Op Colomba: due parole sulla guerra
- Subject: Op Colomba: due parole sulla guerra
- From: "ibrizie" <ibrizie at libero.it>
- Date: Tue, 18 Feb 2003 14:40:15 +0100
| Parlare della guerra è 
difficile, dopo un po’ magari fai l’abitudine a certe cose specialmente quando 
sai che tu, con il tuo passaporto europeo te ne puoi andare. Si parla molto del 
terrorismo e rabbrividiamo di fronte alle immagini di un autobus squarciato 
della cieca voglia di vendetta di un ventitreenne di Betlemme o di qualsiasi 
altro posto in Cisgiordania o a Gaza. Da dove viene tutto questo odio e questa 
cieca violenza? Sono i palestinesi che sono particolarmente cattivi e crudeli o 
c’è anche dell’altro? Sicuramente non bisogna fare l’errore di giustificare la 
violenza ma nemmeno di semplificarne l’analisi e non chiedersi dei perché. Ci 
sono molte responsabilità nella società e nell’incapacità o nella non volontà 
dell’autorità palestinese, ma non bisogna fermarsi qui, bisogna uscire dalla 
logica impostaci dai media che hanno fretta di farci vedere il programma di 
prima serata. Bisogna farsi domande e darsi risposte che siano frutto della 
conoscenza dell’esperienza e della riflessione. Io non sono sicuramente in grado 
di così tanto ma voglio analizzare dei fatti. Sono venuto a vivere in Palestina 
e più precisamente nella Striscia di Gaza per capire. Pochi giorni fa un ragazzo 
riservista della mia età di nome Shigdaf 
Garmai, trent'anni ha perso la vita, colpito da un tiratore palestinese poco 
lontano da dove abitiamo noi. Forse pochi chilometri mi hanno separato, in 
questi mesi, dal lavoro di questo sodato che aveva deciso di obbedire agli 
ordini. Non lo ho mai visto in faccia ma forse ho sentito il rumore del suo 
fucile riecheggiare nella notte, forse più per paura che per rabbia. L’omicidio 
è avvenuto nei pressi dell’insediamento di Tel 
Qateifa. Non conosco questo posto, vietato a tutti i palestinesi, agli stranieri 
e agli israeliani che non siano coloni. Probabilmente è un posto dove le case 
sono belle e ordinate con i loro “tipici” tetti rossi. Probabilmente a Tel 
Qateifa si sente l’odore del mare e magari passeggiando pochi minuti si arriva 
anche a toccarlo. A Tel Qateifa ci vivono due persone e le sue case sono state 
costruite nel ’92 su di un area di 176 acri di terra. Per chi e perché è morto 
il soldato Shigdaf 
Garmai. E’ morto per difendere Israele o la sua politica coloniale nella 
Striscia di Gaza? La 
Quarta Convenzione di Ginevra mette inoltre fuori legge gli "insediamenti" ,"La 
potenza occupante non trasferirà parte della sua popolazione civile nei 
territori che occupa" (Articolo 49). L’insediamento di Tel 
Qateifa fa parte dei dodici insediamenti racchiusi dal “Blocco di Katif” (Gush 
Katif) che prende tutta la fascia costiera nelle municipalità di Khan Younis e 
Rafah casa di circa 4400 coloni dei 5940 di 
tutta la Striscia (dati agosto ’99) e che racchiude al suo interno anche 
i 
villaggi palestinesi che formano la zona detta di Mawasi, dove i circa 4500 
palestinesi vivono molte difficoltà di movimento a causa proprio della presenza 
degli insediamenti. Entrare nell’area è molto complicato per i residenti, e 
impossibile per tutti gli altri. Chi è colpevole della morte di 
Shigdaf 
Garmai? Solo chi ha sparato? O anche chi, da una parte e dall’altra ha creato le 
condizioni di un conflitto? Cosa ha armato la mano dell’assassino, un odio 
atavico che si perde nella notte dei tempi, un fanatismo senza senso o anche la 
situazione, dove si vede un esercito che calpesta della terra rubata e dove si 
vede gente venuta da fuori ad abitarla illegalmente? Nessuna giustificazione per 
un assassinio, solo analisi. Un altro avvenimento che voglio commentare sono i 
fatti che hanno interessato l’abitato di Qararah nel sud delle Striscia di Gaza, 
nella notte tra il 21 e il 22 novembre quando mezzi corazzati israeliani sono 
penetrati numerosi, guardati a vista da elicotteri da guerra Apache, per uscirne 
circa quattro ore dopo lasciano alle loro spalle due case demolite. Le 
demolizioni hanno 
preso di mira la casa di un attivista di Hamas ucciso in un attacco contro un 
insediamento ebraico nel dicembre del 2001 e quella di un'altra persona 
ricercata dalle truppe israeliane. Ad operazione finita il portavoce dell’IDF ha 
dichiarato che queste azioni sono un messaggio del prezzo da pagare per 
“chiunque partecipa ad attività ostili”. Tutto lineare e “pulito” ma quello che 
le cronache quotidiane non raccontano è la paura negli occhi di tutti, 
soprattutto in quelli dei più piccoli che troppo spesso sono strappati al sonno 
dai rumori dell’occupazione, carri armati, spari, esplosioni, elicotteri da 
combattimento, aeri spia. Questi bambini che ci guardano con gli occhi sbarrati 
covano nel loro cuore un sentimento che se non fermato subito si trasformerà in 
odio. Queste azioni dell’esercito non difendono Israele, anzi lo mettono in 
maggiore pericolo perché creano ancora più rabbia fra le parti. Sappiamo che la 
rabbia si è spesso trasformata in cieche esplosioni, e proprio non voglio che un 
giorno questi bambini perdano la loro umanità pensando che il modo giusto sia un 
esplosione. A questo proposito Uri 
Avnery in un articolo del 23 Aprile 2002 dopo i fatti di Jenin così diceva: 
“Quando dozzine di persone ferite giacciono nelle strade e muoiono lentamente 
dissanguate, perché l'esercito spara contro ogni ambulanza in movimento - si 
suscita un odio terribile. (...) Quando i carri armati schiacciano le macchine, 
distruggono le case, fanno cadere i pali elettrici, aprono le condutture 
dell'acqua, lasciano dietro di sé migliaia di gente senza tetto e costringono i 
bambini a bere dalle pozzanghere nelle strade - si suscita un odio terribile. Un 
bambino palestinese, che vede tutte queste cose con i suoi occhi, diventerà il 
terrorista suicida di domani. In questo modo Sharon e Mofaz creano 
l'infrastruttura del terrore”. Poi 
bisogna anche analizzare il perché di questa “guerra”. Il poeta israeliano 
Yitzahk 
Laor dice in un articolo queste parole (..) “Qual è l'oggetto della guerra 
tra noi e i palestinesi? Il tentativo di Israele di ridurre ciò che resta della 
Palestina in cantoni, costruendo "strade di separazione", nuovi insediamenti e 
checkpoint. Il resto è uccisioni, terrore, coprifuoco, demolizioni di case e 
propaganda. I bambini palestinesi vivono nella paura e nella disperazione, i 
loro genitori vengono umiliati davanti ai loro occhi. La società palestinese 
viene smantellata, e l'opinione pubblica in Occidente biasima le vittime - da 
sempre il modo più facile di affrontare l'orrore. Lo so bene: mio padre era un 
ebreo tedesco”. (..) E’ proprio questo il punto da chiarire cosa fa Israele 
nei territori, cerca la propria sicurezza o qualcos’altro? L’opinione di Schlomi 
Segall, riservista dell’esercito israeliano che ha rifiutato di prestare 
servizio nei territori occupati, espressa nella sua lettera di rifiuto, 
pubblicata sul The Guardian 5 luglio 2002, è chiara. “Ariel Sharon vi dirà 
che Israele sta combattendo una guerra di sopravvivenza contro un nemico 
assetato di sangue, non è vero: Sharon e i suoi amici stanno combattendo una 
guerra coloniale per mantenere il progetto di espansione attraverso gli 
insediamenti, e per perpetuare l'occupazione israeliana e il soggiogamento dei 
palestinesi. E' una guerra combattuta da una parte sola, con lo scopo, neanche 
poi così tanto occulto, di distruggere qualsiasi speranza di vita e indipendenza 
per lo stato palestinese”. Bisogna fermarsi a riflettere sui fatti non 
assorbirli per poi dire che non c’è soluzione, perché la soluzione c’è. La 
soluzione del conflitto medio orientale non è un rebus irrisolvibile, ma forse 
lo stiamo guardando capovolto. C’è chi, in Israele e Palestina, non si stanca 
mai di raccontare che la soluzione è due stati due popoli. Qualcuno dice 
strumentalmente che gli arabi non amano la democrazia, che in Israele si vota 
mentre nei territori amministrati dall’ANP non lo si fa. E’ probabilmente vero 
ma tutti i giorni vediamo i semi più vivi della nascente coscienza democratica 
palestinese soffocati da un occupazione che ha proprio come suo obiettivo quello 
di non far comunicare le persone, e perché i nostri midia non raccontano mai 
storie di chi da una parte o dall’altra lotta per la democrazia la libertà e la 
sicurezza? Quale è l’oscuro potere che costringe Paolo Longo, corrispondente 
della Rai, a parlare solo dei campi estivi di Hamas e di Jahad dove ai bambini 
viene insegnato l’odio. Perché non si è parlato dei numerosi campi organizzati 
da diverse organizzazioni dove ai bambini si insegnato i loro diritti, dove si 
cerca di regalare ai bimbi un po’ di spensieratezza e gioco? Quale è la logica 
che nei telegiornali non da voce a quelle masse di cittadini palestinesi che 
nell’ottobre, novembre dell’anno scorso sono scese in piazza a Ramallh e Nablus 
con in mano una candela, rompendo un coprifuoco ingiusto che nuoce alla crescita 
della società civile e non ai gruppi terroristici. Dobbiamo fare si che queste 
domande non ci lascino dormire nei nostri comodi letti d’occidente proprio alla 
vigilia dell’ennesima “guerra giusta”. Come vogliamo che sia il nostro futuro? 
Vogliamo che assomigli a quello israeliano fatto di paura? Fatto di giovani che 
la sera vanno al pub con l’M16? Vogliamo che i nostri figli inizino la guerra 
per la nostra sicurezza senza più tornare a casa? Forse la situazione fra 
israeliani e palestinesi ci dovrebbe far riflettere, forse dovremmo ascoltare 
l’esperienza di chi in Israele all’ingiustizia vuole rispondere con la giustizia 
e non con la lotta al terrorismo. L’arma più potente che noi occidentali ricchi 
abbiamo in mano per fermare i vari Bin Laden e Shaddam Hussein è la giustizia. 
Giustizia per i poveri vuol dire combattere i terroristi, toglierli potere, vuol 
dire far mancare i soldati per le loro guerre sante.  | 
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