La nonviolenza e' in cammino. 527



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 527 del 6 marzo 2003

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo, passi lungo il cammino della riconciliazione
2. Enrico Peyretti, il digiuno per la pace
3. Brescia social forum, disarmiamo Exa 2003
4. War Resisters International, azioni dirette nonviolente presso le basi
militari
5. 8 marzo a Torino contro la guerra
6. Amelia Alberti, di specchi e di stragi
7. Giancarla Codrignani, cecita'
8. Ausilia Riggi, pensiero delle donne e cultura di pace
9. Giampaolo Musumeci intervista Tara Gandhi
10. Cocis, no a tutte le guerre
11. Riletture: Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea
12. Riletture: Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta'
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: PASSI LUNGO IL CAMMINO DELLA
RICONCILIAZIONE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
I campi della riconciliazione sono vasti. Pochi di essi vengono seminati.
E' sconvolgente notare quanti conflitti diventano ferite segrete nelle vite
delle persone, quanta rabbia, quanto sconforto e senso di impotenza portano
con se'. Io penso che le emozioni di questo tipo siano messaggi che noi
mandiamo a noi stessi, per metterci sull'avviso che qualcosa non va.
La minaccia non e' il conflitto, sebbene possa essere minaccioso il modo in
cui lo gestiamo. Il conflitto puo' essere un buon insegnante, giacche'
attraverso di esso giungiamo alla riconciliazione.
In primo luogo dobbiamo capire la nostra profonda paura di esporre le
differenze e di ammettere il conflitto nelle relazioni. Spesso il
riconoscere differenze e conflitti scuote la visione che abbiamo di noi
stessi. Quanto spesso scegliamo di restare in un dolore familiare, piuttosto
che affrontare cio' che non conosciamo? Una reazione comune al sentirsi
feriti, respinti o ignorati e' l'intestardirsi nel diniego, e procedere a
testa bassa senza tentare una risoluzione, soffocando le emozioni. Il
conflitto ci disturba al punto che rifiutiamo di riconoscerlo, ma esso
continua ad esistere e non sparira' se lo ignoriamo.
A volte tentiamo di ridurre l'ansia relativa al conflitto con un rapido
perdono, pensando che sia necessario dimenticare il disaccordo al piu'
presto possibile. Neppure questo funziona, perche' nega istanze irrisolte,
che continueranno ad avvelenare la relazione.
A volte tentiamo invece il confronto, che e' una mossa sana. Ma se non
teniamo nel conto le condizioni del nostro oppositore, se non capiamo le sue
paure e le sue ansieta', se non riusciamo a parlare ad esse, la
riconciliazione non avverra'. La nostra controparte facilmente sentira' che
la sua parte di verita' e' stata rigettata, ed il conflitto continuera' a
persistere.
*
Quando avvertite per la prima volta scontentezza, risentimento, ecc. in una
relazione, onorate i vostri sentimenti. Non tentate di ignorarli o
soffocarli definendoli meschini, inutili, o vergognosi. Questi messaggi vi
stanno dicendo che dovete prestare attenzione a qualcosa. Esaminate percio'
le vostre motivazioni, approfondite la vostra comprensione di voi stessi
(perche' fate quello che fate, perche' volete o non volete quella relazione)
e della situazione. A volte un semplice spostamento percettivo e' in grado
di fornirvi soluzioni. Se questo non e' sufficiente, dovete andare dalla
persona (o dalle persone) con cui siete in conflitto e dire loro con la
maggior chiarezza possibile come vi sentite. Cercate di parlare senza ferire
l'altro/a, chiedete a lui o a lei di non essere feriti/e.
Se neppure questo dialogo e' servito, una terza persona che non prenda
posizioni ma che faciliti il confronto puo' esservi d'aiuto: la sua presenza
indurra' ambo le parti ad ascoltarsi senza che la paura blocchi la
comunicazione, e ad evitare azioni compulsive. Potete anche chiedere a chi
facilita di incontrare le parti separatamente, secondo il processo suggerito
dal maestro Thich Nhat Hanh: "Riconciliazione e' il comprendere ambo le
parti, l'andare dall'una a descrivere la sofferenza sopportata dalla
seconda, e viceversa".
Naturalmente il risultato desiderabile e' che ambo le parti riconoscano le
rispettive differenze e addivengano ad una nuova soluzione per la loro
relazione. Se cio' non avviene, e' meglio che le parti si separino e
lavorino individualmente per giungere alla comprensione di se stessi e degli
altri.
*
Credo sia bene riflettere molto sulla riconciliazione, proprio perche' siamo
circondati da conflitti, personali e non, e perche' e' la nostra attitudine
nell'agirli a decostruire le fondamenta del sistema del dominio. Se la
stessa paura che guida i guerrafondai al conflitto armato comincia a
strisciare nei costruttori di pace, le tecniche usate finiscono per
assomigliarsi, e la nostra lotta perde il suo cuore.
Quando siamo coscienti del "bene" negli altri, e significativamente nei
nostri oppositori, possiamo divisare azioni che portino alla luce questo
"bene". Possiamo ascoltarli in modo attivo e ricettivo, cosi' non solo
capiremo cosa ci stanno dicendo, ma comunicheremo veramente con essi,
tramite la comune natura umana.
Anche chi usa violenza e' mutilato da cio' che fa. Anche chi usa violenza ha
necessita' di soccorso. L'oppressore e la vittima vanno liberati dalla
degradazione che la violenza impone su entrambi. L'unico vero nemico di un
costruttore di pace e' il convincimento che i problemi umani si possano
risolvere con la violenza.
La protesta e la resistenza sono importanti. Possono essere il preludio
della riconciliazione. La protesta e' un modo per annunciare che si sta
commettendo un'ingiustizia, e' il modo che dice: "Guarda! E presta il tuo
aiuto, perche' questo deve cambiare". Anche la resistenza e' un modo per
dire "No". E' un richiamo alla consapevolezza, il primo passo verso l'azione
diretta nonviolenta. Durante tutta la storia umana, la volonta' di dire "no"
all'ingiustizia e' stata ed e' un atto di supremo coraggio. Entrambi questi
modi, la protesta e la resistenza, possono aprire strade alla
riconciliazione.
La domanda che dobbiamo affrontare successivamente e' pero' questa: "Siamo
capaci di entrare nel cuore dei nostri oppositori, con la protesta e la
resistenza?" Non molto spesso, a parer mio.
Per ottenere questo risultato sembrano necessarie altre azioni, che
risveglino la possibilita' di una guarigione comune. C'e' un detto buddista
che suona piu' o meno cosi': "Se provi rabbia e desiderio di aggressione
verso qualcuno, da' a questa persona un dono." Che tipo di dono potremmo
fare ai nostri oppositori? Che tipo di azioni possiamo mettere in moto, per
insegnare la connessione e l'interdipendenza delle forme della vita? C'e'
una maniera di mostrare ai nostri oppositori l'umanita' che vorremmo loro
mostrassero ad altri? Di invitare la cura, l'ascolto, il rispetto nel nostro
confronto?
Sentirsi in connessione, incoraggiati, sentire di aver valore e significato:
questi sono i doni che possiamo farci l'un l'altro. Possono aiutarci a
restaurare salute e speranza, perche' sono la sostanza della
riconciliazione. Se scegliamo di essere costruttori di pace dobbiamo far
pratica di riconciliazione, giorno dopo giorno, passo dopo passo.

2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: IL DIGIUNO PER LA PACE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate  e nonviolente]
I. La Bibbia
Il senso del digiuno nella Bibbia e' questo: per impegnarsi, l'anima ha
bisogno di atti e atteggiamenti del corpo. Il digiuno non e' una prestazione
ascetica, ma, per chi riconosce il cibo come un dono di Dio, e' un gesto
religioso di umilta' e abbandono, che si compie prima di un'impresa
difficile, per implorare il perdono, per esprimere il lutto per una
disgrazia familiare o nazionale, per ottenere la cessazione di una
calamita', per aprirsi alla luce divina, per prepararsi ad una missione o
all'incontro con Dio. I rischi del digiuno sono il formalismo, denunciato
dai profeti, l'orgoglio e l'ostentazione, denunciati da Gesu'. Per piacere a
Dio il vero digiuno deve essere unito all'amore del prossimo e alla ricerca
della vera giustizia. (Da: Vocabulaire de Theologie Biblique, Ed. du Cerf,
1962).
*
II. Il Corano
"Vi e' prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che furono prima
di voi, nella speranza che voi possiate divenire timorati di Dio". (Corano
2, 183).
Il digiuno islamico, nel mese di Ramadan, dall'alba al tramonto, e' molto
rigoroso. Richiede anche di astenersi da ogni contatto sessuale, di pregare
piu' intensamente, di impegnarsi maggiormente a non litigare, non mentire,
non concepire cattivi desideri. (Da: Alessandro Bausani, L'Islam, Garzanti,
1987, pp. 53-54).
Il digiuno del Ramadan e' concepito come un atto di padronanza di se', di
obbedienza a Dio, ma non ha, come la quaresima cristiana, carattere di
penitenza riparatrice. Il suo valore morale consiste nell'esercizio di
fedelta' al dovere, senza altri osservatori che Dio, nell'abituarsi a
sopportare le avversita', nel far conoscere ai ricchi quanto facciano
soffrire fame e sete, e quindi a renderli compassionevoli verso i poveri.
(Da: Federico Peirone, Il Corano, traduzione e commento, Mondadori 1979,
vol. 2, p. 989).
*
III. Gandhi: il digiuno come strumento per risvegliare le coscienze
Il fine della nonviolenza e' sempre di risvegliare in chi commette il male
quello che di migliore c'e' in lui. La sofferenza si rivolge alla parte
migliore dell'anima del malvagio mentre la ritorsione si rivolge alla parte
peggiore. Nelle circostanze adatte il digiuno e' il migliore strumento in
tal senso. Se i politici non si rendono conte dell'efficacia del digiuno in
campo politico cio' e' dovuto al fatto che si tratta di una utilizzazione
inusitata di questa meravigliosa arma. ("Harijan", 26 luglio 1942, in
Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996,
p. 187].
Il digiuno e' una potente arma (...). Esso non puo' essere intrapreso da
tutti. La semplice capacita' fisica di sopportarlo non e' una qualita'
sufficiente. Il digiuno e' completamente inutile senza una profonda fede in
Dio. Esso non deve mai essere uno sforzo meccanico o una semplice
imitazione. Deve essere ispirato dal profondo dell'anima. Per questo e'
estremamente raro. ("Harijan", 18 marzo 1939, in op. cit., p. 188).
I miei digiuni sono sempre riusciti a risvegliare la coscienza delle persone
che vi partecipavano e di quelle che con essi si cercava di influenzare. Con
quei digiuni non e' stata mai commessa alcuna ingiustizia. In nessun caso in
essi era presente l'idea di esercitare qualsiasi coercizione su qualcuno.
(...) Naturalmente non si puo' negare che i digiuni possono essere realmente
coercitivi. Sono tali i digiuni per scopi egoistici. Un digiuno intrapreso
per estorcere del denaro ad una persona o per qualche altro analogo scopo
personale implicano l'esercizio della coercizione o di influenza illecita.
Non esiterei a schierarmi per la resistenza contro tale illecita influenza.
("Harijan", 9 settembre 1933, in op. cit., pp. 189-190).
[Cinque giorni prima di venire ucciso, Gandhi accettava di interrompere
l'ennesimo digiuno, dopo aver ottenuto non solo la cessazione di gravi
scontri fra indu' e musulmani nella citta' di Nuova Delhi e in altre parti
dell'India, ma commoventi gesti di riconciliazione e di accoglienza con
reciproci doni tra i contendenti]. La cessazione del digiuno e' avvenuta
secondo l'usuale cerimonia di preghiera, durante la quale sono stati
recitati passi delle sacre scritture giapponesi, musulmane e parsi, seguiti
dal mantra: "conducimi dalla falsita' alla verita' / dalle tenebre alla luce
/ dalla morte all'immortalita'". Sono state poi cantate dalle giovinette
dell'ashram un inno indu', l'inno cristiano Quando contemplo l'ammirabile
croce, a cui ha fatto seguito il Ramadhun. Il Maulana Saheb ha portato un
bicchiere di succo di frutta, e Gandhi ha interrotto il digiuno dopo che la
frutta era stata distribuita e divisa tra tutti i presenti. ("Harijan", 25
gennaio 1948, in op. cit., p. 351).
Il digiuno satyagraha, gandhiano, si distingue dal digiuno come pressione
morale e dallo sciopero della fame. Il suo obiettivo e' colpire la coscienza
di colui o coloro che sbagliano, mediante la sofferenza volontaria. (Cfr.
Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, vol. 2,
p. 230).
Quando un missionario americano osservo' a Gandhi che il suo digiuno era
pure una forma di costrizione verso gli altri, egli rispose: "Si', una
costrizione dello stesso genere di quella che Gesu' Cristo esercita su di
voi dall'alto della croce. (...) Resomi conto della mia totale impotenza,
posai la mia testa sul petto di Dio. Tale e' il senso profondo e la portata
del mio digiuno". (Citato in Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza,
Libreria Feltrinelli 1967, ripubblicato da Linea d'Ombra).
*
IV. Danilo Dolci
L'inverno scorso ho visto con i miei occhi anche un neonato morire perche' a
ffamato (...). C'e' un delitto di omissione verso questi nostri fratelli, di
cui dobbiamo pentirci e redimerci. C'e' da muoversi subito. A estremi mali
estremi rimedi. Voglio fare penitenza perche' tutti si diventi piu' buoni.
Prima che muoia un altro bambino di fame, intanto, voglio morire io.
(Lettera aperta agli abitanti di Trappeto, in Sicilia, in Danilo Dolci, Fare
presto (e bene) perche' si muore, De Silva, Torino 1954, p. 11).
*
V. Davanti al male del mondo
Davanti al male del mondo, e in particolare davanti alla guerra e ad ogni
forma di violenza, la persona sensibile pensa: io devo fare qualcosa di
profondamente operativo, piu' profondo delle pur necessarie azioni sociali e
politiche, qualcosa che modifichi l'umanita' in me anzitutto e poi
possibilmente negli altri. La violenza interrompe la vita, rappresentata dal
cibo. Io oso affrontarla rovesciando il suo gioco. Patisco con forza i suoi
colpi per rovesciarne il significato. Mi astengo temporaneamente dal cibo,
per essere insieme alle vittime colpite nella vita, e non lasciarle sole.
Tento di dare a loro qualcosa della mia vita, per vivere insieme, frustrando
i colpi della morte e dei dolori inflitti. Mi rendo, per un poco di tempo,
libero dal bisogno di cibo esterno per attingere a risorse interiori e piu'
alte, che altrimenti rischio di ignorare.
"Io ho un cibo che voi non conoscete", disse Gesu' ai discepoli (Giovanni,
4, 32). Tutti abbiamo un poco di queste risorse, che la violenza e
l'incoscienza ignorano e calpestano. Al ricatto dei poteri violenti, che
pretendono amministrare le risorse di tutti per farci dipendere da loro in
obbedienza, opponiamo un atto di liberta' e di autonomia, simboleggiato
concretamente con l'astenerci dal mangiare, per dire loro: "La nostra vita
non vi appartiene; noi la spendiamo in liberta' e verita'; non ci comperate
l'anima col pane. Nella nostra vita, per breve tempo sospesa, voi avete
l'occasione di vedere smascherato il vostro indebito potere, avete il modo
di pentirvi per le vite che avete affamato e impedito, avete la possibilita'
di riconoscere che anche voi siete bisognosi, come tutti, e che la felicita'
non sta nell'aver potere sugli altri, ma nel condividere la vita nell'aiuto
reciproco e nella giustizia. Quando nessuno sara' costretto al digiuno della
fame e della vita minacciata, nessuno fara' piu' il libero digiuno che e'
pentimento per la corresponsabilita', solidarieta' con le vittime,
rimprovero dei colpevoli. Allora diventera' pienamente possibile mangiare
insieme in un banchetto di giustizia, liberta', fraternita'".

3. APPELLI. BRESCIA SOCIAL FORUM: DISARMIAMO EXA 2003
[Dal Brescia social forum (per contatti: bsf at bresciasocialforum.org)
riceviamo e diffondiamo]
Quest'anno, dal 12 al 15 aprile, Brescia ospita la ventiduesima edizione di
Exa, uno degli appuntamenti espositivi piu' importanti per le maggiori
aziende produttrici di armi leggere e di piccolo calibro a livello mondiale.
Secondo la pubblicistica degli organizzatori l'esposizione promuove l'uso
delle "armi sportive e dell'outdoor". In realta' l'esposizione e' ampliata
alle armi da difesa personale (pistole e revolver in grande quantita'),
articoli antisommossa per le polizie di tutto il mondo (compresi manganelli,
gas lacrimogeni, bersagli in forma di sagome umane, abbigliamento per corpi
speciali) e fucili Sniper (quelli usati dai cecchini che mirano obiettivi
umani), armi che pur non essendo classificate "da guerra", per la legge
italiana, sono state vendute illegalmente (spesso sotto la copertura del
commercio legale, come ci ha ricordato mons. R. Martino, rappresentante
della Santa Sede all'Onu, nel suo intervento alla cinquantaseesima Sessione
Generale dell'Onu dell'ottobre 2001) e usate nell'ultimo decennio nei
conflitti che hanno insanguinato grandi aree del pianeta.
Un'Exa cosiffatta finisce per promuovere non l'attivita' sportiva ma l'idea
di un mondo armato, di una societa' in cui il ricorso alle armi e' diventato
una faccenda banale, cosa di tutti i giorni ed alla portata di tutti/e. Una
mostra che nelle giornate aperte al pubblico viene infatti visitata da
migliaia di semplici cittadini/e, tra cui molti ragazze/i, tante/i delle/i
quali minori.
La societa' che trascolora da quella rassegna e' quella nella quale la
sicurezza viene affidata alle forze speciali, alle polizie d'ogni ordine e
grado e infine al "fai da te", come molte forze politiche - anche
governative - propugnano da tempo e che anche l'attuale ministro della
Difesa on. Martino ha recentemente auspicato, proponendo una modifica della
legge sul porto d'armi nel nostro paese. Una societa' in preda alla paura,
che alimenta e promuove una inaccettabile cultura, con un unico strumento a
sua disposizione: la violenza.
Questa estate il Brescia Social Forum, assieme a numerose associazioni e
organizzazioni cittadine, laiche e religiose, ha sostenuto una iniziativa
per richiedere la modifica del regolamento di Exa 2003. L'appello
sottoscritto formulava, agli organizzatori della rassegna, una semplice
richiesta: esponete esclusivamente cio' che effettivamente viene promosso
nel vostro marchio pubblicitario, "armi sportive e da caccia". Eliminate dal
campionario in mostra tutte le armi da difesa personale e ad uso di corpi
speciali e polizie. Ma anche su questo terreno, quello - minimale - della
stretta coerenza con quanto dichiarato dagli organizzatori stessi nel
marchio pubblicitario della mostra, non c'e' stato nulla da fare: le armi
leggere sono - tutte! - un prodotto come un altro. La ricerca del profitto
non si pone problemi etici, non guarda in faccia a nessuno. Il nostro
appello e' stato respinto.
Il parlamento italiano sta chiudendo in questi giorni la discussione sulle
modifiche alla legge 185 sul controllo e la limitazione del commercio di
armi. Scopo evidente delle proposte di modifica e' rendere molto piu'
permissiva la normativa vigente. E' a nostro avviso di grande importanza
dare sostegno alle campagne in atto nel Paese a difesa della legge 185/90.
Disarmare Exa significa anche denunciare la finanza armata: le connessioni
tra finanza ufficiale e paradisi fiscali, le banche che finanziano il
traffico internazionale di armi, gli Stati che destinano quote importanti
del loro prodotto interno lordo alle spese militari, sottraendole alla spesa
sociale; le lobbies e i potentati che influenzano scelte politiche gravide
di effetti distruttivi nel mondo.
Nell'ultimo decennio due milioni e mezzo di bambini/e sono stati uccisi/e in
conflitti dove sono state usate armi leggere, e cinque milioni sono
diventati/e disabili. Si stima che soltanto in Afghanistan vi siano circa
dieci milioni di armi di piccolo calibro; sette milioni in Africa
Occidentale, circa due milioni in America Centrale. Nei moltissimi conflitti
scoppiati nell'ultimo decennio circa la meta' delle armi complessive
utilizzate per le operazioni di guerra sono delle tipologie prodotte dalle
aziende che espongono ad Exa. Oggi nel mondo circolano cinquecentocinquanta
milioni di armi leggere oltre a quelle usate da polizie ed eserciti.
Nel luglio 2001 il segretario generale dell'Onu ha definito le armi leggere
e di piccolo calibro "armi di distruzione di massa".
L'Italia e' il terzo Paese produttore mondiale di armi leggere. Circa il 90%
delle armi leggere prodotte in Italia viene da Brescia. Crediamo sia venuto
il momento di avviare una riflessione profonda sulla produzione e il
commercio dei sistemi d'arma.
Al termine della campagna che abbiamo intrapreso nel 2002 e' stato avviato
un percorso per la costruzione di un Osservatorio permanente sulle armi
leggere (Opal) attraverso il quale monitorare e studiare la produzione e il
commercio in quel settore, ma anche per riaprire la prospettiva - complessa
e di lungo periodo, ma certo praticabile e ineludibile - della riconversione
dell'industria armiera di natura bellica a produzioni civili, garantendo
reddito e occupazione ai lavoratori. Considerato anche che negli ultimi 10
anni si e' ridotta l'occupazione nel settore armiero bresciano di oltre il
50%. Oltre 3.000 addetti in meno a fronte di un aumento di produzione e di
profitto aziendale. La delocalizzazione, uno dei tanti frutti amari della
globalizzazione neoliberista, ha investito anche questo settore. Crediamo
quindi sia interesse anche dei lavoratori, delle lavoratrci e delle loro
famiglie iniziare a interrogarsi sul complesso di questo sistema produttivo.
Opporsi ad Exa significa anche dire un no concreto e forte a tutte le
guerre, un no concreto e forte alla guerra minacciata all'Iraq dalla
coalizione guidata dagli Stati Uniti d'America. Un'avventura catastrofica
cui anche il nostro governo si e' accodato con solerzia, in violazione
dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana. Una guerra
per garantire non la sicurezza comune, ne' la lotta al terrorismo, bensi' il
dominioimperiale di pochi ricchi sulle piu' importanti risorse del pianeta.
Oggi per il petrolio, domani per l'acqua. Un conflitto che inaugurerebbe la
Guerra Preventiva di Bush, vera e propria aberrazione, svolta di civilta'
verso la catastrofe del diritto e della convivenza internazionale.
Per queste ragioni facciamo appello a tutte le realta' associative,
politiche e sindacali, ai singoli cittadini/e, perche' manifestino in mille
forme pacifiche e chiare l'opposizione alla produzione, alla promozione e
alla diffusione di armi per la difesa personale, per la repressione violenta
della liberta' di pensiero e di manifestazione e per l'uso bellico.
Esprimiamo con la piu' grande varieta' di iniziative, attraverso la
sensibilita' e la storia di ognuna/o, la volonta' e l'auspicio per la
costruzione di un mondo senza armi. Esprimiamo insieme la volonta' di pace e
giustizia proprie di grandissima parte della societa' civile di Brescia e
del Paese.
A Brescia, il 12 e il 15 aprile 2003, in concomitanza con l'esposizione di
Exa.
Le adesioni all'appello, che possono essere tanto a titolo personale quanto
a nome di realta' collettive, devono essere inviate via mail a:
bsf at bresciasocialforum.org

4. APPELLI: WAR RESISTERS' INTERNATIONAL: AZIONI DIRETTE NONVIOLENTE PRESSO
LE BASI MILITARI
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo questo
appello della War Resisters' International (per contatti: WRI, 5 Caledonian
Road, London N1 9DX Britain, e-mail: info at wri-irg.org, sito:
www.wri-irg.org)]
"Rivendicare le basi": War Resisters' International lancia un appello per la
realizzazione di azioni nonviolente presso le basi militari il 5/6 aprile
2003.
War Resistersí International, la rete internazionale di organizzazioni
pacifiste fondata nel 1922, con 90 affiliati in 45 paesi, di cui il
Movimento Nonviolento e' la sezione italiana, chiama ad azioni nonviolente
presso le basi militari da svolgersi nel fine settimana del 5/6 aprile sotto
lo slogan "Rivendicare le basi".
Dopo le imponenti dimostrazioni internazionali che hanno avuto luogo in
tutto il mondo il 15 febbraio e' importante che il movimento per la pace
volga la sua attenzione alle infrastrutture militari che saranno utilizzate
per la guerra all'Iraq.
Sebbene molte delle truppe che verranno impiegate per la guerra si trovino
gia' in Medio Oriente, le infrastrutture militari degli Stati Uniti, della
Gran Bretagna, e di altri paesi coinvolti nella guerra continueranno a
giocare un importante ruolo di supporto: continuera' ad esserci bisogno di
trasportare nel Golfo rifornimenti militari, viveri, munizioni e soldati;
gli aerei decolleranno dalle basi di molti paesi, e i sistemi di
sorveglianza degli Usa e della Nato sparsi nel mondo verranno utilizzati per
guidare l'attacco all'Iraq. Anche se un paese non e' direttamente coinvolto
nella guerra, potrebbero venire impiegate le sue infrastrutture, o le sue
truppe potrebbero rimpiazzare quelle dei paesi coinvolti nella guerra
attualmente impiegate altrove, per esempio in Afghanistan o nei Balcani.
Mentre le manifestazioni del 15 febbraio hanno mostrato la forza
dell'opposizione popolare mondiale alla guerra, e' ora necessario che
accanto al proseguire delle dimostrazioni, delle pressioni a livello
politico, delle veglie e delle altre attivita', il movimento per la pace
faccia un tentativo per danneggiare la macchina bellica.
Nel settembre 2001 War Resisters' International ha pubblicato una
dichiarazione contenente un appello all'obiezione di coscienza alla guerra e
alla resistenza diretta nonviolenta contro la guerra e i suoi preparativi.
Nell'appello per la realizzazione di azioni nonviolente per "Rivendicare le
basi", War Resisters' International esorta il movimento per la pace a
rafforzare il suo impegno per ostacolare la guerra.
Nei mesi passati hanno avuto luogo presso alcune basi militari un certo
numero di azioni ispiratrici. Ispettori civili per il monitoraggio delle
armi sono entrati in diverse basi statunitensi e britanniche del mondo, tra
le altre ad esempio Volkel nei Paesi Bassi e Fairford in Gran Bretagna.
Attivisti contrari alla guerra hanno ostacolato i rifornimenti militari in
Italia, Belgio, Germania, tra gli altri. Attivisti irlandesi sono riusciti
ad impedire agli aerei da trasporto della marina militare statunitense
l'utilizzo dell'aeroporto Shannon.
Queste attivita' hanno un impatto diretto, per quanto piccolo, sulla
macchina bellica.
War Resisters' International invita quindi alla realizzazione di una vasta
serie di azioni nonviolente presso le basi militari, da programmare per il
primo fine settimana di aprile, ovvero per il 5/6 aprile 2003. Le attivita'
possono comprendere:
- ispezioni di monitoraggio delle armi da parte di ispettori civili.
Effettuate controlli delle basi militari del vostro paese per verificare la
presenza di armi di distruzione di massa;
- blocchi nonviolenti presso basi militari, quartieri generali, uffici di
reclutamento, fabbriche di armi;
- veglie e dimostrazioni di fronte alle basi militari;
- e molte altre azioni creative.
Occorre "Rivendicare le basi" dallíesercito, e porle sotto il controllo
civile. Occorre che riusciamo almeno ad essere come granelli di sabbia nelle
ruote della macchina militare.
War Resisters' International, 24 Febbraio 2003

5. INIZIATIVE. 8 MARZO A TORINO CONTRO LA GUERRA
[Siamo grati ad Ausilia Riggi (per contatti: ausiliariggi at tiscalinet.it) per
averci inviato questo documento promosso dai Gruppi della casa delle donne
di Torino e dal Centro interculturale delle donne Almaterra]
Fuori la guerra dalla storia. Fuori l'Italia dalla guerra.
L'8 marzo esprime storicamente le lotte delle donne in ogni parte del mondo,
dalla Russia zarista agli Stati Uniti d'America fin dall'800. E' stata in
molte occasioni una giornata nella quale i movimenti delle donne hanno
affermato le loro diverse istanze di emancipazione e liberazione.
E' stata ed e' anche una giornata della memoria di quelle lotte e di quella
storia.
Nel corso del '900 le organizzazioni delle donne hanno sempre lavorato molto
contro la guerra e per la pace, denunciando con lucidita' l'immenso prezzo
pagato dalle popolazioni civili durante e dopo le guerre.
Spesso quante hanno rifiutato la guerra intrapresa dai propri governi sono
state tacciate di tradimento. In proposito vogliamo ricordare le Donne in
Nero di Israele e di Belgrado che, proprio dall'interno della guerra, hanno
continuato e continuano con determinazione a lottare in modo nonviolento
contro la logica delle armi.
In questi giorni molte e molti, manifestando il proprio rifiuto della guerra
annunciata contro l'Iraq, hanno affermato il proprio diritto e la propria
volonta' di essere cittadine e cittadini nel mondo, assumendosi la
responsabilita' di incidere sulla politica estera dei governi e degli
organismi internazionali.
Noi, donne che rifiutiamo ogni forma di violenza, militarismo, terrorismo e
guerra invitiamo tutte le donne, singole o con le loro associazioni e
organizzazioni, a continuare nell'impegno assunto di contrastare questo
conflitto.
Troviamoci in piazza Castello sabato 8 marzo 2003 a partire dalle ore 15. Ci
incontreremo con quante e quanti nello stesso giorno daranno vita ad altre
manifestazioni. Insieme costruiremo una catena umana intorno alla piazza.
Insieme, un altro mondo senz'armi e' possibile.
Gruppi della casa delle donne di Torino, Centro interculturale delle donne
Almaterra.

6. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: DI SPECCHI E DI STRAGI
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient at tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di
Legambiente e collaboratrice di questo foglio]
"Saddam: il tiranno sara' sconfitto. Bush: l'Iraq verra' disarmato", cosi'
titola "La stampa" del 5 marzo 2003, che sotto al titolo allinea numeri e
mezzi degli uni e degli altri.
I toni sono minacciosi e aggressivi, come e' logico tra contendenti usi alla
violenza piuttosto che al dibattito e al confronto delle opinioni. E gli
insulti volano. Un liberticida da' del tiranno all'altro, un invasore accusa
l'altro di occupazione del suolo altrui. I due si conoscono bene e sanno
dove colpire e quali strali lanciare.
I popoli intanto vengono chiamati alle armi e, come greggi informi, si
allineano nel deserto o a scavare trincee (per ora gli uni paiono giocare
come bambini sulle spiagge, gli altri come ridicoli reduci della prima
guerra mondiale, e intanto missili, puntatori, satelliti e diavolerie ad
altissima tecnologia hanno gia' individuato tutto cio' che va abbattuto, e
pazienza se nei dintorni si troveranno donne, uomini, bambini).

7. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: CECITA'
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento. Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it),
presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio
militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di
liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu'
rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza.
Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema,
Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994]
Dunque, care amiche donne, la situazione "pubblica" e' questa: su tutti i
giornali stanno dalla parte della pace "i cattolici, i no-global, i diesse".
Fine.
Le donne vengono menzionate nel solito ruolo di madri e di "casalinghe" che,
per il pur intelligente Ilvo Diamanti ("Repubblica", 4 febbraio), sono piu'
sensibili alle suggestioni televisive che enfatizzano gli effetti
allarmistici della guerra. Chiara Valentini sull'"Espresso" segnala la
rilevanza del protagonismo femminile nelle manifestazioni, che e' innegabile
(del resto lo e' sempre stata) ma non viene ripagata dalla valorizzazione
politica che pur dovrebbe derivarne.
A prescindere dagli effetti televisivi che agiscono perversamente su tutti,
se anche la scelta preferenziale della pace fosse dovuta alle preoccupazioni
dell'istinto materno, sarebbe sempre opzione migliore di quell'istinto
paterno che opta preferibilmente per il confronto diretto, forza contro
forza.
Mi e' abituale in una situazione di questo genere - purtroppo non e' la
prima - recitare il buon Aristofane, che quasi venticinque secoli fa
raccontava le proteste femminili contro la guerra in corso, inventandosi la
storia di una congiura delle donne delle due parti in lizza che, indetto uno
sciopero sessuale, quando gli uomini stremati mandarono un ambasciatore,
insegnarono che la sola cosa da fare era imitare il loro lavoro di
casalinghe che filano e tessono la lana. Si carda la lana, sbattendo i
bioccoli perche' cada tutta la bruttura e "la corruzione", al fine di
tessere un bell'abito per la citta' e si fa un bell'andirivieni di
trattative come quando la spola va su e giu' per tessere la tela.
Che sarebbe come dire che venticinque secoli fa le donne, a partire dalla
loro quotidianita', erano migliori strateghe dei loro compagni: non per caso
la loro leader si chiamava "dissolvitrice di eserciti (Lisistrata).
Tuttavia, oggi penso che non sia piu' il caso di limitarci a citare la
"differenza" di genere rammaricandoci del suo misconoscimento. Occorre
riconoscere che siamo state socialmente cancellate proprio nella differenza,
se e' vero che tutte le donne giovani, anche se non chiederebbero mai un
tale beneficio per se', riconoscono il diritto di parita' nelle forze
armate.
Non e' colpa nostra, si dira'.
Probabilmente; ma non e' questo che conta. Conta essere perdenti,
soprattutto perche' molte cose giocherebbero a nostro favore. Ci siamo
indubbiamente affidate ancora una volta, pensando che data la loro solidita'
le nostre ragioni teoriche e politiche dovessero essere accolte.
Non e' stato cosi' e non e' neppure seguito l'accoglimento delle nostre
proposte da parte delle donne piu' giovani, che non percepiscono il costo
dei benefici di cui godono con la massima naturalezza e che vivono dentro
una globalizzazione di cui noi non abbiamo avuto esperienza e che le
condiziona senza aver ancora manifestato gli aspetti piu' pericolosi proprio
per le condizioni femminili.
Abbiamo creduto che la sinistra, storica o nuova, sarebbe stata la buona
alleata; abbiamo lavorato per partiti e sindacati; abbiamo fornito molte
idee "miti" a filosofi e politologi senza ricevere neppure citazioni
corrette nelle bibliografie; adesso siamo le ideatrici e le operatrici di
movimenti e di comitati che senza il supporto femminile non avrebbero certo
fatto girotondi e partecipiamo ad ogni forum come se i fratelli si dovessero
comportare meglio dei padri.
Cose note? Non ho dubbi, perche' sono sotto gli occhi di tutte: ne fa fede
la depressione che insidia molte di noi davanti allo stesso dovere
elettorale.
Forse e' tempo di rinnovare le strategie. Che questa della pace sia l'ultima
manifestazione in cui non possiamo far altro che essere popolo della pace
neutro.
E Dio non voglia che il recupero avvenga perche' insegneremo ancora una
volta nella guerra - sempre a carico di tutti - la via costruttiva della
vita che resiste a tutto.

8. RIFLESSIONE. AUSILIA RIGGI: PENSIERO DELLE DONNE E CULTURA DI PACE
[Ringraziamo Ausilia Riggi (per contatti: ausiliariggi at tiscalinet.it) per
averci messo a disposizione questo suo editoriale scritto per il numero di
marzo della bella rivista "Tempi di fraternita'". Ausilia Riggi Pignata,
scrive lei stessa, si e' data un campo circoscritto di impegno per abbattere
la violenza istituzionale quando contrasta con la liberta' di coscienza; e
nello stesso ambito ha particolarmente approfondito il tema "donna e sacro"
(su cui si veda il sito www.donne-cosi.org)]
Tra i temi che via via emergono, questo e' vivamente sentito, dato il
pericolo incombente di una guerra che convince solo chi occupa posti di
potere. Ci ragioniamo su, tentando di fare un'analisi circa le radici di
questa pazzia umana.
*
Il nesso guerra-genere maschile
Collegare il tema scottante della violenza nel mondo di oggi al movimento
femminista comporta cercare un denominatore comune tra due aspetti dello
stesso problema.
Nel nostro discorso prende subito risalto una considerazione: la violenza
nasce dal rapporto sbilanciato tra esseri umani; e il femminismo ha avuto
avvio attraverso la presa di coscienza di una delle conseguenze di tale
squilibrio. Ma e' assurdo ritenere che l'altra meta' del genere umano sia
incapace di fare altrettanto. La tesi che fa risalire il nesso tra violenza
e genere maschile ad una legge di natura si avvalora del dato storico che la
guerra c'e' sempre stata, e spetta agli uomini farla, quasi si trattasse di
una correlazione metastorica e, come tale, immutabile.
Bisogna invece alimentare la fede che e' possibile un'umanita' diversa.
La liberazione dall'oppressione investe gli esseri umani quando prendono
coscienza di poter incidere nel corso storico e mutarlo. Come afferma
Elisabetta Donini, ragionare sui meccanismi di base dell'agire umano
permette di usare qualche strumento in piu' per capire il perche' della
violenza, solo che, lungi dal considerarla fattore naturale irremovibile, si
sappiano indirizzare le potenzialita' umane in un'altra direzione. Sogno
realizzabile solo quando uomini e donne sapranno agire da soggetti concordi
nell'impegno a capovolgere l'assetto delle cose esistenti.
*
Identita' e differenza
Interrogando la storia possiamo constatare che, pur tra mille
contraddizioni, non sono mancati individui e gruppi di individui i quali
hanno saputo rivendicare la loro identita'. La quale si sviluppa
nell'individuo che sa trovare in se stesso i motivi di forza per
realizzarsi. Eppure nessuno esprime il meglio di se' isolatamente. La
differenza non e' valore aggiunto all'identita', ma intrinseca al
riconoscimento dell'altro con cui confrontarsi. Nel combaciare di identita'
e diversita' c'e' il paradigma dell'universo, uno e plurale nella varieta'
infinita delle sue componenti.
Il femminismo non sarebbe il grande fenomeno esplosivo del tempo se restasse
isolato da tutti i movimenti di liberazione, sorti in virtu' della
non-accettazione passiva del retaggio del passato, della voglia di futuro.
Resta il compito di saper incanalare le rivendicazioni dell'appartenenza di
genere, in modo che sfocino nel riconoscimento dell'alterita'.
*
Natura e cultura
Le donne hanno trascorso tante stagioni costellate di progettualita' che
talora sono rimbalzate contro loro stesse. Lo slogan "natura contro cultura"
implicava che si volgesse lo sguardo ad un passato ideale perche'
incontaminato, in grado di offrire i parametri per mettere in questione una
cultura declinata tutta al maschile. Mentre nella donna natura e cultura
andrebbero a braccetto, sarebbero stati soltanto gli uomini a soppiantare la
natura con una cultura che si impone su tutti i piani, con la violenza
propria di chi detiene un potere.
Quando esse si sono accorte del pericolo insito nell'equiparazione tra
"natura femminile e cultura femminile", hanno saputo evitarlo imboccando la
strada giusta per sviluppare cio' che e' implicito nella loro natura in
termini di affermazione della propria identita', uguale per diritto e
diversa in quanto altra da quella maschile.
Resta infatti affidato a tutti, uomini e donne, il compito di smontare il
pregiudizio che spetti solo alle donne proporre nuovi modelli culturali.
Oggi i tempi dovrebbero essere maturi perche' si dilati in tutte le
direzioni la ricerca del piu' sano femminismo.
*
Verso una cultura della pace
Le donne ai sono rese conto dei limiti del rifiuto globale della cultura
costruita lungo l'arco di millenni; e si sono posta la domanda: coniugare
tutto al femminile o fondare una cultura del tutto altra? Una nuova era di
pace inizierebbe anche per via del consolidamento di un pensiero arricchito,
si', delle doti tipicamente femminili, ma tale da contagiare anche gli
uomini di una cultura della vita e del rispetto di tutte le diversita'. Per
procedere in questa direzione bisogna ampliare l'orizzonte umano in tutte le
direzioni. La liberazione della donna passo attraverso la liberazione del
diverso, del marginale, di quanto la traiettoria dell'omologazione lasciava,
lascia cadere fuori da se'.
A ben riflettere passato e futuro non sono separati che da una linea
sottilissima, sempre in movimento, il labile presente. La cultura non puo'
sostituirsi alla natura, come il futuro non puo' cancellare il passato. Per
liberarsi dal passato bisogna inerirlo nel suo processo verso il futuro che
attende... Altrimenti si oscilla tra due opposte posizioni: perpetuare la
cultura della violenza quale fattore (che si presume) connaturato all'uomo,
o sganciarsi dal passato guardando solo al futuro, affidati ad un
altrettanto presunto progresso illimitato.
*
Come fare attecchire il seme della liberta'
Il binomio natura-cultura, visto nell'associazione dei due termini anziche'
nella loro dissociazione, ha smontato il pregiudizio della preminenza sia di
una natura sempre uguale a se stessa sia di una cultura che la soppianta. Il
femminismo e' chiamato a portare il suo contributo perche' il paradigma
dell'identita' nella differenza si estenda al di la' delle conquiste
femminili. Tutto cio' che appare al nostro immaginario di occidentali come
espressione di civilta' - la democrazia, la convivenza pacifica, la
cooperazione di tutti i popoli eccetera - inceppa nel nodo gordiano
dell'incompatibilita' tra diversi.
In genere le societa' hanno elaborato la propria identita' sullo standard
degli assoluti. A fornirli sono state le grandi costruzioni umane:
religione, popolo, nazione, tradizioni e simili. In tutte si nasconde la
corrosione dei motivi di cambiamento per un'idea falsa di identita', quasi
fosse identita'-contro. Perfino il genere maschile si e' impaurito anziche'
"convertirsi" quando ha visto la sicurezza dell'io femminile stargli di
fronte, alla pari.
E' bene che il femminismo, nel ripercorrere la storia del silenzio e della
sottomissione di millenni, maturi la capacita' di non camminare in
solitudine. Nessuno si libera da solo. Il seme della liberta', per
attecchire, ha bisogno non solo della terra dove innestare le sue radici e
del sole che dall'alto ne alimenti la vita. Ci possono essere sterpi e
pietre e aridita' e improvvido pesante piede che schiacci i primi germi.
Se la violenza del potere maschile consacrava, consacra ancora, la
necessita' della guerra, "eterna giustiziera", le donne, ma anche tutti gli
oppressi della terra e coloro che si battono  per vedersi restituita la
propria dignita', sono chiamati ad aprire spazi dove possa svilupparsi il
seme della liberta'.
Ci vogliono soggetti che pervadano di pace l'intero universo.
Il quale ci sta a guardare minaccioso, ma attende i germogli di pace per
tornare a sorriderci dall'alto di un cielo stellato, sgomberato del pattume
che oggi lo rende avaro della sua luce.

9. RIFLESSIONE. GIAMPAOLO MUSUMECI INTERVISTA TARA GANDHI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 marzo 2003]
Il "tour pacifista" di Tara Gandhi Bhattacharjee approda nientemeno che a
Sanremo. La nipote del Mahatma Gandhi, 69 anni, ricevuta dal Papa nelle
scorse settimane, e' stata ospite nei giorni scorsi del mega-ritrovo dei fan
dei Nomadi a Novellara (Re) in occasione del Tributo ad Augusto, e ha
confermato la sua presenza al Festival per giovedi' 6 marzo. Introdurra'
Punjabi Mc, autore del tormentone in salsa indiana che da settimane
imperversa nelle radio, ma certamente dira' due parole sulla guerra, o
meglio, sulla pace. In Italia per diffondere il messaggio del nonno e
raccogliere fondi per il "Progetto Gandhi Indore", un centro di accoglienza
per donne e bambini nell'interno dell'India, Tara ha anche ricevuto la
cittadinanza onoraria di Novellara, oltre a trentamila dollari raccolti per
l'occasione dai fan dei Nomadi, come sempre campioni di generosita'. "Il
Progetto Gandhi a Indore" racconta con un filo di voce la signora Gandhi "e'
molto importante per me: e' un'operazione da centomila dollari che portera'
sollievo a donne e bambini in una delle zone piu' povere dell'India". Da
anni Tara Gandhi viaggia per il mondo per promuovere il messaggio di
nonviolenza del nonno: "Dopo la sua morte Gandhi appartiene a noi tutti"
spiega "Noi tutti siamo parte della sua famiglia. La violenza si combatte
nella vita quotidiana, con i piccoli gesti di ogni giorno". Durante la tre
giorni a Novellara, la signora Gandhi ha visitato il tempio sikh (il secondo
piu' grande d'Europa e punto di riferimento dell'intera comunita' del nord
Italia), e ha inaugurato la mostra fotografica itinerante (al Centro S.
Chiara di Trento fino al 21 marzo, per informazioni sulla mostra e sulle
donazioni: www.fondazionevotigno.it) dedicata al nonno.
- Giampaolo Musumeci: Signora Gandhi, la guerra in Iraq sembra incombere:
vede una soluzione pacifica a questa crisi?
- Tara Gandhi: Non so dire se questa guerra scoppiera' o meno. La societa'
civile sta facendo di tutto per evitarla: dobbiamo avere il coraggio di dire
basta a tutte le guerre, il coraggio di dire no all'odio e no alla vendetta.
- G. M.: La societa' civile sta facendo tutto il possibile: e la politica?
- T. G.: Non lo so. Ma noi dobbiamo andare alla base del problema, alla sua
origine. La guerra, ogni guerra, e' il risultato di paura e non di coraggio.
Noi dobbiamo curare questa grave malattia che affligge il mondo, che e' la
paura e l'odio.
- G. M.: Qual e' il farmaco giusto?
- T. G.: La cultura della pace e del perdono, la preghiera, di noi tutti:
dobbiamo prevenire l'odio e la violenza, non curarli.
- G. M.: Se il male del mondo e' la paura, quali paure agitano i governi del
mondo?
- T. G.: Non so che paure abbiano, ma e' certo che non sono liberi nelle
loro decisioni. I governi mondiali non sono lungimiranti, non pensano al
futuro.
- G. M.: A piu' di 50 anni dalla scomparsa di suo nonno, il suo messaggio e'
ancora efficace?
- T. G.: Si', e il progetto Khadi ne de un esempio: la filosofia
dell'arcolaio e' ancora viva in India. Il filo del Khadi e' una risorsa per
tutti, da' il pane, ma non solo: e' diventato una terapia, una meditazione,
una forza creativa che ci unisce contro la violenza e le divisioni.
- G. M.: Lei spesso parla della forza e dell'importanza delle donne.
- T. G.: Gandhi era una grande uomo e aveva una grande donna al suo fianco:
Kasturbai, madre della nazione indiana. L'India e' stata fatta grazie alle
donne, cosi' come l'Italia deve rendere grazie alle sue donne per quello che
e'.
- G. M.: E' vero che e' appassionata di calcio?
- T. G.: Si', ai campionati del mondo tifo per l'Italia. Mi piacerebbe un
giorno vedere un incontro di calcio India-Italia, allora non saprei per chi
tifare.

10. DOCUMENTI. COCIS: NO A TUTTE LE GUERRE
[Dal sito del Cocis (www.cocis.it) riprendiamo il seguente documento (che -
da un accenno in esso alla legge finanziaria - ci pare risalire a qualche
mese fa). Il Cocis e' una delle piu' importanti reti di ong (organizzazioni
non governative di cooperazione internazionale) italiane]
E' in atto una massiccia campagna di propaganda volta a convincere
l'opinione pubblica dell'Occidente della giustificazione di una guerra
all'Iraq.
Noi non accettiamo "guerre giuste", che bruciano persone, risorse e beni
materiali; che nascondono malamente ingiustizie infinite nel tempo e nello
spazio; che silurano la voglia di cooperazione che noi vogliamo coltivare.
La nostra cultura di cooperanti internazionali impegnati per la pace, per lo
sviluppo delle societa' civili e per la lotta a tutte le esclusioni sociali,
ci chiama a una mobilitazione permanente contro la guerra assieme ai nostri
partner del Sud, con i quali stiamo costruendo un altro mondo dove la guerra
di aggressione non abbia cittadinanza. La guerra e' quanto di piu' lontano
dalla nostra identita' di organizzazioni non governative: noi non possiamo
accettarla perche' contraddice la nostra esistenza ed il nostro impegno
quotidiano.
La politica estera degli Stati Uniti, che dispiega una militarizzazione
senza precedenti ed una incultura di guerra, cerca di imporre lo scontro e
la paura su scala globale, allo scopo di acquisire vantaggi strategici nel
controllo delle materie prime, a cominciare dal petrolio. Questa politica
trova purtroppo l'avallo di alcuni paesi dell'Unione Europea - in prima fila
il Regno Unito e la stessa Italia - e il silenzio imbarazzato di molti
altri, evidenziando ancora una volta la debolezza politica dell'Unione
Europea e le sue contraddizioni interne. E' una politica che, teorizzando il
diritto di ricorrere a condotte unilaterali e applicando sistematicamente i
due pesi e le due misure, viola la legalita' internazionale, i trattati e
tutti gli altri strumenti di diritto internazionale che devono ispirare
relazioni internazionali basate sulla cooperazione e sulla ricerca di
accordi. E' una politica che sta portando al progressivo svilimento del
ruolo delle Nazioni Unite e concentrando tutto il potere decisionale nel
solo e discutibile ambito del Consiglio di Sicurezza.
Questa politica si fa una bandiera dell'American way of life, cioe' del
diritto per gli americani, e solo per loro, di mantenere gli attuali livelli
di vita e di consumi, che sono la causa prima dell'iniqua distribuzione
delle risorse nel mondo e delle minacce all'ambiente da parte di un governo
che si ostina a non firmare il Protocollo di Kyoto e a non sottostare ai
dettami della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra. E' una
politica in cui anche l'aiuto di emergenza diventa funzionale alla strategia
di guerra e ne costituisce anzi una parte essenziale.
Completa la strategia americana l'approccio di Bush ai problemi dello
sviluppo, che gli Usa stanno tentando di imporre in tutte le sedi
internazionali: charity, not rights. Le regole le dettano gli Usa, gli altri
possono solo obbedire, ricevere qualche briciola e ringraziare anche per
aiuti alimentari geneticamente modificati che magari non vogliono. E pagare
per accedere a beni globali in via di completa mercificazione, come l'acqua.
E' un salto indietro di decenni, perche' lo sviluppo e' prima di tutto un
problema di diritti e quindi non puo' essere senza la pace e la giustizia.
Per questo, e per la nostra storia nelle aree di conflitto (Palestina,
Balcani, Centroamerica), le minacce di guerra all'Iraq ci riguardano.
Qualunque azione bellicista e' di segno opposto rispetto al nostro obiettivo
di avanzamento, insieme ai nostri partner dei paesi in cui lavoriamo, verso
un nuovo contratto sociale globale, basato sulla giustizia sociale, la
soluzione pacifica dei conflitti, lo sviluppo umano sostenibile ed una
cooperazione indirizzata alla lotta all'esclusione sociale ed alla
costruzione di una comunita' internazionale che veda la piena partecipazione
di tutti i popoli. Una guerra contro l'Iraq porterebbe ad un'ulteriore
destabilizzazione in Medio Oriente e aggraverebbe ancora il conflitto
israelo-palestinese. Alimenterebbe inoltre, grazie anche alla manipolazione
mediatica, le piu' irrazionali e pericolose spinte allo scontro fra
civilta', al rifiuto del diverso, al razzismo e all'intolleranza.
Riaffermiamo  quindi il nostro no alla guerra, che sia preventiva o comunque
aggettivata, senza se e senza ma, e il nostro appoggio alle iniziative per
la pace della societa' civile e delle reti italiane, europee ed
internazionali.
*
Chiediamo  alle istituzioni italiane e dell'Unione Europea di avere il
coraggio e il realismo di una politica estera anti-militarista, autonoma e
non vassalla dell'amministrazione americana, in modo che:
- la ricerca attiva della pace prenda il posto della incultura della guerra
e della sua accettazione passiva;
- si operi non per una pace qualsiasi o per la pace del piu' forte, ma per
una pace giusta e duratura, basata su accordi equi che garantiscano i
diritti di tutti/e, a partire dal rispetto dei diritti umani e dal diritto
di ogni popolo ad avere un proprio stato, ma anche dall'affermazione di
uguali diritti di accesso alle risorse;
- i processi di democratizzazione negli stati e nelle organizzazioni
internazionali siano sostenuti e rafforzati, a partire dalle istituzioni
finanziare internazionali, la cui scarsa trasparenza non e' piu'
accettabile, e ridando alle Nazioni Unite quel ruolo e quella dignita' che
sono indispensabili alla costruzione di un mondo piu' giusto;
- si sviluppino meccanismi efficaci del rispetto dei diritti umani;
- i Trattati e gli altri accordi internazionali siano ratificati, messi in
atto e rispettati sempre, da parte di tutti e verso tutti, senza doppi
standard;
- sia rilanciata, con risorse adeguate e in direzione dello 0,7% su cui
tutti i paesi ricchi si sono a parole impegnati, la cooperazione
internazionale allo sviluppo, indirizzata alla lotta all'esclusione sociale
e non alla promozione commerciale;
- siano realizzati meccanismi di tassazione delle transazioni finanziarie
speculative, a favore della cooperazione e di altri investimenti nella
societa' e nel suo futuro;
- si intraprendano passi concreti nella direzione di un diverso e piu' equo
modello di sviluppo, a partire dal ridimensionamento della centralita' del
petrolio.
*
Chiediamo al Parlamento italiano di:
- non votare in nessun caso la partecipazione dell'Italia a qualunque
guerra, rispettando l'articolo 11 della Costituzione attualmente vigente e
sostenendo l'appello sottoscritto gia' da numerosi/e parlamentari;
- battersi perche', a partire dalla Finanziaria in discussione, siano
ridotti gli stanziamenti per la Difesa e aumentati quelli per la
cooperazione allo sviluppo e quelli per gli investimenti sociali in Italia;
- mettere all'ordine del giorno del Parlamento l'elaborazione di meccanismi
di tassazione delle transazioni finanziarie speculative;
- elaborare una legislazione che vada nella direzione del disarmo
unilaterale, a partire da misure che scoraggino la fabbricazione di
armamenti e il coinvolgimento delle banche nel loro commercio;
- elaborare una legislazione di appoggio a tutti i soggetti che mettono in
pratica modelli di vita e di consumo compatibili con piu' eque relazioni
Nord-Sud, dal commercio equo al credito etico e al risparmio energetico.
*
Ci impegniamo, come ong del Cocis, a:
- organizzare, partecipare, diffondere e appoggiare le iniziative contro la
guerra a tutti i livelli;
- realizzare iniziative di cooperazione che promuovano e rafforzino quanti/e
si oppongono alla guerra;
- rifiutare collaborazioni, anche indirette, che possano risultare in un
appoggio alla guerra, rifiutando in particolare la collaborazione in aiuti
di emergenza "militarizzati";
- promuovere comportamenti e stili di vita che prefigurino un diverso
modello di sviluppo e, in particolare, tendano a diminuire il consumo di
petrolio e scoraggino le banche che investono nel commercio delle armi.
*
Questo documento sta circolando tra le ong nostre partner nei paesi del Sud
del mondo, del Mediterraneo e dei Balcani con cui realizziamo da molti anni
iniziative comuni.

11. Riletture: LETTERE DEI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, a cura di Piero
Malvezzi e Giovanni Pirelli, Einaudi, Torino 1954, 1975, pp. XXIV + 824. Non
solo e' una lettura indispensabile, ma e' anche una indispensabile
rilettura.

12. RILETTURE. NELSON MANDELA: LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTA'
Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta', Feltrinelli, Milano 1995,
pp. 606, lire 45.000 (ma ve ne e' una successiva edizione economica).
L'autobiografia dell'uomo che ha guidato alla vittoria la lotta contro il
regime dell'apartheid.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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Numero 527 del 6 marzo 2003