondeva a quasi tutte le richieste.
In questi 40 anni sono successe tante cose, la caduta del muro di Berlino, i
movimenti popolari che nel 1989 hanno dissolto parecchi regimi autoritari,
la fine della contrapposizione est-ovest, ma la pace e' tuttora calpestata
in tante parti del mondo.
Abbiamo pregato, abbiamo digiunato, abbiamo marciato ma la guerra e'
scoppiata in Iraq.
Non ci fermeremo! Continueremo a pregare, digiunare, marciare.
Proponiamo un digiuno a staffetta per tutta la durata di questa sciagurata
guerra. Un digiuno gandhiano, a sola acqua, per almeno un giorno alla
settimana a rotazione.
Chiediamo di diffondere e sostenere per quanto possibile questa azione
affinche' sia segno e testimonianza della verita' della nonviolenza come
forza della giustizia, leva della conversione per la soluzione dei
conflitti. Una nonviolenza che e' stile di vita e metodo di lotta.
Proponiamo la resistenza spirituale, la preghiera incessante, il
boicottaggio dei marchi coinvolti in questa guerra, la disobbedienza civile
qualora si renda necessaria, cominciando a vivere in maniera piu' sobria e
tessendo relazioni di pace e nonviolenza nel quotidiano.
Pace forza gioia.
Movimento italiano dell'Arca di Lanza del Vasto

3. MAESTRI. LANZA DEL VASTO: UNA LETTERA A GIOVANNI XXIII
[Da Lanza del Vasto, Che cos'e' la nonviolenza, Jaca Book, Milano 1978, 199,
pp. 125-128.  E' la lettera che Lanza del Vasto invio' a papa Giovanni XXIII
al suo arrivo a Roma il 4 marzo 1963 accingendosi al grande digiuno di
quaranta giorni fino alla pasqua. Ringraziamo Vincenzo Sanfilippo (per
contatti: tel. 091226513, e-mail: v.sanfi at virgilio.it) per avercela
segnalata e trascritta. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto e' una delle
figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a San Vito dei Normanni
da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e Pisa. Viaggia e medita.
Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in Europa fonda la
"Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza comunitaria
nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e partecipa a numerose
iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in Spagna nel 1981. Tra
le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto segnaliamo particolarmente:
Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Che cos'e'
la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela, Introduzione alla vita
interiore, tutti presso Jaca Book (che ha pubblicato anche altri libri di
Lanza del Vasto); Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi;
Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina; In fuoco e spirito, La
Meridiana. Giovanni XXIII e' "il papa buono" della Pacem in terris e del
Concilio]
Roma, 4 marzo 1963
Santo Padre,
rispondendo al suo appello, sono venuto dalla Francia a Roma per fare
penitenza in onore del concilio, di questo Concilio della riconciliazione
che da anni sognamo senza mai aver sognato che potesse essere cosa reale e
vicina.
Mi accingo a digiunare fino alla mattina di Pasqua, compiendo cosi' quaranta
giorni di muta e intensa preghiera.
Mi animano tre motivi:
Il primo e' la coscienza delle mie colpe che mi rendono troppo indegno di
innalzare una richiesta al cielo.
Il secondo e' la domanda: che il nostro papa goda di buona salute, perche'
siamo pieni d'amore per l'uomo che ha voluto trasformare la maesta'
pontificale in bonta' paterna.
Il terzo e' la nostra attesa, di fronte alla minaccia di Guerra totale,
della parola conciliare di cui il mondo ha oggi bisogno, di una parola
audace, assoluta, insomma evangelica.
Mi consenta di soffermarmi un po' su questo punto di vitale importanza. In
realta' tutto il bene che attendiamo dal concilio a chi giovera' se la
Guerra totale che ci si prepara ci trasforma in una montagna di cadaveri o
in un popolo di lebbrosi o se, anche senza guerra, le radiazioni della
materia disintegrata fanno sorgere generazioni di mostri?
So che Vostra Santita' non ama i profeti di sventura e non vorrei esserne
uno. Ma non dite che sono tutte cose da fantascienza: si iscrivono nella
folle logica del secolo, oltre al fatto che la deflagrazione universale puo'
prodursi da un momento all'altro per puro incidente.
Chi proteggera' i popoli dalla loro ignoranza, dalla loro inerzia, dalla
loro incoscienza? Chi li proteggera' dai loro capi, ciechi alla guida di
ciechi, loro stessi guidati dal Principe di questo mondo? Chi proteggera' la
Creazione di Dio e tutte le bellezze e le bonta' in essa contenute, contro
le bramosie, le paure, gli orgogli oggi armati per distruggere tutto?
Chi altri se non la chiesa, "Mater et Magistra"? A lei spetta il compito di
avvertire, di esortare, di implorare, di indicare le soluzioni.
Guardate quel che e' successo in Svizzera dove un arcivescovo ha incitato il
popolo a dare il suo consenso all'arma di morte. Se Roma avesse parlato
questa vergogna non peserebbe su noi cattolici. Se questa volta non parla,
il cattivo esempio sara' seguito, moltiplicando il pericolo.
E' vero che la chiesa non ha il potere di imporre le sue volonta' ai governi
legittimi, ne' quello di opporsi ad essi, salvo se e' pronta a tornare nelle
catacombe. Non si tratta pero' di imporre, ne' di opporre, e nemmeno di
rivolgersi ai governi (i governi continueranno a gettare sull'avversario la
colpa dell'aggressione e ad attendere che l'altro disarmi per primo).
Si tratta di strappare dalla bocca dei nemici della nostra chiesa l'accusa
che le rivolgono di essere complice dei governi nelle loro imprese
sanguinarie, mentre le dichiarazioni papali in favore della pace non sono
che teoria e retorica, per non dire maschera!
E' molto difficile contestare questa tesi fintanto che un'interpretazione
abusiva dei Romani XIII fa per noi dell'obbedienza cieca al potere
stabilito, per cattivo che sia, un dovere religioso.
Non c'e' speranza che in Dio, e Dio opera dal di dentro, nella coscienza
degli uomini liberi. La sola speranza e' quindi in un risveglio della
coscienza cristiana, debitamente educata, in misura di resistere alle
tentazioni, seduzioni e costrizioni in virtu' delle quali il potere la fa
entrare nel suo gioco.
La Resistenza spirituale e' esattamente il contrario della ribellione, della
sovversione, dell'anarchia, perche' "obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini" e' freno per il Potere quando devia e zelo a servirlo per il bene
comune.
La Resistenza spirituale non e' assolutamente rinuncia alla legittima difesa
e alla lotta per la giustizia. In ogni tempo e' la piu' legittima delle
difese, e nell'era atomica la piu' ragionevole e possibile: l'unica che non
comporta la distruzione di quel che si pretende difendere.
La Resistenza spirituale consiste nell'opporre al male non un male della
stessa natura e di segno opposto, bensi' un bene eguale e appropriato.
"Noi possediamo, dice l'apostolo, armi non carnali; esse, con la grazia di
Dio, hanno la forza di rovesciare fortezze". E' chiaro che i cristiani che
hanno fatto e visto crollare tanti imperi non possono riporre la loro
fiducia in quelle armi e nella bomba H contemporaneamente.
Circola confidenzialmente un progetto di schema sulla guerra e la pace, di
cui un frammento fu pubblicato dalle "Informations Catholiques
lnternationales". Se si risolvesse di adottarlo esso risponderebbe in gran
parte alle nostre aspirazioni.
Esso contiene parole che non si prestano a equivoci, come la seguente: "La
distruzione in massa di intere popolazioni, come avvenne nei bombardamenti
di Amburgo, di Lipsia e di Hiroshima, e' un crimine che grida vendetta al
cielo".
Oppure come questa: "Chi da' ordini contrari al diritto delle genti deve
aspettarsi di essere disobbedito".
Ma se e' cosi, se la Guerra totale e' un crimine, non si dovrebbe forse
insistere sull'affermazione che la preparazione del crimine e' gia' un
crimine? Dichiarazione di conseguenze gravi e immediate, che' l'uomo che in
tempo di pace lavora all'armamento atomico non potrebbe piu' ignorare che e'
in colpa e che dovrebbe cambiar mestiere.
C'e' di piu': ogni cittadino che rimane inerte di fronte all'urgenza del
pericolo dovrebbe sapere che e' in colpa, e che tramite la parola, lo
scritto o qualsiasi altro mezzo piccolo o grande a sua portata, deve rompere
la complicita' del silenzio e destarsi prima che sopraggiunga
l'irreparabile.
Infine cio' che, a nostro umile avviso, manca del tutto e' un paragrafo in
cui venissero esposte le quattro regole della Resistenza spirituale:
1. Che essa venga portata avanti senza spargimento di sangue.
2. Senza frode ne' menzogna, a viso scoperto, senza eludere i castighi,
anzi, al contrario, provocandoli e sopportandoli con dolce fierezza.
3. Con il rispetto per l'avversario, per la sua liberta', per la sua
dignita' e con la preoccupazione di convertirlo.
4. Che sia una testimonianza della verita' secondo cui il sacrificio ha una
virtu' che salva (e' la lezione della croce e la tradizione dei martiri).
E si dovrebbe ricordare che la Resistenza spirituale ha dimostrato la sua
efficacia pratica nella liberazione dell'India e in svariati conflitti
privati o pubblici sia in occidente che in oriente, storia poco nota e che
merita uno studio attento in questi tempi di estremo pericolo.
Mi scuso di queste pagine forse inutilmente lunghe. E' possibile che la
supplica silenziosa del digiuno completo sarebbe bastata a dire tutto questo
e ben di piu', meglio che le parole.
Comunque sia, rimango ritirato e nascosto nel convento cistercense di
Frattocchie. La cosa e' nota solo a qualche raro amico e ad alcuni
ecclesiastici. Spero che la stampa non fara' rumore intorno a questo gesto.
Lo depongo tremante ma non senza speranza ai piedi di vostra Santita' e nel
cuore di Nostro Signore misericordioso.
Ossequi devoti.
Lanza del Vasto

4. MEMORIA. EDI RABINI: ALEXANDER LANGER E DON TONINO BELLO
[Ringraziamo gli amici della "Langer foundation" (per contatti:
langer.foundation at tin.it) per averci messo a disposizione questo intervento
di Edi Rabini, che di Alex fu caro amico e stretto collaboratore. Alexander
Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la
vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative
per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria
descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose di Langer
rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata
col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa
in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace.
Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono
state pubblicate due belle raccolte di interventi: La scelta della
convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti
1961-1995, Sellerio, Palermo 1996. Segnaliamo inoltre: Scritti sul
Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten,
Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a
"Notizie Verdi", Roma 1998. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio,
Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta
2000. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli
interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di
iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai
variamente dispersa). Si veda comunque almeno il fascicolo monografico di
"Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996; l'opuscolo di presentazione de
La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli'
(per richieste: tel. 054321422; fax 054330421), ed il nuovo fascicolo edito
dalla Fondazione nel maggio 2000 (per richieste: tel. e fax 00390471977691).
La Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un CD-Rom su Alex Langer
(per informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail:
azionenonviolenta at sis.it). Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer
Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax
00390471977691; e-mail: langer.foundation at tin.it; sito:
www.alexanderlanger.it. Tonino Bello, nato ad Alessano nel 1935, vescovo di
Molfetta, presidente nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel 1993.
Costantemente impegnato dalla parte degli ultimi, promotore di iniziative di
solidarieta' con gli immigrati, costruttore di pace. Opere di Tonino Bello:
segnaliamo, tra le molte sue pubblicazioni, I sentieri di Isaia, La
Meridiana, Molfetta 1989; Il vangelo del coraggio, San Paolo, Cinisello
Balsamo 1996. Opere su Tonino Bello: Luigi Bettazzi, Don Tonino Bello.
Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001]
Beati i profeti che non devono passare per la pancia della balena.
Era molto geloso della sua vita privata Alexander Langer. Nonostante gli
impegni politici, ne aveva una molto intensa fatta di scambi affettivi ed
intellettuali con numerose persone dalle quali cercava impulsi, amicizia,
energia. Del suo rapporto con don Tonino Bello si trovano diverse tracce nel
computer che ha lasciato.
Il 21 aprile 1992 scrive: "Domenica scorsa - don Tonino Bello - cosi' tutti
chiamavano questo mite e coraggioso vescovo di Molfetta - si era reso conto
che la sua vita stava davvero per finire. Chiamo' intorno a se' le persone
piu' vicine, come aveva fatto nelle ultime settimane con coloro che, pur
lontani dalla sua Puglia, sentiva legati agli stessi ideali. Ad ognuno
affido' qualche parola, mise a cuore grandi e piccole cause, persone".
Non so quali parole avesse affidato a lui, che era andato a trovarlo alcuni
giorni prima, 16 marzo, e ne era tornato pure con un messaggio per il
vescovo di Bolzano Wilhelm Egger.
In un bel testo che si ritrova nel cdrom curato dalla Casa della nonviolenza
di Verona, ricorda che don Tonino, mentre gia' lottava contro il tumore,
aveva deciso di imbarcarsi da Ancona, nel dicembre del 1992, per andare
nella Sarajevo accerchiata e testimoniare "la speranza contro ogni evidenza
di guerra". "Torno' pieno di dubbi, e non li nascose: aveva vissuto con
acuto dolore l'impotenza della pura proclamazione di pace, non se la sentiva
di dare o escludere indicazioni operative, ma era sicuro di una cosa, come
nei giorni della guerra del Golfo: che la pace, per affermarsi, ha bisogno
innanzitutto di persone pacifiche e di mezzi pacifici".
Ai partecipanti al "Verona Forum per la pace e la riconciliazione
nell'ex-Jugoslavia", che riuniva un centinaio di esponenti qualificati di
tutti i popoli dell'ex-federazione, aveva inviato uno dei suoi ultimi
messaggi, il 3 aprile 1993: "Il mosaico di pace e convivenza che traccerete
la domenica delle Palme a Verona - aveva scritto - sara' un'icona pasquale
della vittoria della storia su ogni morte, e su ogni guerra".
*
Forse era stata proprio la prima guerra del Golfo a farli incontrare Alex e
don Tonino.
Si era infatti svolta a Bolzano, nella notte del 31 dicembre 1990, la
ventitreesima Marcia della pace promossa da Pax Christi. Assieme a don
Tonino e ad oltre duemila persone, c'erano il vescovo di Bolzano Egger,
quello di Pavia Giovanni Volta e d'Ivrea Luigi Bettazzi. Un lungo applauso
aveva accolto la lettura in Duomo di un appello, di cui Alexander Langer era
stato coautore, in cui si invitava la Santa Sede "a non lasciare nulla di
intentato per mettere la sua autorita' e la sua sapienza, anche diplomatica,
al servizio della ricerca di dialogo e di una soluzione pacifica della crisi
nel Golfo", e il governo italiano " a riprendere in mano quell'iniziativa di
esplorazione, di dialogo e di missione a Bagdad, che pochi giorni fa
sembrava a portata di mano, o quant'altro sembrera' utile per fermare la
corsa allo scontro bellico". Dieci anni ora sembrano davvero passati invano.
Costruire pace e convivenza era stata la missione che Alex Langer si era
dato fin da giovanissimo. "La pace e' stata scambiata - sostiene ad un
incontro del 1967 promosso dall'Azione Cattolica - per il quieto vivere ed
il discorso che i cristiani hanno portato avanti si e ridotto nei secoli ad
una pace prevalentemente interiore, una pace "menefreghista" che vede la sua
tranquillita' nell'assenza di relazioni. Certo, l'assenza di relazioni e'
anche assenza di tensioni, ma una pace vera che si riconosca nell'amore e'
monca se non entra in relazione con gli altri".
Nel 1993, continuando un discorso mai interrotto, non aveva mancato di
elogiare il "pacifismo concreto" che stava vedendo all'opera
nell'ex-Jugoslavia. "I pacifisti - scriveva nella rubrica "segni dei tempi"
di "AAM Terra Nuova" - sono piu' presenti che mai nel conflitto jugoslavo.
Con meno tifo e meno bandiere, meno slogans e meno manifestazioni, ma con
un'infinita quantita' di visite, scambi, aiuti, gemellaggi, carovane di pace
e quant'altro. Un pacifismo (finalmente!) meno gridato, ma assai piu' solido
e piu' concreto. Il che vuol dire anche piu' complicato, perche' la vita e'
complicata, e la pace non si ottiene per vie semplicistiche: ne' con il
sostegno unilaterale alle parti ritenute "buone" e "vittime", e neanche con
l'idea che un massiccio intervento armato esterno potrebbe davvero
pacificare la regione".
Ma altrettanto problematica gli appariva il "pacifismo dogmatico". "Mi sono
molto meravigliato come alcune delle persone che sono andate a Sarajevo con
i "beati costruttori di pace" nel dicembre scorso - scriveva nello stesso
articolo - siano tornate da quella esperienza estrema e singolare, di
grandissimo significato umano, con lo stesso discorso aprioristico che
facevano prima, e con lo stesso atteggiamento solo declamatorio sul valore
universale della pace e dei diritti umani. A differenza delle testimonianze
assai veraci e problematiche di alcuni partecipanti (come quelle dei vescovi
don Tonino Bello e mons. Bettazzi), altri reduci da Sarajevo non apparivano
intaccati piu' di tanto dal fatto che i bosniaci assediati chiedano
disperatamente un aiuto contro gli aggressori assedianti (ed armi per
difendersi da se', se l'aiuto esterno non viene). Una sanguinosa epurazione
etnica a suon di massacri, stupri, deportazioni e devastazioni va avanti a
tappeto, la popolazione di per se' largamente interetnica viene costretta a
schierarsi con una parte contro l'altra, un baratro profondo rischia di
riaprirsi tra est e ovest, tra cristiani e musulmani, tra europei da
difendere ed europei che possono essere macellati tranquillamente. Tutto
questo non puo' trovare come unica risposta l'invocazione astratta della
nonviolenza".
*
E intervenendo ad un bel incontro tra abati e abbadesse a Praglia, nel
febbraio 1995, Alex si era dimostrato molto preoccupato per il futuro della
democrazia. "L'autorita' democratica - aveva detto in quella sede - come la
conosciamo oggi, si basa essenzialmente sul consenso elettorale. Cio'
significa che essa e' costantemente sottoposta alla mediazione deformante
dei mezzi di comunicazione di massa, ed al rinnovo spasmodico ogni pochi
anni (col voto), quando non addirittura nei mesi o settimane, attraverso
l'uso frequente di sondaggi piu' o meno attendibili. Diventa difficile,
dunque, esercitare un'autorita' lungimirante e libera dalle pressioni
demagogiche del breve e brevissimo periodo. Cio' si riflette pesantemente su
molte decisioni (o non-decisioni) particolarmente importanti e con
conseguenze rilevantissime nel lungo periodo: pensiamo all'ambiente
(costruzione di grandi opere, valutazione di impatto ambientale, decisioni
che implicano autolimitazioni...), alle decisioni su pace e guerra,
all'impostazione del sistema educativo e scolastico, alla pianificazione del
territorio...: chi decide, dovrebbe spesso - se vuole prendere decisioni
sagge e consistenti - pronunciarsi contro gli interessi e le pressioni del
breve periodo, ma deve al tempo stesso basarsi su un consenso magari miope,
nell'immediato. Il degrado dell'autorita' in demagogia, immagine, effimero,
sondaggio, facile popolarita', semplificazione... mette a dura prova le
stesse prospettive della democrazia: ne possono derivare ingannevoli miraggi
autoritari (videocrazia, deriva plebiscitaria, populismo...), fughe nel
privato, perdita di fiducia e di partecipazione, spinte alla
delegittimazione di ogni autorita', vista la sua scarsissima consistenza".
"C'e' quindi un forte bisogno di autorevolezza, di autorita' rispettata e
condivisa, credibile e ritenuta saggia, meglio legittimata e meglio fondata
di quanto non si incontri oggi normalmente".
*
Pensava con nostalgia a don Tonino Bello e ai tanti padri spirituali, laici
e religiosi, che erano nel frattempo scomparsi.
Proprio in quel periodo infatti, mentre sente avvicinarsi l'estrema
decisione, Alex riprende in mano una riflessione sul profeta Giona, che
aveva tenuto su invito del "suo" vescovo a Bolzano il 5 aprile 1991. La
traduce in italiano e la dedica a don Tonino, aggiungendovi una parte
introduttiva e una disperata conclusione.
"E' un tempo, questo, in cui non passa giorno senza che si getti qualche
pietra sull'impegno pubblico, specie politico. Troppa e' la corruzione, la
falsita', il trionfo dell'apparenza e della volgarita'. Troppo accreditati i
finti rinnovamenti, moralismi abusivi, demagogia e semplicismo. Troppo
evidente la carica di eversione e deviazione che caratterizza mansioni che
dovevano essere di estrema responsabilita'. Troppo tracotanti si
riaffacciano durezza sociale, logica del piu' forte, competizione selvaggia.
Davvero non si sa dove trovare le risorse spirituali per cimentarsi su un
terreno sempre piu' impervio. Non sara' magari piu' saggio abbandonare un
campo talmente intossicato da non poter sperare in alcuna bonifica, e
coltivare - semmai - altrove nuovi appezzamenti, per modesti che siano? O
dobbiamo forse riandare alla storia di Giona, precettato per recarsi a
Ninive, a raccontare agli abitanti di quella citta' una novella pesante e
sgradevole, tanto da indurlo alla diserzione, imbarcandosi sulla prima nave
che andava in direzione lontana e contraria, pur di non portare il
messaggio?".
"Non so - concludeva - come don Tonino abbia deciso di fare il prete e il
vescovo. Non so se abbia mai sentito forti esitazioni, l'impulso di
dimettersi, una sensazione di inutilita' del suo mandato. Probabilmente non
aveva mai bisogno della tempesta e della balena per essere richiamato alla
sua missione. Forse sentiva intorno a se' una verita' e una semplicita' con
radici profonde, antiche e popolari. Beati i profeti che non devono passare
per la pancia della balena".
Forse proprio di Giona avevano parlato Alex e don Tonino durante l'ultimo
incontro.

5. TESTIMONIANZE. PATRIZIA ABBATE: LE BOMBE CHE PARTONO DA SIGONELLA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2003]
Sigonella (Catania). "La guerra? In realta' sono almeno tre, quattro mesi
che qui c'e' la guerra". E' difficile entrare a Sigonella, eppure ci sono
almeno tremila civili che ci lavorano dentro, fianco a fianco coi militari,
e che vedono quello che ai parlamentari in ispezione non e' consentito
vedere. Aerei che decollano strapieni di merci "hazardous", pericolose.
Diretti verso destinazioni "XXX", "unknown", sconosciute.
Luca - il nome e' inventato, l'identita' preferisce non vederla pubblicata -
e' uno di questi. Spiega come e' difficile continuare a fare il proprio
lavoro in questi giorni terribili in cui il conflitto vero, nutrito di bombe
e morti e visto soprattutto in tv, si mescola a quello interiore, fatto di
crisi personali rispetto a un'attivita' che "vuoi o non vuoi, e' comunque di
supporto alla guerra". E continua: "Il lavoro e' aumentato notevolmente, non
 c'e' dubbio. Basti pensare che se normalmente l'attivita' di atterraggi e
decolli e' contenuta quotidianamente in due pagine di 'schede', adesso siamo
a otto, nove pagine". Che in numeri di aerei significa esser passati dalla
normale ventina "a sessanta, settanta voli al giorno". Ma non e' cominciato
ora, assicura Luca. "Sono almeno tre, quattro mesi che questo movimento e'
iniziato, segno che la guerra in Iraq e' stata decisa ben prima del 20".
Marco e' un altro dipendente di Sigonella, lavora anche lui nella "zona
americana", e conferma: "Stiamo diventando matti. Certo che c'e' un
incremento di voli, e di arrivi di persone: sono militari, familiari, gente
comunque diretta al fronte di guerra o alle basi vicine; che andra' a fare
da supporto di vario tipo". E soldati? "Certo che ne abbiamo visti, e tanti:
passano da qui, non si fermano a lungo". I rapporti con i militari Usa
restano cordiali. Solo un po' piu' di tensione in generale nella base, "i
controlli sono aumentati, ma non rigidi come nei giorni successivi all'11
settembre", ma la sensazione e' quella di lavorare 'al buio', "non sappiamo
effettivamente cosa viene trasportato, ma certo che ci sono armi. In alcuni
carichi c'e' scritto esplicitamente, explosive material, con specificato
anche il peso: ce n'e' da un quintale; in altri, appunto, c'e' scritto solo
'pericoloso'". Le armi sono depositate in un arsenale che si trova fuori
dalla base propriamente detta, anche se a pochi metri. E' il Weapons
department, il deposito esplosivi che "e' controllato esclusivamente dagli
americani". E le destinazioni dei velivoli? "Buona parte del traffico in
questo momento e' diretto ad Akrotiri, in Grecia, dove stazionano le
portaerei Truman e Roosevelt, e anche nella base di Souda Bay, sempre in
Grecia. Ma ci sono aerei diretti in Kuwait, Bahrein... e si fermano quasi
sempre qui, per rifornimenti, i velivoli che arrivano dalle basi
statunitensi". Il tipo di aerei che fa scalo alla base e' anch'esso vario,
dagli elicotteri C2 ai Boeing, capaci di portare 170 mila pound di carico.

6. TESTIMONIANZE. ALESSANDRO MARESCOTTI: DUE MILITARI BRITANNICI OBIETTORI
DI COSCIENZA
[Alessandro Marescotti (per contatti: a.marescotti at peacelink.it) e'
presidente di Peacelink, la piu' importante esperienza di telematica
pacifista in Italia (sito: www.peacelink.it)]
Due militari britannici si sono rifiutati di combattere in Irak.
Hanno disobbedito agli ordini dicendo di non voler partecipare ad un
conflitto che avrebbe comportato la morte di civili innocenti. Ce ne da'
notizia il "Corriere della Sera" (31 marzo 2003) che riprende un articolo
del "Sunday Times". I due militari sono rispettivamente un soldato semplice
e un tecnico della sedicesima Brigata d'assalto aviotrasportata. La loro
dichiarazione di obiezione di coscienza risale all'inizio di marzo, prima
ancora che scattasse l'attacco e iniziasse l'attuale carneficina.
"Il loro caso e' nelle mani di una legale di grande esperienza", ha detto
Justin Hugheston-Roberts, presidente di "Forces Law" che si occupa dei
militari e delle loro famiglie. L'ex ministro Robin Cook - dimessosi dal
governo britannico per via dell'intervento in Irak - ha affermato: "Voglio
che i nostri soldati tornino a casa, e tornino prima che molti di loro siano
uccisi". I due obiettori di coscienza britannici sono gia' tornati in patria
e sono nella caserma di Colchester nell'Essex. Rischiamo due anni di
prigione ma potrebbero invocare la legislazione europea sui diritti umani e
il caso potrebbe diventare un precedente importante oltre che una questione
internazionale. Il diritto della coscienza di obiettare non puo' essere
infatti ristretto solo al caso classico del rifiuto totale dell'uso delle
armi. Rifiutarsi di uccidere civili inermi e' una ragione sufficiente per
esercitare l'obiezione di coscienza: questo e' il nodo su cui la difesa dei
militari affrontera' il processo. Il diritto di fedelta' alla propria
coscienza su questioni cosi' profonde deve prevalere sul diritto dello Stato
di richiedere l'obbedienza e di imporre la violenza delle armi e della
morte.
L'obiezione di coscienza dei due militari britannici puo' aprire - come e'
avvenuto per i "refusenik" israeliani, obiettori alla guerra nei territori
palestinesi - un nuovo fronte di impegno per la pace.
Le bandiere arcobaleno possono entrare nelle caserme. Nessuno conosce
l'orrore della guerra come i militari i quali in questo momento combattono,
uccidono e muoiono per i sogni di vittoria di due imboscati come Bush e
Blair.

7. RIFLESSIONE. EVERJOICE J. WIN: SEDICI GIORNI NEL MIO MONDO VIOLENTO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci inviato la sua traduzione di questo testo, scritto per una rivista
sudafricana da Everjoice J. Win, una femminista originaria dello Zimbabwe,
che attualmente fa parte della Commissione per l'eguaglianza di genere a
Johannesburg. L'autrice puo' essere contattata via fax: (27-11) 4037188, o
via e-mail: ejwin at cge.org.za]
Vivo in un paese in pace. Non siamo in guerra. Almeno, in nessuna guerra che
sia stata ufficialmente dichiarata. Tutti i giornali dicono questo, che ora
siamo in pace, che questo e' un paese pacifico. I registratori di cassa
suonano, gli affari aumentano, e gli investitori fanno soldi. Cosi' mi si
dice. I politici ne parlano ogni giorno: "Il nostro pacifico paese. Da
quando il nostro conflitto e' terminato, cosi' tanti anni fa, il nostro
bellissimo paese".
Mi domando se io vivo nello stesso paese di questa gente. Buffo, uno dei
giornalisti e' un mio vicino di casa: gli piace menzionare il percorso verso
la pace nei suoi articoli, non manca mai di farlo. Persino l'Onu considera
il nostro paese in pace. Allora mi chiedo quale sia la loro definizione
della pace: assenza di un conflitto su vasta scala tra eserciti ufficiali?
Di certo non stanno parlando di questo paese, dove le persone vanno in giro
armate pesantemente, come se fossimo in una zona di guerra. Passa a stento
un'ora senza che io veda qualcuno con un fucile, eccetto per le ore che
passo in ufficio. E persino li', dobbiamo chiedere ogni giorno a un cliente
o due di lasciare le pistole e i fucili all'esterno: "Questa e' una zona
libera da armi", diciamo con un sorriso. I rudi passano oltre la reception
imprecando e lanciando sguardi torvi. I gentili ci lasciano le armi
raccomandando di "tenerle al sicuro". Al sicuro? Ancora mi domando se i miei
occhi vedono le stesse cose dei loro, se le nostre orecchie sentono le
stesse parole. Pace? Nessun conflitto? Qui?
Questo e' il mio paese, ed il mio mondo. Mentre questa settimana nel mondo
hanno inizio i "Sedici giorni di attivismo contro la violenza di genere"
(novembre/dicembre 2000 - ndt -), voglio descrivere sedici giorni tipici del
mio mondo. Qualcuno dira' che sono pessimista, ma questa e' la visione che
si ha dalla mia finestra. Questo e' il mio angolo di visuale.
*
Primo giorno
E' una bella giornata. Mi sono alzata con una canzone in mente. Canto sotto
la doccia. Avrei dovuto rimanere nel coro della scuola, ma non mi piaceva il
maestro. Mi faceva di continuo l'occhiolino.
Mentre esco dalla mia porta incontro il custode dell'edificio. "Ciao cara,
sogghigna, Bel vestito, ti fascia le gambe molto bene". Mi sorride con una
bocca sdentata. L'odore di tabacco mi colpisce il volto. Mi precipito giu'
per le scale. "Ci vediamo stasera, amorino. Vieni a bere qualcosa dopo il
lavoro", mi urla dietro. Corro nella strada verso l'autobus, e quasi lo
perdo.
Mi sono dimenticata di comprare il biglietto, questo mese. Do' il denaro al
guidatore. Mentre lo prende mi stringe la mano, e mi manda un bacio
nell'aria. E' di nuovo quell'insopportabile Alfred, fa lo scemo cosi' ogni
volta. Mi lascio cadere su un sedile, furibonda. Perche' io? Cosa c'e' in me
che li fa comportare cosi' tutti? Sento il bisogno di urlare. Forse potrei
organizzarmi assieme ad altre donne... Sto pianificando nella mia mente come
farlo mentre entro nel palazzo dove c'e' il mio ufficio e mi sento dire:
"Ehi, dolcezza. Vieni a farti abbracciare. Che bei capelli. Dai donnina,
abbraccia quest'uomo". Ancora un altro! Perche' io?
*
Secondo giorno
Lui lo sta facendo di nuovo. Non riesco a dormire. Tento di schiacciarmi un
cuscino sulla testa, ma non serve. Il rumore peggiora. Bang! Plonk! Crash!
Forse questa era la finestra. Oppure l'armadio. Di qualunque oggetto si
tratti, ora non si trova piu' nell'appartamento di Betty e James. Sono i
miei vicini, vivo accanto a loro da tre anni. A volte lei lo lascia, e sta
distante per giorni, ma poi torna, a perdere un altro dente o a guadagnare
un nuovo segno in faccia. Quando li incontro nel corridoio si tengono sempre
per mano. Mi sorridono e mi invitano ad entrare: "Ci piacerebbe davvero
conoscerti meglio. Vogliamo essere buoni vicini".
Perche' dovrei desiderare che siano gentili con me, se non riescono ad
essere gentili l'un l'altra? Cosa potrei dire a lui? So con certezza cosa
potrei dire a lei, ma non e' un'amica. Ho dovuto chiamare la polizia qualche
volta. Sono arrivati a sirene spiegate, cosi' quando hanno raggiunto
l'appartamento al secondo piano si sono trovati davanti tanti sorrisi. Sono
stata minacciata di arresto per aver causato "falsi allarmi", cosi' ho
imparato a tenere la bocca chiusa.
*
Terzo giorno
Ho visto la mia vicina Betty in corridoio. Ha un braccio appeso al collo. Si
nasconde dietro l'angolo quando mi vede.
Oggi e' sabato, e vado a trovare mia sorella Rose. Da un po' di tempo e'
malata. La trovo a letto. Quei linfonodi non promettono bene. Suo marito non
c'e', e' un po' che e' via. Sono rimasti i bambini. La piu' grande ha
lasciato il liceo per accudire sua madre. "Se ne e' andato di nuovo in cerca
di sesso, mi spiega Rose, Cosa posso farci? Io non posso piu' darglielo,
neppure se mi picchia. Ho troppi dolori, adesso. Dove troverei l'energia?".
Tenta di ridere, io scopro i miei denti per stare al gioco. E' stato il
matrimonio a portare Rose nella situazione in cui e'. Era una ragazza
bellissima, di cui qualsiasi famiglia sarebbe stata fiera. Si e' sposata
vergine. E' il tipo da "Associazione delle Buone Madri". Come diciamo nella
nostra lingua, non ha mai messo un dito del piede fuori dalla propria casa,
ovvero non ha mai posato lo sguardo su un uomo che non fosse quello che ha
sposato. Oppure, stando alla Bibbia, non ha mai "conosciuto" altri che il
padre dei suoi figli. Sembra invece che lui abbia conosciuto piu' donne di
quanto lei pensi. E' stato durante queste conoscenze che si e' preso la
malattia che ora hanno entrambi. A lei il decorso sta andando peggio. Non mi
piace sentirmi impotente. Me ne vado dopo un'ora. E' troppo deprimente.
*
Quarto giorno
Non ho dormito bene. Ho avuto un incubo dietro l'altro su mia sorella. Devo
fare qualcosa che mi calmi. E' domenica. Guardo la televisione, ho bisogno
di un bel film. Mi accomodo nella poltrona per seguirne uno molto
consigliato, anche se non danno dettagli sulla trama. Il primo tempo sembra
scorrere bene. C'e' una donna graziosa che canta sotto la doccia, e mi
ricorda me stessa, ma l'attrice sembra aver praticato il coro piu' di me e
canta meglio. Mi domando perche' nei film il prendere una doccia sembri un
evento cosi' straordinario. Lei sembra completamente coinvolta da quello che
fa, si sta godendo il proprio tempo. Il mio cuore comincia a battere piu'
veloce. Stringo fra le mani la tazza del caffe'. Sono spaventata. Qualcosa
di orribile sta per accadere a questa persona felice sotto la doccia. Le mie
dita si contraggono. Ed ecco arrivare l'intruso, sta andando da lei, la
vuole... le sorride, con quel sorriso che mi ricorda quello del custode o
dell'autista dell'autobus... Non posso guardare ancora. Lei urla, mentre io
raggiungo il pulsante e spengo la tv.
*
Quinto giorno
Ho ricevuto una lettera da mia madre. Ha bisogno di soldi per comprare delle
scarpe nuove a mio figlio. Le vecchie sono andate, scrive. Non comprendo se
questo significhi che sono state rubate o che sono troppo consumate. Cosi'
e' la nostra lingua. Andate? Chiamo al telefono il padre di mio figlio e gli
dico le novita'. Sembra contento di sentirmi. "Vedro' cosa posso fare. E
allora, quand'e' che ci vediamo? E' passato un sacco di tempo, Cristo".
Respiro profondamente: "Non occorre che ci vediamo, dico in fretta, Basta
che depositi del denaro sul mio conto e andro' io a comprare le scarpe". "Tu
sei pazza. Stupida puttana. Perche' dovrei darti il mio denaro cosi' che tu
possa spenderlo con i tuoi amichetti? Se non dormi con me, non mangi i miei
soldi. Fine della storia. Chiamami quando avrai le gambe aperte". Mi
riappende il ricevitore in faccia. Dovro' di nuovo chiedere un anticipo
sullo stipendio, questo mese. Sono le gioie della genitorialita' singola.
*
Sesto giorno
Sembra che non ci sia solo io, in fila, per chiedere l'anticipo. Anche Joyce
e' qui. E' sposata, dice. Come altre donne che lavorano qui, vive in coppia
con un uomo. Joyce pulisce i nostri uffici. E' una cara signora, il tipo
della zia. Ma anche lei ha una storia, e la mia al confronto sembra un
picnic. L'uomo con cui Joyce vive non lavora. Lei si occupa di lui. Mi viene
in mente a questo punto la dipendenza delle donne dagli uomini. Lasciate che
ve la mostri. Joyce vive secondo una regola molto semplice. Ogni mese deve
dare a lui il denaro che guadagna. Lui lo prende e le da' indietro cio' che
gli sembra giusto. L'anno scorso ha portato a vivere da Joyce i propri
figli. Non erano esattamente neonati, due gemelli sui quindici anni. Erano
pero' totalmente nuovi agli occhi di Joyce. Il direttore rifiuta di darle un
altro anticipo. Io ottengo il mio e lo divido a meta' con lei. Joyce ne ha
piu' bisogno di me. Le scarpe aspetteranno un po', o torneranno da dove sono
"andate".
*
Settimo giorno
Oggi e' stata una buona giornata. Tutto quello che ho avuto e' stato un
attacco pornografico via e-mail. E' il funzionario del nostro ufficio di
stato civile che lo fa. Mi manda allegati pornografici quando si sente di
farlo. Le sue capacita' al computer stanno migliorando, adesso aggiunge
fiori e cuoricini attorno a quelle immagini di orrore. E' stata veramente
una buona giornata. Una deve essere grata per le piccole fortune, non e'
vero?
*
Ottavo giorno
Ho avuto un'altra e-mail, questa volta dalla mia amica Florence dalla Sierra
Leone. E' andata ad un incontro con le donne che hanno subito abusi durante
il conflitto in quel paese: stupri, assalti, botte, ecc.
Sono di nuovo terribilmente depressa. Lei ha scritto: "Una delle donne mi
disse che quando il soldato fu stanco di stuprarla con il pene uso' il
proprio piede. Inizialmente pensavo volesse intendere le dita dei piedi ed
ho scritto cosi'. Ma la donna vide quello che scrivevo e mi corresse. Voleva
dire proprio piede. Con lo stivale e tutto. C'erano ragazze che erano state
stuprate sia dai ribelli sia dai soldati. Alcune hanno delle pallottole
negli uteri. I soldati facevano questo per divertirsi, dopo aver finito di
stuprarle. Ora le ragazze sono tornate alle loro comunita', dove le loro
famiglie insistono perche' si facciano infibulare. Quanto puo' sopportare un
essere umano durante la propria vita?".
E davvero, quanto altro voglio sapere, io?
*
Nono giorno
Una giornata tranquilla. Almeno per me. Ho solo letto che un altro cadavere
di bambina e' stato trovato a Cape Town. Violentata, e poi strangolata a
morte. Poche righe, un trafiletto.
*
Decimo giorno
Oggi dev'essere una cattiva giornata. Sei donne sono state uccise a colpi di
fucile dal marito di una di loro. Un'intera famiglia. Ho letto che una
storia simile e' successa oggi in Turchia. Cos'e', la pandemia mondiale del
femminicidio?
*
Undicesimo giorno
Oh, sono cosi' contenta. Oggi, una delle donne che sale sull'autobus ad una
fermata successiva alla mia ha dato al guidatore una bella sgridata. Gliele
ha proprio cantate. Lui ci ha quasi buttato fuori dall'autobus prendendo gli
angoli stretti mentre guidava, ma lei ha continuato a dirgli quello che si
meritava. Vai, vai, sorella!, la incitavamo noi. Finalmente qualcuna lo ha
fatto. Mi sono dimenticata di ringraziarla personalmente. Appena ho un po'
di soldi, le regalo una tessera dell'autobus.
*
Dodicesimo giorno
L'ho vista gettare scarpe, sassi, sabbia, tutto quello che poteva trovare,
nell'appartamento del custode. Tutto il condominio era sceso a guardare.
Penso che la donna in questione lavori al numero 9. Gli ha detto di stare
distante, che se ci riprovava lo avrebbe ammazzato, che ne aveva abbastanza
dei suoi luridi toccamenti in corridoio. Le ho dato il mio apprezzamento in
silenzio. Questo paese e' quel che e', dopotutto, e devo ricordarmi chi sono
io, giusto per non farmi buttare fuori da questo confortevole complesso per
essere stata "sfrontata". Un giudizio riservato al mio genere.
*
Tredicesimo giorno
Stavo per definirla una settimana piacevole, ma questa e' zona di guerra.
Un'altra bambina stuprata e strangolata. Vado al cinema. Come comincia la
musica la trovo cosi' brutta che esco. Forse dovrei davvero vedere uno
psichiatra. Sto diventando paranoica?
*
Quattordicesimo giorno
Oggi mia sorella Rose e' morta. Il funerale non avra' luogo per parecchio
tempo, almeno finche' non avranno trovato suo marito. Poiche' lui non ha mai
finito di pagare il prezzo della sposa ai miei genitori, l'hanno seppellita
a casa loro. Adesso aspettano il pagamento. Sara' un'attesa lunga. Cos'e'
successo alla frase "riposa in pace"?
*
Quindicesimo giorno
Sto prendendo parte ad una strana cerimonia, oggi. Alice, una collega del
nostro ufficio, si sposa. Non chiedetemi perche'. Ho solo trovato l'invito
sulla scrivania. Alice e' lesbica da quando la conosco. Ma la sua famiglia
la pensava in modo diverso. Hanno trovato un distante cugino per farla
"dormire con un uomo" e adesso i due stringono il nodo. Perche' sembra un
funerale, invece di un matrimonio? Non importa se un matrimonio lo tieni di
giorno o di notte, dev'essere proprio quel che dicono i predicatori: "l'atto
delle tenebre".
*
Sedicesimo giorno
Come direbbe una mia amica del Kenya, c'e' un "Ministro intero", alla tv,
che dice al mondo come la molestia sessuale sia un modo consueto di
scherzare. "Lei dovra' farci l'abitudine", conclude, riferendosi ad una
Ministra che e' stata assalita sessualmente dai colleghi. Cambio canale,
c'e' un documentario sulla guerra in Sudan. In qualche modo trovo di poterlo
guardare. E' cosi' distante.
*
Epilogo
Ho molto per cui gioire e ringraziare Dio. Sono viva, ho un lavoro, ho una
casa, e sono in buona salute. Sarebbe abbastanza per dare una festa ogni
settimana. Ma questo e' il mio mondo, un mondo in cui la violenza contro
donne e ragazze e' la realta' giornaliera. Affligge donne come me. Questa
non e' una zona di guerra come il Sudan o la Sierra Leone, ma io mi sento
come se vivessi in una zona di guerra. Le nostre guerre non sono solo nelle
strade, ma dietro le nostre porte chiuse. Voglio che il mio mondo sia libero
dalla violenza. Voglio guardare la tv ed essere intrattenuta, non assalita
da immagini e messaggi di violenza. In un paese in cui la violenza contro le
donne e' cosi' intensa, mi domando come qualcuno possa trovarla divertente e
riempirne il mio schermo tv ogni sera.
Questa settimana mi trovero' con altra gente per organizzare i "Sedici
giorni di attivismo contro la violenza di genere". Abbiamo previsto un
incontro nel mio ufficio. Poi mi uniro' ad una manifestazione in strada.
Terro' un discorso nella mia chiesa (finalmente il pastore mi ha concesso
dieci minuti). Spero potremo fare presto il funerale a Rose e spero che
qualcuno faccia un bel discorso, in cui si richiami suo marito alla
responsabilita'. E' il minimo dovuto a Rose.
E voi cosa farete nei prossimi giorni, per rendere questo mondo migliore per
tutte e tutti noi?

8. MEMORIA. MARCO GIUBBANI: A TRE ANNI DALLA MORTE DI JEAN DOMINIQUE
[Ringraziamo Marco Giubbani (per contatti: giubbanimarco at libero.it) per
questo intervento. Marco Giubbani si occupa dei Caraibi all'interno del
Coordinamento Nord America e Isole Caraibiche della sezione italiana di
Amnesty International]
Il tre aprile 2000 il giornalista radiofonico haitiano Jean Dominique viene
ucciso al di fuori del parcheggio della sua stazione radio, Radio Haiti
Inter, assieme alla guardia giurata Jean Claude Louissant. In un paese in
cui troppo spesso giornalisti e difensori dei diritti umani  rischiano la
vita, il suo caso ha avuto grandissima eco, provocando una mobilitazione
popolare senza precedenti, che ha anche travalicato i confini nazionali.
Jean Dominique nasce negli anni trenta, in una famiglia della medio-alta
borghesia haitiana; ha la possibilita' di frequentare scuole private e di
andare in Francia per completare gli studi in scienze agrarie. Torna ad
Haiti verso la meta' degli anni cinquanta, poco prima della salita al potere
di François Duvalier "Papa' Doc". Nel 1958 suo fratello viene ucciso mentre
prepara un tentativo di rivolta contro Duvalier, e lui stesso viene
imprigionato per alcuni mesi. Jean inizia a dedicarsi al giornalismo
radiofonico negli anni sessanta, con un programma di un'ora a Radio Haiti,
emittente che successivamente rilevera' cambiandone il nome in Radio Haiti
Inter.
Per primo inizia a trasmettere non in francese, lingua ufficiale parlata
dall'elite, ma in lingua creola, l'unica che puo' raggiungere la maggioranza
della popolazione che, analfabeta, trova nella radio il piu' immediato, e a
volte unico, mezzo per avere accesso alle informazioni.
Le sue trasmissioni affrontano le problematiche legate all'agricoltura e
alla proprieta' terriera, e seguono le lotte per l'indipendenza, le
sollevazioni popolari, i movimenti per i diritti civili che si vanno
affermando nel mondo; sono il primo, vero esempio di giornalismo
indipendente nel paese, e gli procurano una grandissima popolarita',
soprattutto fra i piccoli contadini, i braccianti, i lavoratori dei
latifondi, che iniziano grazie a lui ad avere coscienza dei propri diritti.
Il coraggio e la tenacia con cui si oppone alla corruzione e agli abusi di
potere gli procurano pero' molti nemici; nel 1980 la sua stazione radio
viene distrutta dalle forze di sicurezza di Jean Claude Duvalier "Baby Doc",
e Jean e' costretto all'esilio, assieme alla moglie e alle figlie. Vi
restera' fino alla caduta di Duvalier nel 1986; sara' poi costretto
all'esilio anche dal 1991 al 1994, in coincidenza del golpe che pone fine al
primo governo Aristide. Al suo ritorno in seguito alla restaurazione della
democrazia si vede offrire il posto di Ministro dell'Informazione, ma lo
rifiuta con queste parole: "sono indipendente e moriro' indipendente". E
cosi' e' stato, se e' vero che uno dei principali sospetti e' il senatore
Dany Toussaint del partito Lavalas, di cui lo stesso Dominique era
sostenitore, che egli aveva  accusato pochi giorni prima della morte di
corruzione e  della creazione di bande in stile paramilitare.
*
L'inchiesta ha incontrato da subito parecchie difficolta'. Il primo giudice
istruttore assegnato al caso, Jean-Senat Fleury, abbandona quasi subito a
causa di minacce. Il caso passa a Claudy Gassant, universalmente apprezzato
per l'impegno profuso a fronte della scarsezza di mezzi e delle continue
minacce. Questi lascia il paese nel gennaio 2002, in polemica col presidente
Aristide, che accusa di non avergli rinnovato il mandato. Gassant lamenta
l'ostruzionismo delle autorita'; dice di non avere mai ricevuto adeguata
protezione dal Ministro della Giustizia, di aver ricevuto pesanti minacce in
seguito alla decisione di incriminare Toussaint; critica anche il Senato che
si e' rifiutato di togliere l'immunita' parlamentare a Toussaint, e la
polizia, che accusa di non aver eseguito i suoi mandati di comparizione e
anzi di aver abbandonato un testimone chiave che era stato preso in
custodia, Panel Renelus, nelle mani di una folla che lo ha linciato. Solo il
9 luglio e' stato designato un nuovo giudice per l'inchiesta, Bernard Saint
Vil, che ad agosto e' riuscito finalmente a sentire Toussaint.
In questo periodo la guida di Radio Haiti Inter e' stata presa da Michele
Montas, vedova di Dominique e anch'essa giornalista di livello
internazionale, che non ha mai smesso di chiedere giustizia per il marito e
di richiamare le autorita' alle proprie responsabilita'. Il 25 dicembre del
2002 la Montas sfugge ad un tentativo di assassinio che ricorda
sinistramente quello del marito, in cui perde la vita una guardia del corpo,
Maxime Seide. E infine il 21 febbraio, prendendo atto di una situazione che
si era fatta ormai intollerabile per la sicurezza di giornalisti e
collaboratori della radio, fatti oggetto di pesanti minacce, Michele Montas
annuncia la sospensione delle trasmissioni con un ultimo editoriale.
Ed e' notizia di questi giorni il risultato dell'inchiesta del giudice Saint
Vil: il rapporto, inviato al procuratore generale il 21 marzo e reso
pubblico il 25, incrimina sei persone, considerate gli autori materiali del
delitto, ma libera da ogni imputazione Dany Toussaint e altri tre influenti
membri del Lavalas appartenenti al suo entourage, che erano stati accusati
dal giudice Gassant. Non viene indicato nessun movente per gli omicidi. Una
soluzione che ricorda tristemente quella del caso dell'altro giornalista
radiofonico Brignol Lindor, ucciso nel dicembre 2001 a Petit Goave,in cui
erano stati incriminati gli autori materiali ma completamente prosciolto il
sindaco di quella citta', che aveva dichiarato pubblicamente che Lindor
"andava fermato con ogni mezzo".
Le organizzazioni per i diritti umani e per la liberta' di stampa hanno
definito il rapporto un oltraggio alla giustizia e alla liberta' in Haiti, e
Michele Montas ha annunciato che fara' ricorso. Il processo e' previsto per
maggio.
I rappporti di Amnesty International sul caso Jean Dominique si trovano su
www.amnesty.org selezionando Library e poi Haiti in "Select Country".

9. MAESTRE. FATIMA MERNISSI: LA RISPOSTA DI MINA
[Da Fatima Mernissi, La terrazza proibita, Giunti, Firenze 1996, 2001, p.
232. Fatima (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatema) Mernissi
e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, docente di sociologia, studiosa del
Corano, narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del
Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non
e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e
l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002]
Chiesi a Mina su quale meta' del pianeta mi trovassi io. La sua risposta fu
rapida, breve e chiara: "Se non puoi uscirne, allora sei dalla parte di
quelli che non hanno potere".

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 554 del 2 aprile 2003