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COMMENTO: la dittatura dello stato di fatto
- Subject: COMMENTO: la dittatura dello stato di fatto
- From: "Eugenio Galli" <eugenio.galli at rcm.inet.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Fri, 31 Jan 2003 14:35:28 +0100
Un sistema corrotto, fingendo di non vedere, ha permesso ad uno spregiudicato imprenditore con efficaci coperture politiche di giungere a una posizione di controllo in un settore cruciale. A cose fatte, non si poteva disfarle e quindi si è provveduto a ratificarle: un po' come si vorrebbe succedesse per gli abusi edilizi. Con analoga insipienza si è lasciato che - in violazione di leggi lacunose ma pur sempre esistenti - quello stesso uomo fondasse un partito di plastica, si candidasse e venisse eletto, calpestando qualunque senso etico delle istituzioni. Ora egli si dice perseguitato da giacobini con la toga, che vorrebbero la rivoluzione per via giudiziaria, e pretende l'impunità perché chi governa deve rispondere non alla Giustizia (per gravi fatti tra l'altro estranei e precedenti alla sua attuale attività politica) bensì ai suoi pari che lo hanno eletto: il Popolo. Non si difende "nel" processo ma "dal" processo. E con questo richiamo demagogico nega lo Stato di diritto attraverso l'affermazione dell'autorità dello Stato di fatto. Ma ci tiene anche a far sapere che lo farà "fino in fondo" (ripetendolo per ben tre volte nel suo recente messaggio a videocassette unificate). Spero che anche gli amici smettano di darsi di gomito: qui non siamo a recitare una commedia e il Presidente del Consiglio non è un mattatore, ma l'espressione di una istituzione che dovrebbe rappresentare tutti gli Italiani, anche coloro che non lo hanno votato. Quando questo obbrobrio finirà - certus an, incertus quando - resteranno solo le macerie fumanti di una democrazia incompiuta: con quali speranze e con quale fiducia possiamo guardare al futuro? Sradicato un minimo comune senso civico, confusa la politica con i personalismi, spacciate le ambizioni personali per progetto politico, messo sotto i tacchi il senso dello Stato e delle istituzioni, forse temute ma non rispettate, su quali basi sarà possibile ritrovare un senso di convivenza civile? Dove si riconoscerà il luogo etico di una comune identità politica? Eugenio Galli - Milano
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