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La nonviolenza e' in cammino. 527
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 527
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 5 Mar 2003 20:18:55 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 527 del 6 marzo 2003 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo, passi lungo il cammino della riconciliazione 2. Enrico Peyretti, il digiuno per la pace 3. Brescia social forum, disarmiamo Exa 2003 4. War Resisters International, azioni dirette nonviolente presso le basi militari 5. 8 marzo a Torino contro la guerra 6. Amelia Alberti, di specchi e di stragi 7. Giancarla Codrignani, cecita' 8. Ausilia Riggi, pensiero delle donne e cultura di pace 9. Giampaolo Musumeci intervista Tara Gandhi 10. Cocis, no a tutte le guerre 11. Riletture: Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea 12. Riletture: Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta' 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: PASSI LUNGO IL CAMMINO DELLA RICONCILIAZIONE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] I campi della riconciliazione sono vasti. Pochi di essi vengono seminati. E' sconvolgente notare quanti conflitti diventano ferite segrete nelle vite delle persone, quanta rabbia, quanto sconforto e senso di impotenza portano con se'. Io penso che le emozioni di questo tipo siano messaggi che noi mandiamo a noi stessi, per metterci sull'avviso che qualcosa non va. La minaccia non e' il conflitto, sebbene possa essere minaccioso il modo in cui lo gestiamo. Il conflitto puo' essere un buon insegnante, giacche' attraverso di esso giungiamo alla riconciliazione. In primo luogo dobbiamo capire la nostra profonda paura di esporre le differenze e di ammettere il conflitto nelle relazioni. Spesso il riconoscere differenze e conflitti scuote la visione che abbiamo di noi stessi. Quanto spesso scegliamo di restare in un dolore familiare, piuttosto che affrontare cio' che non conosciamo? Una reazione comune al sentirsi feriti, respinti o ignorati e' l'intestardirsi nel diniego, e procedere a testa bassa senza tentare una risoluzione, soffocando le emozioni. Il conflitto ci disturba al punto che rifiutiamo di riconoscerlo, ma esso continua ad esistere e non sparira' se lo ignoriamo. A volte tentiamo di ridurre l'ansia relativa al conflitto con un rapido perdono, pensando che sia necessario dimenticare il disaccordo al piu' presto possibile. Neppure questo funziona, perche' nega istanze irrisolte, che continueranno ad avvelenare la relazione. A volte tentiamo invece il confronto, che e' una mossa sana. Ma se non teniamo nel conto le condizioni del nostro oppositore, se non capiamo le sue paure e le sue ansieta', se non riusciamo a parlare ad esse, la riconciliazione non avverra'. La nostra controparte facilmente sentira' che la sua parte di verita' e' stata rigettata, ed il conflitto continuera' a persistere. * Quando avvertite per la prima volta scontentezza, risentimento, ecc. in una relazione, onorate i vostri sentimenti. Non tentate di ignorarli o soffocarli definendoli meschini, inutili, o vergognosi. Questi messaggi vi stanno dicendo che dovete prestare attenzione a qualcosa. Esaminate percio' le vostre motivazioni, approfondite la vostra comprensione di voi stessi (perche' fate quello che fate, perche' volete o non volete quella relazione) e della situazione. A volte un semplice spostamento percettivo e' in grado di fornirvi soluzioni. Se questo non e' sufficiente, dovete andare dalla persona (o dalle persone) con cui siete in conflitto e dire loro con la maggior chiarezza possibile come vi sentite. Cercate di parlare senza ferire l'altro/a, chiedete a lui o a lei di non essere feriti/e. Se neppure questo dialogo e' servito, una terza persona che non prenda posizioni ma che faciliti il confronto puo' esservi d'aiuto: la sua presenza indurra' ambo le parti ad ascoltarsi senza che la paura blocchi la comunicazione, e ad evitare azioni compulsive. Potete anche chiedere a chi facilita di incontrare le parti separatamente, secondo il processo suggerito dal maestro Thich Nhat Hanh: "Riconciliazione e' il comprendere ambo le parti, l'andare dall'una a descrivere la sofferenza sopportata dalla seconda, e viceversa". Naturalmente il risultato desiderabile e' che ambo le parti riconoscano le rispettive differenze e addivengano ad una nuova soluzione per la loro relazione. Se cio' non avviene, e' meglio che le parti si separino e lavorino individualmente per giungere alla comprensione di se stessi e degli altri. * Credo sia bene riflettere molto sulla riconciliazione, proprio perche' siamo circondati da conflitti, personali e non, e perche' e' la nostra attitudine nell'agirli a decostruire le fondamenta del sistema del dominio. Se la stessa paura che guida i guerrafondai al conflitto armato comincia a strisciare nei costruttori di pace, le tecniche usate finiscono per assomigliarsi, e la nostra lotta perde il suo cuore. Quando siamo coscienti del "bene" negli altri, e significativamente nei nostri oppositori, possiamo divisare azioni che portino alla luce questo "bene". Possiamo ascoltarli in modo attivo e ricettivo, cosi' non solo capiremo cosa ci stanno dicendo, ma comunicheremo veramente con essi, tramite la comune natura umana. Anche chi usa violenza e' mutilato da cio' che fa. Anche chi usa violenza ha necessita' di soccorso. L'oppressore e la vittima vanno liberati dalla degradazione che la violenza impone su entrambi. L'unico vero nemico di un costruttore di pace e' il convincimento che i problemi umani si possano risolvere con la violenza. La protesta e la resistenza sono importanti. Possono essere il preludio della riconciliazione. La protesta e' un modo per annunciare che si sta commettendo un'ingiustizia, e' il modo che dice: "Guarda! E presta il tuo aiuto, perche' questo deve cambiare". Anche la resistenza e' un modo per dire "No". E' un richiamo alla consapevolezza, il primo passo verso l'azione diretta nonviolenta. Durante tutta la storia umana, la volonta' di dire "no" all'ingiustizia e' stata ed e' un atto di supremo coraggio. Entrambi questi modi, la protesta e la resistenza, possono aprire strade alla riconciliazione. La domanda che dobbiamo affrontare successivamente e' pero' questa: "Siamo capaci di entrare nel cuore dei nostri oppositori, con la protesta e la resistenza?" Non molto spesso, a parer mio. Per ottenere questo risultato sembrano necessarie altre azioni, che risveglino la possibilita' di una guarigione comune. C'e' un detto buddista che suona piu' o meno cosi': "Se provi rabbia e desiderio di aggressione verso qualcuno, da' a questa persona un dono." Che tipo di dono potremmo fare ai nostri oppositori? Che tipo di azioni possiamo mettere in moto, per insegnare la connessione e l'interdipendenza delle forme della vita? C'e' una maniera di mostrare ai nostri oppositori l'umanita' che vorremmo loro mostrassero ad altri? Di invitare la cura, l'ascolto, il rispetto nel nostro confronto? Sentirsi in connessione, incoraggiati, sentire di aver valore e significato: questi sono i doni che possiamo farci l'un l'altro. Possono aiutarci a restaurare salute e speranza, perche' sono la sostanza della riconciliazione. Se scegliamo di essere costruttori di pace dobbiamo far pratica di riconciliazione, giorno dopo giorno, passo dopo passo. 2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: IL DIGIUNO PER LA PACE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] I. La Bibbia Il senso del digiuno nella Bibbia e' questo: per impegnarsi, l'anima ha bisogno di atti e atteggiamenti del corpo. Il digiuno non e' una prestazione ascetica, ma, per chi riconosce il cibo come un dono di Dio, e' un gesto religioso di umilta' e abbandono, che si compie prima di un'impresa difficile, per implorare il perdono, per esprimere il lutto per una disgrazia familiare o nazionale, per ottenere la cessazione di una calamita', per aprirsi alla luce divina, per prepararsi ad una missione o all'incontro con Dio. I rischi del digiuno sono il formalismo, denunciato dai profeti, l'orgoglio e l'ostentazione, denunciati da Gesu'. Per piacere a Dio il vero digiuno deve essere unito all'amore del prossimo e alla ricerca della vera giustizia. (Da: Vocabulaire de Theologie Biblique, Ed. du Cerf, 1962). * II. Il Corano "Vi e' prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che furono prima di voi, nella speranza che voi possiate divenire timorati di Dio". (Corano 2, 183). Il digiuno islamico, nel mese di Ramadan, dall'alba al tramonto, e' molto rigoroso. Richiede anche di astenersi da ogni contatto sessuale, di pregare piu' intensamente, di impegnarsi maggiormente a non litigare, non mentire, non concepire cattivi desideri. (Da: Alessandro Bausani, L'Islam, Garzanti, 1987, pp. 53-54). Il digiuno del Ramadan e' concepito come un atto di padronanza di se', di obbedienza a Dio, ma non ha, come la quaresima cristiana, carattere di penitenza riparatrice. Il suo valore morale consiste nell'esercizio di fedelta' al dovere, senza altri osservatori che Dio, nell'abituarsi a sopportare le avversita', nel far conoscere ai ricchi quanto facciano soffrire fame e sete, e quindi a renderli compassionevoli verso i poveri. (Da: Federico Peirone, Il Corano, traduzione e commento, Mondadori 1979, vol. 2, p. 989). * III. Gandhi: il digiuno come strumento per risvegliare le coscienze Il fine della nonviolenza e' sempre di risvegliare in chi commette il male quello che di migliore c'e' in lui. La sofferenza si rivolge alla parte migliore dell'anima del malvagio mentre la ritorsione si rivolge alla parte peggiore. Nelle circostanze adatte il digiuno e' il migliore strumento in tal senso. Se i politici non si rendono conte dell'efficacia del digiuno in campo politico cio' e' dovuto al fatto che si tratta di una utilizzazione inusitata di questa meravigliosa arma. ("Harijan", 26 luglio 1942, in Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, p. 187]. Il digiuno e' una potente arma (...). Esso non puo' essere intrapreso da tutti. La semplice capacita' fisica di sopportarlo non e' una qualita' sufficiente. Il digiuno e' completamente inutile senza una profonda fede in Dio. Esso non deve mai essere uno sforzo meccanico o una semplice imitazione. Deve essere ispirato dal profondo dell'anima. Per questo e' estremamente raro. ("Harijan", 18 marzo 1939, in op. cit., p. 188). I miei digiuni sono sempre riusciti a risvegliare la coscienza delle persone che vi partecipavano e di quelle che con essi si cercava di influenzare. Con quei digiuni non e' stata mai commessa alcuna ingiustizia. In nessun caso in essi era presente l'idea di esercitare qualsiasi coercizione su qualcuno. (...) Naturalmente non si puo' negare che i digiuni possono essere realmente coercitivi. Sono tali i digiuni per scopi egoistici. Un digiuno intrapreso per estorcere del denaro ad una persona o per qualche altro analogo scopo personale implicano l'esercizio della coercizione o di influenza illecita. Non esiterei a schierarmi per la resistenza contro tale illecita influenza. ("Harijan", 9 settembre 1933, in op. cit., pp. 189-190). [Cinque giorni prima di venire ucciso, Gandhi accettava di interrompere l'ennesimo digiuno, dopo aver ottenuto non solo la cessazione di gravi scontri fra indu' e musulmani nella citta' di Nuova Delhi e in altre parti dell'India, ma commoventi gesti di riconciliazione e di accoglienza con reciproci doni tra i contendenti]. La cessazione del digiuno e' avvenuta secondo l'usuale cerimonia di preghiera, durante la quale sono stati recitati passi delle sacre scritture giapponesi, musulmane e parsi, seguiti dal mantra: "conducimi dalla falsita' alla verita' / dalle tenebre alla luce / dalla morte all'immortalita'". Sono state poi cantate dalle giovinette dell'ashram un inno indu', l'inno cristiano Quando contemplo l'ammirabile croce, a cui ha fatto seguito il Ramadhun. Il Maulana Saheb ha portato un bicchiere di succo di frutta, e Gandhi ha interrotto il digiuno dopo che la frutta era stata distribuita e divisa tra tutti i presenti. ("Harijan", 25 gennaio 1948, in op. cit., p. 351). Il digiuno satyagraha, gandhiano, si distingue dal digiuno come pressione morale e dallo sciopero della fame. Il suo obiettivo e' colpire la coscienza di colui o coloro che sbagliano, mediante la sofferenza volontaria. (Cfr. Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, vol. 2, p. 230). Quando un missionario americano osservo' a Gandhi che il suo digiuno era pure una forma di costrizione verso gli altri, egli rispose: "Si', una costrizione dello stesso genere di quella che Gesu' Cristo esercita su di voi dall'alto della croce. (...) Resomi conto della mia totale impotenza, posai la mia testa sul petto di Dio. Tale e' il senso profondo e la portata del mio digiuno". (Citato in Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Libreria Feltrinelli 1967, ripubblicato da Linea d'Ombra). * IV. Danilo Dolci L'inverno scorso ho visto con i miei occhi anche un neonato morire perche' a ffamato (...). C'e' un delitto di omissione verso questi nostri fratelli, di cui dobbiamo pentirci e redimerci. C'e' da muoversi subito. A estremi mali estremi rimedi. Voglio fare penitenza perche' tutti si diventi piu' buoni. Prima che muoia un altro bambino di fame, intanto, voglio morire io. (Lettera aperta agli abitanti di Trappeto, in Sicilia, in Danilo Dolci, Fare presto (e bene) perche' si muore, De Silva, Torino 1954, p. 11). * V. Davanti al male del mondo Davanti al male del mondo, e in particolare davanti alla guerra e ad ogni forma di violenza, la persona sensibile pensa: io devo fare qualcosa di profondamente operativo, piu' profondo delle pur necessarie azioni sociali e politiche, qualcosa che modifichi l'umanita' in me anzitutto e poi possibilmente negli altri. La violenza interrompe la vita, rappresentata dal cibo. Io oso affrontarla rovesciando il suo gioco. Patisco con forza i suoi colpi per rovesciarne il significato. Mi astengo temporaneamente dal cibo, per essere insieme alle vittime colpite nella vita, e non lasciarle sole. Tento di dare a loro qualcosa della mia vita, per vivere insieme, frustrando i colpi della morte e dei dolori inflitti. Mi rendo, per un poco di tempo, libero dal bisogno di cibo esterno per attingere a risorse interiori e piu' alte, che altrimenti rischio di ignorare. "Io ho un cibo che voi non conoscete", disse Gesu' ai discepoli (Giovanni, 4, 32). Tutti abbiamo un poco di queste risorse, che la violenza e l'incoscienza ignorano e calpestano. Al ricatto dei poteri violenti, che pretendono amministrare le risorse di tutti per farci dipendere da loro in obbedienza, opponiamo un atto di liberta' e di autonomia, simboleggiato concretamente con l'astenerci dal mangiare, per dire loro: "La nostra vita non vi appartiene; noi la spendiamo in liberta' e verita'; non ci comperate l'anima col pane. Nella nostra vita, per breve tempo sospesa, voi avete l'occasione di vedere smascherato il vostro indebito potere, avete il modo di pentirvi per le vite che avete affamato e impedito, avete la possibilita' di riconoscere che anche voi siete bisognosi, come tutti, e che la felicita' non sta nell'aver potere sugli altri, ma nel condividere la vita nell'aiuto reciproco e nella giustizia. Quando nessuno sara' costretto al digiuno della fame e della vita minacciata, nessuno fara' piu' il libero digiuno che e' pentimento per la corresponsabilita', solidarieta' con le vittime, rimprovero dei colpevoli. Allora diventera' pienamente possibile mangiare insieme in un banchetto di giustizia, liberta', fraternita'". 3. APPELLI. BRESCIA SOCIAL FORUM: DISARMIAMO EXA 2003 [Dal Brescia social forum (per contatti: bsf at bresciasocialforum.org) riceviamo e diffondiamo] Quest'anno, dal 12 al 15 aprile, Brescia ospita la ventiduesima edizione di Exa, uno degli appuntamenti espositivi piu' importanti per le maggiori aziende produttrici di armi leggere e di piccolo calibro a livello mondiale. Secondo la pubblicistica degli organizzatori l'esposizione promuove l'uso delle "armi sportive e dell'outdoor". In realta' l'esposizione e' ampliata alle armi da difesa personale (pistole e revolver in grande quantita'), articoli antisommossa per le polizie di tutto il mondo (compresi manganelli, gas lacrimogeni, bersagli in forma di sagome umane, abbigliamento per corpi speciali) e fucili Sniper (quelli usati dai cecchini che mirano obiettivi umani), armi che pur non essendo classificate "da guerra", per la legge italiana, sono state vendute illegalmente (spesso sotto la copertura del commercio legale, come ci ha ricordato mons. R. Martino, rappresentante della Santa Sede all'Onu, nel suo intervento alla cinquantaseesima Sessione Generale dell'Onu dell'ottobre 2001) e usate nell'ultimo decennio nei conflitti che hanno insanguinato grandi aree del pianeta. Un'Exa cosiffatta finisce per promuovere non l'attivita' sportiva ma l'idea di un mondo armato, di una societa' in cui il ricorso alle armi e' diventato una faccenda banale, cosa di tutti i giorni ed alla portata di tutti/e. Una mostra che nelle giornate aperte al pubblico viene infatti visitata da migliaia di semplici cittadini/e, tra cui molti ragazze/i, tante/i delle/i quali minori. La societa' che trascolora da quella rassegna e' quella nella quale la sicurezza viene affidata alle forze speciali, alle polizie d'ogni ordine e grado e infine al "fai da te", come molte forze politiche - anche governative - propugnano da tempo e che anche l'attuale ministro della Difesa on. Martino ha recentemente auspicato, proponendo una modifica della legge sul porto d'armi nel nostro paese. Una societa' in preda alla paura, che alimenta e promuove una inaccettabile cultura, con un unico strumento a sua disposizione: la violenza. Questa estate il Brescia Social Forum, assieme a numerose associazioni e organizzazioni cittadine, laiche e religiose, ha sostenuto una iniziativa per richiedere la modifica del regolamento di Exa 2003. L'appello sottoscritto formulava, agli organizzatori della rassegna, una semplice richiesta: esponete esclusivamente cio' che effettivamente viene promosso nel vostro marchio pubblicitario, "armi sportive e da caccia". Eliminate dal campionario in mostra tutte le armi da difesa personale e ad uso di corpi speciali e polizie. Ma anche su questo terreno, quello - minimale - della stretta coerenza con quanto dichiarato dagli organizzatori stessi nel marchio pubblicitario della mostra, non c'e' stato nulla da fare: le armi leggere sono - tutte! - un prodotto come un altro. La ricerca del profitto non si pone problemi etici, non guarda in faccia a nessuno. Il nostro appello e' stato respinto. Il parlamento italiano sta chiudendo in questi giorni la discussione sulle modifiche alla legge 185 sul controllo e la limitazione del commercio di armi. Scopo evidente delle proposte di modifica e' rendere molto piu' permissiva la normativa vigente. E' a nostro avviso di grande importanza dare sostegno alle campagne in atto nel Paese a difesa della legge 185/90. Disarmare Exa significa anche denunciare la finanza armata: le connessioni tra finanza ufficiale e paradisi fiscali, le banche che finanziano il traffico internazionale di armi, gli Stati che destinano quote importanti del loro prodotto interno lordo alle spese militari, sottraendole alla spesa sociale; le lobbies e i potentati che influenzano scelte politiche gravide di effetti distruttivi nel mondo. Nell'ultimo decennio due milioni e mezzo di bambini/e sono stati uccisi/e in conflitti dove sono state usate armi leggere, e cinque milioni sono diventati/e disabili. Si stima che soltanto in Afghanistan vi siano circa dieci milioni di armi di piccolo calibro; sette milioni in Africa Occidentale, circa due milioni in America Centrale. Nei moltissimi conflitti scoppiati nell'ultimo decennio circa la meta' delle armi complessive utilizzate per le operazioni di guerra sono delle tipologie prodotte dalle aziende che espongono ad Exa. Oggi nel mondo circolano cinquecentocinquanta milioni di armi leggere oltre a quelle usate da polizie ed eserciti. Nel luglio 2001 il segretario generale dell'Onu ha definito le armi leggere e di piccolo calibro "armi di distruzione di massa". L'Italia e' il terzo Paese produttore mondiale di armi leggere. Circa il 90% delle armi leggere prodotte in Italia viene da Brescia. Crediamo sia venuto il momento di avviare una riflessione profonda sulla produzione e il commercio dei sistemi d'arma. Al termine della campagna che abbiamo intrapreso nel 2002 e' stato avviato un percorso per la costruzione di un Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) attraverso il quale monitorare e studiare la produzione e il commercio in quel settore, ma anche per riaprire la prospettiva - complessa e di lungo periodo, ma certo praticabile e ineludibile - della riconversione dell'industria armiera di natura bellica a produzioni civili, garantendo reddito e occupazione ai lavoratori. Considerato anche che negli ultimi 10 anni si e' ridotta l'occupazione nel settore armiero bresciano di oltre il 50%. Oltre 3.000 addetti in meno a fronte di un aumento di produzione e di profitto aziendale. La delocalizzazione, uno dei tanti frutti amari della globalizzazione neoliberista, ha investito anche questo settore. Crediamo quindi sia interesse anche dei lavoratori, delle lavoratrci e delle loro famiglie iniziare a interrogarsi sul complesso di questo sistema produttivo. Opporsi ad Exa significa anche dire un no concreto e forte a tutte le guerre, un no concreto e forte alla guerra minacciata all'Iraq dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti d'America. Un'avventura catastrofica cui anche il nostro governo si e' accodato con solerzia, in violazione dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana. Una guerra per garantire non la sicurezza comune, ne' la lotta al terrorismo, bensi' il dominioimperiale di pochi ricchi sulle piu' importanti risorse del pianeta. Oggi per il petrolio, domani per l'acqua. Un conflitto che inaugurerebbe la Guerra Preventiva di Bush, vera e propria aberrazione, svolta di civilta' verso la catastrofe del diritto e della convivenza internazionale. Per queste ragioni facciamo appello a tutte le realta' associative, politiche e sindacali, ai singoli cittadini/e, perche' manifestino in mille forme pacifiche e chiare l'opposizione alla produzione, alla promozione e alla diffusione di armi per la difesa personale, per la repressione violenta della liberta' di pensiero e di manifestazione e per l'uso bellico. Esprimiamo con la piu' grande varieta' di iniziative, attraverso la sensibilita' e la storia di ognuna/o, la volonta' e l'auspicio per la costruzione di un mondo senza armi. Esprimiamo insieme la volonta' di pace e giustizia proprie di grandissima parte della societa' civile di Brescia e del Paese. A Brescia, il 12 e il 15 aprile 2003, in concomitanza con l'esposizione di Exa. Le adesioni all'appello, che possono essere tanto a titolo personale quanto a nome di realta' collettive, devono essere inviate via mail a: bsf at bresciasocialforum.org 4. APPELLI: WAR RESISTERS' INTERNATIONAL: AZIONI DIRETTE NONVIOLENTE PRESSO LE BASI MILITARI [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo questo appello della War Resisters' International (per contatti: WRI, 5 Caledonian Road, London N1 9DX Britain, e-mail: info at wri-irg.org, sito: www.wri-irg.org)] "Rivendicare le basi": War Resisters' International lancia un appello per la realizzazione di azioni nonviolente presso le basi militari il 5/6 aprile 2003. War Resistersí International, la rete internazionale di organizzazioni pacifiste fondata nel 1922, con 90 affiliati in 45 paesi, di cui il Movimento Nonviolento e' la sezione italiana, chiama ad azioni nonviolente presso le basi militari da svolgersi nel fine settimana del 5/6 aprile sotto lo slogan "Rivendicare le basi". Dopo le imponenti dimostrazioni internazionali che hanno avuto luogo in tutto il mondo il 15 febbraio e' importante che il movimento per la pace volga la sua attenzione alle infrastrutture militari che saranno utilizzate per la guerra all'Iraq. Sebbene molte delle truppe che verranno impiegate per la guerra si trovino gia' in Medio Oriente, le infrastrutture militari degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, e di altri paesi coinvolti nella guerra continueranno a giocare un importante ruolo di supporto: continuera' ad esserci bisogno di trasportare nel Golfo rifornimenti militari, viveri, munizioni e soldati; gli aerei decolleranno dalle basi di molti paesi, e i sistemi di sorveglianza degli Usa e della Nato sparsi nel mondo verranno utilizzati per guidare l'attacco all'Iraq. Anche se un paese non e' direttamente coinvolto nella guerra, potrebbero venire impiegate le sue infrastrutture, o le sue truppe potrebbero rimpiazzare quelle dei paesi coinvolti nella guerra attualmente impiegate altrove, per esempio in Afghanistan o nei Balcani. Mentre le manifestazioni del 15 febbraio hanno mostrato la forza dell'opposizione popolare mondiale alla guerra, e' ora necessario che accanto al proseguire delle dimostrazioni, delle pressioni a livello politico, delle veglie e delle altre attivita', il movimento per la pace faccia un tentativo per danneggiare la macchina bellica. Nel settembre 2001 War Resisters' International ha pubblicato una dichiarazione contenente un appello all'obiezione di coscienza alla guerra e alla resistenza diretta nonviolenta contro la guerra e i suoi preparativi. Nell'appello per la realizzazione di azioni nonviolente per "Rivendicare le basi", War Resisters' International esorta il movimento per la pace a rafforzare il suo impegno per ostacolare la guerra. Nei mesi passati hanno avuto luogo presso alcune basi militari un certo numero di azioni ispiratrici. Ispettori civili per il monitoraggio delle armi sono entrati in diverse basi statunitensi e britanniche del mondo, tra le altre ad esempio Volkel nei Paesi Bassi e Fairford in Gran Bretagna. Attivisti contrari alla guerra hanno ostacolato i rifornimenti militari in Italia, Belgio, Germania, tra gli altri. Attivisti irlandesi sono riusciti ad impedire agli aerei da trasporto della marina militare statunitense l'utilizzo dell'aeroporto Shannon. Queste attivita' hanno un impatto diretto, per quanto piccolo, sulla macchina bellica. War Resisters' International invita quindi alla realizzazione di una vasta serie di azioni nonviolente presso le basi militari, da programmare per il primo fine settimana di aprile, ovvero per il 5/6 aprile 2003. Le attivita' possono comprendere: - ispezioni di monitoraggio delle armi da parte di ispettori civili. Effettuate controlli delle basi militari del vostro paese per verificare la presenza di armi di distruzione di massa; - blocchi nonviolenti presso basi militari, quartieri generali, uffici di reclutamento, fabbriche di armi; - veglie e dimostrazioni di fronte alle basi militari; - e molte altre azioni creative. Occorre "Rivendicare le basi" dallíesercito, e porle sotto il controllo civile. Occorre che riusciamo almeno ad essere come granelli di sabbia nelle ruote della macchina militare. War Resisters' International, 24 Febbraio 2003 5. INIZIATIVE. 8 MARZO A TORINO CONTRO LA GUERRA [Siamo grati ad Ausilia Riggi (per contatti: ausiliariggi at tiscalinet.it) per averci inviato questo documento promosso dai Gruppi della casa delle donne di Torino e dal Centro interculturale delle donne Almaterra] Fuori la guerra dalla storia. Fuori l'Italia dalla guerra. L'8 marzo esprime storicamente le lotte delle donne in ogni parte del mondo, dalla Russia zarista agli Stati Uniti d'America fin dall'800. E' stata in molte occasioni una giornata nella quale i movimenti delle donne hanno affermato le loro diverse istanze di emancipazione e liberazione. E' stata ed e' anche una giornata della memoria di quelle lotte e di quella storia. Nel corso del '900 le organizzazioni delle donne hanno sempre lavorato molto contro la guerra e per la pace, denunciando con lucidita' l'immenso prezzo pagato dalle popolazioni civili durante e dopo le guerre. Spesso quante hanno rifiutato la guerra intrapresa dai propri governi sono state tacciate di tradimento. In proposito vogliamo ricordare le Donne in Nero di Israele e di Belgrado che, proprio dall'interno della guerra, hanno continuato e continuano con determinazione a lottare in modo nonviolento contro la logica delle armi. In questi giorni molte e molti, manifestando il proprio rifiuto della guerra annunciata contro l'Iraq, hanno affermato il proprio diritto e la propria volonta' di essere cittadine e cittadini nel mondo, assumendosi la responsabilita' di incidere sulla politica estera dei governi e degli organismi internazionali. Noi, donne che rifiutiamo ogni forma di violenza, militarismo, terrorismo e guerra invitiamo tutte le donne, singole o con le loro associazioni e organizzazioni, a continuare nell'impegno assunto di contrastare questo conflitto. Troviamoci in piazza Castello sabato 8 marzo 2003 a partire dalle ore 15. Ci incontreremo con quante e quanti nello stesso giorno daranno vita ad altre manifestazioni. Insieme costruiremo una catena umana intorno alla piazza. Insieme, un altro mondo senz'armi e' possibile. Gruppi della casa delle donne di Torino, Centro interculturale delle donne Almaterra. 6. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: DI SPECCHI E DI STRAGI [Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient at tiscalinet.it) per questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente e collaboratrice di questo foglio] "Saddam: il tiranno sara' sconfitto. Bush: l'Iraq verra' disarmato", cosi' titola "La stampa" del 5 marzo 2003, che sotto al titolo allinea numeri e mezzi degli uni e degli altri. I toni sono minacciosi e aggressivi, come e' logico tra contendenti usi alla violenza piuttosto che al dibattito e al confronto delle opinioni. E gli insulti volano. Un liberticida da' del tiranno all'altro, un invasore accusa l'altro di occupazione del suolo altrui. I due si conoscono bene e sanno dove colpire e quali strali lanciare. I popoli intanto vengono chiamati alle armi e, come greggi informi, si allineano nel deserto o a scavare trincee (per ora gli uni paiono giocare come bambini sulle spiagge, gli altri come ridicoli reduci della prima guerra mondiale, e intanto missili, puntatori, satelliti e diavolerie ad altissima tecnologia hanno gia' individuato tutto cio' che va abbattuto, e pazienza se nei dintorni si troveranno donne, uomini, bambini). 7. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: CECITA' [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento. Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it), presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Dunque, care amiche donne, la situazione "pubblica" e' questa: su tutti i giornali stanno dalla parte della pace "i cattolici, i no-global, i diesse". Fine. Le donne vengono menzionate nel solito ruolo di madri e di "casalinghe" che, per il pur intelligente Ilvo Diamanti ("Repubblica", 4 febbraio), sono piu' sensibili alle suggestioni televisive che enfatizzano gli effetti allarmistici della guerra. Chiara Valentini sull'"Espresso" segnala la rilevanza del protagonismo femminile nelle manifestazioni, che e' innegabile (del resto lo e' sempre stata) ma non viene ripagata dalla valorizzazione politica che pur dovrebbe derivarne. A prescindere dagli effetti televisivi che agiscono perversamente su tutti, se anche la scelta preferenziale della pace fosse dovuta alle preoccupazioni dell'istinto materno, sarebbe sempre opzione migliore di quell'istinto paterno che opta preferibilmente per il confronto diretto, forza contro forza. Mi e' abituale in una situazione di questo genere - purtroppo non e' la prima - recitare il buon Aristofane, che quasi venticinque secoli fa raccontava le proteste femminili contro la guerra in corso, inventandosi la storia di una congiura delle donne delle due parti in lizza che, indetto uno sciopero sessuale, quando gli uomini stremati mandarono un ambasciatore, insegnarono che la sola cosa da fare era imitare il loro lavoro di casalinghe che filano e tessono la lana. Si carda la lana, sbattendo i bioccoli perche' cada tutta la bruttura e "la corruzione", al fine di tessere un bell'abito per la citta' e si fa un bell'andirivieni di trattative come quando la spola va su e giu' per tessere la tela. Che sarebbe come dire che venticinque secoli fa le donne, a partire dalla loro quotidianita', erano migliori strateghe dei loro compagni: non per caso la loro leader si chiamava "dissolvitrice di eserciti (Lisistrata). Tuttavia, oggi penso che non sia piu' il caso di limitarci a citare la "differenza" di genere rammaricandoci del suo misconoscimento. Occorre riconoscere che siamo state socialmente cancellate proprio nella differenza, se e' vero che tutte le donne giovani, anche se non chiederebbero mai un tale beneficio per se', riconoscono il diritto di parita' nelle forze armate. Non e' colpa nostra, si dira'. Probabilmente; ma non e' questo che conta. Conta essere perdenti, soprattutto perche' molte cose giocherebbero a nostro favore. Ci siamo indubbiamente affidate ancora una volta, pensando che data la loro solidita' le nostre ragioni teoriche e politiche dovessero essere accolte. Non e' stato cosi' e non e' neppure seguito l'accoglimento delle nostre proposte da parte delle donne piu' giovani, che non percepiscono il costo dei benefici di cui godono con la massima naturalezza e che vivono dentro una globalizzazione di cui noi non abbiamo avuto esperienza e che le condiziona senza aver ancora manifestato gli aspetti piu' pericolosi proprio per le condizioni femminili. Abbiamo creduto che la sinistra, storica o nuova, sarebbe stata la buona alleata; abbiamo lavorato per partiti e sindacati; abbiamo fornito molte idee "miti" a filosofi e politologi senza ricevere neppure citazioni corrette nelle bibliografie; adesso siamo le ideatrici e le operatrici di movimenti e di comitati che senza il supporto femminile non avrebbero certo fatto girotondi e partecipiamo ad ogni forum come se i fratelli si dovessero comportare meglio dei padri. Cose note? Non ho dubbi, perche' sono sotto gli occhi di tutte: ne fa fede la depressione che insidia molte di noi davanti allo stesso dovere elettorale. Forse e' tempo di rinnovare le strategie. Che questa della pace sia l'ultima manifestazione in cui non possiamo far altro che essere popolo della pace neutro. E Dio non voglia che il recupero avvenga perche' insegneremo ancora una volta nella guerra - sempre a carico di tutti - la via costruttiva della vita che resiste a tutto. 8. RIFLESSIONE. AUSILIA RIGGI: PENSIERO DELLE DONNE E CULTURA DI PACE [Ringraziamo Ausilia Riggi (per contatti: ausiliariggi at tiscalinet.it) per averci messo a disposizione questo suo editoriale scritto per il numero di marzo della bella rivista "Tempi di fraternita'". Ausilia Riggi Pignata, scrive lei stessa, si e' data un campo circoscritto di impegno per abbattere la violenza istituzionale quando contrasta con la liberta' di coscienza; e nello stesso ambito ha particolarmente approfondito il tema "donna e sacro" (su cui si veda il sito www.donne-cosi.org)] Tra i temi che via via emergono, questo e' vivamente sentito, dato il pericolo incombente di una guerra che convince solo chi occupa posti di potere. Ci ragioniamo su, tentando di fare un'analisi circa le radici di questa pazzia umana. * Il nesso guerra-genere maschile Collegare il tema scottante della violenza nel mondo di oggi al movimento femminista comporta cercare un denominatore comune tra due aspetti dello stesso problema. Nel nostro discorso prende subito risalto una considerazione: la violenza nasce dal rapporto sbilanciato tra esseri umani; e il femminismo ha avuto avvio attraverso la presa di coscienza di una delle conseguenze di tale squilibrio. Ma e' assurdo ritenere che l'altra meta' del genere umano sia incapace di fare altrettanto. La tesi che fa risalire il nesso tra violenza e genere maschile ad una legge di natura si avvalora del dato storico che la guerra c'e' sempre stata, e spetta agli uomini farla, quasi si trattasse di una correlazione metastorica e, come tale, immutabile. Bisogna invece alimentare la fede che e' possibile un'umanita' diversa. La liberazione dall'oppressione investe gli esseri umani quando prendono coscienza di poter incidere nel corso storico e mutarlo. Come afferma Elisabetta Donini, ragionare sui meccanismi di base dell'agire umano permette di usare qualche strumento in piu' per capire il perche' della violenza, solo che, lungi dal considerarla fattore naturale irremovibile, si sappiano indirizzare le potenzialita' umane in un'altra direzione. Sogno realizzabile solo quando uomini e donne sapranno agire da soggetti concordi nell'impegno a capovolgere l'assetto delle cose esistenti. * Identita' e differenza Interrogando la storia possiamo constatare che, pur tra mille contraddizioni, non sono mancati individui e gruppi di individui i quali hanno saputo rivendicare la loro identita'. La quale si sviluppa nell'individuo che sa trovare in se stesso i motivi di forza per realizzarsi. Eppure nessuno esprime il meglio di se' isolatamente. La differenza non e' valore aggiunto all'identita', ma intrinseca al riconoscimento dell'altro con cui confrontarsi. Nel combaciare di identita' e diversita' c'e' il paradigma dell'universo, uno e plurale nella varieta' infinita delle sue componenti. Il femminismo non sarebbe il grande fenomeno esplosivo del tempo se restasse isolato da tutti i movimenti di liberazione, sorti in virtu' della non-accettazione passiva del retaggio del passato, della voglia di futuro. Resta il compito di saper incanalare le rivendicazioni dell'appartenenza di genere, in modo che sfocino nel riconoscimento dell'alterita'. * Natura e cultura Le donne hanno trascorso tante stagioni costellate di progettualita' che talora sono rimbalzate contro loro stesse. Lo slogan "natura contro cultura" implicava che si volgesse lo sguardo ad un passato ideale perche' incontaminato, in grado di offrire i parametri per mettere in questione una cultura declinata tutta al maschile. Mentre nella donna natura e cultura andrebbero a braccetto, sarebbero stati soltanto gli uomini a soppiantare la natura con una cultura che si impone su tutti i piani, con la violenza propria di chi detiene un potere. Quando esse si sono accorte del pericolo insito nell'equiparazione tra "natura femminile e cultura femminile", hanno saputo evitarlo imboccando la strada giusta per sviluppare cio' che e' implicito nella loro natura in termini di affermazione della propria identita', uguale per diritto e diversa in quanto altra da quella maschile. Resta infatti affidato a tutti, uomini e donne, il compito di smontare il pregiudizio che spetti solo alle donne proporre nuovi modelli culturali. Oggi i tempi dovrebbero essere maturi perche' si dilati in tutte le direzioni la ricerca del piu' sano femminismo. * Verso una cultura della pace Le donne ai sono rese conto dei limiti del rifiuto globale della cultura costruita lungo l'arco di millenni; e si sono posta la domanda: coniugare tutto al femminile o fondare una cultura del tutto altra? Una nuova era di pace inizierebbe anche per via del consolidamento di un pensiero arricchito, si', delle doti tipicamente femminili, ma tale da contagiare anche gli uomini di una cultura della vita e del rispetto di tutte le diversita'. Per procedere in questa direzione bisogna ampliare l'orizzonte umano in tutte le direzioni. La liberazione della donna passo attraverso la liberazione del diverso, del marginale, di quanto la traiettoria dell'omologazione lasciava, lascia cadere fuori da se'. A ben riflettere passato e futuro non sono separati che da una linea sottilissima, sempre in movimento, il labile presente. La cultura non puo' sostituirsi alla natura, come il futuro non puo' cancellare il passato. Per liberarsi dal passato bisogna inerirlo nel suo processo verso il futuro che attende... Altrimenti si oscilla tra due opposte posizioni: perpetuare la cultura della violenza quale fattore (che si presume) connaturato all'uomo, o sganciarsi dal passato guardando solo al futuro, affidati ad un altrettanto presunto progresso illimitato. * Come fare attecchire il seme della liberta' Il binomio natura-cultura, visto nell'associazione dei due termini anziche' nella loro dissociazione, ha smontato il pregiudizio della preminenza sia di una natura sempre uguale a se stessa sia di una cultura che la soppianta. Il femminismo e' chiamato a portare il suo contributo perche' il paradigma dell'identita' nella differenza si estenda al di la' delle conquiste femminili. Tutto cio' che appare al nostro immaginario di occidentali come espressione di civilta' - la democrazia, la convivenza pacifica, la cooperazione di tutti i popoli eccetera - inceppa nel nodo gordiano dell'incompatibilita' tra diversi. In genere le societa' hanno elaborato la propria identita' sullo standard degli assoluti. A fornirli sono state le grandi costruzioni umane: religione, popolo, nazione, tradizioni e simili. In tutte si nasconde la corrosione dei motivi di cambiamento per un'idea falsa di identita', quasi fosse identita'-contro. Perfino il genere maschile si e' impaurito anziche' "convertirsi" quando ha visto la sicurezza dell'io femminile stargli di fronte, alla pari. E' bene che il femminismo, nel ripercorrere la storia del silenzio e della sottomissione di millenni, maturi la capacita' di non camminare in solitudine. Nessuno si libera da solo. Il seme della liberta', per attecchire, ha bisogno non solo della terra dove innestare le sue radici e del sole che dall'alto ne alimenti la vita. Ci possono essere sterpi e pietre e aridita' e improvvido pesante piede che schiacci i primi germi. Se la violenza del potere maschile consacrava, consacra ancora, la necessita' della guerra, "eterna giustiziera", le donne, ma anche tutti gli oppressi della terra e coloro che si battono per vedersi restituita la propria dignita', sono chiamati ad aprire spazi dove possa svilupparsi il seme della liberta'. Ci vogliono soggetti che pervadano di pace l'intero universo. Il quale ci sta a guardare minaccioso, ma attende i germogli di pace per tornare a sorriderci dall'alto di un cielo stellato, sgomberato del pattume che oggi lo rende avaro della sua luce. 9. RIFLESSIONE. GIAMPAOLO MUSUMECI INTERVISTA TARA GANDHI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 marzo 2003] Il "tour pacifista" di Tara Gandhi Bhattacharjee approda nientemeno che a Sanremo. La nipote del Mahatma Gandhi, 69 anni, ricevuta dal Papa nelle scorse settimane, e' stata ospite nei giorni scorsi del mega-ritrovo dei fan dei Nomadi a Novellara (Re) in occasione del Tributo ad Augusto, e ha confermato la sua presenza al Festival per giovedi' 6 marzo. Introdurra' Punjabi Mc, autore del tormentone in salsa indiana che da settimane imperversa nelle radio, ma certamente dira' due parole sulla guerra, o meglio, sulla pace. In Italia per diffondere il messaggio del nonno e raccogliere fondi per il "Progetto Gandhi Indore", un centro di accoglienza per donne e bambini nell'interno dell'India, Tara ha anche ricevuto la cittadinanza onoraria di Novellara, oltre a trentamila dollari raccolti per l'occasione dai fan dei Nomadi, come sempre campioni di generosita'. "Il Progetto Gandhi a Indore" racconta con un filo di voce la signora Gandhi "e' molto importante per me: e' un'operazione da centomila dollari che portera' sollievo a donne e bambini in una delle zone piu' povere dell'India". Da anni Tara Gandhi viaggia per il mondo per promuovere il messaggio di nonviolenza del nonno: "Dopo la sua morte Gandhi appartiene a noi tutti" spiega "Noi tutti siamo parte della sua famiglia. La violenza si combatte nella vita quotidiana, con i piccoli gesti di ogni giorno". Durante la tre giorni a Novellara, la signora Gandhi ha visitato il tempio sikh (il secondo piu' grande d'Europa e punto di riferimento dell'intera comunita' del nord Italia), e ha inaugurato la mostra fotografica itinerante (al Centro S. Chiara di Trento fino al 21 marzo, per informazioni sulla mostra e sulle donazioni: www.fondazionevotigno.it) dedicata al nonno. - Giampaolo Musumeci: Signora Gandhi, la guerra in Iraq sembra incombere: vede una soluzione pacifica a questa crisi? - Tara Gandhi: Non so dire se questa guerra scoppiera' o meno. La societa' civile sta facendo di tutto per evitarla: dobbiamo avere il coraggio di dire basta a tutte le guerre, il coraggio di dire no all'odio e no alla vendetta. - G. M.: La societa' civile sta facendo tutto il possibile: e la politica? - T. G.: Non lo so. Ma noi dobbiamo andare alla base del problema, alla sua origine. La guerra, ogni guerra, e' il risultato di paura e non di coraggio. Noi dobbiamo curare questa grave malattia che affligge il mondo, che e' la paura e l'odio. - G. M.: Qual e' il farmaco giusto? - T. G.: La cultura della pace e del perdono, la preghiera, di noi tutti: dobbiamo prevenire l'odio e la violenza, non curarli. - G. M.: Se il male del mondo e' la paura, quali paure agitano i governi del mondo? - T. G.: Non so che paure abbiano, ma e' certo che non sono liberi nelle loro decisioni. I governi mondiali non sono lungimiranti, non pensano al futuro. - G. M.: A piu' di 50 anni dalla scomparsa di suo nonno, il suo messaggio e' ancora efficace? - T. G.: Si', e il progetto Khadi ne de un esempio: la filosofia dell'arcolaio e' ancora viva in India. Il filo del Khadi e' una risorsa per tutti, da' il pane, ma non solo: e' diventato una terapia, una meditazione, una forza creativa che ci unisce contro la violenza e le divisioni. - G. M.: Lei spesso parla della forza e dell'importanza delle donne. - T. G.: Gandhi era una grande uomo e aveva una grande donna al suo fianco: Kasturbai, madre della nazione indiana. L'India e' stata fatta grazie alle donne, cosi' come l'Italia deve rendere grazie alle sue donne per quello che e'. - G. M.: E' vero che e' appassionata di calcio? - T. G.: Si', ai campionati del mondo tifo per l'Italia. Mi piacerebbe un giorno vedere un incontro di calcio India-Italia, allora non saprei per chi tifare. 10. DOCUMENTI. COCIS: NO A TUTTE LE GUERRE [Dal sito del Cocis (www.cocis.it) riprendiamo il seguente documento (che - da un accenno in esso alla legge finanziaria - ci pare risalire a qualche mese fa). Il Cocis e' una delle piu' importanti reti di ong (organizzazioni non governative di cooperazione internazionale) italiane] E' in atto una massiccia campagna di propaganda volta a convincere l'opinione pubblica dell'Occidente della giustificazione di una guerra all'Iraq. Noi non accettiamo "guerre giuste", che bruciano persone, risorse e beni materiali; che nascondono malamente ingiustizie infinite nel tempo e nello spazio; che silurano la voglia di cooperazione che noi vogliamo coltivare. La nostra cultura di cooperanti internazionali impegnati per la pace, per lo sviluppo delle societa' civili e per la lotta a tutte le esclusioni sociali, ci chiama a una mobilitazione permanente contro la guerra assieme ai nostri partner del Sud, con i quali stiamo costruendo un altro mondo dove la guerra di aggressione non abbia cittadinanza. La guerra e' quanto di piu' lontano dalla nostra identita' di organizzazioni non governative: noi non possiamo accettarla perche' contraddice la nostra esistenza ed il nostro impegno quotidiano. La politica estera degli Stati Uniti, che dispiega una militarizzazione senza precedenti ed una incultura di guerra, cerca di imporre lo scontro e la paura su scala globale, allo scopo di acquisire vantaggi strategici nel controllo delle materie prime, a cominciare dal petrolio. Questa politica trova purtroppo l'avallo di alcuni paesi dell'Unione Europea - in prima fila il Regno Unito e la stessa Italia - e il silenzio imbarazzato di molti altri, evidenziando ancora una volta la debolezza politica dell'Unione Europea e le sue contraddizioni interne. E' una politica che, teorizzando il diritto di ricorrere a condotte unilaterali e applicando sistematicamente i due pesi e le due misure, viola la legalita' internazionale, i trattati e tutti gli altri strumenti di diritto internazionale che devono ispirare relazioni internazionali basate sulla cooperazione e sulla ricerca di accordi. E' una politica che sta portando al progressivo svilimento del ruolo delle Nazioni Unite e concentrando tutto il potere decisionale nel solo e discutibile ambito del Consiglio di Sicurezza. Questa politica si fa una bandiera dell'American way of life, cioe' del diritto per gli americani, e solo per loro, di mantenere gli attuali livelli di vita e di consumi, che sono la causa prima dell'iniqua distribuzione delle risorse nel mondo e delle minacce all'ambiente da parte di un governo che si ostina a non firmare il Protocollo di Kyoto e a non sottostare ai dettami della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra. E' una politica in cui anche l'aiuto di emergenza diventa funzionale alla strategia di guerra e ne costituisce anzi una parte essenziale. Completa la strategia americana l'approccio di Bush ai problemi dello sviluppo, che gli Usa stanno tentando di imporre in tutte le sedi internazionali: charity, not rights. Le regole le dettano gli Usa, gli altri possono solo obbedire, ricevere qualche briciola e ringraziare anche per aiuti alimentari geneticamente modificati che magari non vogliono. E pagare per accedere a beni globali in via di completa mercificazione, come l'acqua. E' un salto indietro di decenni, perche' lo sviluppo e' prima di tutto un problema di diritti e quindi non puo' essere senza la pace e la giustizia. Per questo, e per la nostra storia nelle aree di conflitto (Palestina, Balcani, Centroamerica), le minacce di guerra all'Iraq ci riguardano. Qualunque azione bellicista e' di segno opposto rispetto al nostro obiettivo di avanzamento, insieme ai nostri partner dei paesi in cui lavoriamo, verso un nuovo contratto sociale globale, basato sulla giustizia sociale, la soluzione pacifica dei conflitti, lo sviluppo umano sostenibile ed una cooperazione indirizzata alla lotta all'esclusione sociale ed alla costruzione di una comunita' internazionale che veda la piena partecipazione di tutti i popoli. Una guerra contro l'Iraq porterebbe ad un'ulteriore destabilizzazione in Medio Oriente e aggraverebbe ancora il conflitto israelo-palestinese. Alimenterebbe inoltre, grazie anche alla manipolazione mediatica, le piu' irrazionali e pericolose spinte allo scontro fra civilta', al rifiuto del diverso, al razzismo e all'intolleranza. Riaffermiamo quindi il nostro no alla guerra, che sia preventiva o comunque aggettivata, senza se e senza ma, e il nostro appoggio alle iniziative per la pace della societa' civile e delle reti italiane, europee ed internazionali. * Chiediamo alle istituzioni italiane e dell'Unione Europea di avere il coraggio e il realismo di una politica estera anti-militarista, autonoma e non vassalla dell'amministrazione americana, in modo che: - la ricerca attiva della pace prenda il posto della incultura della guerra e della sua accettazione passiva; - si operi non per una pace qualsiasi o per la pace del piu' forte, ma per una pace giusta e duratura, basata su accordi equi che garantiscano i diritti di tutti/e, a partire dal rispetto dei diritti umani e dal diritto di ogni popolo ad avere un proprio stato, ma anche dall'affermazione di uguali diritti di accesso alle risorse; - i processi di democratizzazione negli stati e nelle organizzazioni internazionali siano sostenuti e rafforzati, a partire dalle istituzioni finanziare internazionali, la cui scarsa trasparenza non e' piu' accettabile, e ridando alle Nazioni Unite quel ruolo e quella dignita' che sono indispensabili alla costruzione di un mondo piu' giusto; - si sviluppino meccanismi efficaci del rispetto dei diritti umani; - i Trattati e gli altri accordi internazionali siano ratificati, messi in atto e rispettati sempre, da parte di tutti e verso tutti, senza doppi standard; - sia rilanciata, con risorse adeguate e in direzione dello 0,7% su cui tutti i paesi ricchi si sono a parole impegnati, la cooperazione internazionale allo sviluppo, indirizzata alla lotta all'esclusione sociale e non alla promozione commerciale; - siano realizzati meccanismi di tassazione delle transazioni finanziarie speculative, a favore della cooperazione e di altri investimenti nella societa' e nel suo futuro; - si intraprendano passi concreti nella direzione di un diverso e piu' equo modello di sviluppo, a partire dal ridimensionamento della centralita' del petrolio. * Chiediamo al Parlamento italiano di: - non votare in nessun caso la partecipazione dell'Italia a qualunque guerra, rispettando l'articolo 11 della Costituzione attualmente vigente e sostenendo l'appello sottoscritto gia' da numerosi/e parlamentari; - battersi perche', a partire dalla Finanziaria in discussione, siano ridotti gli stanziamenti per la Difesa e aumentati quelli per la cooperazione allo sviluppo e quelli per gli investimenti sociali in Italia; - mettere all'ordine del giorno del Parlamento l'elaborazione di meccanismi di tassazione delle transazioni finanziarie speculative; - elaborare una legislazione che vada nella direzione del disarmo unilaterale, a partire da misure che scoraggino la fabbricazione di armamenti e il coinvolgimento delle banche nel loro commercio; - elaborare una legislazione di appoggio a tutti i soggetti che mettono in pratica modelli di vita e di consumo compatibili con piu' eque relazioni Nord-Sud, dal commercio equo al credito etico e al risparmio energetico. * Ci impegniamo, come ong del Cocis, a: - organizzare, partecipare, diffondere e appoggiare le iniziative contro la guerra a tutti i livelli; - realizzare iniziative di cooperazione che promuovano e rafforzino quanti/e si oppongono alla guerra; - rifiutare collaborazioni, anche indirette, che possano risultare in un appoggio alla guerra, rifiutando in particolare la collaborazione in aiuti di emergenza "militarizzati"; - promuovere comportamenti e stili di vita che prefigurino un diverso modello di sviluppo e, in particolare, tendano a diminuire il consumo di petrolio e scoraggino le banche che investono nel commercio delle armi. * Questo documento sta circolando tra le ong nostre partner nei paesi del Sud del mondo, del Mediterraneo e dei Balcani con cui realizziamo da molti anni iniziative comuni. 11. Riletture: LETTERE DEI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, Einaudi, Torino 1954, 1975, pp. XXIV + 824. Non solo e' una lettura indispensabile, ma e' anche una indispensabile rilettura. 12. RILETTURE. NELSON MANDELA: LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTA' Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta', Feltrinelli, Milano 1995, pp. 606, lire 45.000 (ma ve ne e' una successiva edizione economica). L'autobiografia dell'uomo che ha guidato alla vittoria la lotta contro il regime dell'apartheid. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 527 del 6 marzo 2003
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