[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Nasce un laboratorio di discussione sulle economie alternative
- Subject: Nasce un laboratorio di discussione sulle economie alternative
- From: "magius" <magius at inventati.org> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Thu, 13 Mar 2003 00:33:37 +0100
Open-Economy - Creare ricchezza, abolendo il profitto Il progetto Open-Economy nasce come spazio aperto per la discussione e la sperimentazione di forme di economia alternative al sistema capitalistico. Pensiamo che sia finita l'epoca della rivendicazione e che si sia aperta l'epoca della costruzione. I portatori del nuovo siamo noi stessi ed al nuovo dobbiamo uniformare i nostri comportamenti, da subito e senza delegare. La rivendicazione comporta comunque una visione verticistica della società, dove chi sta sotto chiede a chi sta sopra di fare qualcosa per lui, con le buone o con le cattive. Questo non significa rinunciare alla rivendicazione quando è possibile e necessario, ma è nostra opinione che la preminenza deve essere data alla costruzione di una società nuova già da ora, subito. Pensiamo che questo sia possibile oltre che necessario e indifferibile. Continuare a ripetere che il mondo in cui viviamo è troppo complicato rischia di essere una scusa per non fare niente. Il male diventa ineffabile e sfuggente, si diluisce in modo poco chiaro nel mosaico della globalizzazione, genera rassegnazione e disincanto o sterili gesti di rivolta, prese di posizioni eclatanti ma consolatorie. Tutti gli elementi che contribuiscono a definire lo scenario bloccato del presente (la politica, la società, il capitalismo, lo stesso rapporto con l’ambiente) derivano da una stortura originaria: da rapporti umani troppo segnati dal codice del potere, inquinati dal segno del dominio, cristallizzati nel gergo dell’ineguaglianza, dell’obbedienza e della gerarchia. Il culto mistico e acritico della tecnica, l’ideologia suicida dello sviluppo dipendono davvero da un sistema economico che si è esteso sino a coprire tutte le dimensioni della nostra esistenza privata e collettiva. Se anni fa ci si sentiva un pò ridicoli soltanto a nominarlo, oggi possiamo accusare apertamente, con una nuova legittimità, questo sistema totale e deprimente: il capitalismo. Anche se forse è davvero troppo tardi bisogna provare a rompere, in qualche modo e da qualche parte, il pigro imperialismo di un principio di realtà irreale, soffocante. Cercare di costruire spazi diversi, inventare zone alternative, restituire un senso alla vita sociale come cura e gestione degli affari umani, provare a riprendere il mano il nostro destino. In una situazione disperata, qualsiasi tentativo serio e fantasioso in questa direzione rappresenta già un piccolo punto di vantaggio, anche perché l’ultima chance per provare a cambiare le cose. Una sfida terribilmente seria, niente ci garantisce che possa funzionare. Ma va da sè che è almeno il caso di giudicare le cose in modo limpido e di sbarazzarsi di modelli vecchi e di riflessi condizionati impresentabili, troppo schematicamente 'politici', inutilmente eccessivi, compiaciuti. L’estremismo auto-gratificante di chi ha visto nella battaglia di Seattle la garanzia di una svolta, l’aurora di una nuova rivolta planetaria o il nuovo inizio di una 'politica globale' è senz’altro una spia che il pensiero politico e sociale della sinistra su questo sono ancora inadeguati, spaventosamente in ritardo, subalterni per pigrizia, fretta o ideologia a formule vuote e a slogan inutilizzabili. Una nuova politica radicale può nascere soltanto da sforzi isolati, rifiuti senza concessioni, consapevoli tentativi di secessione da un clima culturale, dalla grammatica dei consumi, dalla presenza invadente o dal simulacro dello Stato. Pensiamo che l’elemento che conta di più non è la 'meta' finale, l’immagine di un futuro alternativo. Il punto essenziale sono le cose da fare adesso, il 'qui e ora' di una forma di azione e di presenza capace di scardinare almeno in termini relativi il codice del potere e i ricatti della gerarchia. Costruire contro-istituzioni, ritagliare sfere di libertà e indipendenza in un contesto chiuso, soffocante. Se il tratto francamente più allarmante della situazione attuale sta nella trasformazione del capitalismo e delle relazioni di mercato da una forma economica a un modello latente di società, la questione davvero all’ordine del giorno riguarda, da subito, la creazione di 'nuove forme di resistenza', l’istituzione di aree di vita alternative capaci di contrastare ed indebolire un sistema come quello capitalista che si è rivelato distruttivo per la vita sul pianeta e per gli stessi esseri umani, la genesi di una 'sfera pubblica radicale', in grado di innescare un’inversione di tendenza, un cambiamento di mentalità e una trasformazione politica e sociale di più ampio respiro. Il dilemma non riguarda il piano dei fini ultimi, ma la zona più ambigua del come e del quando, il terreno costantemente aperto e incerto dei mezzi. Proprio l’urgenza del cambiamento impone discrezione, misura, pragmatismo, capacità critica, intelligenza. Che fare, quindi, da dove cominciare? Oggi provare a vivere in 'modo indipendente e autonomo' (Herzen) significa paradossalmente tornare presso la stessa origine dimenticata del pensiero politico occidentale, nel cuore nascosto della democrazia. Mentre le grandi risposte 'collettive' della modernità segnano il passo, l’unica forma di innovazione possibile e convincente ha qualcosa a che fare con il modello classico della polis inteso non come un 'modello' da imitare ma come un seme o un 'germe' vitale dell’esperienza possibile di un’altro modo di intendere le relazioni tra le persone. Il termine politica, secondo la sua etimologia greca, si riferiva una volta ad un’arena pubblica di cittadini consapevoli, che si sentivano competenti a gestire direttamente le proprie comunità, le loro poleis. Un immaginario politico rinnovato coincide oggi con l’esigenza, tutta da sperimentare in termini concreti, di esperienze nuove di democrazia diretta, di partecipazione libertaria, di autogestione e di organizzazione spontanea e dal basso. Parole d’ordine queste che sembrano inattuali, disperatamente fuorigioco nell’epoca della globalizzazione planetaria. Ma proprio quando si fanno i conti con la globalizzazione si dovrebbe riconoscere piuttosto il carattere illusorio delle risposte troppo ambiziose - la politica globale, la democrazia cosmopolita (act globally) - o il tratto ipocrita e rassegnato della strada opposta, think globally, act locally. Senza essere costretti a scegliere per forza tra due alternative obbligate e speculari conviene piuttosto lavorare direttamente su modelli di socialità, schemi di vita, ipotesi di liberazione legati direttamente al piano inclinato dell’esistenza quotidiana. La nostra riflessione parte dal concetto di autonomia. Siamo interessati a sviluppare strumenti che agevolino l'autonomia degli individui - e vera autonomia non può esserci se non è autonomia economica - e crediamo che un sistema di economia alternativo non può che partire dai bisogni reali delle persone ed essere legato alla vita quotidiana. E' difficile pensare ad un mondo nuovo senza pensare ad un'economia nuova. Perciò questo spazio è offerto a tutti coloro che hanno idee che possano contribuire alla costruzione di una nuova economia in un mondo nuovo. Questo progetto si chiama 'Open Economy' perché si ispira al modello dell'Open Source, nato nell'ambito del movimento del FreeSoftware GNU/Linux ma che - nell'accezione che ci interessa rimarcare - significa semplicemente 'codice aperto': a questo progetto chiunque può aggiungere il proprio pensiero e il proprio contributo. L'obiettivo di questo progetto, di cui il sito e la mailing-list sono strumenti operativi, è di costruire in modo partecipativo un modello economico, che con un acronimo - ispirato, non a caso, a quello più famoso coniato da Hakim Bey - definiamo F.A.Z., Zone Finanziarie Autonome. Zone autonome che nascano senza lasciarsi ricattare dal realismo scientifico dei rivoluzionari di professione, dall’ossessione della 'presa del potere', dall’ala protettiva e prevaricante dei partiti. Il nodo centrale sono la pluralità di forme di socialità a valenza politica, la spontaneità di un agire pubblico basato, come avrebbe detto Arthur Rimbaud, sull’esigenza di 'cambiare vita'. Una 'sfera pubblica radicale' che nasce e si esprime 'by streets, square and cafes', un esercizio di democrazia sempre legato ad una sorprendente pluralità di situazioni, esperienze, occasioni diverse di socialità. Senza cercare di riesumare il mito arcaico della polis, il 'modello' aureo e ambivalente dell’Atene di Pericle, il modello alternativo che ci proponiamo di costruire collettivamente rappresenta forse l’unico cuneo per scardinare questo sistema distruttivo, erodere i vincoli soffocanti della 'società di massa', rivitalizzare in modo radicale una democrazia bloccata nella pigrizia infinita di una ripetizione e di un imbroglio. Il progetto di una democrazia rigenerata passa attraverso la costruzione di un intreccio complesso di esempi diversi, postulando come meta finale non tanto una discutibile, spaventosa unanimità, ma il modello aperto e libertario di una nuova sfera pubblica che possa dar vita ad una nuova idea di cittadinanza e di auto-organizzazione economica da contrapporre al crescente potere dello stato-nazione e delle grandi imprese economiche multinazionali e centralizzate. La scommessa fondamentale è immaginare adesso rapporti e relazioni capaci di ridefinire simultaneamente uno stile dell'individualità e i modelli concreti di socialità, la sfera pubblica. Pensiamo questo progetto come un laboratorio, in cui indagare le modalità di costruzione e di funzionamento di un possibile sistema di economia alternativo. Un modello alternativo che mentre dichiara la sua intransigente secessione dalla società insiste sulla definizione di nuclei quasi-politici basati sull’azione di minoranze concrete, consapevoli. Un modo - l’unico realistico - per tornare alle radici stesse della democrazia, per provare a sperimentare le sue promesse mancate, diluite e sciupate in un’idea di politica già declinata in modo reazionario secondo il codice del potere e l’ossessione della gerarchia. Se riusciremo a costruire un modello che funziona, potremo provare a costruire nel mondo tante FAZ in contatto tra loro e che vivono fuori dalla logica del capitalismo finanziario. L'elaborazione che ci/vi proponiamo si svolgerà su tre piani, uno teorico, uno tecnico - il sito sarà di riferimento anche per il parallelo progetto di creazione di un freesoftware di gestione delle FAZ - ed uno pratico: vorremmo passare dalla discussione teorica alla simulazione in rete e poi alla sperimentazione pratica in un volgere di tempo possibilmente breve. Di conseguenza, raccoglieremo sul sito, anche le adesioni per partecipare alla simulazione e poi alla sperimentazione nel reale. Sito: http://www.open-economy.tk Mailing-List: open-economy at yahoogroups.com
- Prev by Date: Fwd: boicottiamo il programma JSF
- Next by Date: No news
- Previous by thread: Fwd: boicottiamo il programma JSF
- Next by thread: disarmiamo exa 2003
- Indice: