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TRAINSTOPPING, DIRITTO, GUERRA
- Subject: TRAINSTOPPING, DIRITTO, GUERRA
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Thu, 27 Feb 2003 23:37:32 +0100
Fonte: http://www.malamente.com/another_world/trainstopping.htm
TRAINSTOPPING,
DIRITTO, GUERRA
Le recentissime manifestazioni da parte di
società civile, movimenti, partiti contro la guerra in Irak da tempo annunciata (perché
indispensabile per preservare il disordine mondiale che garantisce a pochi
il controllo planetario?) costringe anche i giuristi a confrontarsi
nuovamente con il problema della rilevanza giuridica della pace.
Vi sono numerose norme nell'ordinamento internazionale che fanno
riferimento ad un "diritto alla pace". Ne sono esempio il Preambolo della
Carta delle Nazioni Unite del 1945 (ratificata dall'Italia nel 1957),
l'articolo 20 del Patto sui diritti civili e Politici del 1966, ma anche
la risoluzione 33/73 dell'Assemblea generale dell'Onu che all'articolo 1
recita: "Ogni nazione e ogni essere umano, a prescindere da considerazioni
di razza, coscienza, lingua o sesso, ha il diritto intrinseco a vivere in
pace. Il rispetto di tale diritto, al pari degli altri diritti umani,
risponde agli interessi comuni di tutta l'umanità e costituisce una
condizione indispensabile per il progresso di tutte le nazioni, grandi e
piccole, in tutti i campi." Infine, la stessa Assemblea generale ha
adottato nel 1984 la Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace che
"proclama solennemente che i popoli del nostro pianeta hanno un sacro
diritto alla pace" e "dichiara solennemente che la tutela del diritto dei
popoli alla pace e l'impegno alla sua attuazione costituiscono un obbligo
fondamentale di ogni stato".
Nei giorni scorsi l'argomento è divenuto di scottante attualità per il
fatto che dei manifestanti hanno bloccato i cd. treni della morte, cioè
quei treni carichi di materiale bellico destinati alla base USA di Camp
Darby vicino a Pisa da dove saranno inviati al Golfo Persico per la
imminente guerra.
Vi è il pericolo che - come già è successo in passato - detti manifestanti
vengano incriminati, ad esempio per il reato previsto dal DLGS 66/1948,
che nella parte della norma non toccata dalla depenalizzazione del 1999
punisce "chi depone o abbandona oggetti in una strada ferrata al fine di
ostruirla" con la reclusione da uno a sei anni, o ancora per il reato di
cui all'articolo 340 Codice Penale che sanziona l'interruzione di un
servizio pubblico con pene che possono arrivare fino a cinque anni di
reclusione.
Si pone dunque il problema di individuare, oltre alle norme di diritto
internazionali citate che peraltro non sono cogenti nel nostro ordinamento
essendo considerate norme di cd. di soft law, anche nell'ordinamento
italiano disposizioni utili a definire la portata del diritto alla pace
e/o di eventuali altri strumenti giuridici per trasformare l'istanza etica
rappresentata dai manifestati in chiave giuridica.
Una prima indicazione in tal senso, e senza voler ricordare che secondo il
filosofo del diritto Hans Kelsen la pace è il fine minimo di ogni
ordinamento giuridico, o che Sant'Agostino riteneva che il bellare fosse
semper illicitum, può essere offerta dal sempre attualissimo articolo 11
della Costituzione italiana, secondo la quale l'Italia "ripudia la
guerra".
Pur se non delineato a chiare lettere nel disegno costituzionale,
l'imposizione per il Tramite della nostra Costituzione di regole di
condotta vincolanti per gli organi statali - la cui osservanza garantisce
la legittimità delle scelte e degli atti adottati, altrimenti illegittimi!
- è venuta a fondare, secondo autorevoli giuristi, un vero e proprio
"diritto della collettività all'instaurazione di rapporti pacifici con
altri popoli", cioè un nostro diritto a pretendere che i nostri governanti
attuino nei loro comportamenti i principi fondamentali della nostra
Costituzione, primo fra tutti quello di astenersi dall'uso della forza nei
rapporti internazionali, o meglio del ripudio della guerra. Riconosciuto
tale diritto, si aprirebbe la strada - per i manifestanti eventualmente
incriminati per essersi opposti al transito dei treni della morte -
all'invocazione dell'articolo 51 del Codice Penale, il quale esclude la
punibilità dei comportamenti (impedire il passaggio dei treni) fondati
appunto su un diritto.
Un'altra strada, per invero, è stata già percorsa dal Tribunale di Trento
(!), il quale nel gennaio 1992 in un analogo caso coraggiosamente statuì
che "sussiste la scriminante dello stato di necessità putativo nella
partecipazione ad una manifestazione pacifista, con invasione dei binari
di una stazione ferroviaria al fine d'impedire il trasporto di carri
armati destinati ad operazioni militari in Irak e di salvare, per tal
modo, un numero indeterminato di persone". In altre parole, il Tribunale
di Trento - che ha posto un importante precedente giurisprudenziale, per
quanto non vincolante negli ordinamenti di civil law - ha sancito la
legittimità dell'occupazione dei binari da parte dei manifestanti che si
opponevano alla guerra in Irak perché così facendo gli stessi erano
convinti di salvare moltissime vite umane dai bombardamenti
angloamericani.
A tale pronuncia del Tribunale di Trento se ne sono aggiunte molte altre,
tra le quali Grosseto, Milano, Rovereto, Torino, Mantova, Cremona, Verona:
alcune delle dette pronunce giustamente indicano il primo criterio
interpretativo delle norme penali invocate nella Costituzione, e
segnatamente nei principi di libera manifestazione del pensiero e della
libertà di riunione. La stessa legge 185/90, di cui tanto si parla anche
negli ultimi tempi, che disciplina il controllo dell'esportazione,
importazione e transito dei materiali di armamento all'articolo 1 dice che
"il transito di materiale di armamento (.) dev[e] essere conform[e] alla
politica estera e di difesa dell'Italia. Tali operazioni vengono
regolamentate dallo Stato secondo i princìpi della Costituzione
repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali." Lo tesso legislatore recepisce dunque molto
chiaramente il dettato della Carta Costituzionale.
Un'ultima osservazione, senza voler entrare nel merito della cd. guerra
giusta che anche l'Italia si appresta a combattere in Iraq (ma le guerre
non sono sempre giuste per chi le fa?): vi è una controversia
internazionale aperta in seno alle Nazioni Unite, i cui organi si occupano
del problema seguendo una complessa procedura che ha il fine di far
vincere chi ha ragione. La guerra, invece, ha l'opposto fine di dare
ragione a chi vince.
Ecco perché sono e rimango convinto che la prima e fondamentale legge di
natura che permette di instaurare uno stato civile e democratico sia
quella stigmatizzata da Hobbes: pax est quaerenda, dobbiamo pretendere la
pace.
Avv. Nicola Canestrini
nicola.canestrini at canestrinilex.it
Direttore del Centro Italiano Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
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