Op Colomba: due parole sulla guerra



Parlare della guerra è difficile, dopo un po’ magari fai l’abitudine a certe cose specialmente quando sai che tu, con il tuo passaporto europeo te ne puoi andare. Si parla molto del terrorismo e rabbrividiamo di fronte alle immagini di un autobus squarciato della cieca voglia di vendetta di un ventitreenne di Betlemme o di qualsiasi altro posto in Cisgiordania o a Gaza. Da dove viene tutto questo odio e questa cieca violenza? Sono i palestinesi che sono particolarmente cattivi e crudeli o c’è anche dell’altro? Sicuramente non bisogna fare l’errore di giustificare la violenza ma nemmeno di semplificarne l’analisi e non chiedersi dei perché. Ci sono molte responsabilità nella società e nell’incapacità o nella non volontà dell’autorità palestinese, ma non bisogna fermarsi qui, bisogna uscire dalla logica impostaci dai media che hanno fretta di farci vedere il programma di prima serata. Bisogna farsi domande e darsi risposte che siano frutto della conoscenza dell’esperienza e della riflessione. Io non sono sicuramente in grado di così tanto ma voglio analizzare dei fatti. Sono venuto a vivere in Palestina e più precisamente nella Striscia di Gaza per capire. Pochi giorni fa un ragazzo riservista della mia età di nome Shigdaf Garmai, trent'anni ha perso la vita, colpito da un tiratore palestinese poco lontano da dove abitiamo noi. Forse pochi chilometri mi hanno separato, in questi mesi, dal lavoro di questo sodato che aveva deciso di obbedire agli ordini. Non lo ho mai visto in faccia ma forse ho sentito il rumore del suo fucile riecheggiare nella notte, forse più per paura che per rabbia. L’omicidio è avvenuto nei pressi dell’insediamento di Tel Qateifa. Non conosco questo posto, vietato a tutti i palestinesi, agli stranieri e agli israeliani che non siano coloni. Probabilmente è un posto dove le case sono belle e ordinate con i loro “tipici” tetti rossi. Probabilmente a Tel Qateifa si sente l’odore del mare e magari passeggiando pochi minuti si arriva anche a toccarlo. A Tel Qateifa ci vivono due persone e le sue case sono state costruite nel ’92 su di un area di 176 acri di terra. Per chi e perché è morto il soldato Shigdaf Garmai. E’ morto per difendere Israele o la sua politica coloniale nella Striscia di Gaza? La Quarta Convenzione di Ginevra mette inoltre fuori legge gli "insediamenti" ,"La potenza occupante non trasferirà parte della sua popolazione civile nei territori che occupa" (Articolo 49). L’insediamento di Tel Qateifa fa parte dei dodici insediamenti racchiusi dal “Blocco di Katif” (Gush Katif) che prende tutta la fascia costiera nelle municipalità di Khan Younis e Rafah casa di circa 4400 coloni dei 5940 di tutta la Striscia (dati agosto ’99) e che racchiude al suo interno anche i villaggi palestinesi che formano la zona detta di Mawasi, dove i circa 4500 palestinesi vivono molte difficoltà di movimento a causa proprio della presenza degli insediamenti. Entrare nell’area è molto complicato per i residenti, e impossibile per tutti gli altri. Chi è colpevole della morte di Shigdaf Garmai? Solo chi ha sparato? O anche chi, da una parte e dall’altra ha creato le condizioni di un conflitto? Cosa ha armato la mano dell’assassino, un odio atavico che si perde nella notte dei tempi, un fanatismo senza senso o anche la situazione, dove si vede un esercito che calpesta della terra rubata e dove si vede gente venuta da fuori ad abitarla illegalmente? Nessuna giustificazione per un assassinio, solo analisi. Un altro avvenimento che voglio commentare sono i fatti che hanno interessato l’abitato di Qararah nel sud delle Striscia di Gaza, nella notte tra il 21 e il 22 novembre quando mezzi corazzati israeliani sono penetrati numerosi, guardati a vista da elicotteri da guerra Apache, per uscirne circa quattro ore dopo lasciano alle loro spalle due case demolite. Le demolizioni hanno preso di mira la casa di un attivista di Hamas ucciso in un attacco contro un insediamento ebraico nel dicembre del 2001 e quella di un'altra persona ricercata dalle truppe israeliane. Ad operazione finita il portavoce dell’IDF ha dichiarato che queste azioni sono un messaggio del prezzo da pagare per “chiunque partecipa ad attività ostili”. Tutto lineare e “pulito” ma quello che le cronache quotidiane non raccontano è la paura negli occhi di tutti, soprattutto in quelli dei più piccoli che troppo spesso sono strappati al sonno dai rumori dell’occupazione, carri armati, spari, esplosioni, elicotteri da combattimento, aeri spia. Questi bambini che ci guardano con gli occhi sbarrati covano nel loro cuore un sentimento che se non fermato subito si trasformerà in odio. Queste azioni dell’esercito non difendono Israele, anzi lo mettono in maggiore pericolo perché creano ancora più rabbia fra le parti. Sappiamo che la rabbia si è spesso trasformata in cieche esplosioni, e proprio non voglio che un giorno questi bambini perdano la loro umanità pensando che il modo giusto sia un esplosione. A questo proposito Uri Avnery in un articolo del 23 Aprile 2002 dopo i fatti di Jenin così diceva: “Quando dozzine di persone ferite giacciono nelle strade e muoiono lentamente dissanguate, perché l'esercito spara contro ogni ambulanza in movimento - si suscita un odio terribile. (...) Quando i carri armati schiacciano le macchine, distruggono le case, fanno cadere i pali elettrici, aprono le condutture dell'acqua, lasciano dietro di sé migliaia di gente senza tetto e costringono i bambini a bere dalle pozzanghere nelle strade - si suscita un odio terribile. Un bambino palestinese, che vede tutte queste cose con i suoi occhi, diventerà il terrorista suicida di domani. In questo modo Sharon e Mofaz creano l'infrastruttura del terrore”. Poi bisogna anche analizzare il perché di questa “guerra”. Il poeta israeliano Yitzahk Laor dice in un articolo queste parole (..) “Qual è l'oggetto della guerra tra noi e i palestinesi? Il tentativo di Israele di ridurre ciò che resta della Palestina in cantoni, costruendo "strade di separazione", nuovi insediamenti e checkpoint. Il resto è uccisioni, terrore, coprifuoco, demolizioni di case e propaganda. I bambini palestinesi vivono nella paura e nella disperazione, i loro genitori vengono umiliati davanti ai loro occhi. La società palestinese viene smantellata, e l'opinione pubblica in Occidente biasima le vittime - da sempre il modo più facile di affrontare l'orrore. Lo so bene: mio padre era un ebreo tedesco”. (..) E’ proprio questo il punto da chiarire cosa fa Israele nei territori, cerca la propria sicurezza o qualcos’altro? L’opinione di Schlomi Segall, riservista dell’esercito israeliano che ha rifiutato di prestare servizio nei territori occupati, espressa nella sua lettera di rifiuto, pubblicata sul The Guardian 5 luglio 2002, è chiara. “Ariel Sharon vi dirà che Israele sta combattendo una guerra di sopravvivenza contro un nemico assetato di sangue, non è vero: Sharon e i suoi amici stanno combattendo una guerra coloniale per mantenere il progetto di espansione attraverso gli insediamenti, e per perpetuare l'occupazione israeliana e il soggiogamento dei palestinesi. E' una guerra combattuta da una parte sola, con lo scopo, neanche poi così tanto occulto, di distruggere qualsiasi speranza di vita e indipendenza per lo stato palestinese”. Bisogna fermarsi a riflettere sui fatti non assorbirli per poi dire che non c’è soluzione, perché la soluzione c’è. La soluzione del conflitto medio orientale non è un rebus irrisolvibile, ma forse lo stiamo guardando capovolto. C’è chi, in Israele e Palestina, non si stanca mai di raccontare che la soluzione è due stati due popoli. Qualcuno dice strumentalmente che gli arabi non amano la democrazia, che in Israele si vota mentre nei territori amministrati dall’ANP non lo si fa. E’ probabilmente vero ma tutti i giorni vediamo i semi più vivi della nascente coscienza democratica palestinese soffocati da un occupazione che ha proprio come suo obiettivo quello di non far comunicare le persone, e perché i nostri midia non raccontano mai storie di chi da una parte o dall’altra lotta per la democrazia la libertà e la sicurezza? Quale è l’oscuro potere che costringe Paolo Longo, corrispondente della Rai, a parlare solo dei campi estivi di Hamas e di Jahad dove ai bambini viene insegnato l’odio. Perché non si è parlato dei numerosi campi organizzati da diverse organizzazioni dove ai bambini si insegnato i loro diritti, dove si cerca di regalare ai bimbi un po’ di spensieratezza e gioco? Quale è la logica che nei telegiornali non da voce a quelle masse di cittadini palestinesi che nell’ottobre, novembre dell’anno scorso sono scese in piazza a Ramallh e Nablus con in mano una candela, rompendo un coprifuoco ingiusto che nuoce alla crescita della società civile e non ai gruppi terroristici. Dobbiamo fare si che queste domande non ci lascino dormire nei nostri comodi letti d’occidente proprio alla vigilia dell’ennesima “guerra giusta”. Come vogliamo che sia il nostro futuro? Vogliamo che assomigli a quello israeliano fatto di paura? Fatto di giovani che la sera vanno al pub con l’M16? Vogliamo che i nostri figli inizino la guerra per la nostra sicurezza senza più tornare a casa? Forse la situazione fra israeliani e palestinesi ci dovrebbe far riflettere, forse dovremmo ascoltare l’esperienza di chi in Israele all’ingiustizia vuole rispondere con la giustizia e non con la lotta al terrorismo. L’arma più potente che noi occidentali ricchi abbiamo in mano per fermare i vari Bin Laden e Shaddam Hussein è la giustizia. Giustizia per i poveri vuol dire combattere i terroristi, toglierli potere, vuol dire far mancare i soldati per le loro guerre sante.