Tareq Aziz: caro Strada, a Baghdad non servite



Fonte: Il Manifesto - 11 marzo 2003

Tareq Aziz: caro Strada, a Baghdad non servite

Incontro al vertice Il vice di Saddam riceve Emergency: "I vostri medici sono piu' utili altrove". In Iraq l'associazione ha due ospedali e venti posti di pronto soccorso

VAURO

INVIATO A BAGHDAD

Il cielo di Baghdad si e' gia' fatto scuro e la citta' comincia a vestirsi delle sue luci rese opache dall'aria satura di polvere, quando quattro mercedes nere si fermano davanti all'Hotel Al Rashid. Il gruppo di Emergency che e' qui a Bagdad da una settimana e' composto da Gino Strada e Marco Garatti (chirurghi), Mario Ninno e Ake Hyden (infermieri), Donatella Farese, Rossella Miccio (logistica e amministrazione), Maso Notarianni (comunicazione) ed e' accompagnato da Ali Rashid (primo segretario della delegazione palestinese in Italia). Saliamo su tre mercedes, la quarta fa da apripista, le tendine dei finestrini posteriori tirate. Il corteo di auto scure si avvia a percorrere il breve tragitto che separa l'Hotel dal palazzo del consiglio dei ministri. E' da molto tempo che Emergency sta lavorando ad un progetto di intervento sanitario per la citta' di Baghdad. La citta' vive nella minaccia sempre piu' prossima di un bombardamento intensivo e i tempi per installare in un ospedale un team di chirurghi di guerra e di far arrivare medicine di urgenza ed attrezzature sono stretti, le notizie continue sulla determinazione di Bush e Blair di aggredire il paese nonostante l'Onu e l'opinione pubblica di tutto il mondo, rendono la pace una chance sempre piu' esile. L'incontro con Tareq Aziz al quale il gruppo di Emergency si sta recando potrebbe essere quello determinante, dopo la lunga ed estenuante serie di contatti, riunioni che e' continuata anche in questi giorni a Baghdad, per poter finalmente passare alla fase operativa.

Un soldato apre la bassa cancellata di ferro per lasciar passare le auto nere. Scendiamo ai piedi della scalinata di accesso al palazzo del consiglio dei ministri. E' una costruzione enorme, piu' sfarzosa che bella, la luce dei fari proietta verticalmente la sagoma dei grandi archi arabescati di taglio orientale, che ne costituiscono la facciata. L'aquila, simbolo dell'Iraq, troneggia sull'immenso portone dal quale si accede ad un androne amplissimo, con soffitti alti circa venti metri dai quali pendono enormi lampadari di cristallo, sui pavimenti tappeti e moquette. Il gigantismo dell'architettura e dell'arredo del palazzo sembra sottolineare il vuoto surreale delle stanze e dei corridoi. C'e un solo funzionario ad accoglierci e a parte una figura ad una scrivania che appare lontanissima, come affogata in tutto quello spazio, non si vede nessuna altra presenza.

Un ascensore ci conduce al quarto piano del palazzo. Dopo una breve anticamera in un salottino un altro funzionario ci accompagna lungo un corridoio nella stanza dove Tareq Aziz ci attende. Ci riceve sull'ingresso, in piedi, l'uniforme verde che indossa gli va larga di qualche misura rendendolo un po' goffo, e' un ometto basso e in la' con gli anni, potrebbe dare l'immagine di un simpatico nonno ma a dissiparla bastano la sua stretta di mano, meccanica, rigida, senza calore e uno sguardo che ti fissa da dietro gli occhiali quadrati senza vederti, come se ti oltrepassasse, velato ed acquoso. Ci fa accomodare sui divanetti e le poltrone posti lungo il perimetro della stanza, grande, arredata con un tavolo centrale ed altri piu' piccoli agli angoli, accostata alla parete una bandiera irachena. Si siede anche lui, nella postura ferma che manterra' per tutto l'incontro.

Gino Strada parla della proposta di Emergency di lavorare in accordo con le autorita' del paese per tentare di rendere meno drammatico il bilancio delle vittime civili della guerra incombente. "La nostra - spiega - e' una associazione umanitaria ed e' per ragioni umanitarie, non politiche che siamo contro questa guerra come contro tutte le guerre". Il discorso di Gino verte tutto sulle vittime civili, su quanto siano sempre loro a pagare il conto piu' alto dei conflitti. Spiega con passione l'importanza di soccorrerle ma anche quella di dar loro volto, storia, l'importanza dell'informazione, perche' le vittime civili sono la verita' della guerra, sempre rimossa, negata. Tareq Aziz ascolta impassibile mentre ci viene servito il the'. Quando comincia a parlare ne' la sua espressione fissa, ne' il suo tono di voce piatto ed uniforme, tradiscono alcuna emozione. Decanta le lodi del sistema sanitario del paese (che in effetti prima della guerra del Golfo era uno dei piu' capillari ed efficienti dell'area mediorientale, ndr). Parla dell'alto livello di preparazione dei medici iracheni. Gino lo interrompe, gli riferisce del colloquio che ha avuto con i medici dell'University Hospital di Bagdad due giorni prima, di come loro gli avessero detto della mancanza di fili di sutura, disinfettanti, anestetici, apparecchiature ortopediche. Aziz ammette le difficolta' dovute all'embargo, "per questo, se volete donarci materiale sanitario non possiamo rifiutare la vostra generosita' ma i vostri medici - penso possano essere piu' utili altrove".

Prosegue parlando della priorita' della sicurezza e del controllo in un paese in guerra. Orgoglio di regime o indifferenza alle sorti della popolazione? Probabilmente ambedue le cose. Se il vice primo ministro mostra di apprezzare e anche di essere grato della disponibilita' a fornire un aiuto piu' completo alla popolazione, appare evidente la sua preoccupazione che questo possa apparire come una necessita' dovuta a deficienze del sistema sanitario dello Stato. Quando il colloquio finisce e lasciamo il palazzo la sensazione e' che le mura spesse che lo compongono separino in modo netto le esigenze del potere dalle necessita' delle gente comune. "I regimi non hanno mai mostrato molta attenzione verso le popolazioni civili, del resto non ne mostrano certo di piu' i sistemi "democratici" pronti a bombardarle - mi dice Gino Strada - per questo teniamo sempre a sottolineare la completa apoliticita' delle nostra organizzazione. Tra le "ragioni" delle parti in conflitto e' sempre la ragione umanitaria quella che viene schiacciata. Ed e' li' che dobbiamo continuare a concentrare i nostri sforzi e il nostro impegno". Che impressione hai ricavato dall'incontro con Tareq Aziz? "Positiva sul piano della possibilita' di incrementare il nostro intervento umanitario in Iraq. Abbiamo gia' nel territorio due ospedali ad Erbil e Suleimaniya, oltre a tre centri di riabilitazione e una ventina di posti di pronto soccorso. L'ospedale di Suleimaniya, inoltre, dista solo tre ore di auto da Baghdad, vogliamo potenziare le strutture che gia' abbiamo nel paese. E' vero che a Baghdad, a differenza che nel nord, un sistema sanitario c'e' anche se appunto a causa dell'embargo non puo' funzionare a pieno ritmo. Settecento milioni di dollari di medicine ed equipaggiamenti sanitari bloccati dal comitato delle sanzioni. Fili di sutura chirurgica bloccati perche' gli aghi sono di acciaio, trinitrina per cardiopatici bloccata perche' considerata "a doppio uso". Qualcuno, evidentemente, pensa che con questo medicinale si potrebbe costruire un'arma. Forse con un miliardo di compresse si potrebbe fare un petardo. Certo in Iraq c'e' un regime che nega la democrazia: ma se a questo si aggiunge l'atteggiamento ferocemente punitivo di Usa e Gran Bretagna, che di fatto controllano il comitato delle sanzioni, e' evidente che le due cose si assommano per la popolazione civile. Noi siamo convinti che medici e medicine non possano e non debbano sottostare a nessuna esigenza di tipo politico. Se poi ci sara' l'attacco un sacco di povera gente ci lascera' la pelle, chi subito e chi dopo perche' miseria e epidemie vanno a braccetto con la guerra. All'orizzonte si sta profilando un disastro che va ad aggiungersi a quello cronico dell'embargo". Sei di nuovo in partenza per l'Afghanistan? "Si, anche per effetto dell'incombente guerra all'Iraq li' la situazione si sta rapidamente deteriorando. A nord ci sono scontri tra gli uomini di Dostum e quelli di Ustad Atta, scontri ed attentati a Khandahar, nelle scorse settimane sono stati lanciati razzi contro la base Usa di Bagram e anche contro quella dell'Isaf a Pul-i-charki. Nel caso di attacco all'Iraq e' piu' che probabile che inizi in Afghanistan un escalation di guerra dagli esiti imprevedibili e vogliamo essere pronti ad affrontare anche questa emergenza. Intanto, verificando ovviamente che abbiano la giusta destinazione finale, stiamo organizzando l'invio in Iraq di aiuti sanitari, medicine ed attrezzature: un cargo e' gia' pronto a Damasco, un altro sta per entrare dalla Turchia".