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Montalbano si vuole dimettere a causa del G8
- Subject: Montalbano si vuole dimettere a causa del G8
- From: antonio bruno <bruno at aleph.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Mon, 10 Mar 2003 10:17:48 +0100
Fonte: La stampa Web - 9 marzo 2003 http://www.lastampa.it/search/albicerca/ng_articolo.asp?IDarticolo=754932&sezione= NEL NUOVO ROMANZO DI CAMILLERI, «IL GIRO DI BOA», PESA IL RICORDO DEL G8 DI GENOVA: E IL PROTAGONISTA PENSA DI DIMETTERSI DALLA POLIZIA 9/3/2003 NUTTATA fitusa, `nfami, tutta un arramazzarsi, un votati e rivotati, un addrummisciti e un arrisbigliati, un susiti e un curcati. E non per colpa di una mangiatina eccessiva di purpi a strascinasali o di sarde a beccafico fatta la sira avanti, perché almeno una scascione di quell´ affannata insonnia ci sarebbe stata, invece, nossignore, manco questa soddisfazione poteva pigliarsi, la sira avanti aviva avuto lo stomaco accussì stritto che non ci sarebbe passato manco un filo d´ erba. Si era trattato dei pinsèri nìvuri che l´avevano assugliato doppo avere sentito una notizia del telegiornale nazionale. «All´annigatu, petri di `ncoddru» era il detto popolare che veniva esclamato quando una insopportabile serie di disgrazie s´abbatteva su qualche sbinturato. E per lui, che già da qualche mese nuotava alla disperata in mezzo a un mare in timpesta, e si sentiva a tratti perso come un annegato, quella notizia era stata uguale a una vera e propria pitrata tiratagli addosso, anzi una pitrata che l´aviva pigliato preciso `n testa, tramortendolo e facendogli perdere le ultime, debolissime forze. Con un´ariata assolutamente indifferente, la giornalista del tg aveva detto che la Procura di Genova, in merito all´irruzione della polizia alla scuola Diaz nel corso del G8, si era fatta pirsuasa che le due bombe molotov, trovate nella scuola, erano state portate lì dagli stessi poliziotti per giustificare l´irruzione. Questo faceva seguito - aveva continuato la giornalista - alla scoperta che l´agente il quale aveva dichiarato di essere stato vittima di un tentativo di accoltellamento da parte di un no- global, sempre nel corso di quell´irruzione, aveva in realtà mentito: il taglio alla divisa se l´era fatto lui stesso per dimostrare la pericolosità di quei ragazzi che invece, a quanto si andava via via svelando, nella scuola Diaz stavano pacificamente dormendo. Ascutata la notizia, per una mezzorata Montalbano era restato assittato sulla poltrona davanti al televisore, privo della capacità di pinsari, scosso da un misto di raggia e di vrigogna, assammarato di sudore. Non aveva manco trovato la forza di susirisi per rispondere al telefono che stette a squillare a longo. Bastava ragionare tanticchia supra quelle notizie che venivano date col contagocce e con governativa osservanza dalla stampa e dalla televisione per farsi preciso concetto: i suoi compagni e colleghi, a Genova, avevano compiuto un illegale atto di violenza alla scordatina, una specie di vendetta fatta a friddo e per di più fabbricando prove false. Cose che facevano tornare a mente episodi seppelluti della polizia fascista o di quella di Scelba. Poi s´arrisolse ad andare a corcarsi. Mentre si susiva dalla poltrona, il telefono ripigliò la camurria degli squilli. Senza manco rendersene conto, sollevò la cornetta. Era Livia. «Salvo! Dio mio, quanto ti ho chiamato! Stavo cominciando a preoccuparmi! Non sentivi?». «Ho sentito, ma non avevo voglia di rispondere. Non sapevo che eri tu». «Che facevi?». «Niente. Pensavo a quello che hanno detto in televisione». «Sui fatti di Genova?». «Sì». «Ah. Anch´io ho visto il telegiornale». Pausa. E poi: «Vorrei essere lì con te. Vuoi che domani prendo un aereo? Possiamo parlarne assieme, con calma. Vedrai che...». «Livia, ormai c´è poco da dire. In questi ultimi mesi ne abbiamo parlato e riparlato. Stavolta ho preso una decisione seria». «Quale?». «Mi dimetto. Domani vado dal Questore e gli presento le dimissioni. Bonetti-Alderighi ne sarà felicissimo». Livia non reagì subito, tanto che Montalbano ebbe l´ impressione che fosse caduta la linea. «Pronto, Livia? Sei lì?». «Sono qui. Salvo, a mio parere, tu commetti un errore gravissimo ad andartene così». «Così come?». «Arrabbiato e deluso. Tu vuoi lasciare la polizia perché ti senti come chi è stato tradito dalla persona nella quale aveva più fiducia e allora...». «Livia, io non mi sento tradito. Io sono stato tradito. Non si tratta di sensazioni. Ho sempre fatto il mio mestiere con onestà. Da galantomo. Se davo la mia parola a un delinquente, la rispettavo. E perciò sono rispettato. E´ stata la mia forza, lo capisci? Ma ora mi siddriai, m´abbuttai». «Non gridare, ti prego» fece Livia con la voce che le tremava. Montalbano non la sentì. Dintra di lui c´era una rumorata stramma, come se il suo sangue fosse arrivato al punto di bollitura. Continuò. «Manco contro il peggio delinquente ho fabbricato una prova! Mai! Se l´avessi fatto mi sarei messo al suo livello. Allora sì che il mio mestiere di sbirro sarebbe diventato una cosa lorda! Ma ti rendi conto, Livia? Ad assaltare quella scuola e a fabbricare prove false non è stato qualche agente ignorante e violento, c´erano questori e vicequestori, capi della mobile e compagnia bella!». Solo allora capì che a fare quel suono che sentiva nella cornetta erano i singhiozzi di Livia. Respirò profondamente. «Livia?». «Sì». «Ti amo. Buonanotte». Riattaccò. Si curcò. Ed ebbe inizio la nuttata ´nfami. Andrea Camilleri
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