La nonviolenza e' in cammino. 508



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 508 del 15 febbraio 2003

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo, la nonviolenza un passo alla volta
2. Unione dei familiari delle vittime delle stragi: no alla guerra
3. Benito D'Ippolito, in cammino
4. Giobbe Santabarbara, si puo'
5. Un tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq
6. Maria Teresa Gavazza, bandiere di pace
7. Opera Nomadi e Unirsi, insieme contro la guerra
8. Edward Said, inaccettabile impotenza
9. Daniel Amit: refusenik, istruzioni per l'uso
10. Francesco Comina: la politica e' pace, e la pace e' politica
11. Ileana Montini: Roma e Brescia, la violenza della tradizione maschilista
12. Severino Vardacampi, un'urgenza
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LA NONVIOLENZA UN PASSO ALLA VOLTA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione questo testo elaborato per essere utilizzato in
seminari di formazione alla nonviolenza. Maria G. Di Rienzo e' una delle
principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale
femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa,
formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per
conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney
(Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput,
in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e
la nonviolenza]
Impariamo a praticare la nonviolenza un passo alla volta, una scelta alla
volta, giorno per giorno. Questo e' il modo in cui ciascuno di noi muove il
mondo verso la pace. E queste, di seguito, sono le prime quaranta parole di
un cammino: aggiungete le vostre!
*
Primo giorno. La parola di oggi e' coraggio. "Quando qualcuno si erge contro
la violenza, una forza di cambiamento viene liberata. Ogni azione per la
pace richiede il coraggio di sfidare la violenza ed ispirare amore" (Thich
Nhat Hanh, insegnante buddista). Come potete praticare questo coraggio nella
vostra vita, oggi?
Secondo giorno. La parola di oggi e' apprezzamento. L'amore nelle nostre
vite comincia da noi: oggi pensate a dieci cose che apprezzate di voi
stessi/e.
Terzo giorno. La parola di oggi e' cura. Date valore alla Terra, conservando
risorse naturali ed evitando di acquistare prodotti che inquinano o
sfruttano chi li produce. Oggi cominciate a riciclare.
Quarto giorno. La parola di oggi e' autorevolezza. Se usate la violenza
nella vostra lotta dovrete vendere parte di voi stessi/e, e il vostro
messaggio perdera' autorevolezza. Non agite in preda alla rabbia o alla
fretta.
Quinto giorno. La parola di oggi e' conoscenza. Cosa potete leggere, vedere,
ascoltare oggi per espandere la vostra conoscenza dei diritti umani, delle
differenze, dell'ecologia, della storia?
Sesto giorno. La parola di oggi e' guarigione. Riflettete su un dolore che
avete provato o provate: esso puo' avere un dono da farvi e diventare un
catalizzatore per la vostra creativita' e la vostra forza. Un proverbio Sufi
dice che "Quando il cuore piange per cio' che e' perduto, lo spirito ride
per cio' che e' trovato".
Settimo giorno. La parola di oggi e' sogno. Martin Luther King aveva un
grande sogno di pace. Com'e' il vostro? Cosa potete fare per onorarlo, oggi?
Ottavo giorno. La parola di oggi e' fiducia. Quando Cesar Chavez organizzava
i braccianti in California, li sfidava a ripetere "Si', se puede" (che
significa "Si', e' possibile") mentre ancora non sapevano se avrebbero
superato gli ostacoli che avevano di fronte. Abbiate fiducia, e troverete un
modo.
Nono giorno. La parola di oggi e' contemplazione. Prendetevi un momento di
relax, respirate e lasciate che la vostra mente si nutra di cio' che e'
buono, di cio' che e' bello. Siate cio' che pensate!
Decimo giorno. La parola di oggi e' terra. Gandhi disse: "Dimenticare come
si zappa la terra e come si ha cura del suolo e' dimenticare noi stessi".
Alce Nero disse: "Una piccola radice dell'albero sacro vive ancora. Nutrila,
affinche' l'albero metta foglie, porti fiori e si riempia del canto degli
uccelli". Oggi curatevi di una pianta, mettete un seme nella terra.
Undicesimo giorno. La parola di oggi e' creativita'. Il desiderio piu'
potente dell'animo umano e' creare. La vostra vita e' l'espressione della
vostra creativita'. Cosa create nella vostra vita, oggi, e in quali modi
potete esprimerlo con gioia?
Dodicesimo giorno. La parola di oggi e' consapevolezza. Fare errori e' parte
del nostro processo di apprendimento e crescita. Oggi, riconoscete i vostri
errori come lezioni di consapevolezza.
Tredicesimo giorno. La parola di oggi e' bellezza. L'ambientalista John Muir
ha detto: "Ognuno di noi ha bisogno della bellezza come ha bisogno di pane".
Oggi fate una passeggiata in mezzo al verde, fate esperienza della bellezza
che vi circonda.
Quattordicesimo giorno. La parola di oggi e' gratitudine. Oggi fate una
lista di cinque cose per cui siete grati nella vostra vita e condividete
queste buone cose con qualcun altro, di modo che anche lui o lei rifletta
sulla gratitudine.
Quindicesimo giorno. La parola di oggi e' integrita'. "Fa' la cosa giusta!"
(Spike Lee). Quando oggi prendete decisioni ascoltate la vostra coscienza:
voi sapete cos'e' giusto fare.
Sedicesimo giorno. La parola di oggi e' liberta'. "La liberta' sono le
persone che capiscono di essere esse stesse i propri leader" (Diane Nash,
attivista per i diritti civili). Trovate un modo, oggi, per esprimere quel
che siete veramente.
Diciassettesimo giorno. La parola di oggi e' accettazione. Il risentimento,
la paura e il senso di colpa non sono motivatori di una vita sana. Oggi,
scegliete di non giudicare voi stessi/e. Vedetevi semplicemente come unici.
Diciottesimo giorno. La parola di oggi e' ispirazione. Prendetevi un momento
per riflettere su che persone vi ispirano, e quali sono le caratteristiche
che ammirate in esse. Scoprite il potenziale che e' in voi e coltivatelo.
Diciannovesimo giorno. La parola di oggi e' missione. "La mia vita e' il mio
messaggio", disse Gandhi. Come potete tradurre in azione i vostri
convincimenti? Pensateci oggi.
Ventesimo giorno. La parola di oggi e' amicizia. "Gli estranei sono
semplicemente amici che non ho ancora incontrato" (Will Rogers). Oggi e' un
buon giorno per conoscere qualcuno di nuovo.
Ventunesimo giorno. La parola di oggi e' rispetto. "Il linguaggio che si usa
e' un esatto riflesso del carattere di chi lo usa" (Gandhi). Rispettare voi
stessi/e e gli altri/le altre significa anche usare un linguaggio
rispettoso.
Ventiduesimo giorno. La parola di oggi e' ascolto. Prendetevi il tempo di
ascoltare i sentimenti che stanno dietro alle parole che vi vengono dette.
Siate, almeno per una volta, totalmente "presenti" nella conversazione.
Ventitreesimo giorno. La parola di oggi e' perdono. Quando perdoniamo, non
stiamo assolvendo i comportamenti altrui: stiamo semplicemente comprendendo
che in noi c'e' qualcosa di piu' importante dell'esperienza che ci ha
ferito. Oggi lasciate andare il passato, perdonate qualcuno e muovetevi in
avanti nella vostra vita.
Ventiquattresimo giorno. La parola di oggi e' lode. L'apprezzamento aiuta le
persone a crescere. Offrite una lode a chi incontrate oggi: per le sue
qualita' personali, per i suoi risultati, per il suo aiuto.
Venticinquesimo giorno. La parola di oggi e' pazienza. La nonviolenza non e'
non-azione: e' un lavoro lungo, e' la pazienza di vincere. Quando vi sembra
di tardare a raggiungere risultati, scegliete di essere pazienti e cercate
modi in cui usare costruttivamente questo periodo a sostegno del vostro
scopo.
Ventiseiesimo giorno. La parola di oggi e' riconoscimento. Dite a qualcuno/a
che differenza lui o lei ha fatto nella vostra vita. Non era scontato che
queste persone importanti per voi divenissero tali.
Ventisettesimo giorno. La parola di oggi e' amore. La nonviolenza e' basata
sull'assunto che l'umana natura risponde sempre a gesti d'amore: oggi
riflettete su cosa apprezzate di piu' nelle persone che meno vi piacciono.
Ventottesimo giorno. La parola di oggi e' attenzione. Siate attenti/e alle
motivazioni che vi spingono ad agire, alle intenzioni nelle vostre parole,
ai bisogni ed alle esperienze delle altre persone.
Ventinovesimo giorno. La parola di oggi e' gentilezza. Ogni giorno siamo
investiti da notizie di assurdi e terribili atti di violenza. Partecipate
alla rivoluzione della gentilezza, e oggi riflettete su come essere gentili
con voi stessi/e e con gli altri.
Trentesimo giorno. La parola di oggi e' dialogo. Un dialogo sano e' quello
in cui coloro che non sono d'accordo sanno esprimerlo con rispetto per le
opinioni altrui, e continuando ad apprezzare la comune umanita'. Oggi, dite
le vostre verita' chiaramente e in modo quieto.
Trentunesimo giorno. La parola di oggi e' responsabilita'. Piu' siamo capaci
di rispondere delle nostre parole e dei nostri atti, piu' siamo in grado di
offrire scelte per la risoluzione nonviolenta dei conflitti.
Trentaduesimo giorno. La parola di oggi e' cooperazione. Quando lavoriamo
insieme, siamo piu' forti di quando lavoriamo da soli. Riflettete oggi su un
modo significativo in cui cooperare meglio in famiglia, sul posto di lavoro,
a scuola, nella vostra comunita' o nel vostro gruppo.
Trentatreesimo giorno. La parola di oggi ' compassione. Compassione non e'
pieta': e' la capacita' di "sentire insieme", nella gioia e nella
sofferenza. Oggi pensate a qualcuno/a che crede di essere solo/a e fategli
sapere che non lo e'.
Trentaquattresimo giorno. La parola di oggi e' disarmo. Oggi parlate con
qualcuno di come potrebbe essere il mondo in assenza di armi e di eserciti.
Immaginate di vivere in questo mondo con i vostri cari.
Trentacinquesimo giorno. La parola di oggi e' onorare. Albert Einstein
disse: "Ci sono solo due modi di vivere la vita: uno pensando che nulla sia
un miracolo, l'altro pensando che tutto lo e'". Oggi, prima di mangiare,
fermatevi un momento ad onorare tutte le mani che hanno portato il cibo
sulla vostra tavola e benedite la Terra per la sua abbondanza.
Trentaseiesimo giorno. La parola di oggi e' azione. Ciascuno/a di noi puo'
operare un cambiamento, ciascuno/a di noi fa Storia. Oggi compite un'azione
che si traduca in un cambiamento positivo per la vostra vita, per la vostra
casa, per il luogo in cui lavorate o studiate, per la vostra comunita'.
"Tutto quello di cui avete bisogno e' un cuore pieno di grazia" (Martin
Luther King).
Trentasettesimo giorno. La parola di oggi e' cittadinanza. "Usate ogni
lettera che scrivete, ogni conversazione, ogni incontro, per esprimere i
vostri sogni e le vostre convinzioni" (Robert Muller, Onu). Scegliete di
fare la differenza nella vostra comunita' essendo cittadini/e partecipi.
Trentottesimo giorno. La parola di oggi e' testimonianza. Non possiamo
chiudere gli occhi di fronte all'ingiustizia o alla crudelta'. Noi siamo qui
per testimoniare giustizia, equita', compassione, verita'. Volete oggi
impiegare la vostra presenza, le vostre parole e le vostre azioni in
testimonianza?
Trentanovesimo giorno. La parola di oggi e' celebrazione. "Non ho dubbi che
un piccolo gruppo di cittadini impegnati possa cambiare il mondo. E' la sola
cosa che lo ha sempre cambiato" (Margaret Mead). La nonviolenza costruisce
in voi il coraggio di parlare ed agire con rispetto e compassione per ogni
essere vivente. Oggi celebrate le vostre conoscenze e la vostra crescita.
Quarantesimo giorno. La parola di oggi e' pace. Trasformate gli elementi di
guerra presenti in ogni cultura spargendo semi di pace, di gioia, di
consapevolezza. Incontrate ogni esperienza, oggi, con un intento di pace.
Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo.
*
(Grazie agli amici ed amiche di A Season for Nonviolence per avermi
suggerito l'idea).

2. APPELLI. UNIONE DEI FAMILIARI DELLE VITTIME DELLE STRAGI: NO ALLA GUERRA
[Dall'Unione dei familiari delle vittime delle stragi (per contatti:
2agost80 at iperbole.bologna.it) che collega le associazioni dei familiari
delle vittime delle stragi di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Treno
Italicus, Stazione di Bologna del 2 Agosto 80, Rapido 904, Firenze Via dei
Georgofili, riceviamo e diffondiamo questo appello a firma del presidente
Paolo Bolognesi]
Le nostre associazioni tutte composte da persone colpite direttamente negli
affetti piu' cari dal terrorismo esprimono il loro piu' fermo no alla
guerra.
Il terrorismo non si sconfigge con la guerra ma solo con azioni di pace.
La pace e' valore primario ed universale al quale tutti dobbiamo tendere per
sconfiggere il terrorismo.

3. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: IN CAMMINO

Questo di oggi e' un popolo in cammino
non sa verso dove ma sa da dove viene
da cosa fugge, a cosa si oppone.

E si oppone alla guerra, la guerra nemica
di tutte le genti e del mondo
divoratrice.

Fugge dall'apatia, la complicita'
che consiste nel dire decidano altri.

Viene da una storia di sangue e furore
la storia che uccide la storia e le storie
la storia che mena al piu' nulla.

E' gente in cammino e camminando
fa strada. Far strada
e' gia' opporsi alla morte.

Cammin facendo costruisce la vita
raccoglie i feriti e li cura,
raccoglie le armi e le spezza,
ascolta ed intreccia parole, fa luce
tutti accogliendo.

E' un duro cammino di gente che spera e che lotta
che vuole che il mondo continui
che ancora e di nuovo sia sera e mattina

per te, per Maria, per tutti.

4. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: SI PUO'
Si puo' passsare la vita a lanciare appelli perche' altri facciano qualcosa,
e si puo' decidere di farla tu la cosa giusta e necessaria.
E la cosa necessaria e urgente e' fermare la guerra, e  per fermare la
guerra occorre impedire l'operativita' e l'uso di eserciti ed armi (e in
prospettiva, e alla radice, abolire gli eserciti e le armi distruggere).
L'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere della pace con cui ostruire
lo spazio aereo di decollo dei bombardieri e' questo: un atto concreto di
contrasto della guerra, bloccando i decolli dei bombardieri, mettendo in
condizioni di non nuocere le basi dell'aviazione militare impegnate nella
guerra.
Senza tante chiacchiere, contando sulle nostre forze, abbiamo iniziato a
organizzare l'azione diretta nonviolenta con cui fermarla noi direttamente
la guerra, facendoci carico noi di bloccare la macchina bellica piu' potente
del mondo.
Poiche' anche la macchina bellica piu' potente del mondo puo' essere resa
impotente dalla nonviolenza: la nonviolenza e' piu' forte.
E perche' sarebbe ora di prendere sul serio quello che la Costituzione della
Repubblica Italiana ci chiede: "ripudia la guerra". E "ripudia la guerra"
non significa squagliarsela o lamentarsene: significa fronteggiarla e
sconfiggerla la macchina della guerra; significa non fuggire, ma contrastare
e impedire la guerra.

5. INIZIATIVE. UN TAVOLO DI SOLIDARIETA' CON LE POPOLAZIONI DELL'IRAQ
[Da Enrico Marcandalli, volontario di Peacelink (per contatti:
ramalkandy at iol.it), riceviamo e diffondiamo questo appello]
Noi, organizzazioni non governative, associazioni di solidarieta'
internazionale, operatori umanitari, volontari e cooperanti impegnati nella
aree di crisi e nei paesi in via di sviluppo, di fronte alla prospettiva che
una nuova guerra si abbatta sulla popolazione irachena gia' colpita da 12
anni di embargo, aggiungendosi ai tanti scenari di conflitto esistenti,
abbiamo deciso di costituire un tavolo di coordinamento che ci vede
impegnati ad operare per un comune progetto di pace, per la promozione dei
diritti umani e contro ogni dittatura.
Facendo nostri i principi che hanno ispirato tutta quella larga parte
dell'opinione pubblica che in tanti paesi e' contraria alla guerra e che e'
ancora inascoltata dai governi e dai parlamenti, su invito dell'associazione
"Un ponte per...", attiva da anni in Iraq con progetti di solidarieta',
abbiamo dato vita ad un "Tavolo di solidarieta' con le popolazioni
dell'Iraq" che raggruppi gli organismi, ong, associazioni, enti locali, che
intendano operare per aiuti di emergenza in caso di attacco e con interventi
per lo sviluppo se la guerra sara' fermata.
Il "Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq" sara' lo strumento
per coordinare e concertare azioni comuni contro la guerra e le azioni
umanitarie che si rendessero necessarie verso tutte le popolazioni colpite
dal conflitto, in uno spirito di collaborazione e per ottimizzare
l'efficacia dell'intervento.
Come primo atto del nostro impegno indiciamo uno "sciopero bianco" della
cooperazione internazionale per il 15 febbraio, giornata mondiale di
mobilitazione contro la guerra all'Iraq, con la sospensione per una giornata
di tutte le attivita' non essenziali svolte dai nostri volontari, cooperanti
e missionari all'estero, che consegneranno contemporaneamente in tutto il
mondo alle ambasciate italiane un messaggio di condanna della guerra e della
partecipazione italiana ad essa in qualsiasi forma, coinvolgendo anche, ove
possibile, i nostri partner locali. Questo sara' il nostro concreto
contributo alla mobilitazione contro la guerra.
Nel proporci il compito di portare soccorso alle popolazioni irachene in
caso di attacco militare ci impegniamo:
- a denunciare e a non partecipare ad iniziative di aiuto umanitario che il
governo italiano e altri governi o istituzioni, dovessero mettere in atto a
copertura della propria partecipazione alla guerra;
- ad identificare in totale autonomia le azioni di aiuto che realmente
sosterranno le popolazioni colpite;
- a non collaborare con le forze militari.
Al piu' presto una missione comune di valutazione si rechera' in Iraq e si
incontrera' con le agenzie internazionali non coinvolte con la guerra per
verificare le necessita' di intervento, cercando fin da subito il pieno
coinvolgimento di partners locali, con particolare attenzione alle
associazioni femminili.
La missione avra' l'obiettivo di rendere operativo il Tavolo al piu' presto,
anche con l'avvio di una struttura logistica di base, che sia di supporto
all'avvio di primi interventi, per la quale verra' richiesta una
sottoscrizione da concordarsi.
Facciamo appello a tutte le organizzazioni di cooperazione e solidarieta'
internazionale che abbiano una presenza all'estero ad aderire allo sciopero
bianco del 15 febbraio, coordinando paese per paese l'azione.
Facciamo infine appello alla societa' italiana affinche' aderisca alla
campagna di sostegno alle popolazioni dell'Iraq che, con o senza la guerra,
hanno diritto al nostro aiuto.
A Tal fine il Tavolo lancera' una speciale campagna di sottoscrizione e di
informazione.
*
Prime adesioni: Un ponte per..., Associazione Ong italiane, Beati i
Costruttori di Pace, Consorzio Italiano di Solidarieta' - Ics, Cosv,
Intersos, Iscos - Istituto Sindacale per la Cooperazione allo Sviluppo,
Gvc - Gruppo di Volontariato Civile, Progetto Sviluppo, Terre des Hommes.

6. RIFLESSIONE. MARIA TERESA GAVAZZA: BANDIERE DI PACE
[Ringraziamo Maria Teresa Gavazza (per contatti: teregav at tin.it) per questo
intervento. Maria Teresa Gavazza, insegnante, storica, e' impegnata da
sempre per la pace e la nonviolenza]
Puo' una bandiera fermare la guerra?
Un simbolo che nel '900 e' stato spesso segno di supremazia di una razza o
portatore di morte: bandiere uncinate o addobbate con lugubri teschi. Ma
anche bandiere rosse, segno di riscatto dallo sfruttamento e simbolo di
rivoluzione per gli oppressi. E ancora il tricolore: la bandiera dell'Italia
repubblicana viene proclamata vessillo ufficiale dello Stato dall'Assemblea
costituente il 24 marzo 1947, oggi il Presidente Ciampi la propone come
segno dell'unita' nazionale.
Nel terzo millennio, alla vigilia di una guerra preventiva, di fronte alla
crisi globale piu' grave dalla fine della guerra fredda, un semplice
vessillo colorato o uno straccetto bianco sono diventati una forma di
resistenza alla catastrofe annunciata.
E' incredibile come questa forma di protesta nonviolenta sia contagiosa, al
punto da suscitare qualche preoccupazione. Quale pericolo puo' rappresentare
una bandiera della pace?
Sappiamo che in alcuni condomini o scuole o edifici pubblici coloro che
temono le silenziose voci del dissenso civile - una bandiera colorata come
seme di comportamenti democratici responsabili - hanno cercato cavilli
giuridici o norme burocratiche per rimuovere uno stendardo, cancellando
cosi' le opinioni di migliaia di giovani, di famiglie, di donne che
coraggiosamente hanno voluto spiegare le ragioni della pace.
Forse perche' mai prima d'ora si era creata un'alleanza di anime cosi'
diverse per protestare contro la guerra solamente annunciata: Azione
Cattolica, Banca Etica, Libera, Attac, Rete Lilliput, Tavola della pace e
molte altre associazioni hanno aderito al progetto "pace da tutti i
balconi".
Contaminazioni di storie, esperienze differenti unite dall'amore per una
terra martoriata; la preoccupazione per un'umanita' malata e spaventata ha
spinto persone di ogni eta' ad aprire finestre e balconi, a incontrare
vicini di pianerottolo o di quartiere per esporre quella stoffa dai colore
dell'arcobaleno.
Molte donne, giovani e meno giovani, forse per un'affinita' antropologica
verso una tela da tessere e da cucire tutte insieme, si sono ritrovate per
disegnare parole e colori. Sono poi andate silenziosamente ad esporre i loro
vessilli lungo le strade, sui ponti, davanti alle chiese, ai municipi, alle
scuole. Un esercito di donne per la pace, pronte a creare reti colorate per
unire diversita' e vincere la paura.
Si visiti il sito www.bandieredipace.org per visitare una mappa che non ha
fine, cresce come una marea e contamina anche chi vorrebbe ritrarsi e
cercare astruse ragioni per lanciare bombe, senza intraprendere prima di
tutto la via della diplomazia e del dialogo.
Dipingiamo di pace le citta'.

7. APPELLI. OPERA NOMADI E UNIRSI: INSIEME CONTRO LA GUERRA
[Dall'Opera Nomadi (per contatti: e-mail: operanomadi at tiscalinet.it, sito:
www.operanomadi.it) riceviamo e diffondiamo questo appello promosso
congiuntamente da Opera Nomadi e Unirsi (Unione Nazionale e Internazionale
Rom e Sinti in Italia)]
Il popolo dei Rom e dei Sinti non ha mai armato un esercito, non ha mai
combattuto una guerra.
La pace e' il nostro elemento, l'antimilitarismo e' la nostra filosofia
della vita.
Il nostro orgoglioso sentimento di appartenenza al popolo dei Rom e dei
Sinti esclude il legame con la terra: noi non abbiamo uno Stato, noi non
rivendicheremo mai uno Stato.
In nome della Patria si compiono imprese eroiche, ma anche innominabili
ingiustizie.
Per i nostri autentici sentimenti di pace e di estraneita' ad ogni forma di
nazionalismo i nazisti ci definirono "ariani degenerati". Abbiamo pagato per
questo il nostro tributo di sangue alla barbarie hitleriana ed ai fascisti
della Repubblica di Salo' che deportarono centinaia e centinaia di nostri
fratelli sinti.
Il grande scrittore tedesco Guenter Grass, amico dichiarato del nostro
popolo, dice che noi Rom e Sinti siamo i soli veri cittadini europei.
E oggi piu' che mai ci sentiamo fratelli con tutti i popoli d'Europa i
quali, nella loro stragrande maggioranza, esprimono sentimenti di assoluta
contrarieta' alla guerra.
Teniamoci per mano, sconfiggiamo gli incubi di chi vuole dominare con le
armi il petrolio ed il denaro tutta la terra, lottiamo perche' trionfi la
pace, la civilta', la fratellanza tra i popoli.
*
Il popolo Rom e' per la pace insieme ai popoli di tutto il mondo.
I Rom, i Sinti e i Camminanti presenti sul territorio italiano sono contro
la guerra e chiedono:
1) la possibilita' di un inserimento reale nel mondo del lavoro (spettacolo
viaggiante, licenze per il commercio, cooperative ed artigianato), che
vengano rispettate le pari opportunita' e che non vengano socialmente
esclusi;
2) la possibilita' che ai loro figli nati e residenti in Italia dalla
nascita venga concessa la cittadinanza italiana a prescindere dalla
residenza legale della nascita;
3) la presenza dei mediatori Rom e Sinti in tutte le istituzioni pubbliche
(Asl, enti locali, ex uffici di collocamento, camere di commercio,
tribunali, carceri);
4) permessi di soggiorno e carta di soggiorno: i Rom residenti in Italia,
alcuni anche da diverse generazioni e regolarizzati diverse volte, si
trovano attualmente nella condizione di clandestini. Chiedono che vengano
regolarizzati definitivamente come si e' verificato in diversi stati
dell'Unione Europea;
5) Profughi e rifugiati della ex Jugoslavia chiedono di essere riconosciuti
dalla speciale commissione di Ginevra e non essere rimandati nella terra di
provenienza dove sarebbero sottoposti a persecuzione come gia' e' avvenuto;
6) Chiedono l'abolizione di fatto dei campi nomadi in quanto rivelatisi
fallimentari per il reale inserimento sociale. In sostituzione di essi
chiedono le civili abitazioni ed i cosiddetti "villaggi Rom" (con
insediamento di piccoli gruppi familiari) come del resto avviene nelle
diverse realta' degli stati dell'Unione Europea;
7) Chiedono il riconoscimento della rappresentanza del popolo dei Rom dei
Sinti e dei Camminanti al governo italiano;
8) Chiedono il riconoscimento della lingua romani'.
*
A Roma, sabato 15 febbraio 2003 alle ore 14, alla manifestazione nazionale
contro la guerra, il concentramento dell'Opera Nomadi e dell'Unirsi e' alla
Piramide (scalinata delle Poste).

8. RIFLESSIONE. EDWARD SAID: INACCETTABILE IMPOTENZA
[Dal sito della rivista "Internazionale" (www.internazionale.it) riprendiamo
questo articolo di Edward Said. Edward Said e' un prestigioso intellettuale
democratico palestinese, nato a Gerusalemme nel 1935, docente alla Columbia
University. Tra le opere di Edward W. Said: Orientalismo, Bollati
Boringhieri, Torino, poi Feltrinelli, Milano; La questione palestinese,
Gamberetti, Roma; Cultura e imperialismo, Gamberetti, Roma; Tra guerra e
pace, e Dire la verita', ambedue presso Feltrinelli, Milano; cfr. anche la
raccolta di articoli La convivenza necessaria, Indice internazionale, Roma.
E' stata recentemente pubblicata in italiano la sua autobiografia, Sempre
nel posto sbagliato, Feltrinelli, Milano. Una raccolta di suoi articoli
degli ultimi anni dedicati ad Israele e Palestina dopo Oslo e': Fine del
processo di pace, Feltrinelli, Milano 2002]
Ogni giorno apro il "New York Times" per leggere l'ultimo articolo sui
preparativi di guerra negli Stati Uniti.
Un altro battaglione, un'altra serie di portaerei e incrociatori, un numero
sempre piu' grande di aerei, nuovi contingenti di ufficiali inviati nel
Golfo Persico. L'11 e 12 gennaio sono partiti altri sessantaduemila soldati.
L'America sta allestendo oltreoceano una forza enorme e deliberatamente
intimidatoria, mentre all'interno del paese le brutte notizie economiche e
sociali si moltiplicano inesorabilmente. La gigantesca macchina capitalista
sembra vacillare, e intanto opprime la grande maggioranza dei cittadini.
Nonostante questo, George W. Bush propone un altro importante sgravio
fiscale per l'1 per cento della popolazione che e' relativamente ricco. Il
sistema dell'istruzione pubblica e' in grave crisi e per cinquanta milioni
di americani l'assicurazione sanitaria semplicemente non esiste. Israele
chiede 15 miliardi di dollari sotto forma di una nuova fideiussione e
ulteriori aiuti militari. E il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti
cresce senza sosta, mentre giorno per giorno si perdono posti di lavoro.
Continuano tuttavia i preparativi per una guerra incredibilmente costosa, e
continuano senza un'approvazione pubblica ne' una disapprovazione
chiaramente visibile.
Un'indifferenza abbastanza generalizzata ha accolto il bellicismo
dell'amministrazione e la sua risposta stranamente inefficace alla sfida
mossa di recente dalla Corea del Nord. Nel caso dell'Iraq, privo di armi di
distruzione di massa degne di nota, Washington pianifica una guerra; nel
caso della Corea del Nord offre aiuti economici ed energetici. Che
differenza umiliante tra il disprezzo per gli arabi e il rispetto per la
Corea del Nord, una dittatura altrettanto dura e crudele.
Nel mondo arabo e in quello musulmano la situazione appare piu' strana. Da
quasi un anno politici americani, esperti regionali, funzionari governativi
e giornalisti ripetono le accuse che sono diventate il ritornello quando si
tratta di islam e di arabi. La maggior parte di questo coro esisteva prima
dell'11 settembre. Al coro di oggi, praticamente unanime, si e' aggiunta
l'autorita' del Rapporto sullo sviluppo umano nel mondo arabo, a cura delle
Nazioni Unite, che ha certificato che gli arabi sono rimasti drammaticamente
indietro rispetto al resto del mondo in materia di democrazia, conoscenza e
diritti delle donne.
Tutti dicono - con qualche giustificazione, naturalmente - che l'islam ha
bisogno di riforme e che il sistema educativo arabo e' un disastro, una
scuola per fanatici religiosi e attentatori suicidi finanziata non solo da
imam pazzi e dai loro ricchi seguaci (come Osama bin Laden) ma anche da
governi che sono ritenuti alleati degli Stati Uniti. Gli unici arabi "buoni"
sono quelli che sui media criticano senza riserve la cultura moderna e la
societa' araba. Ricordo le scialbe cadenze delle loro frasi, perche', non
avendo nulla di positivo da dire su di se', sul loro popolo o sulla loro
lingua, rigurgitano semplicemente le formule americane che gia' inondano
l'etere e la carta stampata. Ci manca la democrazia, dicono, non abbiamo
messo sufficientemente in discussione l'islam, dobbiamo allontanare lo
spettro del nazionalismo arabo e il credo dell'unita'. Tutto questo e'
screditato, e' spazzatura ideologica. E' vero solo quello che sugli arabi e
sull'islam diciamo noi e i nostri istruttori americani: vaghi cliche'
orientalisti riciclati, tipo quelli ripetuti da un instancabile mediocre
come Bernard Lewis. Il resto non e' realistico ne' sufficientemente
pragmatico. "Noi" dobbiamo aderire alla modernita', essendo la modernita'
occidentale, globalizzata, liberista, democratica, qualsiasi cosa queste
parole possano significare.
*
Ridisegnare la regione
Lo scontro di civilta' che George W. Bush e i suoi portaborse cercano di
fabbricare come paravento per una guerra preventiva contro l'Iraq per il
petrolio e l'egemonia dovrebbe sfociare, cosi' ci dicono, nel trionfo di un
processo di costruzione democratica, cambiamento di regime e modernizzazione
forzata all'americana. Non contano le bombe e i danni provocati dalle
sanzioni, che non vengono mai menzionati. Questa sara' una guerra
purificatrice il cui obiettivo e' rovesciare Saddam e i suoi uomini e
sostituirli con una mappa ridisegnata dell'intera regione. Una nuova
versione degli accordi Sykes-Picot, con cui nel 1916 Gran Bretagna e Francia
si spartirono il Medio Oriente. Dei nuovi "Quattordici punti" wilsoniani. Un
nuovo mondo, nel complesso. I cittadini dell'Iraq, ci dicono i dissidenti
iracheni, saluteranno con gioia la loro liberazione e forse dimenticheranno
completamente le sofferenze del passato. Forse.
Nel frattempo la devastante e lacerante situazione in Palestina continua a
peggiorare. Non sembra esserci forza capace di fermare Sharon e Mofaz, che
gridano la loro sfida al mondo intero. Noi proibiamo, noi puniamo, noi
mettiamo al bando, noi rompiamo, noi distruggiamo. Il torrente di
inarrestabile violenza contro un intero popolo continua. Mentre scrivo
queste righe, mi e' stato comunicato che il villaggio di al Daba, nell'area
cisgiordana di Qalqiliya, sta per essere distrutto da bulldozer israeliani
da sessanta tonnellate fabbricati in America: 250 palestinesi perderanno le
loro 42 case, i loro campi coltivati, una moschea e una scuola elementare
per 132 bambini. Le Nazioni Unite restano a guardare, mentre le loro
risoluzioni vengono violate ora dopo ora. Di solito, purtroppo, Bush
simpatizza per Sharon, non per il sedicenne palestinese usato dai soldati
israeliani come scudo umano.
Intanto l'Autorita' Palestinese offre di tornare al tavolo negoziale e,
presumibilmente, agli accordi di Oslo. Dopo essere stato preso in giro per
dieci anni, Arafat sembra inspiegabilmente volerci riprovare. I suoi fedeli
luogotenenti rilasciano dichiarazioni e scrivono commenti per la stampa,
facendo intendere la loro disponibilita' ad accettare piu' o meno qualunque
cosa. Tuttavia, la grande massa di questo popolo eroico sembra
straordinariamente incline ad andare avanti, senza pace e senza tregua,
sanguinando, patendo la fame, morendo giorno dopo giorno. Ha troppa dignita'
e fiducia nella giustizia della sua causa per sottomettersi ignominiosamente
a Israele, come hanno fatto i suoi capi. Per il cittadino medio di Gaza che
continua a resistere all'occupazione israeliana, cosa ci puo' essere di piu'
scoraggiante che vedere i suoi leader inginocchiarsi come supplicanti
davanti agli americani?
*
Fanatici religiosi e pecore sottomesse
In questo panorama di desolazione quel che cattura l'attenzione e'
l'assoluta passivita' e l'impotenza del mondo arabo nel suo complesso. Il
governo americano e i suoi servi diffondono una dichiarazione d'intenti dopo
l'altra, muovono truppe e materiali, trasportano carri armati e
incrociatori; ma gli arabi, individualmente e collettivamente, riescono a
malapena a esprimere un blando rifiuto (al massimo dicono: "No, non potete
usare le basi militari nel nostro territorio"), solo per fare marcia
indietro alcuni giorni dopo. Perche' questo silenzio? Perche' una cosi'
incredibile impotenza?
La piu' grande potenza della storia si prepara a lanciare (ripetendolo
incessantemente) una guerra contro uno stato sovrano arabo oggi governato da
un orrendo regime, una guerra il cui chiaro obiettivo non e' solo
distruggere il regime Baath ma ridisegnare l'intera regione. Il Pentagono
non ha fatto mistero dei suoi piani per ridefinire la mappa dell'intero
mondo arabo, forse cambiando altri regimi e altre frontiere. Nessuno potra'
mettersi al riparo dal cataclisma quando arrivera' (se arrivera', il che non
e' ancora una completa certezza). Eppure c'e' solo un lungo silenzio seguito
da vaghi piagnucolii di educate obiezioni. Dopo tutto saranno coinvolti
milioni di persone. L'America pianifica con sprezzo il loro futuro senza
consultarli. Meritiamo una simile derisione razzista?
Questo non solo e' inaccettabile: e' impossibile da credere. Come puu' una
regione di quasi 300 milioni di arabi aspettare passivamente che si
abbattano i colpi senza tentare un ruggito collettivo di resistenza e il
forte annuncio di una visione alternativa? L'arabo si e' completamente
dissolto? Anche un condannato a morte di solito ha un'ultima parola da
pronunciare. Perche' oggi non c'e' un attestato finale di gratitudine a
un'era della storia, a una civilta' che sta per essere schiacciata e
completamente trasformata, a una societa' che malgrado i difetti e le
debolezze continua a funzionare? Ogni ora nascono dei bambini arabi, i
ragazzi vanno a scuola, uomini e donne si sposano, lavorano e hanno dei
figli, giocano, ridono e mangiano, sono tristi, si ammalano e muoiono. C'e'
amore e compagnia, amicizia ed eccitazione. Si', gli arabi sono repressi e
malgovernati, terribilmente malgovernati, ma malgrado tutto riescono ad
andare avanti. Questa e' la realta' che sia i leader arabi sia gli Stati
Uniti semplicemente ignorano.
Ma oggi chi solleva gli interrogativi esistenziali sul nostro futuro come
popolo? Il compito non puo' essere lasciato a una cacofonia di fanatici
religiosi e di pecore sottomesse, fataliste. Ma questa sembra essere la
situazione. I governi arabi - anzi, la maggioranza dei paesi arabi da cima a
fondo - se ne stanno comodi in poltrona ad aspettare, mentre l'America si
atteggia, si prepara, minaccia e invia altri soldati e F-16 per assestare il
colpo. Il silenzio e' assordante. Anni di sacrifici e di lotte, di ossa
rotte in centinaia di carceri e camere di tortura dall'Atlantico al Golfo,
famiglie distrutte, poverta' e sofferenze senza fine. Eserciti enormi e
costosi. Per che cosa?
*
Un'alternativa araba
Questa non e' una questione di partito, di ideologia o di fazione: e' una di
quelle questioni che il grande teologo Paul Tillich definiva di "massima
serieta'". La tecnologia, la modernizzazione e certamente la globalizzazione
non sono la risposta per quel che oggi ci minaccia come popolo. Nella nostra
tradizione abbiamo un intero corpo di pensiero laico e religioso che tratta
di inizi e di fini, di vita e di morte, di amore e di rabbia, di societa' e
di storia. Esiste, ma nessuna voce, nessun individuo di grande visione e
autorita' morale sembra oggi in grado di attingervi e di richiamare
l'attenzione su di esso. Siamo alla vigilia di una catastrofe che i nostri
leader politici, morali e religiosi possono solo denunciare un po', mentre
dietro mormorii, cenni d'intesa e porte chiuse studiano piani per cavarsela
senza danni. Pensano alla sopravvivenza, e forse al paradiso. Ma chi si
occupa del presente, delle cose terrene, della terra, dell'acqua, dell'aria
e delle vite che dipendono l'una dall'altra per esistere? Nessuno sembra
occuparsene. In inglese c'e' una meravigliosa espressione colloquiale che
coglie con estrema precisione e ironia la nostra inaccettabile impotenza, la
nostra passivita' e la nostra incapacita' di aiutarci ora che piu' c'e'
bisogno della nostra forza. L'espressione e': "Will the last person to leave
please turn out the light" (l'ultimo che esce spenga la luce). Siamo molto
vicini a uno sconvolgimento del genere, che lascera' in piedi pochissime
cose.
Non e' arrivato per noi il momento, collettivamente, di pretendere e di
cercare di formulare un'alternativa autenticamente araba allo sfacelo che
sta per travolgere il nostro mondo? Questa non e' solo una questione banale
di cambiamento di regime, anche se Dio sa quanto ne avremmo bisogno.
Certamente non puo' essere un ritorno agli accordi di Oslo, un'altra offerta
a Israele di accettare per favore la nostra esistenza e lasciarci vivere in
pace, un'altra meschina, servile, impercettibile supplica di grazia. Uscira'
nessuno allo scoperto a esprimere una visione del nostro futuro che non si
basi su un copione scritto da Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz, questi due
simboli di potere vacante e proterva arroganza? Spero che qualcuno stia
ascoltando.

9. INIZIATIVE. DANIEL AMIT: REFUSENIK, ISTRUZIONI PER L'USO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 febbraio 2003. Daniel Amit e' un
prestigioso intellettuale, docente, scienziato e attivista per la pace e i
diritti umani israeliano]
Un solido cardine di riferimento utilizzato per l'esposizione del
comportamento di una societa' e' costituito dall'osservazione dei suoi
divieti.
Il tenente A. dell'esercito israeliano che doveva agire nella catena di
comando che serviva per lanciare un'enorme quanto devastante bomba su una
citta' palestinese, ha capito che i divieti ci sono, ha sabotato il sistema,
ed e' riuscito a prevenire il peggio, e ha provocato un dibattito interno
sull'etica in un'unita' segreta dell'esercito come abbiamo scritto in questi
giorni sulle pagine de "Il manifesto".
Subito dopo, il movimento Yesh Gvul, ha pubblicato, a pagamento, su
"Ha'aretz" del 3 febbraio 2003 un vademecum per avvertire i militari, ora un
po' sensibilizzati, degli ordini da non eseguire.
Sotto il titolo "Il governo autorizza Tsahal a condurre nei territori una
politica di distruzione e vendetta. Molti soldati e ufficiali ignorano ogni
obbligo etico e legale e violano leggi locali e convenzioni internazionali
firmate da Israele", elencano i divieti:
"Soldato-soldatessa
Sparare contro civili non armati e contro case abitate e' immorale e
illegale!
La distruzione di case e lo sradicamento di frutteti e' immorale e illegale!
Ostacolare l'arrivo di cibo e aiuti medici e sanitari e' immorale e
illegale!
L'arresto prolungato senza processo e' immorale e illegale!
L'esecuzione senza processo ("eliminazione mirata") e' immorale e
illegale!".
E le "istruzioni per l'uso" ai militari israeliani si concludono cosi':
"Dall'inizio dell'Intifada sono stati imprigionati piu' di 200 soldati per
il loro rifiuto di partecipare all'occupazione e ad atti di questo tipo".
Ora, che stiamo per entrare in una guerra intelligente, un manuale di questo
tipo potrebbe venire utile. E non solo in Israele.

10. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: LA POLITICA E' PACE, E LA PACE E'
POLITICA
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ilmattinobz.it) per
questo intervento. Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista
nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel
1967, laureatosi con una tesi su Raimundo Panikkar, collabora a varie
riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo (Mi) 2000; ha partecipato alla redazione del libro di AA.
VV., Le periferie della memoria, e a AA. VV., Giubileo purificato]
Mercoledi' scorso un editorialista, in un fondo sul Corriere della Sera dal
titolo "Le vie della pace (senza i pacifisti)" poneva, in senso critico nei
confronti della "utopia pacifista", un tema importante. Ossia che e' compito
della politica porre un'alternativa alla guerra. La pace non c'entra,
perche' la pace "e' un elemento universale della coscienza" e in quanto
"assoluto morale" non puo' sedersi sui banchi del parlamento perche' la pace
politica e' - dice l'editorialista - un "valore relativo".
E allora cerco di sintonizzarmi sulle onde culturali che dalla seconda
guerra mondiale ad oggi hanno cercato di mettere al centro della prassi
politica il tema della pace.
Perche' la politica e' pace e la pace e' politica.
*
Non e' un caso che i padri della Costituente abbiano voluto inserire nella
nostra Costituzione un articolo, il famoso articolo 11, che chiarisse
inequivocabilmente una cosa: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli
altri stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
Uscita da una guerra spaventosa, da un cataclisma come non si era registrato
mai nella storia dell'umanita', sopravvissuta ai fumi di Auschwitz e al
fungo di Hiroshima, la politica italiana (e la politica mondiale) ha pensato
che non la guerra, ma la pace dovesse essere sigillata nei codici normativi
degli stati nazionali. Di piu': la pace doveva diventare una barriera
culturale alla violenza, un rifiuto schifato (questo significa "ripudio")
alle  soluzioni armate per le controversie fra i popoli.
Questo intento venne pari pari ripreso nella carta delle Nazioni Unite, la'
dove si avverte, nel preambolo, che questa grande organizzazione planetaria
nasce con l'intento supremo di "preservare l'umanita' dal flagello della
guerra che per ben due volte, nel corso di questa generazione, ha portato
indicibili afflizioni all'umanita'; a riaffermare la fede nei diritti
dell'uomo, nella diginita' e nel valore della persona umana".
E giustamente Antonio Papisca, uno dei maggiori esperti di diritto
internazionale in Italia, ha interpretato questo passaggio politico del
nuovo mondo come "l'affermazione della soggettualita' popolare per la
costruzione di un nuovo ordine di pace".
Sappiamo come sono andate le vicende storiche del '900, sappiamo come
l'etica della pace iscritta nei grandi documenti politici e giuridici sia
stata non solo disattesa, ma spesso vilipesa da volonta' espansioniste, da
interessi strategici, da dittature sanguinose e da democrazie fantoccio.
Conosciamo anche le vicende contraddittorie (a dir poco contraddittorie) che
hanno accompagnato lo sviluppo della grande democrazia americana, che ha
sostenuto, foraggiato, armato governi dittatoriali, regimi sanguinosi,
uomini violenti, che poi ha dovuto combattere con guerre terribili.
La "diplomazia armata", di cui parla quell'editorialista, ha dovuto aprire
gli hangar dei bombardieri per lasciar cadere missili e bombe sui popoli,
invertendo il rapporto delle guerre passate che vedevano morire sul campo
quasi del tutto i militari preservando al massimo i civili. Le ultime guerre
"intelligenti" provocano stragi fra civili e lasciano in piedi gli eserciti.
Ma nonostante le derive bellicose che si sono succedute dalla seconda guerra
mondiale in avanti, facendosi beffa dei principi normativi per una soluzione
nonviolenta dei conflitti sanciti dall'Onu, ancora l'etica della pace e'
stata al centro della rivoluzione politica che ha scardinato l'asse del
terrore fra est e ovest, abbattendo il muro di Berlino. Quell'evento e'
stato letto, da tutta la stampa mondiale, come la vittoria politica di pace
sulla stupidita' della "diplomazia armata". E sembrava che un nuovo tempo di
prosperita' e serenita' fosse emerso dalle rovine dei vecchi blocchi
contrapposti. Fiumi di parole "politiche" sono corse nel mare calmo della
nuova condizione umana, nata da quella rivoluzione. L'Europa non sarebbe
stata piu' una fortezza chiusa, ma si sarebbe aperta all'islam, all'incontro
fra le culture e le religioni, avrebbe ripreso il suo cammino e addirittura
il papa lancio' il segnale coinvolgendo tutti i responsabili delle grandi
tradizioni religiose dell'umanita' ad Assisi per recitare insieme il cantico
delle creature.
L'utopia della pace, insomma, assunse piena legittimita' politica. Solo che,
nel concreto, prevalse la logica della "diplomazia armata", tanto armata da
inanellare, nei dieci anni che vanno dalla prima "tempesta del deserto" in
Iraq del '90 una serie di conflitti che hanno riportato la guerra al centro
della politica estromettendone la pace.
E allora l'Iraq che aveva occupato il Kuwait andava fermato, lo sterminio
jugoslavo andava spento, il Kosovo attaccato andava difeso, l'Afghanistan
disseminato di talebani di bin Laden andava liberato. E le tante altre
carneficine sparse qua e la' nei Paesi che non contano (a cominciare dal
Ruanda) vennero totalmente snobbate (chissa' perche'...).
Oggi la guerra non solo e' ripiombata al centro della politica, ma ne e'
diventata, per dirla alla von Clausewitz, il suo proseguimento con altri
mezzi.
La guerra "infinita" e "preventiva" di Bush e' il ribaltamento politico e
giuridico della politica come e' nata e l'abbiamo studiata fino ai giorni
nostri. E' altra cosa.
"La politica si e' rotta", aveva detto con grande intuito un senatore
americano democratico prima di abbandonare definitivamente il suo impegno di
parlamentare in contrasto con il presidente. Quando la guerra diventa
l'ossatura della politica, significa che si e' verificato uno stravolgimento
totale della rappresentanza popolare e della democrazia istituzionale (di
qui il sospetto che gli States in realta' stiano assumendo le forme
dell'impero).
Perche' la politica e' pace e la pace e' politica.
*
Ecco, dunque, la funzione del popolo della pace, che quell'editorialista non
comprende. Le mobilitazioni di massa, come quella che ci sara' sabato a
Roma, servono a dire con forza ai nostri politici che una prassi che mette
al centro la guerra, non corrisponde a quella che essi credevano quando
hanno votato per affidar loro un mandato popolare.
I popoli hanno eletto i loro rappresentanti non per celebrare la guerra, ma
perche' fossero ordite trame di pace, di convivenza, di integrazione fra i
gruppi umani.
Questo il dovere della politica.
Questa volta, molto piu' che per altre guerre, i popoli del mondo sono
contro lo scenario che l'America sta dipingendo attraverso tutte le armi
della propaganda che possiede. Questa volta la politica che vuole la guerra
non sa piu' spiegare ai cittadini le ragioni dei suoi comportamenti, non sa
rispondere alla domanda che la societa' pone, ossia perche' la guerra e'
stata messa all'inizio di ogni strategia. Perche' questo non vale
assolutamente a vendicare il sangue versato nelle twin towers.
La guerra permanente di Bush dovra' far i conti con l'opposizione popolare
che chiede alla politica di fare la pace, di mediare oltre le mediazioni, di
costruire una comunita' riconciliata e non una terra dove il nemico
potenziale e' l'ombra lunga della nostra stessa esistenza. Non la mediazione
armata, ma la pace e' il senso e il fine della polis, che costruisce la
comunita' e non la distrugge.

11. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: ROMA E BRESCIA, LA VIOLENZA DELLA
TRADIZIONE MASCHILISTA
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
Roma e Brescia: due citta' lontane per tradizioni e cultura; cosi' pare.
Invece  nel giro di pochi giorni si sono ripetuti due episodi identici di
violenza.
Se vogliamo continuare ad affrontare la tematica della violenza non possiamo
non fare i conti con eventi del genere, solo apparentemente diversi e
lontani dall'universo calorico di  coloro che, essendo politici o uomini
della strada, o politiche o donne della strada, in questo giorni inneggiano
all'intervento armato contro l'Irak.
In un numero precedente del notiziario ho portato la testimonianza, cosi'
lontana nel tempo, di un militare di carriera che metteva pezzetti di ferro
nella fondina della pistola d'ordinanza perche' non gli piaceva cio' che
tale arnese significava. Ebbene, quell'uomo ne aveva spiegato il senso a una
bambina di 7/8 anni senza vergognarsi, senza temere di apparire meno virile.
La guerra era finita da poco e tutti ne portavamo i segni dolorosi e ancora
la voglia di essere aggressivi.
Era una questione d'identita': lui si assumeva, pur appartenendo a una
generazione dell'ottocento, pur avendo fatto la celebre Accademia per
sottoufficiali della Guardia di Finanza al palazzo reale di Caserta, il
rischio di apparire debole agli occhi di una bambina.
Gli uomini allora avevano imparato il dovere del cavaliere che era quello di
difendere le donne, la  proprieta' di   mogli, sorelle, madri e fidanzate
dagli sguardi e dagli approcci maneschi dei rivali. Come mai oggi si
ripetono gli episodi di ragazzi nostrani che , all'uscita dalle discoteche,
provocano la "proprieta'" femminile altrui?
Scrive il quotidano "Il manifesto" del 14 febbraio :"A un certo punto uno
dei due giovani e' uscito dalla discoteca deciso a farla pagare al rivale".
Ecco il linguaggio antico che resta nella tradizione: la si deve far  pagare
al "rivale".
"Il Giornale di Brescia" del 14 febbraio inizia cosi' l'articolo: "Notte di
sangue e di follia al Garda. Un banale screzio in discoteca per una ragazza
ha avuto un drammatico epilogo all'esterno del locale, pochi minuti dopo la
chiusura. Un muratore di origine siciliana ha aspettato e aggredito
colpendolo alla testa con una spranga il presunto 'rivale', il ventinovenne
A. T., residente a Brescia, riducendolo in gravi condizioni. La prognosi e'
riservata. In suo soccorso sono arrivati tre amici con i quali aveva
raggiunto da Brescia il locale notturno gardesano che hanno 'punito'
l'aggressore pestandolo a calci e a pugni".
A Roma ci e' scappato subito il morto.
*
Insomma le donne non devono considerarsi appartenenti a se stesse.
Cosi' e' per i musulmani, cosi' e' per i cristiani, gli ebrei, eccetera.
Ieri come oggi. Ma con una differenza.
Per gli emigrati musulmani molestare le donne, per esempio, non ha lo stesso
significato. Loro hanno ancora forte la presa patriarcale sulle donne che
tengono sottomesse. Le donne native sono considerate dunque troppo libere ed
esposte e pertanto invitanti. E colpire le donne vuol anche dire prendersela
con i "proprietari".
Per i maschi italiani, come per tutti gli occidentali, la crisi della
identita' maschile e' ormai molto avanzata a causa della liberta' di
movimento e affermazione che le donne si sono prese negli anni. Riprendersi
pezzi di tradizione maschilista, come questo, esercita un enorme fascino a
attrazione. Vuole dire, in fondo in fondo, ancorarsi alla tradizione dei
padri almeno momentaneamente, nel tempo libero, vivendo la sensazione forte
di una antica identita' virile fondata sul possesso delle donne e
sull'espressione, "legitima", della violenza fisica.
E' segno, questo rigurgito di tradizione, della crisi della identita'
maschile, piuttosto che della sua forza come lo fu un tempo.
Come nel passato c'erano uomini, persino militari, che volevano sentirsi
tali per identita' senza ricorrere al mito dell'eroe o del padre-padrone,
cosi' ci sono oggi. Ma accanto a schiere di uomini giovani o non piu'
giovani che non tollerano il cambiamento d'identita' femminile e il
significato per il mondo che puo' assumere. Per il mondo: si', in quanto la
pacifica rivoluzione delle donne con il femminismo e i cambiamenti provocati
dall'evoluzione sociale, richiedono nuovi approcci tra i sessi all'insegna
della reciprocita' nella differenza.
Una reciprocita' che potrebbe valere anche per i popoli, le nazioni, come
modello di vita collettiva.

12. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: UN'URGENZA
Che tutto il movimento per la pace assuma un impegno chiaro contro
l'antisemitismo; che tutto il movimento per la pace ripudi atteggiamenti e
slogan hitleriani che purtroppo lo hanno a lungo contaminato; che tutto il
movimento per la pace capisca che la nostra solidarieta' con il popolo
palestinese e la richiesta che nasca uno stato palestinese libero,
indipendente e democratico, e la nostra solidarieta' con il popolo di
Israele e la richiesta che lo stato di Israele possa esistere in pace,
sicurezza e democrazia, devono essere un unico, medesimo impegno.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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Numero 508 del 15 febbraio 2003