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La nonviolenza e' in cammino. 508
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 508
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 15 Feb 2003 00:23:16 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 508 del 15 febbraio 2003 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo, la nonviolenza un passo alla volta 2. Unione dei familiari delle vittime delle stragi: no alla guerra 3. Benito D'Ippolito, in cammino 4. Giobbe Santabarbara, si puo' 5. Un tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq 6. Maria Teresa Gavazza, bandiere di pace 7. Opera Nomadi e Unirsi, insieme contro la guerra 8. Edward Said, inaccettabile impotenza 9. Daniel Amit: refusenik, istruzioni per l'uso 10. Francesco Comina: la politica e' pace, e la pace e' politica 11. Ileana Montini: Roma e Brescia, la violenza della tradizione maschilista 12. Severino Vardacampi, un'urgenza 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LA NONVIOLENZA UN PASSO ALLA VOLTA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione questo testo elaborato per essere utilizzato in seminari di formazione alla nonviolenza. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Impariamo a praticare la nonviolenza un passo alla volta, una scelta alla volta, giorno per giorno. Questo e' il modo in cui ciascuno di noi muove il mondo verso la pace. E queste, di seguito, sono le prime quaranta parole di un cammino: aggiungete le vostre! * Primo giorno. La parola di oggi e' coraggio. "Quando qualcuno si erge contro la violenza, una forza di cambiamento viene liberata. Ogni azione per la pace richiede il coraggio di sfidare la violenza ed ispirare amore" (Thich Nhat Hanh, insegnante buddista). Come potete praticare questo coraggio nella vostra vita, oggi? Secondo giorno. La parola di oggi e' apprezzamento. L'amore nelle nostre vite comincia da noi: oggi pensate a dieci cose che apprezzate di voi stessi/e. Terzo giorno. La parola di oggi e' cura. Date valore alla Terra, conservando risorse naturali ed evitando di acquistare prodotti che inquinano o sfruttano chi li produce. Oggi cominciate a riciclare. Quarto giorno. La parola di oggi e' autorevolezza. Se usate la violenza nella vostra lotta dovrete vendere parte di voi stessi/e, e il vostro messaggio perdera' autorevolezza. Non agite in preda alla rabbia o alla fretta. Quinto giorno. La parola di oggi e' conoscenza. Cosa potete leggere, vedere, ascoltare oggi per espandere la vostra conoscenza dei diritti umani, delle differenze, dell'ecologia, della storia? Sesto giorno. La parola di oggi e' guarigione. Riflettete su un dolore che avete provato o provate: esso puo' avere un dono da farvi e diventare un catalizzatore per la vostra creativita' e la vostra forza. Un proverbio Sufi dice che "Quando il cuore piange per cio' che e' perduto, lo spirito ride per cio' che e' trovato". Settimo giorno. La parola di oggi e' sogno. Martin Luther King aveva un grande sogno di pace. Com'e' il vostro? Cosa potete fare per onorarlo, oggi? Ottavo giorno. La parola di oggi e' fiducia. Quando Cesar Chavez organizzava i braccianti in California, li sfidava a ripetere "Si', se puede" (che significa "Si', e' possibile") mentre ancora non sapevano se avrebbero superato gli ostacoli che avevano di fronte. Abbiate fiducia, e troverete un modo. Nono giorno. La parola di oggi e' contemplazione. Prendetevi un momento di relax, respirate e lasciate che la vostra mente si nutra di cio' che e' buono, di cio' che e' bello. Siate cio' che pensate! Decimo giorno. La parola di oggi e' terra. Gandhi disse: "Dimenticare come si zappa la terra e come si ha cura del suolo e' dimenticare noi stessi". Alce Nero disse: "Una piccola radice dell'albero sacro vive ancora. Nutrila, affinche' l'albero metta foglie, porti fiori e si riempia del canto degli uccelli". Oggi curatevi di una pianta, mettete un seme nella terra. Undicesimo giorno. La parola di oggi e' creativita'. Il desiderio piu' potente dell'animo umano e' creare. La vostra vita e' l'espressione della vostra creativita'. Cosa create nella vostra vita, oggi, e in quali modi potete esprimerlo con gioia? Dodicesimo giorno. La parola di oggi e' consapevolezza. Fare errori e' parte del nostro processo di apprendimento e crescita. Oggi, riconoscete i vostri errori come lezioni di consapevolezza. Tredicesimo giorno. La parola di oggi e' bellezza. L'ambientalista John Muir ha detto: "Ognuno di noi ha bisogno della bellezza come ha bisogno di pane". Oggi fate una passeggiata in mezzo al verde, fate esperienza della bellezza che vi circonda. Quattordicesimo giorno. La parola di oggi e' gratitudine. Oggi fate una lista di cinque cose per cui siete grati nella vostra vita e condividete queste buone cose con qualcun altro, di modo che anche lui o lei rifletta sulla gratitudine. Quindicesimo giorno. La parola di oggi e' integrita'. "Fa' la cosa giusta!" (Spike Lee). Quando oggi prendete decisioni ascoltate la vostra coscienza: voi sapete cos'e' giusto fare. Sedicesimo giorno. La parola di oggi e' liberta'. "La liberta' sono le persone che capiscono di essere esse stesse i propri leader" (Diane Nash, attivista per i diritti civili). Trovate un modo, oggi, per esprimere quel che siete veramente. Diciassettesimo giorno. La parola di oggi e' accettazione. Il risentimento, la paura e il senso di colpa non sono motivatori di una vita sana. Oggi, scegliete di non giudicare voi stessi/e. Vedetevi semplicemente come unici. Diciottesimo giorno. La parola di oggi e' ispirazione. Prendetevi un momento per riflettere su che persone vi ispirano, e quali sono le caratteristiche che ammirate in esse. Scoprite il potenziale che e' in voi e coltivatelo. Diciannovesimo giorno. La parola di oggi e' missione. "La mia vita e' il mio messaggio", disse Gandhi. Come potete tradurre in azione i vostri convincimenti? Pensateci oggi. Ventesimo giorno. La parola di oggi e' amicizia. "Gli estranei sono semplicemente amici che non ho ancora incontrato" (Will Rogers). Oggi e' un buon giorno per conoscere qualcuno di nuovo. Ventunesimo giorno. La parola di oggi e' rispetto. "Il linguaggio che si usa e' un esatto riflesso del carattere di chi lo usa" (Gandhi). Rispettare voi stessi/e e gli altri/le altre significa anche usare un linguaggio rispettoso. Ventiduesimo giorno. La parola di oggi e' ascolto. Prendetevi il tempo di ascoltare i sentimenti che stanno dietro alle parole che vi vengono dette. Siate, almeno per una volta, totalmente "presenti" nella conversazione. Ventitreesimo giorno. La parola di oggi e' perdono. Quando perdoniamo, non stiamo assolvendo i comportamenti altrui: stiamo semplicemente comprendendo che in noi c'e' qualcosa di piu' importante dell'esperienza che ci ha ferito. Oggi lasciate andare il passato, perdonate qualcuno e muovetevi in avanti nella vostra vita. Ventiquattresimo giorno. La parola di oggi e' lode. L'apprezzamento aiuta le persone a crescere. Offrite una lode a chi incontrate oggi: per le sue qualita' personali, per i suoi risultati, per il suo aiuto. Venticinquesimo giorno. La parola di oggi e' pazienza. La nonviolenza non e' non-azione: e' un lavoro lungo, e' la pazienza di vincere. Quando vi sembra di tardare a raggiungere risultati, scegliete di essere pazienti e cercate modi in cui usare costruttivamente questo periodo a sostegno del vostro scopo. Ventiseiesimo giorno. La parola di oggi e' riconoscimento. Dite a qualcuno/a che differenza lui o lei ha fatto nella vostra vita. Non era scontato che queste persone importanti per voi divenissero tali. Ventisettesimo giorno. La parola di oggi e' amore. La nonviolenza e' basata sull'assunto che l'umana natura risponde sempre a gesti d'amore: oggi riflettete su cosa apprezzate di piu' nelle persone che meno vi piacciono. Ventottesimo giorno. La parola di oggi e' attenzione. Siate attenti/e alle motivazioni che vi spingono ad agire, alle intenzioni nelle vostre parole, ai bisogni ed alle esperienze delle altre persone. Ventinovesimo giorno. La parola di oggi e' gentilezza. Ogni giorno siamo investiti da notizie di assurdi e terribili atti di violenza. Partecipate alla rivoluzione della gentilezza, e oggi riflettete su come essere gentili con voi stessi/e e con gli altri. Trentesimo giorno. La parola di oggi e' dialogo. Un dialogo sano e' quello in cui coloro che non sono d'accordo sanno esprimerlo con rispetto per le opinioni altrui, e continuando ad apprezzare la comune umanita'. Oggi, dite le vostre verita' chiaramente e in modo quieto. Trentunesimo giorno. La parola di oggi e' responsabilita'. Piu' siamo capaci di rispondere delle nostre parole e dei nostri atti, piu' siamo in grado di offrire scelte per la risoluzione nonviolenta dei conflitti. Trentaduesimo giorno. La parola di oggi e' cooperazione. Quando lavoriamo insieme, siamo piu' forti di quando lavoriamo da soli. Riflettete oggi su un modo significativo in cui cooperare meglio in famiglia, sul posto di lavoro, a scuola, nella vostra comunita' o nel vostro gruppo. Trentatreesimo giorno. La parola di oggi ' compassione. Compassione non e' pieta': e' la capacita' di "sentire insieme", nella gioia e nella sofferenza. Oggi pensate a qualcuno/a che crede di essere solo/a e fategli sapere che non lo e'. Trentaquattresimo giorno. La parola di oggi e' disarmo. Oggi parlate con qualcuno di come potrebbe essere il mondo in assenza di armi e di eserciti. Immaginate di vivere in questo mondo con i vostri cari. Trentacinquesimo giorno. La parola di oggi e' onorare. Albert Einstein disse: "Ci sono solo due modi di vivere la vita: uno pensando che nulla sia un miracolo, l'altro pensando che tutto lo e'". Oggi, prima di mangiare, fermatevi un momento ad onorare tutte le mani che hanno portato il cibo sulla vostra tavola e benedite la Terra per la sua abbondanza. Trentaseiesimo giorno. La parola di oggi e' azione. Ciascuno/a di noi puo' operare un cambiamento, ciascuno/a di noi fa Storia. Oggi compite un'azione che si traduca in un cambiamento positivo per la vostra vita, per la vostra casa, per il luogo in cui lavorate o studiate, per la vostra comunita'. "Tutto quello di cui avete bisogno e' un cuore pieno di grazia" (Martin Luther King). Trentasettesimo giorno. La parola di oggi e' cittadinanza. "Usate ogni lettera che scrivete, ogni conversazione, ogni incontro, per esprimere i vostri sogni e le vostre convinzioni" (Robert Muller, Onu). Scegliete di fare la differenza nella vostra comunita' essendo cittadini/e partecipi. Trentottesimo giorno. La parola di oggi e' testimonianza. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte all'ingiustizia o alla crudelta'. Noi siamo qui per testimoniare giustizia, equita', compassione, verita'. Volete oggi impiegare la vostra presenza, le vostre parole e le vostre azioni in testimonianza? Trentanovesimo giorno. La parola di oggi e' celebrazione. "Non ho dubbi che un piccolo gruppo di cittadini impegnati possa cambiare il mondo. E' la sola cosa che lo ha sempre cambiato" (Margaret Mead). La nonviolenza costruisce in voi il coraggio di parlare ed agire con rispetto e compassione per ogni essere vivente. Oggi celebrate le vostre conoscenze e la vostra crescita. Quarantesimo giorno. La parola di oggi e' pace. Trasformate gli elementi di guerra presenti in ogni cultura spargendo semi di pace, di gioia, di consapevolezza. Incontrate ogni esperienza, oggi, con un intento di pace. Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo. * (Grazie agli amici ed amiche di A Season for Nonviolence per avermi suggerito l'idea). 2. APPELLI. UNIONE DEI FAMILIARI DELLE VITTIME DELLE STRAGI: NO ALLA GUERRA [Dall'Unione dei familiari delle vittime delle stragi (per contatti: 2agost80 at iperbole.bologna.it) che collega le associazioni dei familiari delle vittime delle stragi di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Treno Italicus, Stazione di Bologna del 2 Agosto 80, Rapido 904, Firenze Via dei Georgofili, riceviamo e diffondiamo questo appello a firma del presidente Paolo Bolognesi] Le nostre associazioni tutte composte da persone colpite direttamente negli affetti piu' cari dal terrorismo esprimono il loro piu' fermo no alla guerra. Il terrorismo non si sconfigge con la guerra ma solo con azioni di pace. La pace e' valore primario ed universale al quale tutti dobbiamo tendere per sconfiggere il terrorismo. 3. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: IN CAMMINO Questo di oggi e' un popolo in cammino non sa verso dove ma sa da dove viene da cosa fugge, a cosa si oppone. E si oppone alla guerra, la guerra nemica di tutte le genti e del mondo divoratrice. Fugge dall'apatia, la complicita' che consiste nel dire decidano altri. Viene da una storia di sangue e furore la storia che uccide la storia e le storie la storia che mena al piu' nulla. E' gente in cammino e camminando fa strada. Far strada e' gia' opporsi alla morte. Cammin facendo costruisce la vita raccoglie i feriti e li cura, raccoglie le armi e le spezza, ascolta ed intreccia parole, fa luce tutti accogliendo. E' un duro cammino di gente che spera e che lotta che vuole che il mondo continui che ancora e di nuovo sia sera e mattina per te, per Maria, per tutti. 4. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: SI PUO' Si puo' passsare la vita a lanciare appelli perche' altri facciano qualcosa, e si puo' decidere di farla tu la cosa giusta e necessaria. E la cosa necessaria e urgente e' fermare la guerra, e per fermare la guerra occorre impedire l'operativita' e l'uso di eserciti ed armi (e in prospettiva, e alla radice, abolire gli eserciti e le armi distruggere). L'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere della pace con cui ostruire lo spazio aereo di decollo dei bombardieri e' questo: un atto concreto di contrasto della guerra, bloccando i decolli dei bombardieri, mettendo in condizioni di non nuocere le basi dell'aviazione militare impegnate nella guerra. Senza tante chiacchiere, contando sulle nostre forze, abbiamo iniziato a organizzare l'azione diretta nonviolenta con cui fermarla noi direttamente la guerra, facendoci carico noi di bloccare la macchina bellica piu' potente del mondo. Poiche' anche la macchina bellica piu' potente del mondo puo' essere resa impotente dalla nonviolenza: la nonviolenza e' piu' forte. E perche' sarebbe ora di prendere sul serio quello che la Costituzione della Repubblica Italiana ci chiede: "ripudia la guerra". E "ripudia la guerra" non significa squagliarsela o lamentarsene: significa fronteggiarla e sconfiggerla la macchina della guerra; significa non fuggire, ma contrastare e impedire la guerra. 5. INIZIATIVE. UN TAVOLO DI SOLIDARIETA' CON LE POPOLAZIONI DELL'IRAQ [Da Enrico Marcandalli, volontario di Peacelink (per contatti: ramalkandy at iol.it), riceviamo e diffondiamo questo appello] Noi, organizzazioni non governative, associazioni di solidarieta' internazionale, operatori umanitari, volontari e cooperanti impegnati nella aree di crisi e nei paesi in via di sviluppo, di fronte alla prospettiva che una nuova guerra si abbatta sulla popolazione irachena gia' colpita da 12 anni di embargo, aggiungendosi ai tanti scenari di conflitto esistenti, abbiamo deciso di costituire un tavolo di coordinamento che ci vede impegnati ad operare per un comune progetto di pace, per la promozione dei diritti umani e contro ogni dittatura. Facendo nostri i principi che hanno ispirato tutta quella larga parte dell'opinione pubblica che in tanti paesi e' contraria alla guerra e che e' ancora inascoltata dai governi e dai parlamenti, su invito dell'associazione "Un ponte per...", attiva da anni in Iraq con progetti di solidarieta', abbiamo dato vita ad un "Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq" che raggruppi gli organismi, ong, associazioni, enti locali, che intendano operare per aiuti di emergenza in caso di attacco e con interventi per lo sviluppo se la guerra sara' fermata. Il "Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq" sara' lo strumento per coordinare e concertare azioni comuni contro la guerra e le azioni umanitarie che si rendessero necessarie verso tutte le popolazioni colpite dal conflitto, in uno spirito di collaborazione e per ottimizzare l'efficacia dell'intervento. Come primo atto del nostro impegno indiciamo uno "sciopero bianco" della cooperazione internazionale per il 15 febbraio, giornata mondiale di mobilitazione contro la guerra all'Iraq, con la sospensione per una giornata di tutte le attivita' non essenziali svolte dai nostri volontari, cooperanti e missionari all'estero, che consegneranno contemporaneamente in tutto il mondo alle ambasciate italiane un messaggio di condanna della guerra e della partecipazione italiana ad essa in qualsiasi forma, coinvolgendo anche, ove possibile, i nostri partner locali. Questo sara' il nostro concreto contributo alla mobilitazione contro la guerra. Nel proporci il compito di portare soccorso alle popolazioni irachene in caso di attacco militare ci impegniamo: - a denunciare e a non partecipare ad iniziative di aiuto umanitario che il governo italiano e altri governi o istituzioni, dovessero mettere in atto a copertura della propria partecipazione alla guerra; - ad identificare in totale autonomia le azioni di aiuto che realmente sosterranno le popolazioni colpite; - a non collaborare con le forze militari. Al piu' presto una missione comune di valutazione si rechera' in Iraq e si incontrera' con le agenzie internazionali non coinvolte con la guerra per verificare le necessita' di intervento, cercando fin da subito il pieno coinvolgimento di partners locali, con particolare attenzione alle associazioni femminili. La missione avra' l'obiettivo di rendere operativo il Tavolo al piu' presto, anche con l'avvio di una struttura logistica di base, che sia di supporto all'avvio di primi interventi, per la quale verra' richiesta una sottoscrizione da concordarsi. Facciamo appello a tutte le organizzazioni di cooperazione e solidarieta' internazionale che abbiano una presenza all'estero ad aderire allo sciopero bianco del 15 febbraio, coordinando paese per paese l'azione. Facciamo infine appello alla societa' italiana affinche' aderisca alla campagna di sostegno alle popolazioni dell'Iraq che, con o senza la guerra, hanno diritto al nostro aiuto. A Tal fine il Tavolo lancera' una speciale campagna di sottoscrizione e di informazione. * Prime adesioni: Un ponte per..., Associazione Ong italiane, Beati i Costruttori di Pace, Consorzio Italiano di Solidarieta' - Ics, Cosv, Intersos, Iscos - Istituto Sindacale per la Cooperazione allo Sviluppo, Gvc - Gruppo di Volontariato Civile, Progetto Sviluppo, Terre des Hommes. 6. RIFLESSIONE. MARIA TERESA GAVAZZA: BANDIERE DI PACE [Ringraziamo Maria Teresa Gavazza (per contatti: teregav at tin.it) per questo intervento. Maria Teresa Gavazza, insegnante, storica, e' impegnata da sempre per la pace e la nonviolenza] Puo' una bandiera fermare la guerra? Un simbolo che nel '900 e' stato spesso segno di supremazia di una razza o portatore di morte: bandiere uncinate o addobbate con lugubri teschi. Ma anche bandiere rosse, segno di riscatto dallo sfruttamento e simbolo di rivoluzione per gli oppressi. E ancora il tricolore: la bandiera dell'Italia repubblicana viene proclamata vessillo ufficiale dello Stato dall'Assemblea costituente il 24 marzo 1947, oggi il Presidente Ciampi la propone come segno dell'unita' nazionale. Nel terzo millennio, alla vigilia di una guerra preventiva, di fronte alla crisi globale piu' grave dalla fine della guerra fredda, un semplice vessillo colorato o uno straccetto bianco sono diventati una forma di resistenza alla catastrofe annunciata. E' incredibile come questa forma di protesta nonviolenta sia contagiosa, al punto da suscitare qualche preoccupazione. Quale pericolo puo' rappresentare una bandiera della pace? Sappiamo che in alcuni condomini o scuole o edifici pubblici coloro che temono le silenziose voci del dissenso civile - una bandiera colorata come seme di comportamenti democratici responsabili - hanno cercato cavilli giuridici o norme burocratiche per rimuovere uno stendardo, cancellando cosi' le opinioni di migliaia di giovani, di famiglie, di donne che coraggiosamente hanno voluto spiegare le ragioni della pace. Forse perche' mai prima d'ora si era creata un'alleanza di anime cosi' diverse per protestare contro la guerra solamente annunciata: Azione Cattolica, Banca Etica, Libera, Attac, Rete Lilliput, Tavola della pace e molte altre associazioni hanno aderito al progetto "pace da tutti i balconi". Contaminazioni di storie, esperienze differenti unite dall'amore per una terra martoriata; la preoccupazione per un'umanita' malata e spaventata ha spinto persone di ogni eta' ad aprire finestre e balconi, a incontrare vicini di pianerottolo o di quartiere per esporre quella stoffa dai colore dell'arcobaleno. Molte donne, giovani e meno giovani, forse per un'affinita' antropologica verso una tela da tessere e da cucire tutte insieme, si sono ritrovate per disegnare parole e colori. Sono poi andate silenziosamente ad esporre i loro vessilli lungo le strade, sui ponti, davanti alle chiese, ai municipi, alle scuole. Un esercito di donne per la pace, pronte a creare reti colorate per unire diversita' e vincere la paura. Si visiti il sito www.bandieredipace.org per visitare una mappa che non ha fine, cresce come una marea e contamina anche chi vorrebbe ritrarsi e cercare astruse ragioni per lanciare bombe, senza intraprendere prima di tutto la via della diplomazia e del dialogo. Dipingiamo di pace le citta'. 7. APPELLI. OPERA NOMADI E UNIRSI: INSIEME CONTRO LA GUERRA [Dall'Opera Nomadi (per contatti: e-mail: operanomadi at tiscalinet.it, sito: www.operanomadi.it) riceviamo e diffondiamo questo appello promosso congiuntamente da Opera Nomadi e Unirsi (Unione Nazionale e Internazionale Rom e Sinti in Italia)] Il popolo dei Rom e dei Sinti non ha mai armato un esercito, non ha mai combattuto una guerra. La pace e' il nostro elemento, l'antimilitarismo e' la nostra filosofia della vita. Il nostro orgoglioso sentimento di appartenenza al popolo dei Rom e dei Sinti esclude il legame con la terra: noi non abbiamo uno Stato, noi non rivendicheremo mai uno Stato. In nome della Patria si compiono imprese eroiche, ma anche innominabili ingiustizie. Per i nostri autentici sentimenti di pace e di estraneita' ad ogni forma di nazionalismo i nazisti ci definirono "ariani degenerati". Abbiamo pagato per questo il nostro tributo di sangue alla barbarie hitleriana ed ai fascisti della Repubblica di Salo' che deportarono centinaia e centinaia di nostri fratelli sinti. Il grande scrittore tedesco Guenter Grass, amico dichiarato del nostro popolo, dice che noi Rom e Sinti siamo i soli veri cittadini europei. E oggi piu' che mai ci sentiamo fratelli con tutti i popoli d'Europa i quali, nella loro stragrande maggioranza, esprimono sentimenti di assoluta contrarieta' alla guerra. Teniamoci per mano, sconfiggiamo gli incubi di chi vuole dominare con le armi il petrolio ed il denaro tutta la terra, lottiamo perche' trionfi la pace, la civilta', la fratellanza tra i popoli. * Il popolo Rom e' per la pace insieme ai popoli di tutto il mondo. I Rom, i Sinti e i Camminanti presenti sul territorio italiano sono contro la guerra e chiedono: 1) la possibilita' di un inserimento reale nel mondo del lavoro (spettacolo viaggiante, licenze per il commercio, cooperative ed artigianato), che vengano rispettate le pari opportunita' e che non vengano socialmente esclusi; 2) la possibilita' che ai loro figli nati e residenti in Italia dalla nascita venga concessa la cittadinanza italiana a prescindere dalla residenza legale della nascita; 3) la presenza dei mediatori Rom e Sinti in tutte le istituzioni pubbliche (Asl, enti locali, ex uffici di collocamento, camere di commercio, tribunali, carceri); 4) permessi di soggiorno e carta di soggiorno: i Rom residenti in Italia, alcuni anche da diverse generazioni e regolarizzati diverse volte, si trovano attualmente nella condizione di clandestini. Chiedono che vengano regolarizzati definitivamente come si e' verificato in diversi stati dell'Unione Europea; 5) Profughi e rifugiati della ex Jugoslavia chiedono di essere riconosciuti dalla speciale commissione di Ginevra e non essere rimandati nella terra di provenienza dove sarebbero sottoposti a persecuzione come gia' e' avvenuto; 6) Chiedono l'abolizione di fatto dei campi nomadi in quanto rivelatisi fallimentari per il reale inserimento sociale. In sostituzione di essi chiedono le civili abitazioni ed i cosiddetti "villaggi Rom" (con insediamento di piccoli gruppi familiari) come del resto avviene nelle diverse realta' degli stati dell'Unione Europea; 7) Chiedono il riconoscimento della rappresentanza del popolo dei Rom dei Sinti e dei Camminanti al governo italiano; 8) Chiedono il riconoscimento della lingua romani'. * A Roma, sabato 15 febbraio 2003 alle ore 14, alla manifestazione nazionale contro la guerra, il concentramento dell'Opera Nomadi e dell'Unirsi e' alla Piramide (scalinata delle Poste). 8. RIFLESSIONE. EDWARD SAID: INACCETTABILE IMPOTENZA [Dal sito della rivista "Internazionale" (www.internazionale.it) riprendiamo questo articolo di Edward Said. Edward Said e' un prestigioso intellettuale democratico palestinese, nato a Gerusalemme nel 1935, docente alla Columbia University. Tra le opere di Edward W. Said: Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino, poi Feltrinelli, Milano; La questione palestinese, Gamberetti, Roma; Cultura e imperialismo, Gamberetti, Roma; Tra guerra e pace, e Dire la verita', ambedue presso Feltrinelli, Milano; cfr. anche la raccolta di articoli La convivenza necessaria, Indice internazionale, Roma. E' stata recentemente pubblicata in italiano la sua autobiografia, Sempre nel posto sbagliato, Feltrinelli, Milano. Una raccolta di suoi articoli degli ultimi anni dedicati ad Israele e Palestina dopo Oslo e': Fine del processo di pace, Feltrinelli, Milano 2002] Ogni giorno apro il "New York Times" per leggere l'ultimo articolo sui preparativi di guerra negli Stati Uniti. Un altro battaglione, un'altra serie di portaerei e incrociatori, un numero sempre piu' grande di aerei, nuovi contingenti di ufficiali inviati nel Golfo Persico. L'11 e 12 gennaio sono partiti altri sessantaduemila soldati. L'America sta allestendo oltreoceano una forza enorme e deliberatamente intimidatoria, mentre all'interno del paese le brutte notizie economiche e sociali si moltiplicano inesorabilmente. La gigantesca macchina capitalista sembra vacillare, e intanto opprime la grande maggioranza dei cittadini. Nonostante questo, George W. Bush propone un altro importante sgravio fiscale per l'1 per cento della popolazione che e' relativamente ricco. Il sistema dell'istruzione pubblica e' in grave crisi e per cinquanta milioni di americani l'assicurazione sanitaria semplicemente non esiste. Israele chiede 15 miliardi di dollari sotto forma di una nuova fideiussione e ulteriori aiuti militari. E il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti cresce senza sosta, mentre giorno per giorno si perdono posti di lavoro. Continuano tuttavia i preparativi per una guerra incredibilmente costosa, e continuano senza un'approvazione pubblica ne' una disapprovazione chiaramente visibile. Un'indifferenza abbastanza generalizzata ha accolto il bellicismo dell'amministrazione e la sua risposta stranamente inefficace alla sfida mossa di recente dalla Corea del Nord. Nel caso dell'Iraq, privo di armi di distruzione di massa degne di nota, Washington pianifica una guerra; nel caso della Corea del Nord offre aiuti economici ed energetici. Che differenza umiliante tra il disprezzo per gli arabi e il rispetto per la Corea del Nord, una dittatura altrettanto dura e crudele. Nel mondo arabo e in quello musulmano la situazione appare piu' strana. Da quasi un anno politici americani, esperti regionali, funzionari governativi e giornalisti ripetono le accuse che sono diventate il ritornello quando si tratta di islam e di arabi. La maggior parte di questo coro esisteva prima dell'11 settembre. Al coro di oggi, praticamente unanime, si e' aggiunta l'autorita' del Rapporto sullo sviluppo umano nel mondo arabo, a cura delle Nazioni Unite, che ha certificato che gli arabi sono rimasti drammaticamente indietro rispetto al resto del mondo in materia di democrazia, conoscenza e diritti delle donne. Tutti dicono - con qualche giustificazione, naturalmente - che l'islam ha bisogno di riforme e che il sistema educativo arabo e' un disastro, una scuola per fanatici religiosi e attentatori suicidi finanziata non solo da imam pazzi e dai loro ricchi seguaci (come Osama bin Laden) ma anche da governi che sono ritenuti alleati degli Stati Uniti. Gli unici arabi "buoni" sono quelli che sui media criticano senza riserve la cultura moderna e la societa' araba. Ricordo le scialbe cadenze delle loro frasi, perche', non avendo nulla di positivo da dire su di se', sul loro popolo o sulla loro lingua, rigurgitano semplicemente le formule americane che gia' inondano l'etere e la carta stampata. Ci manca la democrazia, dicono, non abbiamo messo sufficientemente in discussione l'islam, dobbiamo allontanare lo spettro del nazionalismo arabo e il credo dell'unita'. Tutto questo e' screditato, e' spazzatura ideologica. E' vero solo quello che sugli arabi e sull'islam diciamo noi e i nostri istruttori americani: vaghi cliche' orientalisti riciclati, tipo quelli ripetuti da un instancabile mediocre come Bernard Lewis. Il resto non e' realistico ne' sufficientemente pragmatico. "Noi" dobbiamo aderire alla modernita', essendo la modernita' occidentale, globalizzata, liberista, democratica, qualsiasi cosa queste parole possano significare. * Ridisegnare la regione Lo scontro di civilta' che George W. Bush e i suoi portaborse cercano di fabbricare come paravento per una guerra preventiva contro l'Iraq per il petrolio e l'egemonia dovrebbe sfociare, cosi' ci dicono, nel trionfo di un processo di costruzione democratica, cambiamento di regime e modernizzazione forzata all'americana. Non contano le bombe e i danni provocati dalle sanzioni, che non vengono mai menzionati. Questa sara' una guerra purificatrice il cui obiettivo e' rovesciare Saddam e i suoi uomini e sostituirli con una mappa ridisegnata dell'intera regione. Una nuova versione degli accordi Sykes-Picot, con cui nel 1916 Gran Bretagna e Francia si spartirono il Medio Oriente. Dei nuovi "Quattordici punti" wilsoniani. Un nuovo mondo, nel complesso. I cittadini dell'Iraq, ci dicono i dissidenti iracheni, saluteranno con gioia la loro liberazione e forse dimenticheranno completamente le sofferenze del passato. Forse. Nel frattempo la devastante e lacerante situazione in Palestina continua a peggiorare. Non sembra esserci forza capace di fermare Sharon e Mofaz, che gridano la loro sfida al mondo intero. Noi proibiamo, noi puniamo, noi mettiamo al bando, noi rompiamo, noi distruggiamo. Il torrente di inarrestabile violenza contro un intero popolo continua. Mentre scrivo queste righe, mi e' stato comunicato che il villaggio di al Daba, nell'area cisgiordana di Qalqiliya, sta per essere distrutto da bulldozer israeliani da sessanta tonnellate fabbricati in America: 250 palestinesi perderanno le loro 42 case, i loro campi coltivati, una moschea e una scuola elementare per 132 bambini. Le Nazioni Unite restano a guardare, mentre le loro risoluzioni vengono violate ora dopo ora. Di solito, purtroppo, Bush simpatizza per Sharon, non per il sedicenne palestinese usato dai soldati israeliani come scudo umano. Intanto l'Autorita' Palestinese offre di tornare al tavolo negoziale e, presumibilmente, agli accordi di Oslo. Dopo essere stato preso in giro per dieci anni, Arafat sembra inspiegabilmente volerci riprovare. I suoi fedeli luogotenenti rilasciano dichiarazioni e scrivono commenti per la stampa, facendo intendere la loro disponibilita' ad accettare piu' o meno qualunque cosa. Tuttavia, la grande massa di questo popolo eroico sembra straordinariamente incline ad andare avanti, senza pace e senza tregua, sanguinando, patendo la fame, morendo giorno dopo giorno. Ha troppa dignita' e fiducia nella giustizia della sua causa per sottomettersi ignominiosamente a Israele, come hanno fatto i suoi capi. Per il cittadino medio di Gaza che continua a resistere all'occupazione israeliana, cosa ci puo' essere di piu' scoraggiante che vedere i suoi leader inginocchiarsi come supplicanti davanti agli americani? * Fanatici religiosi e pecore sottomesse In questo panorama di desolazione quel che cattura l'attenzione e' l'assoluta passivita' e l'impotenza del mondo arabo nel suo complesso. Il governo americano e i suoi servi diffondono una dichiarazione d'intenti dopo l'altra, muovono truppe e materiali, trasportano carri armati e incrociatori; ma gli arabi, individualmente e collettivamente, riescono a malapena a esprimere un blando rifiuto (al massimo dicono: "No, non potete usare le basi militari nel nostro territorio"), solo per fare marcia indietro alcuni giorni dopo. Perche' questo silenzio? Perche' una cosi' incredibile impotenza? La piu' grande potenza della storia si prepara a lanciare (ripetendolo incessantemente) una guerra contro uno stato sovrano arabo oggi governato da un orrendo regime, una guerra il cui chiaro obiettivo non e' solo distruggere il regime Baath ma ridisegnare l'intera regione. Il Pentagono non ha fatto mistero dei suoi piani per ridefinire la mappa dell'intero mondo arabo, forse cambiando altri regimi e altre frontiere. Nessuno potra' mettersi al riparo dal cataclisma quando arrivera' (se arrivera', il che non e' ancora una completa certezza). Eppure c'e' solo un lungo silenzio seguito da vaghi piagnucolii di educate obiezioni. Dopo tutto saranno coinvolti milioni di persone. L'America pianifica con sprezzo il loro futuro senza consultarli. Meritiamo una simile derisione razzista? Questo non solo e' inaccettabile: e' impossibile da credere. Come puu' una regione di quasi 300 milioni di arabi aspettare passivamente che si abbattano i colpi senza tentare un ruggito collettivo di resistenza e il forte annuncio di una visione alternativa? L'arabo si e' completamente dissolto? Anche un condannato a morte di solito ha un'ultima parola da pronunciare. Perche' oggi non c'e' un attestato finale di gratitudine a un'era della storia, a una civilta' che sta per essere schiacciata e completamente trasformata, a una societa' che malgrado i difetti e le debolezze continua a funzionare? Ogni ora nascono dei bambini arabi, i ragazzi vanno a scuola, uomini e donne si sposano, lavorano e hanno dei figli, giocano, ridono e mangiano, sono tristi, si ammalano e muoiono. C'e' amore e compagnia, amicizia ed eccitazione. Si', gli arabi sono repressi e malgovernati, terribilmente malgovernati, ma malgrado tutto riescono ad andare avanti. Questa e' la realta' che sia i leader arabi sia gli Stati Uniti semplicemente ignorano. Ma oggi chi solleva gli interrogativi esistenziali sul nostro futuro come popolo? Il compito non puo' essere lasciato a una cacofonia di fanatici religiosi e di pecore sottomesse, fataliste. Ma questa sembra essere la situazione. I governi arabi - anzi, la maggioranza dei paesi arabi da cima a fondo - se ne stanno comodi in poltrona ad aspettare, mentre l'America si atteggia, si prepara, minaccia e invia altri soldati e F-16 per assestare il colpo. Il silenzio e' assordante. Anni di sacrifici e di lotte, di ossa rotte in centinaia di carceri e camere di tortura dall'Atlantico al Golfo, famiglie distrutte, poverta' e sofferenze senza fine. Eserciti enormi e costosi. Per che cosa? * Un'alternativa araba Questa non e' una questione di partito, di ideologia o di fazione: e' una di quelle questioni che il grande teologo Paul Tillich definiva di "massima serieta'". La tecnologia, la modernizzazione e certamente la globalizzazione non sono la risposta per quel che oggi ci minaccia come popolo. Nella nostra tradizione abbiamo un intero corpo di pensiero laico e religioso che tratta di inizi e di fini, di vita e di morte, di amore e di rabbia, di societa' e di storia. Esiste, ma nessuna voce, nessun individuo di grande visione e autorita' morale sembra oggi in grado di attingervi e di richiamare l'attenzione su di esso. Siamo alla vigilia di una catastrofe che i nostri leader politici, morali e religiosi possono solo denunciare un po', mentre dietro mormorii, cenni d'intesa e porte chiuse studiano piani per cavarsela senza danni. Pensano alla sopravvivenza, e forse al paradiso. Ma chi si occupa del presente, delle cose terrene, della terra, dell'acqua, dell'aria e delle vite che dipendono l'una dall'altra per esistere? Nessuno sembra occuparsene. In inglese c'e' una meravigliosa espressione colloquiale che coglie con estrema precisione e ironia la nostra inaccettabile impotenza, la nostra passivita' e la nostra incapacita' di aiutarci ora che piu' c'e' bisogno della nostra forza. L'espressione e': "Will the last person to leave please turn out the light" (l'ultimo che esce spenga la luce). Siamo molto vicini a uno sconvolgimento del genere, che lascera' in piedi pochissime cose. Non e' arrivato per noi il momento, collettivamente, di pretendere e di cercare di formulare un'alternativa autenticamente araba allo sfacelo che sta per travolgere il nostro mondo? Questa non e' solo una questione banale di cambiamento di regime, anche se Dio sa quanto ne avremmo bisogno. Certamente non puo' essere un ritorno agli accordi di Oslo, un'altra offerta a Israele di accettare per favore la nostra esistenza e lasciarci vivere in pace, un'altra meschina, servile, impercettibile supplica di grazia. Uscira' nessuno allo scoperto a esprimere una visione del nostro futuro che non si basi su un copione scritto da Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz, questi due simboli di potere vacante e proterva arroganza? Spero che qualcuno stia ascoltando. 9. INIZIATIVE. DANIEL AMIT: REFUSENIK, ISTRUZIONI PER L'USO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 febbraio 2003. Daniel Amit e' un prestigioso intellettuale, docente, scienziato e attivista per la pace e i diritti umani israeliano] Un solido cardine di riferimento utilizzato per l'esposizione del comportamento di una societa' e' costituito dall'osservazione dei suoi divieti. Il tenente A. dell'esercito israeliano che doveva agire nella catena di comando che serviva per lanciare un'enorme quanto devastante bomba su una citta' palestinese, ha capito che i divieti ci sono, ha sabotato il sistema, ed e' riuscito a prevenire il peggio, e ha provocato un dibattito interno sull'etica in un'unita' segreta dell'esercito come abbiamo scritto in questi giorni sulle pagine de "Il manifesto". Subito dopo, il movimento Yesh Gvul, ha pubblicato, a pagamento, su "Ha'aretz" del 3 febbraio 2003 un vademecum per avvertire i militari, ora un po' sensibilizzati, degli ordini da non eseguire. Sotto il titolo "Il governo autorizza Tsahal a condurre nei territori una politica di distruzione e vendetta. Molti soldati e ufficiali ignorano ogni obbligo etico e legale e violano leggi locali e convenzioni internazionali firmate da Israele", elencano i divieti: "Soldato-soldatessa Sparare contro civili non armati e contro case abitate e' immorale e illegale! La distruzione di case e lo sradicamento di frutteti e' immorale e illegale! Ostacolare l'arrivo di cibo e aiuti medici e sanitari e' immorale e illegale! L'arresto prolungato senza processo e' immorale e illegale! L'esecuzione senza processo ("eliminazione mirata") e' immorale e illegale!". E le "istruzioni per l'uso" ai militari israeliani si concludono cosi': "Dall'inizio dell'Intifada sono stati imprigionati piu' di 200 soldati per il loro rifiuto di partecipare all'occupazione e ad atti di questo tipo". Ora, che stiamo per entrare in una guerra intelligente, un manuale di questo tipo potrebbe venire utile. E non solo in Israele. 10. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: LA POLITICA E' PACE, E LA PACE E' POLITICA [Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ilmattinobz.it) per questo intervento. Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimundo Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; ha partecipato alla redazione del libro di AA. VV., Le periferie della memoria, e a AA. VV., Giubileo purificato] Mercoledi' scorso un editorialista, in un fondo sul Corriere della Sera dal titolo "Le vie della pace (senza i pacifisti)" poneva, in senso critico nei confronti della "utopia pacifista", un tema importante. Ossia che e' compito della politica porre un'alternativa alla guerra. La pace non c'entra, perche' la pace "e' un elemento universale della coscienza" e in quanto "assoluto morale" non puo' sedersi sui banchi del parlamento perche' la pace politica e' - dice l'editorialista - un "valore relativo". E allora cerco di sintonizzarmi sulle onde culturali che dalla seconda guerra mondiale ad oggi hanno cercato di mettere al centro della prassi politica il tema della pace. Perche' la politica e' pace e la pace e' politica. * Non e' un caso che i padri della Costituente abbiano voluto inserire nella nostra Costituzione un articolo, il famoso articolo 11, che chiarisse inequivocabilmente una cosa: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Uscita da una guerra spaventosa, da un cataclisma come non si era registrato mai nella storia dell'umanita', sopravvissuta ai fumi di Auschwitz e al fungo di Hiroshima, la politica italiana (e la politica mondiale) ha pensato che non la guerra, ma la pace dovesse essere sigillata nei codici normativi degli stati nazionali. Di piu': la pace doveva diventare una barriera culturale alla violenza, un rifiuto schifato (questo significa "ripudio") alle soluzioni armate per le controversie fra i popoli. Questo intento venne pari pari ripreso nella carta delle Nazioni Unite, la' dove si avverte, nel preambolo, che questa grande organizzazione planetaria nasce con l'intento supremo di "preservare l'umanita' dal flagello della guerra che per ben due volte, nel corso di questa generazione, ha portato indicibili afflizioni all'umanita'; a riaffermare la fede nei diritti dell'uomo, nella diginita' e nel valore della persona umana". E giustamente Antonio Papisca, uno dei maggiori esperti di diritto internazionale in Italia, ha interpretato questo passaggio politico del nuovo mondo come "l'affermazione della soggettualita' popolare per la costruzione di un nuovo ordine di pace". Sappiamo come sono andate le vicende storiche del '900, sappiamo come l'etica della pace iscritta nei grandi documenti politici e giuridici sia stata non solo disattesa, ma spesso vilipesa da volonta' espansioniste, da interessi strategici, da dittature sanguinose e da democrazie fantoccio. Conosciamo anche le vicende contraddittorie (a dir poco contraddittorie) che hanno accompagnato lo sviluppo della grande democrazia americana, che ha sostenuto, foraggiato, armato governi dittatoriali, regimi sanguinosi, uomini violenti, che poi ha dovuto combattere con guerre terribili. La "diplomazia armata", di cui parla quell'editorialista, ha dovuto aprire gli hangar dei bombardieri per lasciar cadere missili e bombe sui popoli, invertendo il rapporto delle guerre passate che vedevano morire sul campo quasi del tutto i militari preservando al massimo i civili. Le ultime guerre "intelligenti" provocano stragi fra civili e lasciano in piedi gli eserciti. Ma nonostante le derive bellicose che si sono succedute dalla seconda guerra mondiale in avanti, facendosi beffa dei principi normativi per una soluzione nonviolenta dei conflitti sanciti dall'Onu, ancora l'etica della pace e' stata al centro della rivoluzione politica che ha scardinato l'asse del terrore fra est e ovest, abbattendo il muro di Berlino. Quell'evento e' stato letto, da tutta la stampa mondiale, come la vittoria politica di pace sulla stupidita' della "diplomazia armata". E sembrava che un nuovo tempo di prosperita' e serenita' fosse emerso dalle rovine dei vecchi blocchi contrapposti. Fiumi di parole "politiche" sono corse nel mare calmo della nuova condizione umana, nata da quella rivoluzione. L'Europa non sarebbe stata piu' una fortezza chiusa, ma si sarebbe aperta all'islam, all'incontro fra le culture e le religioni, avrebbe ripreso il suo cammino e addirittura il papa lancio' il segnale coinvolgendo tutti i responsabili delle grandi tradizioni religiose dell'umanita' ad Assisi per recitare insieme il cantico delle creature. L'utopia della pace, insomma, assunse piena legittimita' politica. Solo che, nel concreto, prevalse la logica della "diplomazia armata", tanto armata da inanellare, nei dieci anni che vanno dalla prima "tempesta del deserto" in Iraq del '90 una serie di conflitti che hanno riportato la guerra al centro della politica estromettendone la pace. E allora l'Iraq che aveva occupato il Kuwait andava fermato, lo sterminio jugoslavo andava spento, il Kosovo attaccato andava difeso, l'Afghanistan disseminato di talebani di bin Laden andava liberato. E le tante altre carneficine sparse qua e la' nei Paesi che non contano (a cominciare dal Ruanda) vennero totalmente snobbate (chissa' perche'...). Oggi la guerra non solo e' ripiombata al centro della politica, ma ne e' diventata, per dirla alla von Clausewitz, il suo proseguimento con altri mezzi. La guerra "infinita" e "preventiva" di Bush e' il ribaltamento politico e giuridico della politica come e' nata e l'abbiamo studiata fino ai giorni nostri. E' altra cosa. "La politica si e' rotta", aveva detto con grande intuito un senatore americano democratico prima di abbandonare definitivamente il suo impegno di parlamentare in contrasto con il presidente. Quando la guerra diventa l'ossatura della politica, significa che si e' verificato uno stravolgimento totale della rappresentanza popolare e della democrazia istituzionale (di qui il sospetto che gli States in realta' stiano assumendo le forme dell'impero). Perche' la politica e' pace e la pace e' politica. * Ecco, dunque, la funzione del popolo della pace, che quell'editorialista non comprende. Le mobilitazioni di massa, come quella che ci sara' sabato a Roma, servono a dire con forza ai nostri politici che una prassi che mette al centro la guerra, non corrisponde a quella che essi credevano quando hanno votato per affidar loro un mandato popolare. I popoli hanno eletto i loro rappresentanti non per celebrare la guerra, ma perche' fossero ordite trame di pace, di convivenza, di integrazione fra i gruppi umani. Questo il dovere della politica. Questa volta, molto piu' che per altre guerre, i popoli del mondo sono contro lo scenario che l'America sta dipingendo attraverso tutte le armi della propaganda che possiede. Questa volta la politica che vuole la guerra non sa piu' spiegare ai cittadini le ragioni dei suoi comportamenti, non sa rispondere alla domanda che la societa' pone, ossia perche' la guerra e' stata messa all'inizio di ogni strategia. Perche' questo non vale assolutamente a vendicare il sangue versato nelle twin towers. La guerra permanente di Bush dovra' far i conti con l'opposizione popolare che chiede alla politica di fare la pace, di mediare oltre le mediazioni, di costruire una comunita' riconciliata e non una terra dove il nemico potenziale e' l'ombra lunga della nostra stessa esistenza. Non la mediazione armata, ma la pace e' il senso e il fine della polis, che costruisce la comunita' e non la distrugge. 11. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: ROMA E BRESCIA, LA VIOLENZA DELLA TRADIZIONE MASCHILISTA [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir". Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia Menapace e Rossana Rossanda] Roma e Brescia: due citta' lontane per tradizioni e cultura; cosi' pare. Invece nel giro di pochi giorni si sono ripetuti due episodi identici di violenza. Se vogliamo continuare ad affrontare la tematica della violenza non possiamo non fare i conti con eventi del genere, solo apparentemente diversi e lontani dall'universo calorico di coloro che, essendo politici o uomini della strada, o politiche o donne della strada, in questo giorni inneggiano all'intervento armato contro l'Irak. In un numero precedente del notiziario ho portato la testimonianza, cosi' lontana nel tempo, di un militare di carriera che metteva pezzetti di ferro nella fondina della pistola d'ordinanza perche' non gli piaceva cio' che tale arnese significava. Ebbene, quell'uomo ne aveva spiegato il senso a una bambina di 7/8 anni senza vergognarsi, senza temere di apparire meno virile. La guerra era finita da poco e tutti ne portavamo i segni dolorosi e ancora la voglia di essere aggressivi. Era una questione d'identita': lui si assumeva, pur appartenendo a una generazione dell'ottocento, pur avendo fatto la celebre Accademia per sottoufficiali della Guardia di Finanza al palazzo reale di Caserta, il rischio di apparire debole agli occhi di una bambina. Gli uomini allora avevano imparato il dovere del cavaliere che era quello di difendere le donne, la proprieta' di mogli, sorelle, madri e fidanzate dagli sguardi e dagli approcci maneschi dei rivali. Come mai oggi si ripetono gli episodi di ragazzi nostrani che , all'uscita dalle discoteche, provocano la "proprieta'" femminile altrui? Scrive il quotidano "Il manifesto" del 14 febbraio :"A un certo punto uno dei due giovani e' uscito dalla discoteca deciso a farla pagare al rivale". Ecco il linguaggio antico che resta nella tradizione: la si deve far pagare al "rivale". "Il Giornale di Brescia" del 14 febbraio inizia cosi' l'articolo: "Notte di sangue e di follia al Garda. Un banale screzio in discoteca per una ragazza ha avuto un drammatico epilogo all'esterno del locale, pochi minuti dopo la chiusura. Un muratore di origine siciliana ha aspettato e aggredito colpendolo alla testa con una spranga il presunto 'rivale', il ventinovenne A. T., residente a Brescia, riducendolo in gravi condizioni. La prognosi e' riservata. In suo soccorso sono arrivati tre amici con i quali aveva raggiunto da Brescia il locale notturno gardesano che hanno 'punito' l'aggressore pestandolo a calci e a pugni". A Roma ci e' scappato subito il morto. * Insomma le donne non devono considerarsi appartenenti a se stesse. Cosi' e' per i musulmani, cosi' e' per i cristiani, gli ebrei, eccetera. Ieri come oggi. Ma con una differenza. Per gli emigrati musulmani molestare le donne, per esempio, non ha lo stesso significato. Loro hanno ancora forte la presa patriarcale sulle donne che tengono sottomesse. Le donne native sono considerate dunque troppo libere ed esposte e pertanto invitanti. E colpire le donne vuol anche dire prendersela con i "proprietari". Per i maschi italiani, come per tutti gli occidentali, la crisi della identita' maschile e' ormai molto avanzata a causa della liberta' di movimento e affermazione che le donne si sono prese negli anni. Riprendersi pezzi di tradizione maschilista, come questo, esercita un enorme fascino a attrazione. Vuole dire, in fondo in fondo, ancorarsi alla tradizione dei padri almeno momentaneamente, nel tempo libero, vivendo la sensazione forte di una antica identita' virile fondata sul possesso delle donne e sull'espressione, "legitima", della violenza fisica. E' segno, questo rigurgito di tradizione, della crisi della identita' maschile, piuttosto che della sua forza come lo fu un tempo. Come nel passato c'erano uomini, persino militari, che volevano sentirsi tali per identita' senza ricorrere al mito dell'eroe o del padre-padrone, cosi' ci sono oggi. Ma accanto a schiere di uomini giovani o non piu' giovani che non tollerano il cambiamento d'identita' femminile e il significato per il mondo che puo' assumere. Per il mondo: si', in quanto la pacifica rivoluzione delle donne con il femminismo e i cambiamenti provocati dall'evoluzione sociale, richiedono nuovi approcci tra i sessi all'insegna della reciprocita' nella differenza. Una reciprocita' che potrebbe valere anche per i popoli, le nazioni, come modello di vita collettiva. 12. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: UN'URGENZA Che tutto il movimento per la pace assuma un impegno chiaro contro l'antisemitismo; che tutto il movimento per la pace ripudi atteggiamenti e slogan hitleriani che purtroppo lo hanno a lungo contaminato; che tutto il movimento per la pace capisca che la nostra solidarieta' con il popolo palestinese e la richiesta che nasca uno stato palestinese libero, indipendente e democratico, e la nostra solidarieta' con il popolo di Israele e la richiesta che lo stato di Israele possa esistere in pace, sicurezza e democrazia, devono essere un unico, medesimo impegno. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 508 del 15 febbraio 2003
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