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La nonviolenza e' in cammino. 506
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 506
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 13 Feb 2003 00:26:18 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 506 del 13 febbraio 2003 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, lettera aperta al comandante della base Usaf di Aviano 2. Lidia Menapace, sobrieta' 3. Eduardo Galeano, il 15 febbraio l'umanita' contro la guerra 4. Evelina Savini, colmate la terra di pace 5. Eugenio Melandri, in marcia contro la guerra 6. Franca Ongaro Basaglia, una liberazione 7. Luigi Ciotti, perche' diciamo no alla guerra 8. Simone de Beauvoir, tutto 9. Il 15 febbraio a Roma uno striscione unitario della rete "Ebrei contro l'occupazione" e del "Movimento palestinese per la democrazia e la cultura" 10. Michele Nardelli, la guerra moderna come malattia della civilta' 11. Susan Sontag, un cittadino decente 12. Folcacchiero Scatamacchia, la strada lunga 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: LETTERA APERTA AL COMANDANTE DELLA BASE USAF DI AVIANO Egregio signore, nei prossimi giorni avvieremo ad Aviano e Pordenone gli opportuni colloqui con le istituzioni locali ed i necessari sopralluoghi sul terreno in vista della realizzazione dell'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere della pace con la quale impedire - nel caso abbia inizio la minacciata guerra illegale e criminale all'Iraq - i decolli degli aerei dalla base di Aviano, impedendo cosi' il coinvolgimento nella guerra della struttura di cui lei e' responsabile come del personale ai suoi ordini. Avremmo naturalmente desiderio e piacere di interloquire anche con lei, e con la presente siamo a richiederle un incontro al fine di illustrarle le ragioni della nostra iniziativa, che peraltro lei gia' conoscera' poiche' gia' la realizzammo, purtroppo solo per poche ore, nel 1999 durante la guerra dei Balcani. * Le ragioni della nostra azione diretta nonviolenta Egregio signore, la guerra, come ebbe a dire Gandhi, consiste sempre nell'uccisione di esseri umani, nell'uccisione in massa di esseri umani che non hanno commesso alcun crimine. La guerra che si sta preparando, e' convincimento comune, provocherebbe innumerevoli vittime. Inoltre essa puo' degenerare, per ammissione stessa dei suoi principali promotori, in guerra nucleare, ovvero in una guerra che puo' mettere fine all'intera civilta' umana. Lei capisce che in questa terribile situazione e' compito di ogni essere umano, e di ogni istituzione legale, fare tutto il possibile perche' la guerra non sia scatenata, perche' si salvino quante piu' vite umane sia possibile, perche' l'intera civilta' umana non sia messa in pericolo. Non solo: le motivazioni stesse della guerra, come ufficialmente dichiarate dai promotori di essa, sono logicamente insensate e giuridicamente delittuose. Se la motivazione efficiente a scatenare una guerra catastrofica per l'intera umanita' e' il possesso o la prospettiva del possesso di armi di distruzioni di massa, con questo criterio occorrerebbe scatenare una guerra contro innumerevoli paesi del mondo. Non le sembra folle e criminale? Se la motivazione efficiente a scatenare una guerra catastrofica per l'intera umanita' e' il legame di personalita' di governo con poteri criminali e terroristici, con questo criterio occorrerebbe scatenare una guerra contro innumerevoli paesi del mondo. Non le sembra folle e criminale? Se la motivazione efficiente a scatenare una guerra catastrofica per l'intera umanita' e' che il governo di un paese potrebbe a sua volta scatenare una guerra, con questo criterio occorrerebbe scatenare una guerra contro innumerevoli paesi del mondo. Non le sembra folle e criminale? Occorre restare sul piano della realta' e sul piano del diritto: e' chi scatena una guerra ad essere l'aggressore. Una guerra di aggressione non puo' essere definita difesa. Occorre restare sul piano della realta' e sul piano del diritto: se si sospetta qualcuno di voler usare armi di sterminio di massa il modo migliore per far si' che lo faccia e' scatenare una guerra. Occorre restare sul piano della realta' e sul piano del diritto: se si vuole difendere la pace e la sicurezza, la guerra e' il modo piu' sicuro per impedire la pace e per distruggere la sicurezza. Occorre restare sul piano della realta' e sul piano del diritto: se gli stati invece di combattere il terrorismo con gli strumenti della polizia e dei tribunali a loro volta commettono stragi indiscriminate di innocenti, essi stessi stati si fanno terroristi, promuovono il terrorismo, lo alimentano e lo riproducono in proporzioni sempre piu' enormi. Occorre restare sul piano della realta' e sul piano del diritto: tra i mezzi e i fini vi e' un nesso cogente: la democrazia si difende con la democrazia, la pace si difende con la pace, i diritti umani si difendono con il rispetto dei diritti umani. Le uccisioni, e massime quel cumulo di uccisioni di cui consiste una guerra, costituiscono la violazione piu' radicale e flagrante dei diritti umani; la guerra costituisce palesemente l'esatto contrario della pace; la guerra e' nelle sue premesse, nella sua fenomenologia e nei suoi esiti precisamente il contrario di quella civile convivenza fondata su regole condivise di cui la democrazia consiste. La guerra che si prospetta mette in pericolo l'intera umanita'; si puo' forse esitare su quale sia la cosa giusta, su quale sia il dovere nostro e di tutti, posti di fronte all'alternativa seguente: se permettere con la propria complicita' o anche solo con la propria ignavia che l'umanita' corra il pericolo di essere distrutta, o se invece si debba cercare di salvarla impedendo la guerra che l'intera umanita' minaccia? Sono cose talmente banali che quasi si ha pudore e si prova disagio a dirle, ma tale e' la situazione odierna che occorre tornare a ripeterle. Se poi veniamo in punto di diritto lei sapra' che la Repubblica Italiana, lo stato nel cui territorio la struttura che lei comanda e' ospitata, ha come fondamento del suo ordinamento giuridico una Costituzione che all'articolo 11 (uno dei "principi fondamentali", ovvero dei "valori supremi" del nostro ordinamento giuridico, della nostra repubblica, delle nostre liberta') "ripudia la guerra". Il ripudio della guerra significa che la legge fondamentale del nostro paese fa obbligo a noi italiani di opporci con tutte le nostre forze alla guerra: e' la nostra legge, lei e' nostro ospite, anche lei e' vincolato a rispettarla in quanto in Italia si trova. Lei sapra' anche, non ne dubitiamo, che la stessa Carta delle Nazioni Unite, comune punto di riferimento dell'enorme maggioranza degli stati della terra, fin dal suo preambolo esplicitamente attesta che motivo stesso dell'esistenza delle Nazioni Unite e' di impedire il ritorno del "flagello della guerra". Come vede, tanto la legge italiana, quanto la Carta alla base dell'esistenza e della legittimita' dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, sono esplicite ed inequivocabili: chiedono ai popoli come agli stati di opporsi alla guerra. Vede quindi che sia per ragioni morali, sia per ragioni giuridiche, la guerra che si sta preparando e' un crimine, e ad essa ogni persona di volonta' buona, ed ogni istituzione legale, hanno il dovere di opporsi. * Le finalita' della nostra azione diretta nonviolenta Egregio signore, le finalita' della nostra azione nonviolenta per la pace sono semplici. Impedendo agli aerei della sua base di decollare, ostruendo lo spazio aereo circostante e sovrastante la base con le nostre mongolfiere, intendiamo bloccare l'operativita' bellica della sua base, e con cio' ostacolare un ingranaggio della macchina bellica complessiva. Speriamo che questa azione diretta nonviolenta sia anche un esempio che altri seguiranno: cosi' da poter in prospettiva bloccare l'intera macchina bellica. Cosi' facendo, noi rispettiamo ed inveriamo quanto ci chiede la legge fondamentale del nostro paese, la Costituzione della Repubblica Italiana; cosi' facendo, noi rispettiamo ed inveriamo quanto ci chiede la Carta delle Nazioni Unite; cosi' facendo, noi rispettiamo ed inveriamo quanto a noi richiesto sia dalla legalita' costituzionale italiana, sia dal diritto internazionale. * La realizzazione della nostra azione diretta nonviolenta Egregio signore, il nostro intendimento e' di sovrastarvi sul piano della forza e di ridurvi in condizione di non nuocere; il nostro obiettivo e' di impedire materialmente la vostra partecipazione alla guerra e con cio' essere di ostacolo alla guerra. Forse, detta cosi', questa affermazione potra' farla sorridere: di solito si pensa che il potere armato e' piu' forte del potere di chi e' disarmato. Di solito si pensa che la violenza prevale sul diritto. Non e' cosi': c'e' una cosa che e' piu' forte della violenza, ed e' la nonviolenza. Noi pensiamo di sovrastarvi sul piano della forza, con la forza della nonviolenza: lo abbiamo gia' dimostrato nel 1999 per poche ore, lo faremo di nuovo, e questa volta agiremo per farlo non per poche ore, ma fino a ridurre a completa impotenza la vostra capacita' di uccidere. Noi non siamo vostri nemici, noi abbiamo dalla nostra parte la protezione e la forza della legge italiana cui anche voi in quanto nostri ospiti dovete obbedienza. Noi agiremo restando sul territorio italiano, voi non potrete ne' ucciderci ne' aggredirci. E noi ostruiremo l'area di decollo dei vostri aerei e voi sarete costretti a non farli decollare. Noi chiederemo alle forze dell'ordine italiane di essere presenti e di intervenire in difesa della legge italiana. Noi chiederemo alle istituzioni italiane di essere presenti e di intervenire in difesa della legge italiana. Voi dovrete rispettare la nostra legge. Noi agiremo con la forza della nonviolenza, con la forza della legalita', con la forza del diritto. Voi non avrete pretesto alcuno per agire contro di noi. Vi dovrete inchinare al diritto. Sara' un bene anche per voi, per la vostra coscienza. Del resto, impedendovi di partecipare alla guerra noi agiremo anche per salvare le vostre vite. Noi pensiamo di mettervi in condizione di non nuocere utilizzando la forza della legge. Quand'anche un governo fedifrago, un parlamento fedifrago, un capo dello Stato fedifrago dovessere violare la legalita' costituzionale italiana avallando la guerra (purtroppo e' gia' accaduto piu' volte dal 1991 in qua, e gli sciagurati responsabili di questo crimine ancora non hanno subito il giusto e necessario procedimento penale e la necessaria e giusta condanna, ma il loro delitto non e' caduto in prescrizione), la legge resta in vigore e tutti i pubblici ufficiali italiani ad essa restano vincolati, e tutti i cittadini italiani a difesa e ad inveramento di essa sono chiamati ad agire. La nostra legge ci chiama a impedire la guerra, e poiche' nella guerra che si prospetta voi potreste essere coinvolti, la nostra legge ci chiama a impedire la vostra partecipazione ad essa. Non dimenticate di essere nostri ospiti. Non dimenticate che dovete obbedienza e rispetto alle leggi del paese che vi ospita. Non dimenticate che il nostro ordinamento giuridico "ripudia la guerra". E non dimenticate che proprio perche' vi ospitiamo abbiamo a cuore anche la vostra incolumita', ed abbiamo quindi il dovere di impedirvi di fare del male ad altri e a voi stessi. Sara' in nome della legge, con la forza della legge, che vi impediremo di prender parte alla guerra, questo mostruoso crimine contro l'umanita'. * Un'ovvia assicurazione Egregio signore, Come forse gia' sapra', il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo e' una struttura impegnata per la nonviolenza e con la nonviolenza, cosicche' tutte le nostre iniziative hanno lo scopo di salvare vite umane e non di metterle in pericolo, ne' minacciarle, ne' offendere l'incolumita' e la dignita' di esseri umani. Cosicche' ci sta a a cuore anche la vita, l'incolumita' e la dignita' sua e delle persone ai suoi ordini. Con la nostra azione diretta nonviolenta in nessun momento metteremo in pericolo la vita, l'incolumita', la dignita' sua e dei suoi collaboratori. Anche di questo abbiamo voluto fin d'ora esplicitamente informarla. Cosi' come ci sembra che possa essere utile esplicitamente informarla che noi siamo tuttora oppositori della dittatura di Saddam Hussein e lo eravamo gia' quando scelleratamente il nostro paese, ed il suo, quella dittatura rifornivano di armi; che noi siamo intransigentemente oppositori del terrorismo e dei poteri criminali, delle dittature e del razzismo; che noi siamo intransigentemente impegnati per i diritti umani di tutti gli esseri umani, e contro tutte le guerre, contro tutti gli eserciti e contro tutte le armi. Ed ugualmente ci pare utile informarla esplicitamente che noi siamo solidali con il popolo iracheno (vittima della dittatura, delle precedenti guerre, del criminale embargo, delle azioni aeree belliche angloamericane mai interrotte, della guerra che si prospetta), cosi' come con il popolo americano, con quello afghano come con quello palestinese, come con quello israeliano, come con tutti i popoli del mondo. Tutti i popoli hanno diritto a esistere, tutti gli esseri umani hanno diritto a vivere. * Per saperne di piu' sull'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace Egregio signore, qualora desiderasse maggiori informazioni sull'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace, oltre a quelle che le inviammo a piu' riprese nel 1999 ci permettiamo di suggerirle di leggere quanto recentemente abbiamo riportato nel n. 491 del 29 gennaio 2003 del nostro notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" (che trovera' agevolmente nella rete telematica, riprodotto alla data relativa, nella lista "Peacelink news" del sito pacifista di Peacelink - www.peacelink.it -, e che puo' anche richiederci direttamente al nostro indirizzo di posta elettronica: nbawac at tin.it). * Per concludere Egregio signore, ci perdonera' se questa lettera invece di inviargliela privatamente la diffondiamo subito anche ai mezzi d'informazione ed a molti altri interlocutori. Ma stiamo parlando di una vicenda pubblica quanto altre mai. E la nostra iniziativa e' e deve essere pubblica: fa parte della scelta della nonviolenza di essere leali, onesti, veritieri, di annunciare sempre in anticipo le proprie intenzioni, di non nascondere nulla, di essere sempre pronti al dialogo, di avere a cuore l'incolumita' e la dignita' di tutti. Avremmo davvero vivo piacere di poterla incontrare, di poter interloquire con lei, sia in un colloquio de visu che attraverso le altre forme di comunicazione che lei preferisse. Vogliamo continuare a sperare che la guerra non ci sara', che la volonta' di pace autorevolmente espressa da tante donne ed uomini di volonta' buona, da tante autorita' morali e politiche, possa prevalere ed essere sufficiente ad impedire nuovi massacri. Lo stesso annuncio fin d'ora della nostra azione diretta nonviolenta che realizzeremmo qualora la guerra iniziasse, e' ovviamente inteso a contribuire a prevenire e impedire la guerra, inducendo i poteri promotori della guerra a riflettere sul fatto che la loro potenza militare non e' poi cosi' incontrastabile come puo' sembrare a taluni. Egregio signore, voglia gradire distinti saluti ed auguri di buona permanenza nel nostro paese, saluti ed auguri che la preghiamo di estendere ai suoi familiari ed ai suoi collaboratori. 2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: SOBRIETA' [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo questo intervento di Lidia Menapace, nell'ambito del percorso delle "dieci parole della nonviolenza". Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] L'impetuoso e felice movimento, che cammina per le strade del mondo da un po' di anni e proclama essere possibile un altro mondo, mi fa spesso venire voglia di provare a immaginarmi che faccia potrebbe avere quel mondo baldanzosamente sperato. E mi viene sempre in mente qualche verso dantesco (le deformazioni professionali non si perdono facilmente) che descrive una Firenze sognata, pero' nostalgicamente, guardando al passato. Dante, esule per le tremende contese politiche della sua citta', immagina come potrebbe essere stata una Firenze che non ha mai conosciuto: un "cosi' riposato viver di cittadini", un "cosi' dolce ostello" e cerca di ricostruire quel sogno pensando alla Firenze del suo trisavolo, che definisce "in pace, sobria e pudica". Come sempre, essendo molto moralista e alquanto tetro nei giudizi sul presente, Dante di pace non da' nessuna definizione, se non che quando una citta' e' in pace produce un "riposato viver di cittadini" e viene avvertita come "un dolce ostello". Dato l'affanno spesso inconcludente di molte nostre giornate, davvero non sarebbe male avere un po' di riposo e un ostello accogliente. Piu' specifica e' la descrizione di sobrieta' e pudore. Non lo seguo nelle sue preferenze - appunto - moralistiche: la sobrieta' e' il vestire semplice degli uomini del tempo antico e per le donne andare "senza il viso dipinto", e quanto al pudore e' tutta una requisitoria contro i giovani rockettari di allora ("un Lapo Salterello") e le ragazze con le gambe in mostra dalla mini ("una Cianghella"). Rifaccio invece per conto mio i sogni e avverto sempre che la sobrieta' e' una componente molto importante di un luogo tranquillo, riposato e accogliente. * Che cosa intendo dunque con "sobrieta'"? La parola mi venne in mente quando Berlinguer propose l'austerita' come modello di vita e mi trovai subito in disaccordo. Austerita' dice un atteggiamento un po' cupo e triste, esalta il sacrificarsi, atteggia il volto a un cipiglio giudicante, non ha leggerezza. Capivo che le intenzioni di chi proponeva erano pregevolmente anticonsumistiche e serie, ma, appunto, troppo serie, quasi un po' piagnone. Allora riflettendo mi dissi che non avrei voluto vivere in un mondo austero, bensi' in uno sobrio. E poiche' sono golosa a me gli esempi non erano venuti dal vestire o dai divertimenti, ma dai cibi: chi e' astemio o anoressica non sa nemmeno che cosa si perde, ma chi e' beone o bulimica butta giu' anche metanolo o cibi rozzi e non bada mai alla qualita'. Chi invece ama la sobrieta', gusta il colore il sapore il bouquet di un buon vino, ammira la forma i colori gli aromi di un piatto ben cucinato, e comunica ad altri commensali la sua comune gioia e piacere: non per nulla chiamiamo convivialita' la piacevolezza dello stare insieme. E' una forma non esasperata ne' violenta di piacere, ma e' un vero piacere complesso, che contiene anche la comunicazione. Il ragionamento si puo' estendere dai cibi ad altri temi. Il piacere della lettura, della conversazione, che non e' ingurgitamento di pagine ed esibizione di citazioni, che non e' pettegolezzo o scambio di notizie futili, ma trasmissione di sentimenti passioni e conoscenze. Insomma a me sobrieta' sembra sempre piu' il nome non accademico di un piacevole moderno epicureismo, comportando una accurata ma non ansiosa scelta di piaceri che non offendono nessuno, rispettano i desideri altrui e tengono anche conto di una certa discrezione del vivere: cantare si', ma non schiamazzi notturni; parlare, certo, ma non produrre un continuo fastidioso rumore di fondo. La sobrieta' si estende anche all'ambiente, che nelle nostre citta' e' divenuto fastidioso per inquinamento acustico (il traffico), visivo (le luci sfacciate degli orribili addobbi natalizi), e naturalmente chimico e magnetico. * Fa parte della sobrieta' la misura, scelta come strada della liberta', il piacere atteso come forma di comunicazione e accoglienza, e il passo spedito e leggero che non pesi troppo sulla terra. A me da' un po' fastidio l'idea di un modello di sviluppo "sostenibile": e' come dire che intendiamo (noi che saremmo virtuosi ed ecologici) caricare sulle spalle della madre terra tutto il peso che puo' portare e non di piu': non sarebbe migliore, meno violento uno sviluppo gradevole, ameno, piacevole per la terra e per chi la abita? Fatto cioe' di vita serena. di riposo, di ozio, di silenzio, di contemplazione oltre che di produzione e riproduzione, di lavoro e di commerci? Questo a un di presso intendo quando dico che vorrei un altro mondo possibile sobrio. La' troverei facile vivere con felicita' politica cioe' esprimendo una identita' non aggressiva, non sospettosa, ma accogliente, curiosa. Un modo di vivere non affannoso, non competitivo, ma capace di gustare il passare del tempo e le dimensioni degli spazi, e assaporare gli scambi: mi sembra che davvero per stare in pace sia giusto essere sobri. * Quanto al pudore mi e' piu' oscuro che cosa significhi. Forse una misura e un certo riserbo di se'. Comunque va bene, purche' non sia una prescrizione predicatoria di comportamenti, vestiti, parole ammesse ed altre vietate. Forse il pudore come la sobrieta' non ammettono divieti esteriori e si fondano sulla convinzione ragionevole del saper misurare le risorse e controllare le relazioni. Insomma la felicita' politica (un dolce ostello) che viene dal poter esprimere la propria identita' senza bisogno di mettersi in maschera per apparire "come si deve". Il diritto a non essere "normali", come dice una argutissima teologa argentina. Marcella Maria Althaus-Reid rivendica appunto il diritto a "no ser derecha", che vuol dire anche non essere di destra, oltre che "diritta", "normale". E che chiama pornografia la teologia la globalizzazione e il capitalismo, perche' non rispettano i movimenti le posizioni le relazioni la spontaneita' le scelte i volti i corpi i gesti i desideri segnati dal colore voce faccia di ciascuno/ciascuna di noi, ma violenta i corpi e le persone in una gabbia di prescrizioni modi valori attese gia' programmate. Non sanno dire quali parole, sentimenti, forme di relazione vanno bene e quali sono per se' cattive: ma comunque vietano di continuo. * La sobrieta' consente di guardare con occhi innocenti tutto quel che esiste al mondo senza pregiudizi. Non sarebbe bello e non e' anche fattibile? Se si sta in pace e si vive in modo nonviolento, certo: altrimenti con la guerra tutto va perso e non torna, il peggiore inquinamento anche mentale, l'ottundimento di ogni sottile giudizio, piacere del ragionare, attenzione nelle relazioni, gioia di vivere: tutto viene distrutto persino nella memoria, sostituito con le truci grida e pianti e distruzioni che poi studiate a scuola vengono chiamate eroismo. Invece e' follia da sonno della ragione. 3. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: IL 15 FEBBRAIO L'UMANITA' CONTRO LA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 febbraio 2003. Eduardo Galeano e' nato nel 1940 a Montevideo (Uruguay). Giornalista e scrittore, nel 1973 in seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal suo paese. Ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura. Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Collabora al quotidiano italiano "Il manifesto". Opere di Eduardo Galeano: fondamentali sono Le vene aperte dell''America Latina, recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco, Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra gli altri libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes, Mondadori, Milano] Il presidente del pianeta annuncia il suo prossimo crimine in nome di Dio e della democrazia. Cosi' facendo offende Dio e offende anche la democrazia che e' sopravvissuta nel mondo a malapena, nonostante le dittature che da oltre un secolo gli Stati Uniti sono andati disseminando per ogni dove. Il governo Bush, che pio' che un governo sembra un oleodotto, ha bisogno di impossessarsi della seconda riserva mondiale di petrolio, che giace nel sottosuolo iracheno. Ha bisogno, inoltre, di giustificare la valanga delle sue spese militari e di esibire sul campo di battaglia gli ultimi modelli della sua industria bellica. Si tratta di questo, gli altri sono tutti pretesti, e i pretesti per questa imminente carneficina offendono l'intelligenza. L'unico Paese che ha usato armi nucleari contro la popolazione civile, il Paese che sgancio' le bombe atomiche che annientarono Hiroshima e Nagasaki, vuol farci credere che l'Iraq sia un pericolo per l'umanita'. Se il presidente Bush ama cosi' tanto l'umanita', e vuole davvero scongiurare la piu' grave minaccia che pende sull'umanita', perche' mai non bombarda se stesso, invece di pianificare un nuovo sterminio di popoli innocenti? Immense manifestazioni invaderanno le strade del mondo il prossimo 15 febbraio. L'umanita' e' stufa di essere usata come alibi dai suoi stessi assassini, ed e' anche stufa di piangere i suoi morti alla fine di ogni guerra: questa volta vuole impedire la guerra che li uccidera'. 4. APPELLI. EVELINA SAVINI: COLMATE LA TERRA DI PACE [Ringraziamo anche per questo intervento, oltre che per la sua amicizia, Evelina Savini (per contatti: evelinasavini at virgilio.it), promotrice dell'appello al papa per una forte iniziativa di pace gia' sottoscritto da numerosissime persone, appello che abbiamo gia' pubblicato nel notiziario di ieri. Evelina Savini e' nella vita religiosa contemplativa come clarissa a Jesi] Cari amici e amiche, vi comunico che e' stato lanciato un appello al papa in favore dell'obiezione di coscienza ad una guerra all'Iraq. La petizione e' on line all'indirizzo www.peacelink.it/appellopapa. Ivi e' possibile firmare e stampare un volantino col testo dell'appello, per poterlo spedire direttamente al papa. L'indicazione Citta' del Vaticano e' sufficiente perche' la lettera arrivi. Se condividete l'iniziativa, firmate e invitate la gente a farlo. Fotocopiate il testo dell'appello, ditribuitelo, nelle parrocchie, alle manifestazioni, nelle piazze, tra gli amici, dove volete voi, ma distribuitelo a quanti piu' potete. Mandate il testo ai giornali locali, fatelo girare nelle liste in rete, coloro che hanno un sito possono pubblicare il testo dell'appello e mettere il link alla pagina dell'appello, chi lo puo' tradurre in altre lingue lo mandi anche fuori d'Italia. Insomma colmate la terra di pace. Grazie, suor Evelina 5. RIFLESSIONE. EUGENIO MELANDRI: IN MARCIA CONTRO LA GUERRA [Ringraziamo Eugenio Melandri (per contatti: info at chiamafrica.it) per questo intervento. Eugenio Melandri, padre saveriano, giornalista, impegnato nei movimenti di pace, di solidarieta', contro il razzismo, per la nonviolenza, e' tra gli animatori di "Chiama l'Africa". Tra le opere di Eugenio Melandri segnaliamo almeno I protagonisti, Emi, Bologna 1984] Saremo tutti, lo spero proprio, per strada sabato prossimo. Non solo per dire di no ad una guerra che ha come oggetto del contendere il petrolio e non la democrazia. Ne' soltanto perche' crediamo che i rapporti politici vadano impostati su altri parametri che non siano quelli della forza bruta. Non sono i muscoli a fare la storia. Cosi' come non sono le armi. Anzi, armarsi e' il segno della suprema debolezza. La' dove cessano gli argomenti, la capacita' di persuasione, la dialettica e il conflitto politico, le armi rappresentano il segno di una sconfitta umana, anche se facessero vincere. La storia vera non e' stata fatta da chi ha vinto con le armi, rubando umanita' all'umanita'. La storia vera, quella che ci ha fatto crescere e diventare donne e uomini, e' stata fatta invece da coloro che - spesso nascosti o sconosciuti - hanno cercato di aggiungere umanita' all'umanita'. Anche rischiando qualcosa. Anche donando tutto. Noi oggi ricordiamo Francesco che va a mani nude da Saladino. Non ricordiamo i capi guerrieri che si sono succeduti a "liberare" (da chi? Perche'?) il Santo Sepolcro. * A tutti questi e a tanti altri motivi che ci spingono ad unirci a quell'immenso popolo che in tutto il mondo sabato mettera' all'ordine del giorno la propria voglia di pace, forse noi di "Chiama l'Africa" potremmo unire la voglia di aggiungere ai nostri passi quelli dei tanti "inutili" che abitano il continente africano: quelli delle donne che devono percorrere chilometri e chilometri per raggiungere una sorgente d'acqua; dei bambini orfani a causa dei tanti conflitti dimenticati o a causa dell'aids o della malaria. Vogliamo dire pace anche a nome di tutti quelli che questa parola non sanno cosa significhi perche' da sempre vivono in guerra; di chi non ha il tempo o il modo di manifestare perche' preso dalla necessita' di sopravvivere. E inevitabilmente alla parola pace si affianchera', come sempre, la parola giustizia. "Giustizia e pace si baceranno". Paolo VI, nell'enciclica "Populorum progressio" lanciava un monito ai popoli dell'opulenza: "ostinandosi nella loro avarizia, provocheranno il giudizio di Dio e la collera dei poveri". Giovanni Paolo II, poche settimane fa paventava il silenzio di un Dio disgustato dalle azioni di questa umanita'. Un giudizio drammatico che non puo' non farci pensare e che ci rimanda, se non vogliamo chiudere gli occhi e non vedere, alla incombente collera dei poveri. Noi vogliamo esserci anche a loro nome. Portando le nostre bandiere di pace, gridando forte le nostre convinzioni, chiedendo che si cambino le strutture oppressive di questo mondo ingiusto dove i conti tornano sempre e solo nelle tasche dei ricchi. * Ma permettetemi anche un'ultima osservazione che poi diventa invito. Liberiamoci insieme da ogni pregiudizio. Scendiamo per le strade con il cuore puro e con l'ingenuita' degli uomini veri e semplici. Crediamoci davvero che la pace e' possibile e che ogni passo che faremo sara' un piccolo seme di pace. Se, con "Chiama l'Africa", ci siamo imbarcati nell'avventura di lavorare e di lottare perche' i rapporti diseguali scompaiano, perche' nel mondo non ci sia mai piu' una persona messa da parte o ritenuta inutile, perche' al continente africano venga restituita la dignita' che gli e' stata rubata da secoli, per realizzare l'utopia della fine di ogni forma di dominio, perche' a tutti siano riconosciuti i diritti fondamentali, allora non dobbiamo avere paura di nulla. Anche di credere e di sperare che questo mondo possa finalmente rinsavire e cominciare un cammino nuovo. I cuori di pietra - noi ci crediamo - si trasformeranno in cuori di carne. E riusciremo a capire, tutti noi, anche quelli che sembrano lontani, che a mani nude, senza armi, la nostra debolezza sara' la vera forza. Buon cammino. 6. MAESTRE. FRANCA ONGARO BASAGLIA: UNA LIBERAZIONE [Da Franca Ongaro Basaglia, Una voce, Il saggiatore, Milano 1982, p. 123. Franca Ongaro Basaglia, intellettuale italiana di straordinario impegno civile, insieme al marito Franco Basaglia e' stata, ed e' tuttora, tra i protagonisti del movimento di psichiatria democratica. E' stata anche parlamentare. Opere di Franca Ongaro Basaglia: tra i suoi libri segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi; Manicomio perche'?, Emme Edizioni; Una voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore; in collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante, Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato anche a L'istituzione negata e Che cos'e' la psichiatria e a molti altri volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia] E' concepibile una liberazione che si fonda sulla prigionia o sulla morte dell'altro? 7. RIFLESSIONE. LUIGI CIOTTI: PERCHE DICIAMO NO ALLA GUERRA [Questo intervento di don Luigi Ciotti abbiamo estratto dalla lista "Peacelink news" del sito www.peacelink.it. Luigi Ciotti e' nato a Pieve di Cadore nel 1945, sacerdote, animatore a Torino del Gruppo Abele; impegnato contro l'emarginazione, per la pace, contro i poteri criminali; ha promosso numerosissime iniziative. Riportiamo la seguente piu' ampia scheda biografica dalla Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Luigi Ciotti nasce il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore (Bl), emigra con la famiglia a Torino nel 1950. Nel 1966 promuove un gruppo di impegno giovanile, che prendera' in seguito il nome di Gruppo Abele, costituendosi in associazione di volontariato e intervenendo su numerose realta' segnate dall'emarginazione. Fin dall'inizio, caratteristica peculiare del gruppo e' l'intreccio dell'impegno nell'accompagnare e accogliere le persone in difficolta' con l'azione educativa, la dimensione sociale e politica, la proposta culturale. Nel 1968 comincia un intervento all'interno degli istituti di pena minorili: l'esperienza si articola in seguito all'esterno, sul territorio, attraverso la costituzione delle prime comunita' per adolescenti alternative al carcere. Terminati gli studi presso il seminario di Rivoli (To), Ciotti nel 1972 viene ordinato sacerdote dal cardinale Michele Pellegrino: come parrocchia, gli viene affidata "la strada". Sulla quale, in quegli anni, affronta l'irruzione improvvisa e diffusa della droga: apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la prima comunita'. Partecipa attivamente al dibattito e ai lavori che portano all'entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze. Da allora, la sua opera sul terreno della prevenzione e del recupero rispetto alle tossicodipendenze e all'alcolismo non si e' mai interrotta. E' invitato in vari Paesi (Gran Bretagna, Usa, Giappone, Svizzera, Spagna, Grecia, ex Jugoslavia) per tenere relazioni e condurre seminari sul tema ed e' chiamato per audizioni presso il Parlamento europeo. Nei primi anni Ottanta segue un progetto promosso dall'Unione internazionale per l'infanzia in Vietnam. Sempre sul piano internazionale, promuove programmi di cooperazione sul disagio giovanile e per gli ex detenuti in alcuni Paesi in via di sviluppo. Nel 1982, contribuisce alla costituzione del Coordinamento nazionale delle comunita' di accoglienza (Cnca), presiedendolo per dieci anni: al coordinamento, oggi, aderiscono oltre 200 gruppi, comunita' e associazioni. Nel 1986 partecipa alla fondazione della Lega italiana per la lotta all'aids (Lila), nata per difendere i diritti delle persone sieropositive, di cui e' il primo presidente. Nel marzo 1991 e' nominato Garante alla Conferenza mondiale sull'aids di Firenze, alla quale per la prima volta riescono a partecipare le associazioni e le organizzazioni non governative impegnate nell'aiuto e nel sostegno ai malati. Nel marzo 1995 presiede a Firenze la IV Conferenza mondiale sulle politiche di riduzione del danno in materia di droghe, tra i cui promotori vi e' il Gruppo Abele. Nel corso degli anni Novanta intensifica l'opera di denuncia e di contrasto al potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie", di cui e' direttore responsabile. A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra diverse realta' di volontariato e di un costante lavoro di rete, nasce nel 1995 "Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che coordina oggi nell'impegno antimafia oltre 700 associazioni e gruppi sia locali che nazionali. Sin dalla fondazione, "Libera" e' presieduta da Luigi Ciotti. Il primo luglio 1998 riceve all'Universita' di Bologna la laurea honoris causa in Scienze dell'educazione; Ciotti accoglie il conferimento del titolo accademico come un riconoscimento significativo dell'opera di tutto il Gruppo Abele. Alle attivita' del Gruppo Abele, di cui Ciotti e' tuttora presidente, attendono oltre trecentocinquanta persone che si occupano di: accoglienza, articolata in due servizi di pronto intervento a Torino; in otto comunita' che ospitano persone con problemi di tossicodipendenza, di alcolismo o malate di aids; in un servizio di accoglienza notturno per persone senza fissa dimora. Il gruppo Abele ha anche promosso e gestito l'esperienza di una "Unita' di strada" a Torino, la seconda attivata in Italia; lavori di tipo artigianale, informatico, agricolo, condotti attraverso la costituzione di cooperative sociali e di uno specifico progetto Carcere e lavoro; interventi di cooperazione internazionale in Costa d'Avorio, Guatemala, Messico; iniziative culturali, informative, educative, di prevenzione e formazione, che si svolgono attraverso l'Universita' della Strada, l'Universita' Internazionale della Strada, il Centro Studi, documentazione e ricerche, l'Ufficio Stampa e comunicazione, la casa editrice Edizioni Gruppo Abele, la libreria Torre di Abele, le riviste "Animazione sociale" e "Narcomafie", l'Ufficio scuola. Luigi Ciotti e' stato piu' volte membro del Consiglio Presbiteriale ed e' attualmente membro del Consiglio Pastorale della Diocesi di Torino. Da alcuni anni tiene corsi di formazione presso la Scuola per vigili urbani di Torino e provincia. Nei primi anni Ottanta e' stato docente presso la Scuola superiore di polizia del ministero dell'Interno. Giornalista pubblicista dal 1988, Ciotti e' editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici (tra cui: La Stampa, L'Avvenire, L'Unita', Il Manifesto, Il Sole-24 Ore, il Mattino, Famiglia Cristiana, Messaggero di Sant'Antonio, Nuovo Consumo), scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti, interviene su testate locali". Opere di Luigi Ciotti: tra le sue pubblicazioni segnaliamo Chi ha paura delle mele marce?, Edizioni Gruppo Abele - Sei, Torino 1992; Persone, non problemi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Terra e cielo, Mondadori, Milano 1998] Sono molte le ragioni che permettono a cittadini appartenenti a identita' diverse (dal punto di vista culturale, sociale, religioso e professionale) di esprimere un'uguale condanna alla possibilita' di una guerra (presunta "preventiva") contro l'Iraq. Ancora una volta le diversita' convergono in un'unica opzione in grado di formare unita' tra protesta e proposta. "Non c'e' pace senza giustizia", non si stanca di ripetere Giovanni Paolo II e, con lui, le tante comunita' civili e cristiane che sono sparse in tutto il mondo e che sono convinte dell'inutilita' della violenza per affrontare e risolvere conflitti. Le riflessioni che seguono provano a formulare - a voce alta - alcune considerazioni per dare ulteriore chiarezza e motivazione ad un "no" alla guerra che vuole proporsi anche come "si'" alla giustizia, alla pace e alla speranza. * 1. La prima vittima delle guerra e' sempre la verita'. Il primo vincitore un certo profitto che calpesta dignita', speranza e pace. L'espressione "un certo profitto" indica non solo la volonta' di controllare le ricchezze naturali ad ogni costo, ma anche il fatto che i veri motivi di quasi tutti i conflitti internazionali sono e restano interessi economici cosi' prepotenti da inquinare la stessa vita politica chiamata a decidere su questioni inerenti conflitti armati ed entrata in guerra di interi popoli. * 2. Il fermo e deciso "no" alla guerra non esprime il solo desiderio dell'Italia di restare estranea al conflitto. Il primo "no" e' alla guerra in quanto tale. Non vogliamo solo restare fuori dalla guerra (con una logica eccessivamente ripiegata sul nostro Paese). Non vogliamo la guerra in quanto tale. Ed anche per questo non vogliamo che il nostro Paese si spenda - con responsabilita' politiche, militari e strategiche - per costruire un sistema di guerra che inevitabilmente realizzera' morte e disperazione. * 3. Siamo profondamente convinti che il domani e' scritto nell'oggi e che il futuro sara' ad immagine e somiglianza del metodo e delle pratiche seguite per costruirlo. Alcune dure lezioni sull'inutilita' (e sui drammatici costi) della guerra le abbiamo gia' ricevute dalla storia. Senza dimenticare che conflitti, odio e diseguaglianze escono rafforzati e radicalizzati dai conflitti armati, creando ulteriori e future insicurezze e instabilita'. L'abbandono della strada politica non e' mai, di conseguenza, soluzione ai conflitti, ma tragica condanna a spirali di violenza che inevitabilmente alimentano il bisogno di ostilita' insanabili. * 4. Nessuno vuole fare o proporre sconti a dittatori e terroristi o alla violenza, da qualunque parte questa arrivi. Cio' di cui siamo convinti e' che non sono indifferenti la natura e la modalita' della risposta alla violenza. Anche di fronte all'orrore e alla follia della violenza occorre il coraggio del ragionare, del capire, dell'intervenire con lungimiranza e dell'evitare la tentazione delle scorciatoie. * 5. Alcune delle ultime guerre internazionali non solo hanno violato le regole fondamentali del diritto (i limiti di legittima difesa fissati dal consiglio di sicurezza dell'Onu nel dicembre 1975), ma hanno anche spazzato via l'idea di un diritto internazionale e la competenza esclusiva dell'Onu a deliberare e a realizzare operazioni di polizia internazionale. * 6. La guerra, che dopo l'ultimo conflitto mondiale e' stata formalmente vietata dalla Carta delle Nazioni Unite e "ripudiata" da molte costituzioni nazionali (compresa quella italiana), ha - in questo periodo - riassunto un ruolo di protagonismo. Non solo: non mancano quanti tentano - con linguaggi e motivazioni spesso infondate, ma tese a dilatare confusione - di giustificare la necessita' di un intervento militare con espressioni tipo "guerra giusta", "umanitaria", per "legittima difesa", "preventiva". Nessuna acrobazia linguistica puo' trasformare uno strumento al servizio della morte in un'operazione di pace e di vita. Solo nella politica esistono i reali strumenti perche' la gestione di un conflitto non debba essere affidata alla violenza e alla logica del piu' forte, indipendente dalle ragioni e dalle legislazioni presenti sul piano internazionale. * 7. Il terrorismo non e' figlio della poverta' e dell'ingiustizia, ma si alimenta della disperazione da esse prodotta. Intervenire politicamente su tali situazioni, vuol dire che "non c'e' pace senza giustizia"; significa che intervenire politicamente sulle condizioni di sfruttamento non contribuisce solo a realizzare maggior equita' e giustizia, ma si rivela anche strumento efficace per vincere qualsiasi forma di terrorismo. Una pace stabile esige un approccio politico realistico, dialogico e capace di aggredire le cause sociali di sfruttamento, miseria e disuguaglianze internazionali per fare della giustizia la premessa di ogni convivere disteso e sereno. 8. Due vincolanti passi ci sembrano necessari. - Spostare il baricentro del diritto internazionale dagli Stati alle persone. Significa creare le condizioni perche' non si realizzi tanto e solo una tutela dell'equilibrio tra i governi, ma una vera tutela dei diritti fondamentali di ogni cittadino del mondo. - Dare agli strumenti internazionali di verifica e di controllo quali il Tribunale penale internazionale le reali possibilita' di sanzionare ogni tipo di abuso e di prevaricazione del diritto senza sconti per nessuno e senza eccessive timidezze verso quei potenti che piu' di altri sono in grado di condizionare organismi internazionali in virtu' del loro potere economico. * Riflessioni sparse per trasformare un grido in parola attenta, documentata e precisa; per fare del "no alla guerra" una proposta perche' giustizia e politica si sostituiscano alle armi e agli eserciti. Non ha senso dividerci su queste questioni. E' urgente, doveroso e necessario restare uniti, intrecciare gli sforzi e opporsi alla logica delle divisioni con uno sforzo teso all'unita' e alla concretezza del risultato di pace. Associazioni, gruppi, cooperative, chiese, sindacati, libere aggregazioni, lavoratori, mondo dello sport, del tempo libero, scuole, operatori dell'informazione, amministratori politici e donne e uomini di buona volonta' dobbiamo fare tutto il possibile perche' dall'intreccio delle nostre diverse iniziative possa nascere quel mondo possibile caratterizzato dalla pace e dalla capacita' di "fermare il male con il bene". 8. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: TUTTO [Da Simone de Beauvoir, L'eta' forte, Einaudi, Torino 1961, 1995, p. 521. Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata protagonista, insieme con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle vicende della cultura, della vita civile, delle lotte politiche francesi e mondiali dagli anni trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980, Simone de Beauvoir nel 1986). Antifascista, femminista, impegnata nei movimenti per i diritti civili, la liberazione dei popoli, di contestazione e di solidarieta', e' stata anche lucida testimone delle vicende e degli ambienti intellettuali di cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di Simone de Beauvoir: pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in italiano e piu' volte ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente: Il sangue degli altri (Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori), I mandarini (Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore e Mondadori), La terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte le donne del mondo... (Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un grande affresco sulla vita culturale e le lotte politiche e sociali in Francia, e non solo in Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie d'una ragazza perbene, L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui vanno aggiunti i libri sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e sulla scomparsa di Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi. Opere su Simone de Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982 (cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata)] Non soltanto la guerra aveva cambiato i miei rapporti con tutto, ma aveva tutto cambiato. 9. APPELLI. IL 15 FEBBRAIO A ROMA UNO STRISCIONE UNITARIO DELLA RETE "EBREI CONTRO L'OCCUPAZIONE" E DEL "MOVIMENTO PALESTINESE PER LA DEMOCRAZIA E LA CULTURA" [Ringraziamo Andrea Baglioni (per contatti: a.baglioni at katamail.com) per averci inviato questo comunicato] La rete "Ebrei contro l'occupazione" ed il "Movimento palestinese per la democrazia e la cultura" hanno deciso di partecipare alla manifestazione del 15 febbraio contro la guerra in Iraq con uno striscione unitario, per ribadire non solo la propria totale opposizione alla guerra preventiva ed alle guerre tutte, ma per segnalare la comune preoccupazione rispetto alle drammatiche conseguenze che la guerra potra' avere sul conflitto in Israele e Palestina. I venti di guerra stanno gia' in questi giorni portando drammatiche accelerazioni nella repressione in corso in Cisgiordania ed a Gaza ed allo stesso tempo stanno ricompattando tutte le forze politiche israeliane attorno al neo-eletto governo Sharon. Il quadro complessivo e' molto preoccupante ed in particolare il ritmo vertiginoso in cui si susseguono le distruzioni delle case - approfittando anche della costruzione del "muro della vergogna" e della distrazione dei media e dell'opinione pubblica internazionale - rendono sempre piu' attuale e concreto il pericolo di "transfer" della popolazione palestinese. Questa presenza unitaria vuole quindi sottolineare che insieme e' possibile sia mantenere il dialogo necessario per costruire una pace giusta e duratura per entrambi i popoli, sia opporsi alle logiche guerrafondaie con le quali viene governato l'ordine mondiale. 10. RIFLESSIONE. MICHELE NARDELLI: LA GUERRA MODERNA COME MALATTIA DELLA CIVILTA' [Ringraziamo Michele Nardelli (per contatti: sol.tn at tin.it) per questo intervento. Michele Nardelli da molti anni e' impegnato per la pace e i diritti e la costruzione di un'alternativa solidale; e' tra gi animatori dell'esperienza di "Solidarieta'" a Trento e dell'"Osservatorio sui Balcani"] Il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Hannan, il papa della chiesa cattolica Karol Wojtila ed il capo della chiesa anglicana Rowan Williams, il presidente della Commissione europea Romano Prodi, paesi come la Francia e la Germania, la Russia e la Cina, ampi settori della societa' civile statunitense, ritengono immotivata o sbagliata una nuova guerra contro l'Iraq. E poi milioni di persone nelle piazze di tutto il mondo, le bandiere della pace alle finestre o sui nostri balconi di casa. Eppure i motori si stanno scaldando e tutto sembra andare nella direzione di una nuova guerra la cui portata e le cui conseguenze appaiono imprevedibili nella loro drammaticita'. Com'e' dunque che questa moltitudine o questi autorevoli rappresentanti della societa' delle nazioni e delle culture religiose nulla sembrano potere contro la volonta' di guerra dell'amministrazione americana? Com'e' possibile una tale amnesia civile e democratica? Credo che interrogarsi su questo aspetto sia decisivo non solo per comprendere l'origine di un corto circuito che fa ripiombare il nostro pianeta nel neofeudalesimo, ma anche per individuare un qualche itinerario di civilizzazione e di rialfabetizzazione politica laddove si e' perduta ogni misura. * Potra' sembrare rituale ma credo sia utile partire dal cuore dell'Europa in quel fatidico 1989. Quel muro che andava in pezzi rappresentava la manifestazione della crisi irreversibile del socialismo reale ma anche del bipolarismo e dunque di entrambi i modelli che si sono confrontati lungo il secolo scorso. Sappiamo piu' o meno come e' andata con lo sfacelo del vecchio blocco sovietico, quand'anche gli schemi culturali che gli erano propri tendono a sopravvivere a se stessi. Meno si e' indagato sulla crisi del modello uscito apparentemente vincitore dalla sfida del '900, rivelatosi subito incapace di proporsi come universale non solo e non tanto per le resistenze che incontra lungo il crinale tradizione-modernita', ma per la sua insostenibilita'. E' qui che avviene uno scarto di portata davvero epocale. L'universalismo, quell'orizzonte che portava il pensiero moderno a confrontarsi su quali fossero le strade per dare all'umanita' intera migliori prospettive di vita, viene messo in soffitta, tanto che la dottrina neoliberale prevede l'esclusione, la marginalizzazione di intere aree e fasce sociali alle quali e' impedito l'accesso ai livelli di benessere degli inclusi, prodotto della mercantilizzazione delle risorse elementari della vita sul pianeta, l'acqua, le fonti energetiche, le materie prime, le conoscenze scientifiche. E proprio per la sua insostenibilita', tale modello viene difeso con ogni mezzo, utilizzando lo scarto tecnologico prodottosi negli anni '90 sul piano economico e militare. Non solo, opporsi a questo modello e' considerato come un boicottaggio degli interessi strategici nordamericani. E' la tesi di Bush jr: "O stai con gli Usa o sei dalla parte di Bin Laden". Vale per gli "stati canaglia" come per l'Europa. Ecco dunque una prima risposta: alla crisi di un modello insostenibile si risponde con la guerra. * Un'altra chiave di lettura riguarda l'affermarsi dell'antipolitica. Nello scenario appena descritto, alla crisi dei modelli corrisponde l'implosione delle vecchie rappresentanze, le forme politiche tradizionali sembrano incapaci di leggere ed abitare il presente, cambiano i processi di formazione del consenso, la tecnica si impadronisce della politica e la politica viene considerata un'inutile perdita di tempo, tanto il problema e' "da che parte stai" e dentro questa visione manichea servono manager affidabili, non certo pensiero politico. Cosi' emerge una nuova classe dirigente fatta di ignoranti, arroganti e che vivono la sfera politica quale luogo di affermazione personale. Accanto a cio', la crisi dei vecchi paradigmi e l'incapacita' di produrne di nuovi porta alla riscoperta di identita' dismesse, a cui corrispondono nuove forme sociali di tipo neofeudale, dove il signore e' al tempo stesso capo politico, militare, religioso. E', appunto, l'esplosione dell'antipolitica, l'idea che il diritto naturale possa regolare le relazioni sociali, la legge del piu' forte, la fine dell'umanesimo. * Intrecciata a questa, c'e' poi una terza risposta, che investe il tema della natura post-moderna delle nuove guerre. Incardinata cioe' nei processi di finanziarizzazione dell'economia. Ovvero sulla necessita' di estendere la deregolazione come condizione per favorire il controllo delle risorse (energetiche in primo luogo) e le forme piu' hard di accumulazione (traffici di ogni tipo, riciclaggio, invasione commerciale con i sottoprodotti dell'economia globale...), a cui corrispondono nuove forme di controllo dei territori e di relazione fra cittadini (sudditi) e potere, il tutto all'ombra di processi di natura imperiale (per questo e' legittimo parlare di neofeudalesimo). * C'e' un'ultima chiave per leggere la guerra che si va preparando. Non solo di guerra per il petrolio si deve parlare. Questa e' una guerra contro l'Europa, contro il suo ruolo internazionale che oggi rappresenta il vero fattore di contraddizione dentro le dinamiche imperiali. Contro l'euro che puo' diventare (e sta diventando) l'altra moneta rispetto al primato del dollaro, contro quell'Europa che sempre piu' chiaramente diviene fattore di possibile stabilita' in Medio oriente come nell'area mediterranea o nei Balcani e che l'iniziativa militare angloamericana tende a demolire. * Dobbiamo in buona sostanza interrogarci sulla guerra moderna come "malattia della civilta'", per usare l'espressione di Nicole Janigro. Su quella combinazione di modernita' e barbarie che sono le nuove guerre, fra tecnologia e carneficine, dove il soldato - che tendenzialmente non muore mentre a morire sono i civili - ha la faccia pulita ed inespressiva del professionista americano che fa il suo "lavoro" (ma non era anche la tesi di Eichmann al processo di Gerusalemme?) e insieme quella brutale del generale serbo che accarezza il ragazzino di Srebrenica prima di dare il via alla mattanza. I bulldozer nordamericani che seppelliscono decine di migliaia di morti nel deserto dell'Iraq come la "zampata ultima" del guerriero balcanico tolgono ogni velo sulle guerre umanitarie e patriottiche. Quella "crisi di civilta'" che incontriamo non solo lungo le lande desolate dei moderni dopoguerra, ma anche nelle periferie delle metropoli, laddove ricompare la pulizia etnica e dove, come afferma Akbar Ahmed, tutti diventano primitivi e selvaggi. Allora indagare sulla guerra significa ragionare sui grandi interessi che sono in gioco cosi' come sulla perdizione dell'uomo contemporaneo. E capire che oggi la guerra, pure bandita dalle Carte internazionali, e' rientrata a far parte del nuovo ordine internazionale come della nostra vita quotidiana. Una buona ragione per non stare a guardare. 11. MAESTRE. SUSAN SONTAG: UN CITTADINO DECENTE [Da Susan Sontag, Stili di volonta' radicale, Mondadori, Milano 1999, pp. 342-343 (il brano che di seguito citiamo e' tratto dal saggio "Viaggio ad Hanoi", scritto nel giugno-luglio 1968). Susan Sontag e' una prestigiosa intellettuale americana nata a New York nel 1933; fortemente impegnata per i diritti civili. Opere di Susan Sontag: tra i molti suoi libri segnaliamo alcuni suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in Contro l'interpretazione e Stili di volontà radicale, presso Mondadori; e Malattia come metafora, Einaudi] Nel linguaggio infantile che io e loro eravamo costretti a usare (e in cui a un certo punto ero diventata bravissima) spiegai: e' difficile amare l'America, oggi per via della violenza che l'America sta esportando in tutto il mondo; e dato che gli interessi dell'umanita' vengono prima di quelli di qualunque popolo particolare, un cittadino americano decente deve essere prima un internazionalista e poi un patriota. 12. BANALITA'. FOLCACCHIERO SCATAMACCHIA: LA STRADA LUNGA E' facendo la strada lunga che si ascoltano racconti meravigliosi, ti capitano avventure straordinarie e sorprendenti incontri, e cicatrizzano le ferite. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 506 del 13 febbraio 2003
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