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La nonviolenza e' in cammino. 515
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 515
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 22 Feb 2003 00:22:32 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 515 del 22 febbraio 2003 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, ripudia la guerra 2. Maria G. Di Rienzo, alcune risposte all'ambigua retorica di alcuni settori "no-new-non lo so-global" 3. Comitato "Fermiamo la guerra": dopo il voto in parlamento 4. Maria Antonietta Saracino presenta "Polvere rossa" di Gilliam Slovo 5. Giulio Marcon e Tom Benetollo: solidarieta', non complicita' 6. Maria Luigia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro e Ana Teberosky, "La costruzione della lingua scritta nel bambino", 1985 - ed. or. 1979 - (parte quarta e ultima) 7. Umberto Santino, per una politica di pace 8. Riletture: Assia Djebar, La donna senza sepoltura 9. Riletture: Renate Siebert, Le donne, la mafia 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI, RIPUDIA LA GUERRA La Costituzione italiana fa obbligo di opporsi alla guerra; essa "ripudia la guerra": non si limita a dire di tenersene fuori, di stare a guardare: ordina e dispone di opporsi alla guerra. Compito quindi di quanti alla Costituzione della Repubblica Italiana hanno giurato fedelta' nell'atto di assumere incarichi pubblici e' di fare quanto in loro potere per impedire la guerra. Ed invece la Costituzione e' gia' stata nuovamente violata dal governo, da una assai ampia maggioranza del parlamento, dal capo dello Stato, con la scelta scellerata e criminale di collocare il nostro paese (non solo con le dichiarazioni ma anche con specifici e concreti atti, come la concessione dell'uso a fini bellici di basi, risorse e infastrutture italiane e site in Italia) invece che contro la guerra che si va preparando, a favore dell'azione degli aggressori, e quindi a esplicito e inequivocabile sostegno e promozione della guerra. E questa condotta e' una condotta golpista, che favoreggia la guerra, le stragi di cui la guerra consiste, il terrorismo che la guerra intrinsecamente gia' e', cosi' come quello che essa alimenta. Siamo dunque inequivocabilmente dinanzi al tradimento della legalita' costituzionale da parte dei governanti del nostro paese, della maggioranza dei componenti l'organo legislativo, del capo dello Stato. * E' quindi in capo al popolo italiano il compito di opporsi alla guerra e di difendere la legalita' costituzionale, e con essa la nostra democrazia, e con cio' operare al fine di salvare le innumerevoli vite umane innocenti che la guerra concretamente minaccia. E per far questo occorre agire; e per agire efficacemente occorre: a) l'azione diretta nonviolenta che miri a paralizzare l'apparato bellico; b) la disobbedienza civile di massa che blocchi la catena di comando dei poteri golpisti e stragisti; c) lo sciopero generale contro la guerra; d) la denuncia dei golpisti e stragisti alle magistrature competenti affinche' essi siano arrestati, processati, condannati; e) ma soprattutto e innanzitutto occorre la scelta della nonviolenza, e la formazione alla nonviolenza. Poiche' solo la nonviolenza puo' contrastare la guerra, e impedirla. 2. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: ALCUNE RISPOSTE ALL'AMBIGUA RETORICA DI ALCUNI SETTORI "NO-NEW-NON LO SO-GLOBAL" [Ringraziamo la sempre nitida Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] 1) "Senza giustizia non c'e' pace, e noi lottiamo per gli oppressi con tutti i mezzi". Risposta: Lo slogan "Senza giustizia non c'e' pace" e' popolare, ma rischioso. Senza pace, la giustizia e' infatti assai difficile da ottenere. E fin troppa della discussione sul cambiamento sociale, sul famoso "altro mondo possibile", e' condotta in nome e per conto altrui, da persone che parlano dell'oppressione esercitata su altri e definiscono in quali modi questi altri dovrebbero agire. La buona notizia e' che la giustizia puo' essere ottenuta, la cattiva e' che c'e' un prezzo da pagare. Questo e' l'inizio della saggezza: i capitalisti non organizzano sindacati, i militaristi non lavorano per il disarmo, e i violenti non sconfiggeranno il dominio, che sulla violenza si tiene. Non c'e' giustizia, nella storia, se non quella che noi creiamo, e la sua creazione ci richiede di accettare una larga parte del disagio e della fatica che il conflitto e la trasformazione comportano. * 2) "E' giusto che gli oppressori assaggino un po' della loro medicina. Adesso gli americani capiscono cosa significa avere la guerra in casa" (dettomi con soddisfazione da una militante "no global" all'indomani dell'11 settembre). Risposta: La vendetta ed il cambiamento sono antitetici. Possiamo scegliere l'una o l'altro, ma non possiamo avere entrambi, poiche' la vendetta e' ripetizione dello schema che diciamo di voler cancellare. Se il nostro scopo e' una profonda trasformazione sociale non ci serve segnare il punteggio dei morti. Il successo di qualsiasi "rivoluzione" e' la riconciliazione dopo il cambiamento (I sudafricani ci hanno dato luminose lezioni al proposito). Dovremmo averne abbastanza delle armi maneggiate dai nostri oppositori, abbastanza da non desiderare di impugnarne noi stessi. * 3) "Polizia ed eserciti sono gli agenti dell'ingiustizia. Percio' e' giusto, quando si manifesta, insultarli e lanciare loro ortaggi o pietre". Risposta: Se volete il cambiamento, dovete essere capaci di interagire con la situazione quale essa e', non quale immaginate/volete/sperate che sia. Lenin non era un attivista nonviolento, vero? Ma non incito' la sua gente a coprire di insulti e fango le truppe zariste: incoraggio' un dialogo politico con esse, sapendo appunto che le forze armate erano solo "agenti" dei dominatori. Se volete essere sicuri che dittature e regimi mantengano il loro potere tirate pure mattoni alle loro polizie, che cosi' vi odieranno a sufficienza per eseguire contro di voi anche gli ordini piu' efferati, quelli che potrebbero mettere in crisi le loro coscienze. Se invece volete che lo Zar se ne vada dovete fare quello che Lenin e i suoi sostenitori fecero, ovvero afferrare ogni occasione per avere un dialogo: il risultato fu che, nel momento della crisi, le forze armate si rifiutarono di obbedire agli ordini dello Zar. La nonviolenza e' assai pragmatica, sapete. * 4) "Voi che dite di essere amici della nonviolenza non fate che creare divisioni nel movimento. Dobbiamo essere uniti, e non perdere tempo a discutere su violenza e nonviolenza". Risposta: Se Martin Luther King l'avesse pensata in questo modo, il movimento per i diritti civili non avrebbe mai vinto. Usare metodi violenti nella lotta avrebbe diviso la comunita' di colore (fra quelli che volevano usarla e quelli che non volevano usarla, fra quelli "capaci" e quelli "incapaci", fra "eroi guerrieri" e "vili", e cosi' via) e dato un forte motivo di unione agli oppositori del movimento. Ma l'azione diretta nonviolenta era, ed e', qualcosa che tutti potevano fare: persino quelli cagionevoli di salute, persino i bambini. E divise gli oppositori, e diede la sveglia ad un'intera nazione costringendola a vedere cosa stava accadendo e a discuterne. Agire in questo modo significa essere abbastanza astuti da non permettere che siano i dominatori a dettare le regole del confronto, e spiazzarli: offrendo comprensione e intelligenza dove si aspettano cieca rabbia ed odio, persistendo nel trattarli umanamente mentre essi ci vedono come oggetti, ecc. Questo e' l'altro mondo possibile, e se lo volete dovete incarnarlo a partire da qui. * 5) "La nonviolenza non ha sconfitto Hitler e non sconfiggera' l'Impero della globalizzazione neoliberista". Risposta: Fu un popolo disarmato, il popolo dell'India, a sconfiggere la forza di occupazione britannica. Fu la pratica nonviolenta a rovesciare strutture razziste e ingiuste come quelle sfidate da Gandhi e King. Ma persino di fronte a questi clamorosi successi, e all'infinita' di altri che potrei citare, mi si dice: "Si', ha funzionato perche' gli Inglesi non erano i nazisti, perche' i razzisti degli stati del Sud degli Usa non erano nazisti. Se lo fossero stati...". In primo luogo, non abbiamo modo di sapere se un'opposizione nonviolenta di massa avrebbe o no sconfitto Hitler, per il semplice motivo che essa non e' stata tentata. Ma all'interno dell'Europa occupati dai nazisti abbiamo dei ben documentati casi di successi nonviolenti. Citero' ad esempio la Danimarca, dove la resistenza nonviolenta fu guidata dal re in persona: egli comincio' con il dichiarare che se gli ebrei danesi fossero stati forzati ad indossare la "stella di Davide" lui sarebbe stato il primo a portarla. E quando i nazisti si mossero per arrestare e deportare gli ebrei danesi, autorita' e popolazione del paese riuscirono a trasferirli sani e salvi in Svezia nel giro di sole 48 ore. In Bulgaria, la gente sedette sui binari dei treni e impedi' che essi partissero con gli ebrei a bordo verso i campi di sterminio. In Italia, si', proprio da noi, dei treni subirono misteriosi ritardi e furono indirizzati sui binari "sbagliati", di modo che non arrivarono mai ai campi. In Norvegia, la protesta degli insegnanti fu in grado di contrastare la nazificazione e potrei continuare. L'altra parte della risposta concerne un mito, e cioe' che tutte le nefandezze del nazismo siano senza paragoni. Sfortunatamente non e' cosi'. La brutale dominazione belga del Congo ha ucciso svariati milioni di africani. E c'era ben poco di "gentile" nella dominazione britannica dell'India o in quello che la comunita' di colore statunitense dovette soffrire. L'ultima cosa che voglio mettere nella mia replica e' una verita': non tutte le lotte si vincono. Non le vincono tutte ne' i pacifisti, ne' i terroristi, ne' gli eserciti, ne' le corporazioni economiche. La nonviolenza non vince sempre: e questa non e' una ragione per abbandonarla, non piu' di quanto lo sia per i militaristi abbandonare le armi ove esse falliscano. La differenza e' che la nonviolenza non desidera la cancellazione e la morte e la distruzione dei suoi avversari, ma un cambiamento radicale dell'intera situazione. Una differenza non da poco. * 6) "La nonviolenza e' cosa da mistici, da deboli, da pazzi...". Risposta: Ogni persona sana di mente coinvolta in un conflitto tenta di trovare un modo "sicuro" per risolverlo, un modo che non la danneggi. Piu' siete vicini o coinvolti in un conflitto serio, piu' vi accorgerete che persone gia' ferite non desiderano esserlo ancora o in modo maggiormente profondo. Percio' il tentativo di trovare una soluzione pacifica, nonviolenta, ci viene di solito in mente per primo. Ci volgiamo alla violenza quando ci diciamo e sentiamo certi che l'altro attore del conflitto "capisca solo la violenza". Naturalmente l'altro attore del conflitto, ricevutala, pensera' lo stesso di noi. Chi lavora in modo nonviolento cerca di creare le condizioni in cui i propri oppositori possano comportarsi in modo differente. Sposta il conflitto su un terreno nuovo, crea una nuova situazione. Quando a Montgomery, nel 1955, comincio' la cosiddetta "protesta degli autobus", con la gente di colore che rifiutava di usarli, da principio i razzisti risero. Ma cosa poteva fare la repressione contro gente che camminava? E la gente, gente comune, ne' pazzi ne' santi, cammino' per tutto l'inverno e per tutta la primavera. Cammino' se era giovane e se era anziana, cammino' anche se era stanca, anche se era malata. Ogni passo che facevano li portava piu' vicini al loro scopo, e ad ogni passo che facevano sapevano di star resistendo al dominio e all'ingiustizia. Quando una donna bianca domando' alla sua cameriera se non fosse stanca di arrivare al lavoro a piedi, percorrendo una grande distanza, ella rispose: "I miei piedi sono stanchi, ma la mia anima e' perfettamente riposata". La compagnia degli autobus ne ebbe perdite finanziarie cosi' ingenti che fu costretta ad arrivare ad un accordo e a cancellare la propria politica segregazionista. Il cambiamento comincia qui, con gli oppressi che sentono di avere dignita' e possibilita' di azione, e questo senso si comunica agli oppressori, che prima li vedevano come esseri a stento umani, ed ora li interrogano, cercano di capire, negoziano una soluzione. Nessun proiettile fu sparato dalla gente di Martin Luther King per ottenere questa trasformazione. E nondimeno non possiamo certo dire che la protesta nonviolenta non fu forte. 3. DOCUMENTAZIONE. COMITATO "FERMIAMO LA GUERRA": DOPO IL VOTO IN PARLAMENTO [Riceviamo e diffondiamo questo comunicato trasmesso dalla Tavola della Pace (per contatti: flavio at perlapace.it)] Il comitato organizzatore della manifestazione del 15 febbraio riunito in unita' di crisi davanti a Montecitorio, ha stilato il seguente comunicato in occasione del voto parlamentare sulla guerra. Il Parlamento oggi si e' dovuto misurare con la forza civile del 15 febbraio. Ma dopo il voto il divario tra governanti e governati persiste. Il governo non ha modificato la scelta fondamentale di partecipazione alla guerra, la manifestazione del 15 lo ha pero' costretto ad aggrapparsi alle decisioni del Consiglio europeo che allunga i tempi delle ispezioni Onu, ma non esclude la guerra come "ultima ratio". La manifestazione del 15 ha spinto le maggiori forze politiche dell'opposizione a rivedere - almeno parzialmente - alcune posizioni su questioni di merito. La manifestazione del 15 ha fatto convergere parlamentari di forze politiche diverse su un voto che risponde al vincolo di coerenza richiesto dal movimento "contro la guerra senza se e senza ma". Le piazze del 15 febbraio avevano pero' chiesto ben altro. Ci aspettavamo un Parlamento che scegliesse di rappresentare la maggioranza della popolazione contraria alla guerra "senza se e senza ma". Ci aspettavamo che il governo e la maggioranza scegliessero di modificare radicalmente la propria posizione e di recuperare all'Italia un ruolo attivo per la pace. Ci aspettavamo che lo schieramento che oggi ha votato contro la guerra preventiva riuscisse a presentarsi unito e senza ambiguita', come a piazza San Giovanni sono riusciti a fare movimenti molto diversi che hanno trovato una unita' piu' forte delle differenze. Ci aspettavamo la revoca della concessione dell'uso delle basi, dello spazio aereo e delle infrastrutture logistiche per la guerra. Cio' non e' accaduto. Rimangono prevalenti ancora una volta le logiche di schieramento e la separatezza della politica dalla societa' civile. Il quadro generale resta pericoloso, ambiguo e ambivalente. Quello di oggi e' stato un passaggio fortunatamente non definitivo ma sicuramente delicato. Il tempo del politicismo non e' finito, ma neppure il tempo per fermare la guerra. Il governo si e' dovuto impegnare a tornare in Parlamento prima di compiere nuove scelte sulla guerra. Utilizziamo questo tempo, insieme, difendendo e rafforzando l'unita' nella chiarezza dei contenuti che abbiamo costruito, allargando partecipazione e consenso. Incontreremo di nuovo i gruppi parlamentari e faremo ancora appello a tutti i parlamentari perche' votino contro la guerra. Chiederemo di essere ricevuti dalle ambasciate dei paesi che siedono nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, in vista del 14 marzo che sara' una data decisiva. Facciamo appello alla mobilitazione permanente contro la guerra. Facciamo appello affinche' in tutta Italia viva la piattaforma del 15 febbraio: no alla guerra in ogni caso, no alla guerra senza se e senza ma, no alla guerra anche in caso di legittimazione da parte dell'Onu. Difendiamo l'articolo 11 della Costituzione, ad esso ci sentiamo vincolati. Il Parlamento rispetti questo vincolo. Il comitato organizzatore "Fermiamo la guerra" 4. MARIA ANTONIETTA SARACINO PRESENTA "POLVERE ROSSA" DI GILLIAM SLOVO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 febbraio 2003] Ci sono romanzi che prendono forma come momenti del percorso creativo - fantastico e singolare - del loro autore, e sono la gran parte; e ce ne sono altri che sembrano nascere dall'urgenza di dare forma narrativa a un tratto della propria storia dal quale non ci si riesce a separare. Dal bisogno di tenere aperta una ferita, un dolore, che non si possono dimenticare. Operazione tanto piu' difficile se questa sofferenza, questo dolore, hanno accompagnato un tratto lungo dell'infanzia e dell'adolescenza di chi scrive, attraversandone al tempo stesso storia personale e familiare, storia della comunita' e del paese in cui e' nata e vissuta. Se poi il paese in questione e' il Sudafrica degli ultimi cinquant'anni, e se il cognome di chi scrive e' Slovo, l'operazione diviene piu' complessa ancora, per una serie di ragioni strettamente collegate alla biografia dell'autrice, ragioni dalle quali in questo caso mi sembra importante partire. Il romanzo del quale qui si parla e' Polvere rossa, di Gillian Slovo (trad. it. di Fenisia Iacono Giannini, Baldini & Castoldi, pp. 326, euro 14,40), cinquantenne dal cognome importante, che oggi vive in Inghilterra ed e' autrice di thriller: Gillian e' figlia di Ruth First e Joe Slovo, intellettuali e attivisti politici, bianchi, figure centrali nella storia del Sudafrica contemporaneo e nella lotta contro l'apartheid. Ruth, giornalista e studiosa di letterature africane, all'inizio degli anni '60, subito dopo il massacro di Sharpeville, dirige a Johannesburg un giornale clandestino di opposizione, che da' voce alla sofferenza dei neri. Fatta oggetto di minacce, perquisizioni, la donna, all'epoca gia' madre di due bambine, Shawn e Gillian, l'autrice di Polvere rossa, appunto, viene all'epoca ripetutamente prelevata da casa, sotto gli occhi delle figlie piccole, sbattuta in prigione senza processo e detenuta in isolamento, per effetto della legge detta "dei 90 giorni", destinata a colpire i "sovversivi". In carcere, per paura di tradire i compagni di lotta, la donna tentera' il suicidio, cosa che le due figlie, divenute adolescenti, scopriranno dalla lettura del diario della madre, un testo oggi famoso, intitolato 117 Days, 117 giorni [tradotto in italiano col titolo Novanta giorni o l'eternita', La Nuova Italia, Firenze 1971, e poi col titolo Un mondo a parte. 117 giorni, Mondadori, Milano 1989], tanti quanti ne aveva trascorsi in isolamento. Ma le persecuzioni delle quali e' oggetto la donna non finiscono qui. Nel 1982, nel suo ufficio presso l'Universita' Eduardo Mondlane di Maputo, in Mozambico, dove dirige il Centro Studi Africani, Ruth First viene fatta uccidere da una lettera-bomba. Quanto al padre della scrittrice, Joe Slovo, comunista, l'unico bianco a far parte della dirigenza dell'African National Congress, presto si allontana da casa ed entra in clandestinita', e le due figlie non lo vedranno di nuovo che molti anni piu' tardi. In quanto bianche, queste cresceranno nel Sudafrica del privilegio, ma al tempo stesso, in quanto figlie di comunisti ritenuti sovversivi, verranno sistematicamente tenute a distanza dai compagni di scuola, ignorate dai vicini di casa, segnate a dito dai membri della comunita' di appartenenza; interiormente divise tra l'amore per i genitori e il rancore per essere costantemente abbandonate, per una infanzia e adolescenza vissute all'insegna dell'incertezza, e di eventi il cui significato sarebbe divenuto chiaro solo anni piu' tardi. Alla luce di tutto questo non stupisce dunque che eventi forti come quelli che ne avevano accompagnato la storia personale, chiedessero, quasi, di venire raccontati. E se di Ruth First rimangono gli articoli, gli studi di letteratura africana [ma anche di storia, sociologia, economia, politica], i saggi critici; di Joe Slovo piu' di un volume di memorie nonche' i resoconti della nascita dell'Anc e la storia del processo di Rivonia. Shawn, la prima delle due figlie, affidera' al linguaggio cinematografico il racconto del tratto piu' doloroso della sua storia familiare. Molti ricorderanno il bel film Un mondo a parte, diretto da Chris Menges, su sceneggiatura di Shawn Slovo, che nell'88 vince la Palma d'oro a Cannes. Chi lo ha visto ricordera' il terrore nello sguardo delle due bambine che vedono passare davanti agli occhi una storia che non capiscono ma che pure le riguarda; la sofferenza della madre, Ruth First, (interpretata da Barbara Hershey) divisa tra l'impegno politico e i suoi doveri di madre. Film che arriva fino all'assassinio della First, avvenuto solo pochi anni prima. * Ma la Storia continua il suo corso. Nel 1991 Mandela esce di prigione, e nel 1994 diviene il primo presidente del Sudafrica indipendente. Contro le aspettative dei piu', uno dei primi gesti politici che compie e' l'istituzione di una speciale commissione, la Truth and Reconciliation Commission, Commissione per la Verita' e Riconciliazione, che, presieduta dal vescovo Tutu, Nobel per la pace, per due anni e mezzo mettera' di fronte - faccia a faccia - le vittime sopravvissute a cinquant'anni di violenze atroci, e i carnefici di un tempo. Verita' contro perdono. E proprio quest'ultimo tratto di storia, con la sofferenza che il racconto fa rivivere, frammista allo sgomento, ma anche all'ammirazione per un'operazione di giustizia basata su verita' e perdono, e' la cornice che fa da sfondo a Polvere rossa. Romanzo che prende le mosse nella cittadina di Smitsrivier - e' un nome di fantasia - nella quale sta per riunirsi la Commissione per la Verita' e la Riconciliazione che dovra' esaminare la domanda di amnistia di Dirk Hendricks, afrikaner, ex-poliziotto, accusato di aver torturato Alex Mpondo per estorcergli informazioni sui depositi di armi e sui compagni di lotta. Ma questo evento e' anche l'occasione - da parte dei parenti di altre vittime - per conoscere dallo stesso imputato altre verita' su persone scomparse, su corpi mai rinvenuti. Il tutto e' raccontato attraverso lo sguardo di Sarah Barcant, 36 anni, avvocato presso la Corte Distrettuale di New York, che dopo 14 anni di assenza, torna a Smitsrivier, dove e' nata e cresciuta, e proprio in occasione dell'apertura dei lavori della commissione, per difendere la vittima di un tempo, Alex Mpondo. Sarah trova un paese intento a risanare le proprie ferite, un paese cambiato, che attraverso lo strumento della verita' e della legge tenta di costruire fondamenta solide per un futuro che disperatamente vuole diverso e migliore, ma che proprio per questo non puo' cancellare il passato se non al prezzo di una sua rielaborazione. Un paese che la donna riconosce solo in parte, ma dal quale cominciano a riaffiorare immagini del passato che il dolore le aveva fatto dimenticare. La trama e' fortemente centrata sulle sedute della Commissione, sui dibattimenti, con le testimonianze di violenze e torture alle quali fanno da contraltare le vite dei singoli individui, a cominciare da quelle degli aguzzini: vite apparentemente normali, semplici, vite quotidiane di famiglia e sentimenti, difficili da accostare alla realta' delle violenze che emergono dalle confessioni nelle successive sedute. E i diversi punti di vista sul tema della verita', del rapporto verita'-Storia. * Un romanzo duro da leggere, soprattutto se si pensa che la finzione narrativa e' dichiaratamente tratta dalla realta' storica, da atti ufficiali (dei quali si puo' anche leggere nel testo di Marcello Flores, Verita' senza vendetta, Manifestolibri). Ma anche rischiarato da una certezza di fondo: dalla Storia non si sfugge, e nemmeno dalla verita'. Lo fa capire la protagonista di Polvere rossa, che, in chiusura, lascia intendere di aver attraversato questa verita', e aver fatto pace col passato: "per quanto tentasse di sfuggirle, quella terra era la sua essenza. Sarebbe stata con lei ovunque si trovasse. Il Sudafrica nella propria unicita'... Ora, guardando da una finestra, coglieva tutte le care cose familiari, la luce vivida, i profumi forti, secchi, le voci lontane, dalle cadenze armoniose. La sensazione di essere a casa". E come lei, probabilmente anche la sua autrice. 5. APPELLI. GIULIO MARCON E TOM BENETOLLO: SOLIDARIETA', NON COMPLICITA' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 febbraio 2003. Giulio Marcon e' presidente dell'Ics, Tom Benetollo e' presidente dell'Arci] Di fronte alla eventualita' della riproposizione di una operazione mediatica governativa "stile arcobaleno" per la crisi irachena, servirebbe un'azione, in questo caso utilmente preventiva, alternativa e concreta: l'immediata apertura di un numero verde pacifista per la solidarieta' alle popolazioni irachene e un numero di conto corrente, ben pubblicizzato e veicolato, dove raccogliere i fondi da utilizzare per i progetti di quelle organizzazioni di solidarieta' presenti in Iraq e contrarie alla guerra; un fondo che abbia come garanti personalita' indiscutibili, ad esempio come Pietro Ingrao e Oscar Luigi Scalfaro. E' una conclusione alla quale e' giunto il tavolo di coordinamento delle Ong per l'Iraq che si e' costituito nelle scorse settimane su iniziativa di "un ponte per...", ma che potrebbe ben ampliarsi rapidamente ad altri soggetti: i sindacati, enti locali e regioni, quotidiani e settimanali che hanno sposato la causa pacifista, organizzazioni come Emergency e Medici senza Frontiere, la stessa Banca Etica. Una proposta del genere funziona ed ha successo se assume quella massa critica che la fa diventare un punto di riferimento alternativo per l'opinione pubblica, facendo venir meno inutili concorrenze e competizioni tra le organizzazioni. Sappiamo, dai tempi del Kosovo, come la copertura umanitaria delle operazioni belliche sia ormai una costante dei governi coinvolti: e' la speranza, in questo modo, di costruire un consenso dell'opinione pubblica per quella che e' una delle piu' drammatiche catastrofi umanitarie ed e' la piu' grave violazione dei diritti umani: la guerra. Ma, questa volta - arcobaleno o non arcobaleno - l'opinione pubblica ha gia' detto la sua e non sara' facile raggirarla: milioni di persone sono scese per le strade il 15 febbraio e per i sondaggi la stragrande maggioranza delle persone e' contraria, senza se e senza ma. Il movimento pacifista italiano da tempo ha saputo coniugare la mobilitazione politica con l'azione nonviolenta e l'aiuto umanitario e di solidarieta'. Come e' stato per tanti anni in ex Jugoslavia e in Palestina e come e', e sara', per l'Iraq. Abbiamo dato il nostro contributo alle straordinarie mobilitazioni pacifiste di questi mesi - Perugia-Assisi, Firenze, Roma - e vogliamo darlo di fronte alla ormai troppo lunga emergenza umanitaria in Iraq, stremato da guerre, embargo e regime autoritario. Per questo abbiamo lanciato - insieme ad Un Ponte per... - il progetto "Costruiamo nuove basi in Iraq" che come primo obiettivo concreto ha quello di portare a 500 bambini malnutriti e affetti da malattie gastrointestinali di Bassora adeguata alimentazione e cure mediche (per info: www.icsitalia.org). Ma vogliamo rilanciare anche un impegno unitario. Allora, di fronte alla missione arcobaleno, le nostre organizzazioni si opposero e rifiutarono i fondi del governo; la potenza politico-mediatica di quella operazione ebbe pero' successo nella raccolta dei fondi e nel coinvolgimento di una parte del mondo della cooperazione internazionale. Oggi, anche molti che vi parteciparono hanno maturato un diverso atteggiamento e non sono piu' disponibili ad operazioni strumentali come quelle che il governo italiano si appresterebbe a lanciare. Nessun soldo deve andare a questo governo e ad azioni ipocritamente definite umanitarie di fronte alla responsabilita' di un sostegno o partecipazione alla guerra che si prepara. I soldi della societa' civile rimangano invece alla societa' civile, a quelle organizzazioni che con il loro impegno coerente di questi anni, con la trasparenza e l'impegno pacifista hanno dimostrato che la solidarieta' non si deve macchiare con la guerra, nemmeno se qualcuno si ostina a continuare a chiamarla "umanitaria". 6. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO E ANA TEBEROSKY, "LA COSTRUZIONE DELLA LINGUA SCRITTA NEL BAMBINO", 1985 - ED. OR. 1979 - (PARTE QUARTA E ULTIMA) [Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del processi di alfabetizzazione, e' di fondamentale importanza il suo contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985. Ana Teberosky, docente in varie universita', ha collaborato con Emilia Ferreiro al volume sopra citato, ed ha condotto numerose altre ricerche; un suo lavoro condotto nell'ambito dell'Imipae di Barcellona e' in Emilia Ferreiro, Margarita Gomez Palacio (a cura di), Nuevas perspectivas sobre los procesos de lectura y escritura, Siglo veintiuno editores, Mexico 1982, 2000] * Lettura nel bambino scolarizzato La ricerca e' stata realizzata su un gruppo di bambini di classe bassa durante la prima elementare per evidenziare la relazione tra le concettualizzazione spontanee e l'intervento di insegnamento in riferimento ai rischi di insuccesso scolastico. Da prove di ipotesi di lettura di parole con immagini i bambini intervistati risultavano tutti presillabici (rispettivamente: indistinzione tra testo e disegno, etichettamento, attenzione alle proprieta' formali). Risulta di seguito evidenziato il processo messo in atto una volta avviato l'insegnamento sistematico della scuola. 1) separazione tra decifrato e significato a) significato senza decifrato: - il bambino ricorre all'immagine e non alla decifrazione, per l'anticipazione del significato; b) decifrato senza significato: - decifra singole lettere, "oppure costituisce sillabe senza senso, vagamente sostenute dal testo" (pag. 117); - non e' in grado di ricostruire il significato di quanto ha correttamente decifrato; - si tratta di un prodotto esclusivo della scolarizzazione in quanto non compare in nessun bambino prescolare; c) tentativo di relazione tra decifrato e significato: - il significato viene anticipato e le lettere sono utilizzate come indicatori e strumenti di verifica; 2) conflitto tra decifrato e significato a) preminenza del decifrato: - anticipa il significato attraverso l'immagine; - verifica mediante decifrazione; - perde il significato del decifrato, in quanto si concentra sulla correttezza della decifrazione; - "siamo di fronte ad un altro prodotto tipicamente scolastico" (pag. 118); b) preminenza del significato: - rimane centrato sulla ricerca del significato: la risposta finale risulta "dall'integrazione di elementi ottenuti tramite la decifrazione [...]: eliminazione e/o sostituzione di elementi decifrati non integrabili in un tutto coerente" (ibidem); c) oscillazione tra decifrato e significato: - comincia a decifrare ricercando il significato ma poi finisce nella decifrazione: il testo e' tutto decifrato ma una parte e' comprensibile e l'altra no; - distinzione tra quello che il testo dice e quello che intende dire; - conflitti sulla concordanza grammaticale tra articolo (decifrato) e nome (anticipato tramite immagine); 3) coordinazione tra decifrato e significato a) eliminazione e reintegrazione di un frammento di testo per ottenere frasi accettabili; b) integrazione di una parte del testo non riconosciuta durante la decifrazione, in funzione del significato della frase; c) correzione della lettura in funzione del giudizio di grammaticalita'. "La conclusione di queste osservazioni e' la seguente: la classificazione delle risposte ottenute rappresenta un ordinamento genetico delle stesse. Con cio' non pretendiamo affermare che nell'evoluzione genetica tutti i bambini passano per codeste fasi; vogliamo solo dire che, nel caso dei bambini che abbiamo studiato e che sono stati sottoposti ad un insegnamento della lettura che pone in primo piano [...] la decifrazione, il progresso - nei casi in cui effettivamente avviene - segue la progressione di comportamenti che abbiamo analizzato. Il confronto tra questi dati e quelli ottenuti con bambini prescolari impone una conclusione: la separazione tra decifrato e significato, cosi' come il rinunciare al secondo a beneficio del primo, sono prodotti della scolarizzazione, la conseguenza di un approccio alla lettura che obbliga il bambino a trascurare il significato fino a quando non ha appreso il meccanismo della decifrazione. Di per se' il bambino, in nessun modo procederebbe verso una tale dissociazione" (pag. 122). * Una lista di descrittori Tale sintesi ha tenuto conto anche della personale esperienza di insegnamento e di collaborazione con altri insegnanti che con la scrivente hanno realizzato negli anni un percorso di approfondimento e consente di far emergere eventuali ipotesi di ricerca. L'elaborazione della lista di descrittori e' parte originale ed e' originale l'individuazione di comparazioni tra i livelli di sviluppo dei diversi ambiti tematici. Si avverte infine che nel testo le fasi di sviluppo relative alla "lettura di frasi senza immagini" di cui al punto 1 e 2 della lista di descrittori, corrispondenti ai punti "E", "F" e "D" della precedente analisi, vengono considerate appartenere ad una stessa fase di sviluppo mentre noi abbiamo proposto un diverso ordine sequenziale. Inoltre deriva anche dalla nostra quotidiana esperienza con i bambini e dalle osservazioni delle molte insegnanti che con noi hanno variamente collaborato una piu' dettagliata specificazione degli atti di scrittura e lettura di scritture spontanee. Il seguente schema costituisce una sorta di quadro sinottico degli aspetti evolutivi piu' significativi. Si e' proceduto ovviamente a delle semplificazioni che potessero consentirne un uso agevole anche come strumento didattico. Nello schema che segue le lettere contrassegnate con un asterisco indicano possibili modalita' diverse che corrispondono allo stesso livello di sviluppo concettuale. Si e' pensato di proporre una pluralita' di tabelle suddivise per temi piuttosto che un unico strumento per semplificarne l'uso e conservare il maggior numero di informazioni possibili. Per favorire una corretta comparazione tra le fasi di sviluppo nei diversi ambiti sono stati riportati, quando non del tutto evidenti, specifici rimandi tra parentesi quadre, sia nel testo seguente, sia nell'analisi precedentemente svolta. Tab. A - ipotesi di lettura di testo con immagini 1. distinzione disegno-scrittura; 2. etichettamento: a*) nomi; b*) frasi; 3. proprieta' del testo (lunghezza, frammenti, lettere): a*) nomi; b*) frasi; 4. corrispondenza: - lettura di parole: inizio-fine; sillabazione orale; salti e/o raggruppamenti; allungamento dell'emissione sonora; corrispondenza sillabica; - lettura di frasi: a*) nomi: sillabazione orale; inizio-fine; corrispondenza tra suoni sillabici e frammenti del testo (raggruppamenti, allungamento o ripetizione dell'emissione sonora); b*) frasi: nome + proposizione; soggetto + predicato; soggetto + verbo + predicato; 5. corrispondenza sillabico-alfabetica: a) conflitto dell'eccedenza; b) salti e/o raggruppamenti e/o allungamento dell'emissione sonora; c) suddivisione fonetica parziale e non sistematica; d) lettere e ordine; 6. corrispondenza fonetica e convenzionale. Tab. B - ipotesi di lettura di frasi senza immagini 1. tutto e' scritto dappertutto [etichettamento]; 2. a*) nomi: tanti nomi quanti frammenti; b*) frasi: tante frasi quanti frammenti [proprieta' grafiche]; 3. il verbo non e' scritto in forma autonoma [corrispondenza]; 4. e' tutto scritto tranne gli articoli [dalla corrispondenza al sillabico]; 5. e' tutto scritto [dal sillabico all'alfabetico]. Tab. C - produzione di scritture spontanee 1. distinzione disegno-scrittura; 2. fase presillabica: - a*) scrittura continua; b*) grafismi singoli; - regola della quantita' minima e della molteplicita' dei caratteri; - corrispondenza della lunghezza della parola alle dimensioni dell'oggetto significato; (nella lettura di scritture spontanee - corrispondenza inizio-fine; - sillabazione orale; - salti e/o raggruppamenti; - allungamento dell'emissione sonora;) 3. fase sillabica: - a*) eliminazione dei caratteri eccedenti; b*) previsione del numero di caratteri; - scrittura di parole bisillabe e falsificazione della regola della quantita' minima dei caratteri; 4. fase sillabico - alfabetica: a*) scrittura mista con segni di valore fonetico o sillabico; b*) possibile non corrispondenza tra scrittura in buona parte fonetica e rilettura prevalentemente sillabica; 5. scrittura fonetica; 6. scrittura convenzionale (puo' accompagnarsi alla precedente); 7. scoperta progressiva delle convenzionalita' ortografiche. * Si deve o non si deve separare Nel chiedere ai bambini di esprimersi a partire da una frase scritta senza separazioni tra parole e' stato possibile ottenere la conferma che alcune tipologie di risposte non sono correlate allo stimolo offerto ma alla fase di concettualizzazione del bambino. Infatti anche in questa situazione compare la "localizzazione dei soli sostantivi" (pag. 164) pur a fronte della totalita' percettiva del testo proposto. Tuttavia in questa situazione non appare "l'attribuzione di tutta la frase ad un solo frammento, e di altre simili alle parte restanti [...]; non compaiono neanche le scansioni sillabiche, che non costituiscono in se' un tipo particolare di procedimenti, bensi' rappresentano un modo abbastanza generale di risolvere il problema dei frammenti 'che avanzano', qui inesistenti, dato che non c'e' altro che un unico frammento" (pag. 164). Abbiamo personalmente constatato che se il bambino si trova in fase sillabica e il testo e' proposto in stampato maiuscolo la scansione sillabica viene mantenuta. Non abbiamo verificato cosa si verifichi in caso di bambini sicuramente sillabici e di testi con scritture in corsivo. "Ovviamente non compare neanche l'introduzione di altri nomi, non menzionati nella proposizione presentata. Si nota la comparsa di nuovi nomi [...] solo in presenza di parte 'eccedenti'" (pag. 164). "La maggioranza dei bambini non trova alcun inconveniente in una scrittura di questo tipo e dicono che 'non importa', che va bene. Nei casi in cui il testo presentato e' in corsivo, compare una giustificazione in piu' per non lasciare spazi bianchi" (pag. 166). Alla richiesta di separare i bambini intervistati propongono soluzioni enucleabili come segue: - "'separazioni' sopra o sotto al testo, o agli estremi, ma in nessuna maniera all'interno del testo; - [...] quantita' arbitraria di interruzioni che non sanno poi come interpretare; - [...] dividere lettera per lettera" (pag. 167); - suddividono il testo: in due parti (una per ogni sostantivo; una per il soggetto e una per il predicato); seguendo le separazioni convenzionali. Va rilevato che anche bambini in grado di leggere in modo convenzionale ritengono non necessarie le 'separazioni'. * La lettura di una proposizione dopo aver effettuato una trasformazione In questo ambito e' stato indagato "il risultato della commutazione di due termini di una proposizione" (pag. 168). Vengono evidenziate le seguenti categorie di risposte. 1) "dice la stessa cosa; lo scambio dei sostantivi non incide sul significato [...]; 2) dice la stessa cosa, ma e' necessario cambiare l'ordine di lettura [...]; 3) dice e non dice la stessa cosa [si percepisce che le lettere sono le stesse ma e' cambiato qualcosa]; 4) dice un'altra cosa [cambiamento dell'intera frase, magari mantenendo lo stesso soggetto]; 5) rifiuto di fare una previsione [...]; 6) scoperta della risposta corretta dopo 'non so' o 'dice la stessa cosa' [...]; 7) deduzione immediata [...]. Si collocano tutti almeno al livello della supposizione della scrittura del verbo come elemento indipendente e la maggior parte si situa a livello della supposizione della scrittura dell'articolo come elemento indipendente. [...] Arrivare a capire che la scrittura rappresenta le parole emesse, e che l'ordine spaziale - determinato e non fluttuante - corrisponde all'ordine dell'emissione, sono i prerequisiti indispensabili per poter risolvere il problema proposto, con una facilita' sorprendente" (pag. 171). * La scrittura del nome proprio Citando Gelb [Gelb, I. J., A study of writing, University of Chicago Press, Chicago, 1952, 1976] l'autrice rileva come i nomi propri abbiano avuto un ruolo centrale nel passaggio dalla scrittura logografica (o lessicale) alla sua "fonetizzazione" ("utilizzare le uguaglianze o le somiglianze sonore tra parole per rappresentare nuove parole" pag. 258) e alla sua convenzionalizzazione. "Gelb dice che questo principio di 'fonetizzazione', una volta introdotto, si sviluppa molto rapidamente, esigendo progressivamente: la convenzionalizzazione delle forme usate, una corrispondenza stabile tra segni e valori sillabici, l'adozione di convenzioni relative all'orientamento ed alla direzione della scrittura e la necessita' di adottare un ordine dei segni che corrisponda all'ordine di emissione nel linguaggio" (pag. 258). La rappresentazione scritta degli elementi grammaticali e' tardiva rispetto al processo di fonetizzazione. "[...] Anche nella genesi individuale, [...] il bambino non si aspetta, se non molto tardi, che gli elementi propriamente grammaticali siano rappresentati nella scrittura. [...] Il nome proprio [...] in molti casi parrebbe avere la funzione di prima forma stabile dotata di significato" (pag. 259). Di fronte alla copertura di una parte del nome e alla realizzazione di alcune trasformazioni nella scrittura del nome e' stato possibile evidenziare cinque livelli di risposte. 1) "nella medesima scrittura possono leggersi tanto il nome come nome e cognome completi, in modo globale, senza cercare una corrispondenza tra le parti [...]. Da una trasformazione del nome proprio risultano i nomi di altri membri della famiglia [...]. 2) Il bambino scopre la possibilita' di una corrispondenza termine a termine tra ognuna delle lettere ed una parte del suo nome completo. [...] La corrispondenza si stabilisce tra le 'parti-parole' del nome proprio e le lettere, ma non tra le 'parti-sillabe' del nome proprio e le lettere [...]. 3) Uso sistematico dell'ipotesi sillabica applicata al nome proprio. [...] a) e' possibile leggere sillabicamente l'inizio del nome, se questa e' l'unica parte visibile di esso, ma si sbaglia quando si prova a leggere la parte finale del nome; [...] b) la suddivisione sillabica e' piu' sistematica, e riesce ad essere applicata alle diverse parti visibili del nome [...]. 4) Mescolare letture che derivano dall'ipotesi sillabica con quelle che derivano da una prima fase alfabetica [...]. 5) La scrittura e la lettura operano in base ai principi alfabetici [...] e i nuovi problemi che si presentano sono di natura ortografica" (pp. 261-268). (4. Fine) 7. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: PER UNA POLITICA DI PACE [Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.it) riprendiamo questo intervento di Umberto Santino. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo; da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici, ed e' uno dei massimi studiosi delle questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: La violenza programmata, L'impresa mafiosa, Gabbie vuote, presso Angeli, Milano; Dietro la droga, Edizioni Gruppo Abele, Torino; L'antimafia difficile, La borghesia mafiosa, Casa Europa, La mafia come soggetto politico, Sicilia 102, Oltre la legalita', presso il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo; La mafia interpretata, La democrazia bloccata, L'alleanza e il compromesso, La cosa e il nome, presso Rubbettino, Soveria Mannelli; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma] Il 15 febbraio a Roma eravamo piu' di tre milioni e nelle altre citta' e negli altri Paesi in cui si e' manifestato piu' di cento milioni di persone hanno fatto sentire la loro volonta' di pace. Il movimento contro la globalizzazione neoliberista e per la pace e' cresciuto a livello mondiale, e' nato un nuovo soggetto politico, forte e articolato, eppure non riusciamo a incidere sul piano istituzionale. Bush puo' impudentemente dichiarare che non si fara' condizionare dai pacifisti e proseguira' sulla sua strada, con o senza l'avallo dell'Onu. Abbiamo vissuto la fase della contestazione e della protesta, stiamo vivendo la fase della proposta e del programma, dobbiamo ancora darci le forme organizzative e sperimentare gli strumenti di lotta capaci di contrastare efficacemente le decisioni di guerra e avviare una strategia di convivenza e di pace, che non puo' non fondarsi su un'equa distribuzione delle risorse e sulla partecipazione democratica della stragrande maggioranza della popolazione mondiale. E dobbiamo fare scelte chiare e inequivocabili. La solidarieta' con il popolo iracheno, che da anni subisce un embargo disumano, dev'essere accompagnata da una netta condanna della tirannia sanguinaria di Saddam, che per troppo tempo ha goduto dell'appoggio americano prima di diventare la personificazione del male. La lotta contro il terrorismo non si fa con le guerre, che anzi l'attizzano e lo dilatano, ma risolvendo i problemi sociali e politici da cui esso scaturisce, a cominciare dalla questione palestinese. Il sostegno alla causa dei palestinesi e la condanna dell'azione di Sharon non hanno nulla da spartire con i rigurgiti di antisemitismo e non significano condividere le scelte di violenza suicida e stragista che rendono sempre piu' difficile e lontana, se non impossibile, una soluzione politica che porti alla creazione di due Stati per due popoli che debbono imparare a convivere. Dobbiamo rigettare ogni forma di violenza, si chiami guerra o terrorismo, provenga dal cuore delle istituzioni o da gruppi che operano al di fuori e contro di esse. Dobbiamo contrapporci a ogni forma di dittatura e di sopruso. Dobbiamo fare queste scelte non solo e non tanto per rispondere a chi sostiene che siamo visceralmente "antiamericani", che sappiamo solo manifestare contro Bush e non diciamo una parola contro Saddam e contro i massacri in Cecenia, ma per essere fino in fondo coerenti con noi stessi, con le motivazioni che ci fanno riempire le strade e le piazze delle nostre citta' e ispirano la nostra azione quotidiana. Guerra e terrorismo sono le facce della stessa medaglia (una violenza permanente, che si avvita su se stessa e genera nuova violenza) e sono figli dei processi di globalizzazione che approfondiscono e aggravano squilibri territoriali e divari sociali, alimentano le mafie, offrendo loro grandi opportunita' (dai traffici di droghe e di armi a quelli di esseri umani, alle mille occasioni di riciclaggio prodotte dalla crescente finanziarizzazione), spostano sul terreno dei rapporti di forza militari problemi che vanno affrontati nelle sedi politiche, in primo luogo in quelle internazionali che vanno riprogettate e democratizzate. Su questa strada ognuno di noi e' chiamato a dare il suo contributo, senza se e senza ma, come abbiamo gridato a Roma e in centinaia di altre citta'. 8. RILETTURE. ASSIA DJEBAR: LA DONNA SENZA SEPOLTURA Assia Djebar, La donna senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 192, euro 14. E' un libro che qualche mese fa abbiamo raccomandato di leggere, raccomandiamo adesso anche di rileggerlo. Assia Djebar e' una illustre intellettuale algerina impegnata per i diritti umani, scrittrice, storica, antropologa, docente universitaria, cineasta. Opere di Assia Djebar: cfr. almeno Donne d'Algeri nei loro appartamenti, Giunti, Firenze 1988; Lontano da Medina. Figlie d'Ismaele, Giunti, Firenze 1993, 2001; L'amore, la guerra, Ibis, 1995; Vaste est la prison, Albin Michel, Paris 1995; Bianco d'Algeria, Il Saggiatore, Milano 1998; Nel cuore della notte algerina, Giunti, Firenze 1998; Ombra sultana, Baldini & Castoldi, Milano 1999; Le notti di Strasburgo, Il Saggiatore, Milano 2000; Figlie d'Ismaele nel vento e nella tempesta, Giunti, Firenze 2000; La donna senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002. Opere su Assia Djebar: cfr. il libro-intervista di Renate Siebert, Andare ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997. 9. RILETTURE. RENATE SIEBERT: LE DONNE, LA MAFIA Renate Siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, 1997, pp. 464, lire 18.000. Questo libro utilissimo raccomandiamo anche come strumento di lavoro per il movimento per la pace. Renate Siebert, sociologa di origine tedesca, nata a Kassel nel 1942, allieva di Theodor W. Adorno, vive e lavora nell'Italia meridionale, dove insegna Sociologia del mutamento presso l'Universita' di Calabria. Opere di Renate Siebert: oltre a Frantz Fanon e la teoria dei rapporti tra colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano 1970, e ad Interferenze, Feltrinelli, Milano 1979 (in collaborazione con Laura Balbo), tra le opere recenti segnaliamo: E' femmina pero' e' bella, Rosenberg & Sellier, Torino 1991; Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994 (poi Est, 1997); La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Mafia e quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996; Andare ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia Djebar); Cenerentola non abita piu' qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999; (a cura di), Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 515 del 22 febbraio 2003
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