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La nonviolenza e' in cammino. 532
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 532
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 11 Mar 2003 03:19:08 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 532 dell'11 marzo 2003 Sommario di questo numero: 1. Ferma la guerra: con l'azione diretta nonviolenta 2. Ferma la guerra: con lo sciopero generale 3. Ferma la guerra: con la denuncia penale di golpisti e stragisti 4. Ferma la guerra: con la disobbedienza civile di massa 5. Ferma la guerra: con le ordinanze dei sindaci 6. Ferma la guerra: con la forza della nonviolenza 7. Al Presidente della Repubblica: una richiesta di intervento 8. Norma Bertullacelli, a Genova in silenzio per la pace 9. Andrea Cozzo, lettera aperta all'Ateneo di Palermo sulla guerra 10. Giancarla Codrignani, pratiche di nonviolenza attiva 11. Pax Christi, le Chiese invitino all'obiezione di coscienza 12. Comunita' monastica di Camaldoli: "e se scoppiasse la pace..." 13. Iaia Vantaggiato, il sogno perduto di Israele 14. Maria Teresa Gavazza, con le donne israeliane e palestinesi 15. Giulio Vittorangeli, la tragica routine della violenza 16. Benedetto Vecchi presenta "Recinti e finestre" di Naomi Klein 17. Riletture: AA. VV., Auschwitz. Il campo nazista della morte 18. Riletture: Ferruccio Foelkel, La risiera di San Sabba 19. Riletture: Fabio Galluccio, I lager in Italia 20. Riletture: Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz 21. Riletture: Frediano Sessi, Non dimenticare l'Olocausto 22. La "Carta" del Movimento Nonviolento 23. Per saperne di piu' 1. FERMA LA GUERRA: CON L'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA La guerra puo' essere fermata: ma devi fermarla tu: con l'azione diretta nonviolenta bloccando la macchina bellica: bloccando i trasporti di armi, bloccando l'operativita' delle basi militari, bloccando l'azione dei poteri golpisti e stragisti. In nome della legalita' costituzionale, del diritto internazionale, del diritto di ogni essere umano a non essere ucciso. 2. FERMA LA GUERRA: CON LO SCIOPERO GENERALE La guerra puo' essere fermata: ma devi fermarla tu: con lo sciopero generale contro i poteri golpisti e stragisti, contro il terrorismo e le violazioni dei diritti umani. In nome della legalita' costituzionale, del diritto internazionale, del diritto di ogni essere umano a non essere ucciso. 3. FERMA LA GUERRA: CON LA DENUNCIA PENALE DI GOLPISTI E STRAGISTI La guerra puo' essere fermata: ma devi fermarla tu: con la denuncia penale dei promotori e dei complici della guerra che sempre e' sterminio di esseri umani, che sempre consiste di uccisioni di massa, che sempre e' nemica dell'umanita', che sempre di tutti i crimini e di tutte le violenze e' la piu' immane e feroce. Denunciare all'autorita' giudizaria i golpisti e stragisti affinche' siano messi in condizione di non nuocere, affinche' siano perseguiti ai sensi di legge. In nome della legalita' costituzionale, del diritto internazionale, del diritto di ogni essere umano a non essere ucciso. 4. FERMA LA GUERRA: CON LA DISOBBEDIENZA CIVILE DI MASSA La guerra puo' essere fermata: ma devi fermarla tu: con la disobbedienza civile di massa, bloccando la catena di comando dei governanti golpisti e stragisti. In nome della legalita' costituzionale, del diritto internazionale, del diritto di ogni essere umano a non essere ucciso. 5. FERMA LA GUERRA: CON LE ORDINANZE DEI SINDACI La guerra puo' essere fermata: ma devi fermarla tu: richiedendo e ottenendo che i sindaci emettano ordinanze che interdicano la detenzione e il trasporto di armi alla guerra comunque finalizzate, ordinanze urgenti a tutela della salute e dell'incolumita' delle cittadinanze amministrate e rappresentate, poiche' tutti la guerra minaccia, ed ogni rappresentante delle istituzioni democratiche ha il dovere di contrastarla con gli strumenti che l'ordinamento giuridico mette a sua disposizione. In nome della legalita' costituzionale, del diritto internazionale, del diritto di ogni essere umano a non essere ucciso. 6. FERMA LA GUERRA: CON LA FORZA DELLA NONVIOLENZA La guerra puo' essere fermata: ma devi fermarla tu: con la forza della nonviolenza, con la forza della verita' (Gandhi), con la forza dell'amore (King), con il rispetto per la vita (Schweitzer). Nella tradizione nonviolenta del movimento dei lavoratori; nella tradizione nonviolenta della Resistenza; nella tradizione nonviolenta del movimento delle donne. Con gli strumenti teorici e pratici apportati da Rosa Luxemburg e da Simone Weil, da Virginia Woolf e Hannah Arendt, da Hildegard Mayr e Vandana Shiva, da Marianella Garcia e da Rigoberta Menchu'. La guerra puo' essere fermata: ma devi fermarla tu: e il momento e' ora. 7. MATERIALI. AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: UNA RICHIESTA DI INTERVENTO [La seguente richiesta di intervento e' stata inviata dal responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo al Presidente della Repubblica e per opportuna conoscenza al presidente del Consiglio dei ministri, ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, alla Procura generale della Repubblica, al ministro della difesa] * Dopo la dichiarazione golpista del Ministro della Difesa e' necessario che lo stesso rassegni le dimissioni dal suo incarico. * Richiesta di un autorevole, necessario e urgente intervento del capo dello Stato e delle competenti magistrature in difesa della legalita' costituzionale. Signor Presidente della Repubblica, sul Televideo Rai (pagina 158, foglio 1/2, alle ore 22,35 del 10 marzo 2003) si legge che: "Il Ministro della Difesa darebbe 'via libera' a un attacco contro l'Iraq. Antonio Martino lo ha detto durante la trasmissione 'Porta a porta', precisando: 'E' la mia opinione, non rappresento in questo momento l'opinione del governo'". Non vi e' dubbio, Presidente, che tale dichiarazione confligge con quanto stabilito dalla Costituzione della Repubblica Italiana, alla quale il Ministro ha giurato fedelta' nelle sue mani nell'atto di assumere l'incarico. Non vi e' dubbio, Presidente, che tale dichiarazione costituisce un atto eversivo della legalita' costituzionale, in quanto la Costituzione della Repubblica Italiana all'articolo 11 proibisce esplicitamente ("ripudia") sia la guerra di aggressione, sia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. La prego, Presidente, di voler intervenire affinche' l'on. Martino rassegni immediatamente le dimissioni dall'incarico ministeriale. La prego altresi' di voler sollecitare l'intervento delle competenti magistrature affinche' intervengano nelle forme previste dalla legge nei confronti del Ministro per la sua dichiarazione golpista e stragista. 8. INIZIATIVE. NORMA BERTULLACELLI: A GENOVA IN SILENZIO PER LA PACE [Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b at libero.it) per questo intervento. Norma Bertullacelli, insegnante, amica della nonviolenza, fa parte della "Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti"] Siamo consapevoli che la guerra degli Stati Uniti e della Gran Bretagna contro l'Iraq non e' mai terminata: dieci anni di embargo e continui bombardamenti della "no fly zone" non possono certamente essere considerati dieci anni di pace. Eppure viviamo queste ore di ultimatum con il fiato sospeso: aspettiamo che il conflitto deflagri in maniera immensamente piu' violenta, aspettiamo di rivedere i servizi televisivi con i traccianti che attraversano il cielo di Bagdad, aspettiamo di rivedere le manovre degli aerei in partenza o in ritorno dalle loro missioni di morte. L'Onu sta probabilmente vivendo le sue ultime ore: se in qualche modo avallera' la politica statuntense perdera' ogni residua autorita' morale; se non lo fara' e gli Stati Uniti attaccheranno ugualmente sara' la dimostrazione evidente che solo Bush ed i suoi finanziatori sono veri padroni del mondo e delle sue risorse. Ma "questa volta" e' anche accaduto qualcosa di assolutamente diverso dalle volte precedenti: migliaia di gesti di opposizione alla guerra si sono moltiplicati ovunque: c'e' stato chi ha digiunato e chi si e' incatenato ai binari; chi ha marciato e chi ha firmato petizioni; chi ha appeso al balcone la bandiera arcobaleno e chi ha lavorato per lo sciopero generale contro la guerra. Chi si oppone al conflitto, per la prima volta da quando, dieci anni fa, il governo italiano ha iniziato a violare deliberatamente la Costituzione partecipando alla prima guerra del Golfo, e' maggioranza. E assolutamente stonati appaiono gli appelli affinche' le manifestazioni antiguerra rimangano nella "legalita'": bloccare i treni che trasportano armi per una guerra inutile, illegale e criminale e' un gesto nonviolento e di altissimo valore morale. E' il governo che ha violato la legalita' concedendo porti, ferrovie ed infrastrutture per preparare una guerra che la Costituzione esplicitamente vieta, e che neppure l'alleanza atlantica, che non e' certo un'organizzazione pacifica, ne' pacifista, potrebbe giustificare. Incondizionata solidarieta' va percio' espressa ai portuali che hanno dichiarato la loro volonta' di scendere in sciopero se chiamati a collaborare direttamente o indirettamente alla guerra; ma tutte le organizzazioni sindacali dovrebbero anche porsi il problema di come sostenere l'indisponibilita' alla guerra dei lavoratori delle piccole ditte di appalto o subappalto che, a quanto pare, saranno chiamate a movimentare armi nel porto di Livorno. E se armatori marittimi come Grimaldi e Messina metteranno a disposizione i propri traghetti per la guerra, dovranno almeno fare i conti con una pesante caduta di immagine. A Genova, per esempio chi ha finanziato in parte la "bolla" che abbellisce (si fa per dire) l'expo': come concilia questa immagine "buonista e colta" con il trasporto di armi? Tra i mille piccoli gesti di questi giorni si colloca anche l'ora in silenzio per la pace che si tiene ininterrottamente a Genova ogni mercoledi' dai giorni successivi all'attacco alle torri gemelle: si svolgera' anche mercoledi' 12 marzo, dalle 18 alle 19, sui gradini del palazzo ducale di Genova. 9. INIZIATIVE. ANDREA COZZO: LETTERA APERTA ALL'ATENEO DI PALERMO SULLA GUERRA [Ringraziamo Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) per averci inviato questa sua lettera aperta ai colleghi dell'Universita' di Palermo. Andrea Cozzo e' docente universitario di cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano] Gentilissimi Rettore, Preside della Facolta' di Lettere e Filosofia, colleghi docenti e non docenti, studentesse e studenti, in questi mesi, come sapete, ci troviamo davanti ad una situazione internazionale di particolare gravita'. Assistiamo infatti ai preparativi di una guerra all'Iraq nella quale moriranno centinaia di migliaia di esseri umani, non solo militari ma anche civili del tutto inermi, e principalmente anziani, donne e bambini, cioe' quei soggetti che, in particolare in tutti i conflitti dopo la prima guerra mondiale, hanno costituito la maggior parte delle vittime. Basterebbe questo a fare inorridire e a far rifiutare anche la sola idea della liceita' della guerra. Ma per di piu' questa guerra, che con la denominazione di "preventiva" non nasconde di essere una guerra di aggressione (e al popolo iracheno, non certo al dittatore Saddam che tra l'altro, proprio come Bin Laden, era stato armato, prima, dallo stesso Governo Usa) si situa al di la' del diritto internazionale. Con l'Onu o senza, la guerra all'Iraq viene ad infrangere l'art. 2 della Carta dell'Onu stessa e, per quel che riguarda il nostro Paese, l'art. 11 della Costituzione. L'infrazione del diritto internazionale e' stata riconosciuta anche dal Papa e dai popoli stessi che hanno manifestato in tutte le citta' del mondo il 15 febbraio scorso: secondo i mezzi d'informazione si e' trattato di almeno 110 milioni di persone. I Governi prepotenti nei confronti della societa' civile non sembrano darsene per inteso e, anche di fronte al disarmo che Saddam Hussein sta effettuando davanti agli ispettori dell'Onu, continuano irresponsabilmente a minacciare la guerra. Il Governo italiano, concedendo lo spazio aereo e l'uso dei trasporti per i mezzi bellici, si e' fatto complice della preparazione della guerra e andrebbe incriminato per il mancato rispetto del dettato costituzionale. Confesso che non sono preoccupato solo per la sorte degli Iracheni attaccati o per l'infrazione del diritto internazionale e della Costituzione. Sono preoccupato anche, e moltissimo, per le sorti del nostro mondo e del nostro Paese, perche' il terrorismo di Stato, consistente nella guerra, non potra' che alimentare ed espandere ulteriormente in America e in Europa il terrorismo islamico. E allora neanche noi vivremo piu' al sicuro. Siamo di fronte a qualcosa, dunque, che indirizza ancor piu' il mondo verso una strada di sangue e di prepotenza. Non possiamo non fare nulla, non possiamo dire ai nostri figli che noi siamo stati a guardare. Percio', nella "anormale" situazione in cui viviamo non posso svolgere "normalmente" le mie lezioni: cio' ripugna alla mia coscienza. Gia' in tempi non troppo lontani, quando furono uccisi dalla mafia i giudici Falcone e Borsellino, la facolta' di Lettere e Filosofia decise di interrompere, appunto, la normalita' della vita accademica e di indirizzare le lezioni nel senso di un esplicito impegno contro la criminalita' mafiosa. Ritengo che ancor piu' oggi le nostre lezioni, nei modi e nei contenuti, dovrebbero essere mirate esplicitamente contro la guerra e a favore della pace. Pertanto dichiaro che, riservandomi ulteriori azioni nonviolente che spero collettive e diffuse (sciopero ad oltranza o atti di noncollaborazione) nel caso che il Governo decidesse la partecipazione alla guerra contro il popolo iracheno, gia' fin d'ora, come protesta per la politica di appoggio bellico del nostro Governo e per richiamare l'attenzione su di essa, svolgero' le lezioni di Cultura greca non in aula ma presso la Tenda della Pace (vicino Economia e commercio) o in altri luoghi piu' visibili di un'aula, e col taglio di "lezioni per la pace". Ringraziando il Senato Accademico di Palermo per la presa di posizione espressa contro l'ipotesi bellica, invito tutti a non rassegnarsi alla normalita' dell'idea di guerra e a contrastarla pubblicamente con atti nonviolenti e a lavorare per l'organizzazione di uno sciopero. 10. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: PRATICHE DI NONVIOLENZA ATTIVA [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] E' importante seguire da vicino gli effetti delle pratiche di nonviolenza politica. Sappiamo che il governo intende eliminare alcuni vincoli alla legge 185 sul commercio delle armi, approfittando delle modifiche apportate al decreto di ratifica dell'accordo europeo di Farnborough. Da mesi varie associazioni, prevalentemente cattoliche (Pax Christi, Acli, Associazione papa Giovanni XXIII...) sono impegnate in un lavoro di pressing che - anche se non garantisce il successo finale - ha ritardato la possibilita' del varo del nuovo ordinamento,favorevole ad una liberalizzazione sia dei controlli finanziari, sia delle autorizzazioni ai traffici di armamenti. Si e' trattato di diffusione di cartoline da inviare ai parlamentari, di audizioni in commissione parlamentare difesa, di manifestazioni davanti a Camera e Senato che hanno prodotto effetti "di coscienza" (e di immagine elettorale) anche sui deputati della maggioranza di governo che si dichiarano "cattolici" e non osano prendere a schiaffi chi li tallona proprio in nome dei principi poco coerentemente praticati. Accade cosi' che manchi il numero legale e che si interrompano i lavori del Parlamento. E' stato cosi' anche alcuni giorni fa al Senato, nonostante non ci sia stato aiuto da parte della stampa e dei media a far conoscere il nodo politico del problema (teniamo presente che in questi giorni non la Difesa, ma il Miur - nome eloquente del "Ministero dell'istruzione, universita', ricerca" senza piu' l'aggettivazione "pubbliche" - ha firmato un contratto fra l'Agenzia spaziale italiana e l'Alenia per la costruzione del sistema di satelliti che controlleranno il Mediterraneo...) e la possibilita' di condurre un'iniziativa vincente per l'opposizione. Non credo che alla fine la resistenza dei parlamentari pentiti sara' eroica; ma vale la pena di mettere in evidenza - soprattutto agli occhi dei tanti sfiduciati che si lasciano andare pensando che "non c'e' nulla da fare" - quanto sia importante l'uso reiterato delle invasioni di cassette postali ed elettroniche dei parlamentari eletti nei nostri collegi. Perche' anche la democrazia e' nelle nostre mani. 11. APPELLI. PAX CHRISTI: LE CHIESE INVITINO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA [Dagli amici del movimento nonviolento cattolico di Pax Christi (per contatti: paxchristi at tiscali.it) riceviamo e diffondiamo] Non siamo ne' rassegnati ne' pessimisti rispetto alla soluzione della crisi irachena e vogliamo gridarlo con la fierezza che nasce in noi dalla forza della speranza. Troppo sbrigativamente i signori della guerra avevano pensato che la macchina del consenso e della propaganda avrebbe dato risultati certi e che non ci sarebbe stato spazio alcuno per le utopie dei costruttori di pace. Quando lo scorso mese di agosto proponevamo l'appello "Fermiamo la macchia della guerra" in cui chiedevamo ai vescovi italiani di unirsi alla nostra richiesta di pace rivolta al governo e al parlamento del nostro Paese, forse nemmeno noi contavamo su una tale diffusione della sensibilita' a favore della pace. Le tante prese di posizione di vescovi e di comunita' cristiane, cosi' come le bandiere dai balconi e le manifestazioni del 15 febbraio scorso, ci indicano con evidenza che la speranza della pace ha superato persino le nostre utopie, che il desiderio di pace ha contagiato di piu' del virus della guerra e che l'arcobaleno avvolge di colori milioni di persone. Questo conduce molti uomini delle istituzioni ad affermare che: "Non si puo' fare la guerra in queste condizioni". Siamo convinti che questo fremito di speranza che ora preoccupa l'amministrazione americana e quanti ne sostengono la volonta' di dominio, domani potra' essere consapevolmente condiviso da questi come da coloro che tramano per seminare terrore e morte. La brezza della pace e non la tempesta della guerra pieghera' la tirannia in tutte le sue espressioni di violenza. Nel digiuno e nella preghiera abbiamo ringraziato Dio di aver posto parole e gesti di profezia e di parresia (franchezza) nel cuore stesso della Chiesa, sulle labbra del pontefice (costruttore di ponti) e di tante donne e uomini che nel mondo si professano credenti. Anche l'incessante azione diplomatica della Santa Sede ci appare oggi come un segno grandioso di resistenza al male della guerra e di annuncio del vangelo della pace. Se mai i passi della comunita' internazionale dovessero raggiungere l'orlo del precipizio, chiediamo sin da ora che le Chiese non esitino ad invitare ad una corale obiezione di coscienza. A ogni donna e uomo di buona volonta' venga autorevolmente rivolto l'appello a non offrire sostegno e collaborazione alla guerra con le armi o con il proprio lavoro. Guardiamo a questa scelta come all'estrema forma di resistenza di fronte alla guerra che e' stata opportunamente definita "crimine organizzato". Speriamo di non dover mai pervenire a quel momento che vedrebbe la coscienza e la fede contrapporsi alle decisioni dei propri governanti. A quanti in questi mesi hanno organizzato e partecipato a forme di manifestazione e di protesta contro la violenza del terrorismo e della guerra, vogliamo far giungere il nostro incoraggiamento a continuare ad osare la pace. Conosciamo il prezzo della responsabilita' personale che bisogna essere disposti a pagare, sappiamo quale sapore amaro hanno l'incomprensione, la strumentalizzazione e la derisione... ma a tutti chiediamo di continuare a far lievitare la speranza con questi gesti. Sempre vi siano parole e segni capaci di dire no alla guerra senza se e senza ma con gli ideali e gli strumenti di una nonviolenza senza se e senza ma. 12. RIFLESSIONE. COMUNITA' MONASTICA DI CAMALDOLI: "E SE SCOPPIASSE LA PACE..." [Ringraziamo il carissimo Giordano Remondi (per contatti: ed.camaldoli at lina.it) per averci messo a disposizione questo documento della Comunita' monastica di Camaldoli] Scriviamo queste brevi note al termine della giornata di digiuno e di preghiera per la pace che e' stata il mercoledi' delle ceneri, secondo le indicazioni di Giovanni Paolo II, che in questi giorni ha in corso un estremo tentativo di mediazione per scongiurare una guerra ormai strisciante ai confini dell'Iraq: spes contra spem. Ci preme vivamente ora, come monaci, comunicare a voi tutti il sentimento di grande trepidazione per la pace e di indignazione per la guerra che ci ha attraversato negli ultimi due mesi, a partire dalla tradizionale giornata di preghiera per la pace del primo gennaio. Oltre ai documenti e alle prese di posizione di credenti e di laici, di religiosi e politici di tutto il mondo; oltre all'incoraggiamento personale verso coloro che hanno manifestato il 15 febbraio contro la prosecuzione della "guerra del Golfo", siamo stati confortati dalle sagge parole presenti in un breve e accorato comunicato ufficiale (in data 28 gennaio), scritto dai vescovi della Regione Toscana a cui la Comunita' monastica di Camaldoli appartiene. Ci permettiamo di sottolineare i punti che ci hanno maggiormente colpito, che formeranno una specie di "pro-memoria" per il nostro stesso esame di coscienza nel periodo quaresimale. 1. "Fedeli al vangelo della pace" I vescovi alludono alla frase con cui Pietro negli Atti degli Apostoli (10, 34 ss.) riassume l'attivita' del Gesu' terreno. Proprio il volto di Gesu' di Nazaret, che per noi cristiani e' il Figlio di Dio, e' percepito da tanti come "un uomo completamente innocente, che sacrifico' se stesso per il bene degli altri, nemici compresi, e divento' cosi' il riscatto del mondo" (Gandhi). Nel suo mistero di croce e risurrezione il Signore Gesu' e' entrato in profonda comunione con l'umanita', per sempre, e ha invitato i suoi discepoli a farne memoria "nel vincolo della pace", pur in situazioni precarie di gravissimi conflitti. Nella Messa "ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice", lo Spirito Santo eleva a dignita' suprema l'aspirazione alla pace, che gia' alberga nel cuore di ogni donna e ogni uomo, per quanto calpestata tragicamente da gesti disperati dettati dall'odio. 2. "No" ad ogni tipo di guerra "Invitiamo tutte le comunita' ecclesiali... a manifestare con franchezza ai membri del Parlamento e del Governo il profondo desiderio di pace, di giustizia e democrazia del nostro popolo e di tutti i popoli del mondo (a) dicendo un fermo e chiaro "no" all'ipotesi di partecipazione o sostegno alla guerra all'Iraq da parte dell'Italia e (b) chiedendo invece di adoperarsi con ogni mezzo nonviolento perche' in quel paese si affermino i diritti umani e la democrazia". Un imperativo categorico e concretissimo, questo dei vescovi, teso a fermare la spirale della vendetta in conformita' con gli sforzi del papa a Baghdad e a Washington. Siamo preoccupati, e' vero, per questa guerra "preventiva", ma lo siamo per ogni tipo di guerra quale manifestazione massima di una prassi violenta: una persona, un gruppo, uno Stato, persino una religione si auto-identificano con un fine assoluto, irrinunciabile, al punto tale da sentirsi in diritto di eliminare chi ne ostacola o ritarda la realizzazione, oppure, in caso di aggressione o minaccia, vendicarsi, farsi giustizia da se'. Il peccato della guerra, della contrapposizione radicale, "e' accovacciato alla porta" (Gen 4, 7): eredita' di Caino che tuttavia Dio stesso, come sappiamo, vieta di condannare a morte (cfr. Gen 4, 15). 3. La speranza in una cultura di pace "Riaffermiamo l'esigenza di maggiore giustizia distributiva su base planetaria, come fonte di vita e di sviluppo per tutte le aree del mondo da liberare dalla fame e dalla miseria". In attesa della pace e giustizia eterne, il Nuovo Testamento proclama la pace sulla terra, perche' nell'"al di la'" sara' trasformato cio' che viene seminato nell'"al di qua". La Pacem in terris di Giovanni XXIII e' chiara su questo; e mentre ci prefiggiamo di commentarla durante quest'anno in modo da consolidare la fragile "cultura di pace", ricordiamo fin da ora i quattro pilastri su cui si fonda ogni politica di pace, specialmente nei luoghi dove sono sempre attivi i "conflitti dimenticati": la liberta', al posto di ogni restrizione lesiva della dignita' umana; la giustizia, al posto del perdurare di una tragica sperequazione delle risorse (il 20% della popolazione ne detiene l'83% di tutto il pianeta); la verita', al posto della diffusione della menzogna; la carita'/amore, al posto della violenza. 13. INCONTRI. IAIA VANTAGGIATO: IL SOGNO PERDUTO DI ISRAELE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 marzo 2003] Essere ebrei senza rinunciare a criticare le scelte nefaste di Sharon e del suo governo: a farlo, in Israele, sono gia' in tanti - donne e universitari, religiosi e intellettuali laici, persino militari - ma nella diaspora tutto si complica e le resistenze si fanno fortissime. Spesso assumono la forma dell'autocensura o del silenzio, sempre scattano come molle quando ne va di difendersi non tanto dalle critiche esterne quanto dai propri sensi di colpa: parlo perche' non sono li', perche' non vivo nel terrore quotidiano, perche' i miei figli sono liberi di andare a scuola senza rischiare di saltare in aria su autobus carichi di esplosivo. Essere ebrei della diaspora e riuscire lo stesso a criticare Sharon: per farlo ci vuole lucidita' e coraggio ma soprattutto amore e fedelta'. Per Israele, per le "promesse di futuro" che ne hanno segnato la nascita e che ora vengono disattese, per quel sionismo degli inizi che a tutti assicurava riscatto e che - da sogno di uguaglianza che era - si e' progressivamente trasformato in pericolosa ossessione identitaria. Temi dolorosi da trattare, vieppiu' quando si e' coinvolti. Temi aggrovigliati: tanto nel discorso pubblico quanto nella coscienza collettiva, come ha suggerito Simon Levis Sullam nell'introdurre il seminario svoltosi mercoledi' a Venezia - presso il dipartimento di studi storici - e dedicato ad "Antisemitismo, Shoa' e Israele nel discorso pubblico italiano". Temi "difficili" sui quali David Bidussa e Stefano Levi Della Torre - relatori dell'incontro - devono aver riflettuto a lungo tanto le loro parole sono apparse, per l'appunto, lucide e misurate, coraggiose e appassionate. Sono da poco passate le 17 quando ha inizio l'incontro, solo una manciata di ore dopo l'ultimo attentato kamikaze ad Haifa. Ma a Ca' Foscari i cellulari sono spenti e la notizia non arriva che a tarda sera. Si ha tuttavia l'impressione che nulla - neanche l'ennesimo attacco suicida - avrebbe potuto cambiare il tono della riflessione: alto ma mai intellettualistico, ancorato alla realta' ma mai schiacciato sui fatti. A mettere per primo "le carte in tavola" e' Bidussa e il suo, purtroppo, non e' un bluff: Israele ha fallito nel suo compito di garanzia del futuro, nel suo farsi chance culturale laica, nella sua rinuncia a qualsiasi identita' teologica. E ha fallito il sionismo che di Israele, prima ancora che si facesse stato, ha segnato i primi passi. Nato come movimento di laicizzazione della politica, il sionismo ha affidato le sue categorie e il suo lessico laico ad agenzie teologiche che si sono cosi' sentite autorizzate a "raccontarlo". Lo stesso accade in questi giorni alla sinistra europea che affida al lessico teologico della Chiesa il compito di rappresentare le sue istanze laiche contro la guerra. E' dura da dirsi ma Bidussa lo dice: da "nazionalismo di sinistra" - proiettato sul futuro e pronto a liquidare il passato - il sionismo si e' fatto "nazionalismo di destra", difensore dell'esistente. E Levi Della Torre precisa: dall'"io sono cio' che voglio diventare" siamo passati all'"io sono cio' che sono". Irrigidimento, immobilita', adesione totale a se stessi, schieramento incondizionato: e' questa la strada - continua Levi Della Torre - che porta dritta alla guerra, e' questa la mentalita' che dice che c'e' un "tutt'uno" (Islam, Israele, quant'altro) da combattere senza troppi distinguo. E a poco servono gli alibi pret-a-porter: gli ebrei non sono Israele, Israele non e' il governo. In una democrazia - taglia corto Levi Della Torre - i cittadini hanno maggiori responsabilita' che in uno stato non democratico e se intorno a me c'e' un mondo ostile, chissa' che, in fondo, qualche responsabilita' non ce l'abbia anch'io. Io cittadino che forse non ho fatto abbastanza; e io stato che ho forse troppo approfittato di un vantaggio. Ma pericolosissima - continua Bidussa - e' soprattutto la deriva cui conduce la crisi della laicita' della politica. Cio' che rischia di venir meno, infatti, e' il fondamento su cui poggiano le societa' moderne, ovvero la possibilita' di costruire un "centro politico" che sia da tutti riconosciuto e rispettato. Deriva purtroppo raggiunta: l'uccisione di Rabin o il fondamentalismo dei coloni altro non sono che sintomi "di un sistema anarchico ormai privo di centro" che autorizza se stesso a costruire e distruggere qualsiasi ceto politico e in qualsiasi momento. Ovunque una situazione di questo tipo sarebbe ingovernabile, figuriamoci in Israele: piccola societa' ristretta che "si conosce molto", piccolo spazio territoriale dove la vicinanza fra persone traspare persino dalle iscrizioni tombali che insieme ai nomi recano anche i soprannomi di chi muore. Una "societa' confidente" che presuppone comunita' e compattezza politica ed emozionale e che invece, oggi, si trova a dover affrontare inediti e massicci flussi migratori verso l'esterno. E ad andarsene sono i figli di chi, in Israele, era arrivato sessant'anni fa. Ma, allora, perche' si va via da Israele? cos'e' che Israele ha smesso di offrire? Quale la chance andata perduta? La laicita', insiste Bidussa, ovvero "la capacita' di desacralizzare cio' che si e' introiettato come sacro". Ma anche quel meccanismo di costruzione dell'identita' - anche questo proprio del sionismo degli inizi con le sue rappresentazioni di prestanza fisica e di lavoro agreste - che si incardinava su un elemento estetico maschile facendone paradigma di machismo politico. Ora, tra le tante conflittualita' interne, scopriamo che in Israele esiste uno dei movimenti gay piu' forti del mondo cosi' che anche qui - ma e' solo uno tra i tanti possibili esempi - entra in crisi l'idea identitaria nazionalista. Cosi' che ha ragione Levi Della Torre quando afferma che - sullo sfondo del dibattito - restano ancora le esperienze tragiche vissute dagli ebrei nel ventesimo secolo: forte di quelle esperienze, Israele dovrebbe lavorare per la costruzione di grandi baluardi in difesa dei diritti umani e internazionali, scommettere sull'egemonia e non sulla forza. Unica ma non inconfrontabile, a questo serve ancora una memoria non sacralizzata della Shoa'. 14. TESTIMONIANZE. MARIA TERESA GAVAZZA: CON LE DONNE ISRAELIANE E PALESTINESI [Ringraziamo Maria Teresa Gavazza (per contatti: teregav at tin.it) per questo intervento. Maria Teresa Gavazza, storica, docente, e' impegnata da sempre nei movimenti per la pace, di solidarieta', per i diritti umani] Donne israeliane e palestinesi, cosi' lontane e cosi' uguali. Le abbiamo conosciute durante il pellegrinaggio guidato dal vescovo di Alessandria, Fernando Charrier, gli ultimi giorni del febbraio 2003. Un viaggio di pace in una terra martoriata, ricca di religioni, di radici lontane, di storia millenaria. Ho cercato di leggere con occhi al femminile le giornate di guerra, cariche di violenza e di paura, ma contemporaneamente segnate da germi di speranza. La prospettiva di genere mi ha consentito di andare oltre, scoprire una terra altra. Altra da come i media la rappresentano giornalmente: morti, carri armati nei campi profughi, urla disperate di giovani palestinesi al seguito dei funerali dei compagni, sangue sugli autobus israeliani. Fuori dalle polemiche sullo scontro di civilta' o sull'antiamericanismo, o - aberrazione ancora piu' grande - sull'antisemitismo e sulle guerre di religione. Sono state le donne a raccontare: la signora di Ramallah (gia' nonna), nata e vissuta nella lunga guerra, ora piu' che mai disperata e oppressa per questo nuovo conflitto. Il figlio ingegnere (ha studiato negli Usa) e' disoccupato. Gli altri cinque costretti a campare alla giornata, a studiare senza scuole e senza mezzi. Lei, insegnante, lavora con una cooperativa di donne per tessere, cucire oggetti colorati. Tessere cio' che gli altri distruggono, offrire dignita' a chi e' disperato. " Raccontate la verita'. Quello che avete visto", ci ripetono ogni volta. Nel villaggio di Betlemme un'altra madre tenta di mandare il bimbo a scuola, dai francescani. Un giorno si' e due no, per il coprifuoco. Con un sorriso ci racconta della forza e dell'intelligenza dei palestinesi: "Riusciranno a trovare una terza via: stretti tra l'occupazione brutale di Sharon e la lotta terrorista estrema. Questa via deve essere nonviolenta e diplomatica". Ci racconta di come vorrebbe incontrare delle donne israeliane, esprimere il suo annichilimento di fronte alle parole ascoltate in tv: una madre ebrea ogni mattina invia a scuola i due figlioletti su due autobus differenti. Cosi' almeno uno, in caso di attentato, si salvera'. Ragazze israeliane nei bar affollati della Gerusalemme nuova, la zona piu' pericolosa. Perquisizioni accurate all'entrata. Poi giovani volti di donne ebree che amano ascoltare musica e incontrarsi. Poche parole per dirci che la paura uccide la loro giovinezza, il desiderio di conoscere e di uscire dal grande ghetto in cui sono rinchiuse. Vorrebbero viaggiare, tessere legami, offrire speranze. Donne, bambini: gli anelli deboli di una catena di orrore, le vere vittime di una guerra ingiusta che ha preso brutalmente il posto della politica e della trattativa diplomatica. E' una Resistenza civile, silenziosa e paziente: i gesti di chi cerca il latte e le medicine per i bimbi, istruisce i giovani figli, tesse legami con altre donne per un futuro di pace cui ostinatamente continua a credere. Sguardi al femminile che ci hanno accompagnato per tutto il viaggio, sono rimasti nelle nostre menti e nei nostri cuori. Sono le vere spine ficcate nelle coscienze di chi - come noi - vive sicuro in tiepide case, trova tornando a sera cibo caldo e visi amici. L'inquietudine di Primo Levi, i suoi dubbi sulla vera morte del fanatismo nazionalista e della rinuncia alla ragione che genero' Auschwitz, ci spinge ancor di piu' oggi a dire con Brecht: "La matrice che ha partorito questo mostro e' ancora feconda". 15. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA TRAGICA ROUTINE DELLA VIOLENZA [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, e una delle persone piu' lucide e rigorose impegnate nella solidarieta' internazionale] Parlare della questione palestinese non e' facile. Il problema e' scottante, esplosivo, sia alla lettera che metaforicamente, mentre i mass-media tendono a dare voce a coloro che giudicano morali e politicamente comodi i gesti suicidi kamikaze terroristici (e quindi anche le loro vittime innocenti) e coloro che, sul versante opposto, giudicano altrettanto giusta l'oppressione che Israele esercita sulla Palestina da circa cinquant'anni. I primi pensano che uccidere civili israeliani sia un grosso risultato politico o una guerra santa, i secondi pensano che lo sia uccidere o far morire di fame gli altri; e scompaiono gli esseri umani diventando solo pedine di una partita a scacchi. Dobbiamo sempre tenere presente, che si tratta comunque di persone, di corpi dilaniati di uomini e ora anche di donne che si fanno esplodere e che uccidono altri corpi innocenti nelle strade di Tel Aviv o Gerusalemme, nella piu' totale disperazione e perdita di una speranza terrena. Cosi' gli israeliani temono che il loro autobus sia fatto saltare in aria da un attentatore suicida. La risposta, negli omicidi "mirati" da parte dello stato che coinvolge nella rappresaglia intere famiglie e villaggi. Uccisioni quotidiane e spesso indiscriminate di donne, vecchi e bambini; ruspe che spianano case e interi campi profughi, umiliazioni costanti e quotidiane a cui viene sottoposto un popolo che vive rinchiuso in un recinto, senza lavoro, sotto coprifuoco. In questa situazione le due parti sono immobilizzate dalla paura e dall'odio, e il fossato tra quelli che hanno a cuore la Palestina e quelli che amano Israele continua ad allargarsi. Il risultato e' una realta' inconsueta a tal punto che una soluzione ragionevole e razionale e' difficilmente recuperabile. Non solo, l'attacco armato all'Iraq potrebbe trasformate tutto il Medio Oriente in una polveriera incontrollabile. Ha scritto Zvi Schuldiner: "La crociata per portare la democrazia a Baghdad non puo' far dimenticare qualcosa che oggi e' lasciato in secondo piano sui giornali: tre milioni di palestinesi chiusi in un immensa galera dalla sola e grande democrazia del Medio Oriente". Ma, come dire, ormai e' diventata routine. "C'e' una routine quotidiana di individui, armati o meno, uccisi dalle pallottole israeliane, una routine di lutti e veglie funebri, una routine di arresti... Ogni individuo e ogni famiglia palestinese subiscono ogni giorno diverse tipi di routine catastrofiche: ogni santo giorno la vita e' messa a soqquadro. Di routine. Una routine che non fa che crescere. E poiche' e' routine, sfugge totalmente all'attenzione del mondo. (Amica Hass, corrispondente da Ramallah del quotidiano israeliano Ha'aretz). E' la lenta e quotidiana distruzione di un popolo davanti alle telecamere. Una distruzione in diretta. Per documentare questa distruzione, il 13 marzo di un anno fa, a Ramallah e' stato ucciso Raffaele Ciriello, colpito da una raffica partita da un carro armato israeliano. Un medico divenuto fotografo per passione, un veterano del reportage di guerra, era stato in Bosnia, Somalia, Afghanistan. Lui, come altri fotoreporter, ha cercato davanti a questi drammi di dare voce ai piu' deboli, quasi sempre cancellati, ma anche di rendere visibili attraverso la fotografia elementi invisibili, quali aspirazioni, speranze, coesione, solidarieta', partecipazione, di questi popoli martoriati. Nel 2002, secondo Reporter Sans Frontieres, sono stati uccisi 23 giornalisti e tre loro assistenti, 113 giornalisti sono stati arrestati; non dimentichiamoli, perche' con il loro lavoro ci hanno permesso di conoscere tante drammatiche realta' altrimenti condannate all'invisibilita'. 16. LIBRI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA "RECINTI E FINESTRE" DI NAOMI KLEIN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 marzo 2003] Sono passati solo quattro anni. Eppure sembra che ne siano passati venti da quando, in una mattina di dicembre del 1999, gruppi di persone cominciarono a bloccare gli incroci di una citta' nota soprattutto perche' aveva dato i natali alla musica grunge (i Nirvana di Kurt Cobain venivano da li') e perche' sede della piu' importante societa' di software del mondo, la Microsoft di Bill Gates. In quel giorno, cinque, seimila persone riunite per gruppi di affinita', chi mascherato da tartaruga marina, chi indossando una felpa nera con il logo di una universita', chi calzando un cappello da baseball con la sigla di un sindacato, riuscirono in quello che sembrava impossibile fino al giorno prima: fecero fallire la riunione dell'Organizzazione mondiale del commercio. Ed e' proprio il racconto della "rivolta di Seattle" che apre il nuovo libro di Naomi Klein, Recinti e finestre (Baldini & Castoldi, pp. 258, euro 15,80), che sara' in libreria a partire dal prossimo martedi' e che raccoglie molti degli articoli, reportage e saggi scritti dalla giornalista canadese tra il 1999 e il 2002. Questo e' un volume che non ha "ambizioni" teoriche, come invece aveva il precedente No Logo, il testo che ha reso famosa Naomi Klein. Piuttosto e' una storia in tempo reale del movimento no global o, come ama definirlo la stessa autrice, del "movimento dei movimenti". Il fatto che sia composto di brevi testi nulla toglie pero' alla passione con cui sono stati scritti. Leggerli uno dopo l'altro, sebbene siano divisi in cinque aree tematiche (finestre del dissenso, recintare la democrazia, recintare il movimento, capitalizzare il terrore, finestre per la democrazia) e' come veder nuovamente proiettato sullo schermo un film avvincente di cui si conosce l'inizio, i protagonisti principali, ma di cui non si intravede la fine. Si e' detto che l'inizio coincide con la rivolta di Seattle, che uno dei protagonisti e' il movimento, una realta' cosi' piena di potere attrattivo che spinge la stessa autrice a catapultarsi fuori dalla sua sonnacchiosa citta', Montreal, per compiere la sua educazione sentimentale alla politica nelle vie di piccole e grandi citta', dall'opulenta Washington all'inquinatissima Citta' del Messico, dal deserto australiano alla pianura argentina, dalla periferia romana alle favelas brasiliane. Naomi Klein e' una giornalista e certamente non una teorica, "categoria" quest'ultima guardata sempre con sospetto, come si deduce dal graffiante articolo dedicato ai teorici della "sinistra accademica" anglosassone, tutti intenti a catalogare, sezionare, giudicare, "recintare" la realta' attraverso categorie mai messe davvero a confronto proprio con quella stessa realta' che vogliono spiegare. E tuttavia il suo non e' mai un atteggiamento antintellettuale. Si potrebbe dire che il suo lavoro rappresenta molto bene l'attuale rapporto tra intellettuali e movimenti sociali. Gia', perche' proprio questo movimento ha reso evidente un fenomeno che il sociologo di origine polacca Zygmunt Bauman ha considerato irreversibile, la fine cioe' dell'intellettuale, sia quando svolge il ruolo di coscienza critica della societa' o di sacerdote dei valori fondanti della convivenza civile sia quando diventa organico a un progetto di trasformazione della societa'. Tutti quelli che vivono del loro pensiero o di cio' che scrivono sono oramai salariati o "collaboratori coordinati e continuativi" dell'industria culturale, televisione e giornali compresi. Naomi Klein e' una "free lance" e si e' accorta che la costruzione sociale del logo da parte delle imprese vede il concorso attivo proprio di quei lavoratori dell'industria culturale. Soltanto che a un certo punto della sua vita ha deciso, forse perche' figlia di due oppositori della guerra in Vietnam fuggiti in Canada per la loro attivita' politica, che lei mai avrebbe partecipato all'"economia del logo", preferendo diventare, cosi' come hanno fatto molti ricercatori scientifici, docenti universitari, un semplice "nodo", al pari di altri, di una rete sociale di attivisti, condividendo cosi' con altri il loro sapere, senza per questo rivendicare per se' nessuno "status" particolare. Uno dei pregi di Finestre e recinti sta proprio in questa sottolineatura dell'eclissi della figura tradizionale dell'intellettuale e del manifestarsi di un settore della forza-lavoro impegnata nell'industria culturale e che a un certo punto si sottrae alle regole della "fabbrica del consenso" diventando appunto un'attivista. Esemplari a questo proposito sono i continui riferimenti ai media indipendenti messi in campo dal "movimento dei movimenti", media che sono diventati strumenti di battaglia politica nella formazione dell'opinione pubblica, incrinando cosi' il muro di indifferenza dei giornalisti mainstream. Altrettanto importanti sono i richiami che Naomi Klein fa all'esperienza del movimento del software libero e alla sua critica al diritto d'autore, quasi a indicare che quel modello cooperativo di condivisione del sapere e della conoscenza non contesta solo l'uso capitalistico del copyright, ma si candida a possibile modello organizzativo, perche' no, di tutta la forza-lavoro dispersa e frammentata dal capitalismo flessibile. Nell'introduzione, l'autrice sostiene che Recinti e finestre non e' la continuazione di No Logo. Eppure questo volume inizia proprio dove finisce il precedente. Ne e' anzi lo svolgimento dal punto di vista del "movimento dei movimenti" e delle tappe che hanno accompagnato il suo sviluppo. Ci sono i grandi appuntamenti di Praga, Goteborg, Quebec City, Washington, Nizza, Genova, Porto Alegre. Ci sono le discussione pubbliche sulla violenza della polizia, sulla riformabilita' o meno del Wto, della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale; ci sono gli appunti di viaggio sulla crisi di un modello sociale, politico ed economico chiamato neoliberismo a partire dell'insurrezione argentina. Ed e' proprio l'Argentina che torna continuamente nei suoi ultimi scritti, quasi a rappresentare un case study paradigmatico di una caratteristica del "movimento dei movimenti", cioe' quella scelta operata a favore dello svuotamento del potere centrale in vista di un radicale decentramento democratico. Ma se gli attivisti argentini hanno delegittimato il potere politico del loro paese, dando vita contemporaneamente a vere e proprie forme di autorganizzazione sociale, le strade di Buenos Aires portano comunque a quella rottura del monopolio della decisione politica che e' la caratteristica dello stato moderno. Cosa questo significhi e' presto detto: questo arcipelago di gruppi di base, associazioni, sindacati non crede, forse, che la trasformazione debba passare necessariamente per la presa del potere. Ovviamente, nel libro non c'e' traccia di questo linguaggio. Si possono invece trovare i racconti di come funziona un'assemblea di un barrio a Buenos Aires o il reportage sulla marcia zapatista a Citta' del Messico che si conclude con una domanda: la strada da seguire e' quella degli indios del Chiapas quando hanno costituito le loro municipalita' autonome? Il rapporto tra il "movimento dei movimenti" e il potere e' sicuramente uno dei temi ricorrenti di Recinti e finestre, cosi' come frequenti sono i testi dedicati alla presunta crisi o fine del movimento dopo Genova, l'11 Settembre o la guerra in Afghanistan. Con ironia, Naomi Klein ricorda che gia' il giorno dopo la rivolta di Seattle c'era qualche testa d'uovo che scommetteva sulla sua fine imminente, per poi essere smentito dal crescente numero di uomini e di donne disposti/e a fare qualcosa contro il neoliberismo. Un aumento di consenso che, va detto, ha spesso lasciato stupiti anche gli attivisti della prima ora. Sono passati solo quattro anni dalla rivolta di Seattle e questo movimento viene ora definito una "superpotenza" dal "New York Times". Certo molte cose sono cambiate dal 1999, ma tutto sarebbe rimasto come prima se non ci fosse stato un intenso lavorio di preparazione delle iniziative (a questo proposito uno dei testi da segnalare e' quello su una mobilitazione dei poveri del Canada promossa dall'Ontario Coalition Against Poverty). Non siamo di fronte quindi a un movimento carsico, ma a un'alternanza tra un molecolare attivismo di base e manifestazioni pubbliche. Un po' come accade ai sindacati operai, dove al lavoro sindacale quotidiano si alterna lo sciopero. Nessuno pero' si sognerebbe di affermare che la presenza del sindacato e' carsica, cosa che invece accade regolarmente per il "movimento dei movimenti". Chi fa questa lettura vuol cacciare il "movimento dei movimento" nel recinto della testimonianza. Non e' cosi', basti pensare a cosa e' accaduto a Porto Alegre, quando la sinistra tradizionale e' dovuta andare la' per cercare di capire cosa stava accadendo nel mondo. Il macinare iniziative, incontri, interminabili discussioni, picchettaggi, boicottaggi, blocco dei treni, preparare la fuga dei migranti dai centri di detenzione (e' accaduto a Woomera in Australia), fare marce contro la poverta' o per il rispetto dei diritti sociali e umani, e allo stesso tempo comunicare al mondo cio' che si sta facendo, ha fatto diventare il "movimento dei movimenti" forse non una superpotenza, ma un qualcosa che si avvicina all'immagine utilizzata da un economista e storico come Immanuel Wallerstein: quella di una "rivoluzione mondiale" in corso. Finestre e recinti si chiude con una aspra critica della politica estera statunitense. L'autrice di No Logo scrive che la "guerra contro il terrorismo" degli Usa iniziata in Afghanistan puo' essere considerata come il fallimento del "branding" della politica estera americana. Puo' vincere con le armi, ma non riesce a raccogliere consenso. La cosa che invece riesce meglio al "movimento dei movimenti", come ha dimostrato il 15 febbraio. Adesso serve solo bloccare o almeno inceppare la macchina di guerra. 17. RILETTURE. AA. VV.: AUSCHWITZ. IL CAMPO NAZISTA DELLA MORTE AA. VV., Auschwitz. Il campo nazista della morte, Edizioni del Museo statale di Auschwitz-Birkenau, Cracovia 1997, pp. 320. Un libro la cui lettura e' necessaria. 18. RILETTURE. FERRUCCIO FOELKEL: LA RISIERA DI SAN SABBA Ferruccio Foelkel, La risiera di San Sabba, Rizzoli, Milano 2000, pp. 234, euro 7,70. Una ricerca e uno studio sul piu' famigerato lager italiano e sulla persecuzione antisemita a Trieste e nel litorale adriatico. 19. RILETTURE. FABIO GALLUCCIO: I LAGER IN ITALIA Fabio Galluccio, I lager in Italia, Nonluoghi, Civezzano (Tn) 2002, pp. 228, euro 13. Una ricerca che fa riemergere "la memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti". 20. RILETTURE. HERMANN LANGBEIN: UOMINI AD AUSCHWITZ Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz, Mursia, Milano 1984, pp. 536. Un'opera fondamentale di un eroe della Resistenza e testimone della Shoah, con prefazione di Primo Levi. 21. RILETTURE. FREDIANO SESSI: NON DIMENTICARE L'OLOCAUSTO Frediano Sessi, Non dimenticare l'Olocausto, Rizzoli, Milano 2002, pp. XIV + 430, euro 9,90. Un utile testo introduttivo di uno dei piu' impegnati studiosi della Shoah. 22. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 23. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 532 dell'11 marzo 2003
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