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MOVIMENTO: Il difficile rapporto tra "coordinatori" e "coordinati"
- Subject: MOVIMENTO: Il difficile rapporto tra "coordinatori" e "coordinati"
- From: Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>
- Date: Thu, 27 Feb 2003 16:44:00 +0100
Il difficile rapporto tra "coordinatori" e "coordinati". di Camilla de Piccolis[NOTA della redazione di peacelink.it: questo articolo, che non rispecchia necessariamente le posizioni dell'associazione PeaceLink, e' un commento all'editoriale di Pierluigi Sullo "Che ci facevo li'?" pubblicato sul sito del settimanale "Carta" all'indirizzo http://www.carta.org/editoriali/feb403.htm Lo pubblichiamo in quanto ci sembra porre degli interrogativi politici interessanti, piu' o meno condivisibili, comunque meritevoli di una discussione approfondita. Il testo, dopo essere stato inoltrato alla mailing list del Gruppo Comunicazione del FSE, ci e' stato inviato per pubblicazione direttamente dalla sua autrice, Camilla De Piccolis, che ringraziamo per la sua auto-segnalazione.]
------------------- Non si puo' mettere nel ridicolo una forza politica con la quale si tenta di patteggiare a porte chiuse. Gigi e' un ottimo giornalista,e proprio per questa ragione vale la pena di esprimere le modeste perplessita' che il suo pezzo m'ingenera, senza voler giammai rinunciare al suo punto di vista, peraltro sempre acuto. Gia' il pensare che convocare il solito nugolo di persone (che cambia nome ogni volta e oggi si chiamano "coordinamento del Fse" e che, anche se il Forum Sociale Europeo e' finito a Novembre, continuano ad accreditarsene ben piu' che l'organizzazione) possa significare "dialogare con la piazza" la dice lunga sulla visione diessina della piazza, ma questo non sorprende. Sorprende invece il fatto che questa convocazione sia stata ACCETTATA dai "coordinatori", alla chetichella, a porte chiuse. Mi pare chiaro che mettendosi nei panni di quelli che anche vengono chiamati, travirgolettandoli, (cito) ""rappresentanti", presunti "capi" o "leader" di cui i media e la politica sono sempre alla ricerca, per riportare tutto, sempre, alla loro angusta visione delle cose"" non ci si puo' esimere dalla dimensione mediatica, anche perche' e' l'unica dimensione in cui un movimento sociale puo' essere rappresentato in maniera sintetica, come comunicazione vuole. Il problema e' l'ingenua o la diabolica convinzione di volersi sottrarre a questa dimensione. Quindi, visto che questa dovrebbe essere la lista del Gruppo Comunicazionemi pare la sede giusta per dire che questo episodio alimenta il solito fastidio.
Se abbiamo paura della trasparenza non saremo mai ne' diversi ne' alternativi.Siamo uguali e basta, anzi, uno a zero per i Diesse, che almeno non si proclamano
"alternativi". Questa notizia avrebbe dovuto essere capillarmente diffusa non DOPO, quando il summit e' naufragato, bensi' PRIMA. Ma veniamo ai contenuti. Li' mi pare che i coordinatori abbiano dimostrato alcuni palesi limiti, e quanto siano ormai da tempo sorpassati dal movimento che si pregiano di aver "coordinato" a Novembre. Se a questo incontro fossero andati personaggi che i contenuti del movimento li conoscono e che l'alternativa la praticano davvero sicuramente l'incontro sarebbe risultato meno noioso e forse avrebbe potuto essere anche costruttivo. cito: "Gli si replica, da parte nostra, rivendicando tutta l'autonomia del movimento, il suo essere "competente", il fatto che esso e' gia' "politica", e che il problema di un governo democratico mondiale non si risolve, dall'alto, riformando le istituzioni internazionali (Wto, Fmi, Onu, ecc.), ma, dal basso, costruendo conflitto sociale, democrazia locale, e una societa' civile globale, di cui lo stesso D'Alema riconosce di aver visto l'esordio il 15 febbraio" Questo e' incondivisibile. Un governo democratico mondiale passa attraverso sia le riforme dall'alto sia la partecipazione e il conflitto sociale dal basso. L'una cosa ha bisogno dell'altra: chi ha detto che l'una impedisce l'altra, chi ha detto che siano due momenti in alternativa? Questo movimento nasce da serie analisi, da richiesta di verita', e da proposte concrete. Il movimento a livello mondiale non chiede la luna, ne' la rivoluzione, una delle coseche chiede e' proprio l'applicazione di parametri diversi (leggi= rivoluzionari)
in economia.Mi pare che quelli che si sono seduti davanti a D'Alema concepiscono il movimento come un partito, come una roba che solo loro hanno capito e sanno rappresentare,
con un'unica linea, come un comitato centrale! Quest'affermazione ha ignorato quella parte del movimento che sta portando avanti interessantissime campagne per la riforma della Banca Mondiale (nata dal Centro Internazionale Crocevia, per chi non lo sapesse), la campagna GATS/WTO (della Rete Lilliput, per chi non ne fosse a conoscenza) ecc. Alla faccia dell'essere "competente"! Menomale che erano i portavoce, o meglio, i coordinatori di un evento, il FSE, dove si e' parlato di questi contenuti. Viene il dubbio che sia sfuggito loro il programma dell'evento. Continuo a citare "Noi, con vari accenti, approfondiamo: ma "democrazia" significa elezioni? E "sviluppo" significa Prodotto nazionale lordo?" Anche qui, il concetto e' espresso in modo sorprendentemente superficiale e retorico. Democrazia certamente significa ANCHE elezioni, non SOLO ma ANCHE. La democrazia passa necessariamente attraverso libere elezioni, e anche se non si puo' esaurire con quelle, nessuno puo' essere tanto presuntuoso da poter dire che democrazia non significa elezioni. Una frase del genere ingenera una inutile e sterile polemica, e' un volersi contrapporre per slogan, un'alzata di bandiera che non serve a nessuno. Vero e' che non ci sono libereelezioni se non c'e' libera informazione, e di questo magari si poteva discutere
piu' che non dell'opportunita' di mettere in discussione le elezioni... Per quanto poi riguarda lo sviluppo, questo sicuramente passa attraverso una revisione del concetto di PIL, ma sarebbe bastato portare al compagno Dalema il testo del bellissimo Workshop di Porto Alegre 2002, tenuto da Jochen Jesinghaus del Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea, Ispra (Varese, Italia) che ha magistralmente descritto il software sviluppato con un gruppo di ricercatori di un istituto canadese, pregando il leader massimo di leggerselo e di farne oggetto di seminari approfondimenti e magari di farne punto programmatico per le prossime elezioni. Non siamo mica gelosi delle nostre competenze, no? Come dice Petrella in un articolo pubblicato da Carta poco prima del FSE, ad oggi il movimento non ha raggiunto alcuno dei suoi obiettivi. Io direi che e' ora di svegliarsi e di accorgerci che il mondo dell'economia accademica politica e istituzionale ci ignora. Non servono ulteriori frasi a effetto ma serie proposte e gruppi di pressione su istituzioni governi e parlamenti per ottenere qualcosa di concreto. In tal senso le campagne di cui sopra sono state piu' utili di questi signori con le loro nostalgie sessantottine. Si sta arrivando al paradosso che oggie' piu' rivoluzionario parlare di Tobin Tax che non parlare di economia pianificata.
La prima rischia di essere approvata da qualche parlamento mentre la seconda non verra' mai nemmeno presa in considerazione. Rivaluto Cofferati, che "sceglie gli interlocutori piu' affidabili" e alPalasport, nell'incontro di Firenze, si e' trovato davanti un umile ma efficacissimo Ugo Biggeri, che non avra' avuto il pregio di aver coordinato il FSE, per carita', essendo stato nella sua vita solamente il Presidente di Mani Tese, un consigliere di Banca Etica, e a Seattle sia al vertice che al controvertice.
Ugo conosce bene il movimento e i suoi contenuti, non parla per slogan, e al Palasport non ha annoiato nessuno, levando critiche molto acute e assaipiu' difficilmente contestabili di quelle che si e' sentito rivolgere il compagno
D'Alema dai "coordinatori" Camilla De Piccolis ------------------ Cosa ci facevo li'? Pierluigi Sullo Sono andato all'incontro tra la Fondazione Italianieuropei e il coordinamento del Forum sociale europeo. E mi sono chiesto, dopo quattro ore di discussione, a cosa, esattamente, avevo partecipato. Ero con i compagni con i quali, noi di Carta, condividiamo l'esperienza che dal primo Porto Alegre ci ha portati a Genova, e via via a Firenze e al 15 febbraio. Preciso questo particolare, perche', nelle grandi differenze che ci sono tra noi, solidarieta' e onesta' sono i tratti fondanti dei nostri rapporti, grazie a questa ormai lunga esperienza. Ed e' questo, al di la' di quel che ciascuno pensa del "movimento dei movimenti", a tenere insieme il coordinamento. Il dibattito con Massimo D'Alema e altri antichi e nuovi dirigenti del centrosinistra, tra i quali il segretario dei Ds, Fassino, e Letta, della Margherita, mi ha invece precipitato nella sensazione, inquietante, di non saper bene perche' noi fossimo li' e dove si volesse andare a parare. Ci sono andato perche' penso, pensiamo, che una delle grandi qualita' del "movimento di Porto Alegre" sia il non chiudere mai la porta al dialogo. Ancora, perche' penso che il fatto che quel gruppo di pressione o centro di potere (tale e', oltre i ruoli politici e di partito, la Fondazione di D'Alema e Amato) chiedesse una interlocuzione con il coordinamento del Fse fosse, e rimanga, l'ammissione della inevitabilita' di una interlocuzione con un movimento cresciuto a dismisura e ormai, anche in Italia, una "superpotenza" (per usare l'espressione non felicissima del New York Times) nell'opinione del paese: anche se questo riguarda piu' la grande quantita' di persone che si mobilitano, con le loro reti democratiche, che non i "rappresentanti", i presunti "capi" o "leader" di cui i media e la politica sono sempre alla ricerca, per riportare tutto, sempre, alla loro angusta visione delle cose. E ci sono andato, infine, per curiosita' autentica: per sapere come quelle persone si spiegano il fallimento fragoroso della ipotesi di "governance" (dicono loro) della globalizzazione, chiamata anche "terza via", attorno a cui si sono industriati nell'ultimo decennio e trovandosi, alla fine, Fassino a Seattle dalla parte della Wto, in qualita' di ministro del commercio con l'estero, e D'Alema, sul Kosovo, dalla parte della "guerra umanitaria", in qualita' di presidente del consiglio. Insomma, la domanda, molto semplice, che mi ponevo era: si tratta di un incontro autentico, mosso da genuine intenzioni di interlocuzione, traduzione di linguaggi a loro ignoti, sforzo di comprendere dove stia la ragione di tanta capacita' di resistere a prove come Genova (parola che suona come un rimprovero, per i dirigenti politici che lasciarono soli un intero popolo e i loro stessi militanti) per diventare poi l'evento globale del 15 febbraio? Oppure si tratta della solita manovra tattica, di quelle che durano poche ore, e che sono, da molti anni ormai, il solo contenuto delle politiche di quella sinistra? Ad esempio, una brillante mossa per spiazzare Sergio Cofferati, rivale di D'Alema e Fassino, sottraendogli una esclusiva presunta nel rapporto con "i movimenti", e per di piu' invitando tutto il coordinamento del Fse: evitando cioe' di scegliersi gli interlocutori piu' "affidabili", come Cofferati sembra prediligere? L'invito diceva: precisiamo che si tratta di un incontro riservato, senza la presenza di giornalisti. Si voleva dire: vogliamo fare una discussione seria, non una sceneggiata per i media. Arriviamo alla sede della Fondazione, nel pomeriggio, e giornalisti e telecamere sono gia' piazzati, anche perche' il Corriere della Sera e l'Ansa avevano pubblicato ora e luogo e natura dell'incontro. Si comincia a discutere, ed entrano due fotografi, che riprendono il tavolo degno di un incontro al vertice tra Russia e Cina. Ne usciamo dopo quattro ore, e una folla di giornalisti e' gia' dentro la sede della Fondazione, a microfoni e obiettivi protesi. Che male c'e'? Anch'io faccio il giornalista, in effetti, e lo posso capire. Ma proprio per questo capisco anche che, nell'epoca della politica mediatizzata, un seminario riservato e', in se', una cosa assai diversa da un'occasione pubblica con tanto di conferenza stampa finale. Qualcuno, di qui o di la', aveva deciso di farne un uso per quella via, e trovarsene ostaggi inconsapevoli non e' un gran che. Poi, finalmente, si comincia. E D'Alema dice alcune cose davvero interessanti, per uno come lui. In particolare, che la "guerra preventiva", l'"uso della forza" con cui gli Usa cercano di tenere insieme una globalizzazione "neoliberale" che aumenta le disuguaglianze ecc., e' "un salto di qualita'", cambia completamente la situazione. E aggiunge che movimenti e politica, insieme, in una dialettica, preservando le proprie differenze, possono contribuire a trovare altre risposte, anche a scala internazionale, prima di tutto europea. Percio' propone altri incontri "seminariali", magari a tema, che possano portare a "un grande evento" pubblico, in un futuro prossimo. Letta aggiunge che su alcuni punti, come l'incontro di Cancun della Wto, o la Politica agricola comunitaria o altri, politica e movimenti possono trovare punti di convergenza, interessi comuni . Gli si replica, da parte nostra, rivendicando tutta l'autonomia del movimento, il suo essere "competente", il fatto che esso e' gia' "politica", e che il problema di un governo democratico mondiale non si risolve, dall'alto, riformando le istituzioni internazionali (Wto, Fmi, Onu, ecc.), ma, dal basso, costruendo conflitto sociale, democrazia locale, e una societa' civile globale, di cui lo stesso D'Alema riconosce di aver visto l'esordio il 15 febbraio. Il discorso sembra farsi interessante. Fassino stona, come non avesse visto e sentito niente, ricomincia con la riforma della Wto, ci spiega come e cosa debba essere il movimento, e dopo un po' se ne va (mentre D'Alema, con un tratto di stile comunista serio, resta seduto ininterrottamente per tutto l'incontro, ascoltando tutti). Noi, con vari accenti, approfondiamo: ma "democrazia" significa elezioni? E "sviluppo" significa Prodotto nazionale lordo? Solo che, nel frattempo, si e' chiesta anche una parola di solidarieta' con coloro che si sdraiano sui binari per fermare i treni di guerra. E D'Alema si lancia in una lunga dissertazione, racconta come egli stesso, nel '68, sia stato arrestato, "non sono gli atti illegali, che mi spaventano dice solo che devono essere efficaci, non restringere il consenso". E noi, seduti li', non sappiamo che D'Alema e Letta, poco prima, avevano "dichiarato" alle agenzie di stampa che sono contrari a ogni atto illegale, e basta. Mi prendera' poi la sensazione sconfortante di aver abboccato a un'esca, di aver fatto dell'accademia sulla democrazia, la rete globale, ecc., mentre, forse per qualche residuo di "doppiezza" (quella che si attribuiva ai comunisti di tanti anni fa), D'Alema dice a noi cose diverse da quel che dice in pubblico. In ogni modo, l'incontro si conclude con il padrone di casa che ripropone i seminari, il "grande evento"? Allora, cosa significa tutto questo? E ha qualche significato? La nostra regola, di noi di Carta, dacche' abbiamo deciso di ricominciare da zero, un anno prima di Seattle e del primo Porto Alegre, e': nessun rapporto con la politica, con i media, con la grande economia e finanza, che non sia alla portata di quel che le reti sociali possono fare, intendere, governare. Non ci interessa la politica in se', e nemmeno il circolo vizioso dei media che si parlano addosso, o le macroeconomie che nascondono i miliardi di micro-iniquita'. Quando, e se, vi sara' un movimento tanto grande e ambizioso da poter fare i conti anche con quegli ambiti, allora ci saremo. Ed e' successo: prima di Genova con il governo, prima e durante Firenze e poi a Porto Alegre con la Cgil, in varie occasioni con parti dei Ds, e cosi' via (Rifondazione e' un caso a parte: e' un partito che sta nel movimento, con serieta' e senza pretese). Ma con D'Alema, che in tutti questi anni ha rappresentato l'anima d'acciaio di una concezione dirigistica della politica, da liberismo corretto con un (illusorio) comando della politica, magari nella forma del presidenzialismo, chi usa chi? O, meglio, e' davvero possibile non usare e non essere usati?
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