Cassazione sulla Bossi-Fini



Oggetto: RMSF - Cassazione e Bossi-Fini

La Sentenza della Suprema corte riaccende
lo scontro politico: "E' fuori dalle norme europee"
Cassazione contro la Bossi-Fini
"E' una legge repressiva"
Landolfi (An) e Cè (Lega): "E' una valutazione politica"
Livia Turco (Ds): "Parole sante. Ed è anche inefficace"


ROMA - La legge Bossi-Fini ha adottato una impostazione "esclusivamente
repressiva". Questo in sintesi il giudizio espresso oggi dalla Cassazione in
merito alla alla legge sull'immigrazione. In particolare i giudici hanno
messo a confronto la normativa varata nel 2002 con la legge Turco-Napolitano
del '98, precisando che la Bossi-Fini ha "capovolto" la "visione
solidaristica" della precedente e, aumentando la funzione di sicurezza e di
ordine pubblico, divenuta "il tema centrale", ha compiuto una "unilaterale
lettura delle normative europee". In pratica, i magistrati di legittimità
ritengono che tutto ciò è avvenuto "in parte capovolgendo la visione
solidaristica in una esclusivamente repressiva".

L'odierna sentenza della Cassazione riaccende lo scontro politico. "E' un
giudizio più politico che tecnico" sostiene Mario Landolfi, portavoce di
Alleanza nazionale; sono "parole sante" ribatte Livia Turco, responsabile
per i Ds dei temi del welfare. "E' una strana e inaccettabile invasione di
campo nei confronti della politica" per Alessandro Cè, capogruppo della Lega
Nord alla Camera. "E' una valutazione", continua Cè, "di tipo politico e non
di legittimità, quale competerebbe alla Corte di Cassazione. Per l'ennesima
volta la magistratura sta sconfinando".

Rilancia Livia Turco: la legge non è solo repressiva ma è anche "inefficace.
Lo dice l'aumento della clandestinità e lo dicono i magistrati che hanno
difficoltà ad applicare la legge in quanto è di dubbia interpretazione". E
una ragione, osserva l'ex ministro del centro sinistra, c'è: "La cultura che
ha animato quel testo non è quella della regolarizzazione del problema
dell'immigrazione, non il principio dell'efficacia ma della battaglia
ideologica e propagandistica".

Dello stesso avviso anche la Caritas Italiana. "Siamo completamente
d'accordo con quanto afferma la Cassazione" afferma don Giancarlo Perego,
responsabile dell'immigrazione dell'organizzazione di volontariato. "Lo
abbiamo detto da subito che la Bossi-Fini non aiuta la solidarietà e
l'integrazione della persona immigrata. La legge" ha aggiunto "tratta
l'immigrazione come un fenomeno da cui difendersi invece che affrontare come
migliorare l'accoglimento e l'integrazione degli immigrati".

Il responsabile dell'immigrazione di An, Giampaolo Landi di Chiavenna,
contesta la sentenza e precisa che la Bossi-Fini interviene solo nella prima
parte della legge Turco-Napolitano, "mentre le politiche di integrazione
permangono tutte, è una parte che non è stata toccata e che è tuttora legge
dello Stato. Contesto comunque categoricamente" ha aggiunto "questa
interpretazione. Ribadisco che non si tratta di essere repressivi ma di
estirpare il buonismo peloso e lo pseudosolidarismo dei governi del centro
sinistra. L'obiettivo è contrastare la xenofobia attraverso espulsioni certe
e la regolamentazione dei flussi".

(25 gennaio 2003) da www.repubblica.it



I GIUDICI - Ma vediamo la sentenza. Al confronto tra la normativa del 1998 e
quella del 2002, i giudici della terza sezione penale premettono
un'osservazione: già la legge Turco-Napolitano aveva «ulteriormente
marcato», rispetto alla legge 943 del 1986, le «finalità di ordine pubblico,
controllo e regolamentazione della presenza degli extracomunitari». Ma
questi obiettivi venivano «filtrati» attraverso «i principi di pari
opportunità e trattamento, di regolazione del mercato del lavoro al di fuori
degli schemi della pubblica sicurezza». Tutto ciò veniva attuato attraverso
«la predisposizione di misure di politica attiva e attraverso strumenti
sanzionatori», senza «perdere di vista il legame esistente fra immigrazione,
povertà e i principi solidaristici espressi nella nostra Costituzione». Ma
le funzioni di sicurezza e di ordine pubblico sono diventate «il tema
centrale nella legge del 2002, con una lettura unilaterale della normativa
europea». Un processo che si è realizzato «in parte, capovolgendo la visione
solidaristica in una esclusivamente repressiva».
LA CONVIVENZA - Secondo i magistrati della Cassazione, la legge
Turco-Napolitano forniva «una risposta articolata e globale al complesso
fenomeno, per porre le basi di una regolamentazione e di una civile
convivenza con un flusso migratorio ormai costante», ma anch'essa puniva
l'ingresso clandestino, che resta reato con la Bossi-Fini, legge con la
quale il legislatore «continua a perseguire, inasprendo le pene, il fenomeno
dell'agevolazione o dello sfruttamento della migrazione clandestina,
rendendo rilevanti penalmente simili attività parassitarie e lucrative». La
Suprema Corte ha così respinto il ricorso del cittadino albanese. Il suo
legale sosteneva che le norme contro chi agevola l'ingresso illegale di
extracomunitari riguarderebbero soltanto gli «scafisti». Ma la Cassazione ha
espresso un parere opposto: sia la Turco-Napolitano che la Bossi-Fini
puniscono non soltanto gli scafisti o gli «organizzatori di tratta», ma
anche gli stessi clandestini quando compiono «attività dirette a favorire
l'ingresso degli stranieri violando la legge».

da www.corriere.it

      IL COSTITUZIONALISTA


Barbera: hanno scritto una riga di troppo, ma il valore è relativo

«Le parole servivano a motivare la condanna, non possono essere enfatizzate
Le toghe sono prolisse, ci vorrebbe un limite»



ROMA - «Svolazzi di un magistrato, tecnicamente obiter dicta ,
considerazioni introduttive che confermano una vecchia abitudine dei giudici
italiani, scrivere più del dovuto. In ogni caso, sono frasi che, a quanto
pare, non hanno nulla a che fare con il dispositivo della sentenza e che non
fanno giurisprudenza». Augusto Barbera, costituzionalista di area diessina
ed ex parlamentare, non dà troppo peso alle parole «di un giudice della
Cassazione»: «Potrebbe anche essere uno di destra come di qualunque altra
fede politica, del resto nel caso specifico è stata confermata una condanna.
Il taglio repressivo della legge poi è pacifico, come ostentatamente
dichiarato da Bossi e da Fini, che ne fanno un punto di orgoglio. Ribadirlo
non mi sembra così sorprendente».
Il giudice, però, entra nel merito della legge, in qualche modo la
«giudica». E' legittimo?
«Quelle frasi hanno un valore relativo. L'importante è verificare quello che
è stato deciso. Non possono essere estrapolate alcune frasi da una sentenza
per enfatizzarle. Ormai si strumentalizza tutto, da una parte e dall'altra:
a sinistra per un supplemento di propaganda contro la Bossi-Fini, a destra
per dimostrare che i giudici sono "politicizzati". Ci mettiamo a giudicare
non solo le sentenze ma persino gli svolazzi di una sentenza».
Ma la Cassazione non dovrebbe giudicare solo della legittimità delle
sentenze, senza considerazioni sul merito delle norme?
«Non conosco la sentenza e non voglio esprimere alcuna critica diretta alla
Cassazione. Ma non svelo nulla di nuovo dicendo che c'è sempre stata una
tendenza dei giudici a scrivere più del dovuto, come una vena letteraria
repressa. E' un'abitudine antica, un vezzo, e non credo ci possa essere una
censura di natura costituzionale, si tratta solo di stile sovrabbondante».
Uno stile che però in questi casi non si limita alla forma, quelle frasi
appaiono un'esplicita bocciatura della Bossi-Fini.
«La mia impressione, a naso, è che quelle considerazioni siano prodromiche
della condanna. Non mi sembrano scritte per fare propaganda favorevole o
sfavorevole a una legge. E se un giudice scrive più del dovuto, come avviene
da generazioni, non è il caso di buttarla in politica. Forse, adesso che ci
sono i computer..., si potrebbe anche adottare un limite di parole, le
sentenze potrebbero essere più asciutte. Lo diceva già Santi Romano, 90 anni
fa».
E' corretto che le frasi di un giudice vengano lette come la bocciatura
della Cassazione?
«Non credo che la Cassazione abbia voluto dare un giudizio negativo. Alla
fine, che è successo? Hanno condannato l'albanese. Certamente non è corretta
un'interpretazione del tipo "la Cassazione boccia la legge", sono solo frasi
dell'estensore. Semmai i nostri giudici possono trarre un insegnamento: in
un periodo in cui i nervi sono così scoperti c'è un ulteriore motivo per
essere più contenuti. Un'occasione per auspicare un maggiore self-restraint
».