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La nonviolenza e' in cammino. 483
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 483
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 21 Jan 2003 06:39:22 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 483 del 21 gennaio 2003 Sommario di questo numero: 1. Donne in nero di Reggio Emilia, diciamo no alla guerra e mobilitiamoci per la pace 2. Enrico Peyretti, una sintesi dell'intervento di Oscar Luigi Scalfaro sull'articolo 11 della Costituzione 3. Lidia Menapace, il femminismo ha sempre pratricato le forme dell'azione nonviolenta 4. Giulio Vittorangeli, dalla guerra del Golfo al Nuovo modello di difesa 5. Ornella De Zordo, qualcosa di nuovo 6. Vincenzo Passerini, 34 consiglieri regionali del Trentino Alto Adige/Sudtirol chiedono al parlamento di non liberalizzare l'export di armi 7. Norma Bertullacelli, da Genova per la pace 8. Stefano Ciccone: donne, uomini, conflitto 9. Hannah Arendt, la perdita 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. APPELLI. DONNE IN NERO DI REGGIO EMILIA: DICIAMO NO ALLA GUERRA E MOBILITIAMOCI PER LA PACE [Da Letizia Valli (per contatti: letizia.valli at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo questo documento delle "Donne in nero" di Reggio Emilia] In un altalenare di deboli speranze che ancora questa guerra contro l'Iraq possa essere evitata e la cruda disillusione che essa sia gia' completamente scritta e addirittura in corso, si moltiplicano in questi giorni comunicati, iniziative, prese di posizione di gruppi e movimenti a favore della pace. Anche l'Europa, timidamente, comincia ad esprimere perplessita' e suggerisce almeno l'attesa. Ma il governo americano continua a inviare truppe, navi ed aerei, e a parlare di guerra inevitabile. Noi crediamo che tutte le guerre siano evitabili e lo diciamo da anni tutti i sabati pomeriggio in Piazza Prampolini. I nostri abiti neri, i nostri cartelli muti dicono che noi la guerra non la vogliamo, che non c'e' guerra giusta ne' tantomeno umanitaria, che il terrorismo non si vince con la guerra, che la dottrina della "guerra preventiva" e' folle oltre che ingiusta. Sappiamo che il nostro essere li', in piazza, non smuovera' i potenti del mondo; a volte ci sembra che non riesca a smuovere nemmeno le coscienze di molti passanti. Eppure torniamo li', ogni sabato, e ci piacerebbe essere in tante, tante di piu'. E' vero che le nostre possibilita' di fermare la guerra sono minime, ma proprio per questo bisogna da subito fare di piu'. Se la guerra ci sara', se le guerre continueranno ad essere considerate normali nonostante siano volute solo da una minoranza di potenti del mondo, allora vorra' dire che noi, che la gran parte dei cittadini ha rinunciato alle proprie responsabilita' e ha lasciato che le cose accadessero. La guerra ci riguarda tutte/tutti direttamente, dipende anche dalla nostra indifferenza; allora smettiamo di pensare di essere impotenti, smettiamo di pensare che non possiamo farci niente e costruiamo insieme una campagna di azioni nonviolente in difesa della pace e della vita. Costringiamo tutte/tutti, anche a rischio di creare disagi quotidiani, di irritare qualcuno e disturbare la "pace" della vita di tutti i giorni, a rendersi conto che cio' che sta accadendo non ha precedenti, che e' minacciato il nostro presente, il nostro futuro prossimo e quello dei nostri figli. * Il 15 febbraio sono gia' state indette manifestazioni nelle citta' europee (a Roma per l'Italia). Benissimo, ma non basta. Prepariamo queste manifestazioni con tanti altri piccoli e grandi gesti: - Lanciamo una campagna per la neutralita' attiva dello Stato italiano (astenersi da ogni guerra, non firmare trattati militari, non consentire passaggi di truppe, praticare il disarmo vietando la costruzione e la vendita di armi). - Moltiplichiamo il numero delle bandiere colorate della pace che gia' si cominciano a vedere alle finestre, ai balconi delle case, delle chiese, delle scuole, degli uffici, dei negozi, e il numero degli stracci bianchi annodati al braccio, alla borsetta, allo zaino, alla bicicletta, al passeggino. - Trasformiamo l'appuntamento del sabato pomeriggio in piazza Prampolini dalle 17 alle 18 in un incontro di tutte le donne reggiane che vogliono dire il loro no alle guerre. - Aderiamo alla raccolta di firme sul disegno di legge di iniziativa popolare per l'attuazione dell'articolo 11 della Costituzione. - Costruiamo una campagna per inserire il ripudio della guerra nella Costituzione Europea. - Prepariamo e promuoviamo in caso di guerra una campagna di disubbidienza civile e lo sciopero generale ad oltranza (15/20 minuti al giorno?) contro questa decisione. - Scriviamo ai giornali, inventiamoci tante altre iniziative con tutta la nostra fantasia e creativita'. * Alle donne impegnate nelle istituzioni, nei partiti, nelle associazioni laiche e religiose chiediamo un impegno particolare perche' si assumano in prima persona la responsabilita' di promuovere queste ed altre iniziative. Dichiariamo con orgoglio che siamo imbelli perche' disadatte alla guerra per decisione etica e politica e che ci consideriamo coraggiose per avere scelto la pratica della neutralita'. Alla guerra preventiva rispondiamo con l'alternativa della prevenzione della guerra, alla legittimazione della guerra come strumento normale di politica estera opponiamo che la guerra e' un crimine contro l'umanita' e deve diventare una pratica vietata nel genere umano. Le armi e la violenza sono sempre strumento di dominio, sofferenza, ingiustizia. L'unica politica possibile e' costruire e preparare la pace. 2. TESTIMONIANZE. ENRICO PEYRETTI: UNA SINTESI DELL'INTERVENTO DI OSCAR LUIGI SCALFARO SULL'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per aver redatto questa sintesi dell'intervento di Oscar Luigi Scalfaro sull'articolo 11 della Costituzione pronunciato a Roma, in Palazzo Marini, il 15 gennaio 2003. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente. Oscar Luigi Scalfaro e' stato magistrato, costituente, parlamentare e presidente della Repubblica] L'altro intervento, di Pietro Ingrao, e' stato pubblicato intero su "l'Unita'" del 16 gennaio. Un resoconto dell'intervento di Scalfaro a cura di Ida Dominijanni e' stato pubblicato su "Il manifesto" del 16 gennaio. [Entrambi questi testi sono stati riprodotti anche su questo notiziario - ndr -]. Il testo che segue e' tratto dai miei appunti, che sono una sintesi diretta nell'ascolto, quasi stenografici. Ho tralasciato due o tre punti su cui avevo il dubbio di non aver capito bene, percio' garantisco, per quanto possibile a chi puo' sbagliare, la fedelta' e la sostanziale completezza di tutto il resto, anche delle frasi piu' vivaci. Prima del dibattito ho chiesto e avuto sia da Scalfaro che da Ingrao l'autografo sulla mia copia della Costituzione. * Un saluto a tutti, a Ingrao "il mio presidente". Splendido il suo intervento. Mi associo all'invito che ha rivolto ai parlamentari (che portino la domanda di questa sala nelle altre sale piu' grandi e solenni di questo Parlamento). E' strano che nel 2003 ci si ponga questo interrogativo: guerra o non guerra? Le vere domande da porsi sono: cosa pensiamo noi della guerra? Cosa ne pensano quelli che devono decidere? Siamo convinti che e' un male assoluto, senza eccezioni? La guerra e' contro la persona umana, e' per la distruzione, anzitutto dei piu' indifesi. Il raziocinio qualifica l'uomo. Dunque: dialogo, trattare, discutere, convincere. Rinunciare al raziocinio in favore dei muscoli e' un degrado. Le alleanze sono un movimento naturale per persone e popoli, nel desiderio di unione per essere piu' forti in tutti i campi, anche nella sicurezza, ma a condizione che siamo su posizioni di parita'. Se vi e' uno in posizione di dominio, questa non e' un'alleanza. E se qualcuno accetta il dominio senza discutere, in sudditanza imposta e accettata, questa non e' alleanza. A volte, la sudditanza scelta come prova di fedelta' e amicizia e' il massimo degrado. Abbiamo il dovere, come alleati, di far sentire la nostra voce. Anche se una imbecillita' non nuova, dice: "Allora, tu non sei amico degli Stati Uniti!". Cerchiamo adesioni al nostro no alla guerra. Anche se il Presidente della Repubblica francese ha intenzioni non identiche al Cancelliere tedesco. Con forza adolescenziale z" stato detto: "Io sono amico di Bush!". In Senato, usando sei degli otto minuti che mi erano concessi, dissi: "Constatata la realta' dei fatti, dico a Lei, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, che e' suo compito far vivere insieme pace e alleanze". Feci anche gli auguri, perche' gli interessi della Patria superano le parti politiche. Ci fu un gesto dal banco del governo non benevolo, non educato. L'Italia ebbe una volonta' politica di pace subito dopo la seconda guerra mondiale, guerra atroce, nella quale per la prima volta i morti civili furono piu' numerosi dei morti militari. Dimenticare questo e' un problema di competenza del ministero della sanita'! De Gasperi scelse la pace internazionale, l'Europa, la Nato, cosi' come diede la preferenza alla collaborazione democratica interna. I profeti dell'Europa avevano questa fede: solo un'Europa politica sconfiggera' la guerra. Il popolo statunitense giovane, democratico, puo' sbagliare. La nostra alleanza con gli Stati Uniti e' un punto fermo, ma non e' una delega alla politica dominante. Occorre parita' di dignita'. L'alleanza non puo' macchiare la dignita' del nostro paese. * L'articolo 11 della Costituzione: io l'ho votato. La discussione fu breve, il 24 marzo 1947. Tutti eravamo usciti dalla tragedia della guerra. Nessuno fu contrario a quel no alla guerra. "Ripudia" e' un termine scultoreo, non ammette incertezze. E' un articolo profetico. Il no e' alla guerra di aggressione, naturalmente, e anche alla guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie. La guerra non risolve. L'Italia "consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni". Le organizzazioni internazionali sono solo per la pace. L'Onu e' nata solo per la pace. Una valutazione giuridica: l'art. 11 consente solo una guerra di legittima difesa, unica ipotesi di guerra legittima. La legittima difesa e' un istituto giuridico che non puo' essere inventato dal politico. Occorre che l'offesa sia in atto e che ci sia proporzione tra offesa e difesa. Ci sono casi di intervento obbligatorio: la difesa di un debole. Se un popolo rischia di perdere i suoi diritti, lo Stato deve darsi da fare. La pace e' un diritto. E' legittima la difesa da un'aggressione non solo a me, le alleanze mi impegnano a difendere i miei alleati. Ho fatto dibattiti a Napoli, a Bologna, a Reggio Emilia e in altre citta'. Mi sono state fatte alcune obiezioni. Gli accordi firmati superano l'art. 11. Ma quali accordi? Semmai dobbiamo avvertire gli alleati che tale accordo non puo' superare l'art. 11. Da quale cranio puo' mai venire questa obiezione? Altra obiezione: l'art. 11 e' andato in desuetudine. Allora, anche l'art. 21 (la liberta' di manifestare il proprio pensiero) puo' andare in desuetudine? Certo, chi non ha pensiero non se ne accorgerebbe. Ingrao ha fatto appello ai parlamentari. Oggi c'e' in Parlamento un irrefrenabile desiderio di riforme. Che si parli invece di questi problemi davvero gravi! L'aggressione dell'Iraq al Kuwait, nel 1990, fu un classico caso. I casi della Jugoslavia erano gia' piu' discutibili. Ma oggi si tratta di una ostinazione del Presidente Bush. Di Bush padre ebbi la sensazione di un grande manager dello Stato. Questo figlio e' nato faticosamente... La forza dell'uomo e' dentro l'uomo. Quando ha bisogno di un supporto esterno, allora e' debole. Blair (la Gran Bretagna dice si' agli Stati Uniti prima che si pronuncino) un mese fa ha detto a Bush: "Fai la guerra in ottobre". Ma se posso spostare la guerra non sono l'aggredito. Solo chi attacca decide il tempo. Infatti, tale e' la guerra preventiva. * L'art. 11 e' vivo e vitale, e guai a chi lo calpesta. Lo spazio per la guerra preventiva non c'e'. La guerra preventiva e' in ogni modo identica alla guerra di aggressione. Il nostro preciso dovere e' applicare l'art. 11. La "legittima difesa preventiva" e' impensabile. Si dice ancora: ma se decide il Consiglio di Sicurezza... Ho una intensa speranza che non diano mai l'approvazione alla guerra preventiva. Ma se la dessero, noi dobbiamo essere fermi sul no, per il dovere di rispettare l'art. 11. Questo articolo ci ha consentito di mandare soldati per azioni umanitarie, abbiamo avuto anche degli eroi. Ci consente azioni di solidarieta' con rischio certo. Mandiamo alpini in Afghanistan: ma sono incerto su quelle battaglie. * Dopo l'11 settembre abbiamo dato una solidarieta' immediata agli Stati Uniti. Ma Bush ha annunziato la volonta' di fare la guerra. Un altro fatto: il nostro Presidente del Consiglio prese delle posizioni che davano la sensazione di privatizzare e personalizzare la politica estera: questo e' inaccettabile! Diciamo il nostro no fermo e la decisa richiesta di parita'. Si dice: saremo isolati! E' uno spauracchio inutile. Quando si lotta per dei principi ci vuole coraggio. No totale alla guerra! Impegno a non calpestare la Costituzione! 3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: IL FEMMINISMO HA SEMPRE PRATICATO LE FORME DELL'AZIONE NONVIOLENTA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, ha preso parte alla Resistenza, e' tra le voci più significative e autorevoli della cultura e del movimento delle donne, dei movimenti di pace, solidarieta' e liberazione, della vita civile italiana degli ultimi decenni. Opere di Lidia Menapace: la maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001. Tonino Drago, nato a Rimini nel 1938, docente di storia della fisica all'Universita' di Napoli, da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997. Aldo Capitini e' nato a Perugia il 23 dicembre 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia il 19 ottobre 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977; recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte; sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, e un volume di Scritti filosofici e religiosi. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001. E ancora: Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; utile anche Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988] Vorrei dire qualcosa prendendo spunto dalla riflessione di Tonino Drago apparsa su "La nonviolenza e' in cammino" di ieri. Nessuno potrebbe non dichiarare il proprio debito verso Capitini senza essere richiamato. Tuttavia sono convinta che anche nei confronti di Capitini sia giusto procedere come verso qualsiasi altra persona, senza trasformarlo in una sorta di riferimento rigido e immutabile, in un oggetto di culto. Ad esempio, nemmeno Capitini ha mai preso in considerazione il femminismo, anche se era molto attento alla presenza di donne, ma non come movimento fondato sulla relazione e autore di teoria politica (il pensiero della differenza) e di pratiche diffuse. Questo disturba sempre un po' perche' spiazza tutte le gerarchie sociali e mette fuori gioco e sotto giudizio tutti i patriarchi anche quelli buoni e comprensivi. A me pare che riconoscere che il femminismo ha sempre praticato le forme dell'azione nonviolenta consenta di allargare gli orizzonti e vedere che anche il movimento operaio e sindacale (non i partiti che hanno sempre cercato di egemonizzarlo e portargli la coscienza magari nazionale e patriottica e via lenineggiando) ha dall'inizio imboccato la stessa strada. E' bene veder di piu'. Questo non deve farci creduloni verso chiunque affermi di essere "nonviolento, ma non di principio" come dicono risibilmente aree del "no global". Ma prendere atto che nessuno si sente di sostenere piu' apertamento l'uso della violenza come strumento di lotta politica -tranne Forza Nuova- e' un passo importante. Almeno io la penso cosi'. Vorrei argomentare anche piu' ampiamente dato che talora tra i nonviolenti storici avverto una punta "aristocratica" che mi spiace. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DALLA GUERRA DEL GOLFO AL NUOVO MODELLO DI DIFESA [Giulio Vittorangeli (giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, e una delle figure piu' nitide e prestigiose dell'impegno di pace e di solidarieta' internazionale] Nell'agosto 1990 le forze armate irachene occupano il Kuwait. Il 28 agosto il piccolo emirato viene annesso da Saddam Hussein come diciannovesima provincia irachena. Il 17 gennaio 1991, Gorge Bush senior ordina l'attacco contro Baghdad. Le principali reti televisive del mondo, quasi all'unisono, trasmettono la notizia dei bombardamenti britannici e statunitensi sull'Iraq. In particolare, assurge a primo attore il bombardiere americano F-117 "Stealth': una strana e spigolosa figura di aereo che, grazie alla particolare sagoma della fusoliera e alle vernici usate, e' in grado di assorbire le onde elettromagnetiche dei radar iracheni, risultando cosi' invisibile per il nemico. Il 28 febbraio, appena quattro giorni dopo l'inizio delle operazioni di terra, la resistenza degli iracheni e' domata. Il governo di Baghdad accetta tutte le risoluzioni adottate dalle Nazioni Unite. * Da allora l'Iraq vive un isolamento internazionale che ha messo in ginocchio la sua economia. L'embargo, imposto dai paesi occidentali, ha provocato enormi disagi, soprattutto alla popolazione civile. Gli iracheni sono allo stremo: i bambini muoiono per mancanza di antibiotici, anche un semplice intervento chirurgico e' un problema perche' non c'e' filo da sutura e i generi di prima necessita' sono diventati un lusso. Se Saddam Hussein, riferendosi alla cifra di mezzo milione di bambini morti citata dall'Unicef, avesse detto in televisione "noi pensiamo che valga la pena di pagare questo prezzo", i nostri governi l'avrebbero definito un mostro. La Albright l'ha fatto, ma l'Occidente ha continuato a tacere. Un embargo economico che, non a caso, e' stato definito crudele come un assedio medievale. Il termine "genocidio" e' stato usato da esperti di diritto internazionale e da altre voci moderate. Pensiamo a Denis Halliday, ex assistente del segretario generale delle Nazioni Unite, che si e' dimesso dalla sua carica principale responsabile dell'Onu in Iraq; o Hans Sponeck, il suo successore, che ha gia' rassegnato le dimissioni per protesta. Entrambi lavoravano per le Nazioni Unite da 34 anni e godono di grandissima stima nel loro settore. Le loro dimissioni, insieme a quelle del direttore del World Food Program a Baghdad (febbraio 2001), sono un gesto senza precedenti. * Quello delle sanzioni non e' che uno dei tre scandali intrecciati fra loro che stanno causando sofferenze e morti in quantita' impressionante. La verita' sull'uranio impoverito contenuto nei proiettili usati nella Guerra del Golfo del 1991 (e nell'attacco Nato sulla Jugoslavia del 1999: sei i militari italiani morti di leucemia che avevano prestato servizio in Kossovo) e' che statunitensi e britannici hanno condotto una specie di guerra nucleare contro le popolazioni civili, ignorando volutamente la salute e la sicurezza dei loro stessi soldati. Intanto l'incidenza dei tumori nell'Iraq meridionale e' aumentata di sette volte. Infine, l'uccisione di civili iracheni da parte di aerei della Raf e dell'aviazione militare statunitense nelle "no fly zone"; vere violazioni del diritto internazionale. * Su questo paese allo stremo, e sull'innocente popolo iracheno di cui non si preoccupa nessuno, primo o poi si abbattera' una nuova criminale guerra. Perche' si vuole passare dal dopoguerra infinito, con embargo e genocidio, allo stabile insediamento americano in quella zona del mondo nevralgica per il petrolio. Quello che e' certo, e' che la guerra del Golfo del 1991 ha scardinato sia i rapporti internazionali sia, in molte situazioni, gli equilibri interni: il passaggio di secolo ne e' risultato sconvolto sul piano continentale e mondiale. * Se guardiamo all'Italia, vale la pena ricordare come il "Nuovo modello di difesa" nasce proprio nel 1991, quando (governo Andreotti) la Repubblica italiana combatte la sua prima guerra (in spregio all'art. 11 della nostra Costituzione, che sancisce ripudio della guerra quale mezzo di risoluzione delle controversie internazionali), partecipando all'operazione "Tempesta del deserto" lanciata dagli Usa nel Golfo Persico. E' l'inizio della mutazione genetica delle forze armate: il loro compito non e' piu' la difesa della patria, ma la "tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario". Viene cosi' enunciata, a livello istituzionale, una nuova politica militare e contestualmente una nuova politica estera; senza, pero' che il "Nuovo modello di difesa" (passa di mano in mano, da un governo all'altro) venga discusso in quanto tale in Parlamento. A elaborarlo e applicarlo sono i vertici delle forze armate, ai quali i governi lasciano piena liberta' decisionale, pur trattandosi di materia di basilare importanza per la Repubblica italiana. Cosi' siamo giunti alla partenza dei "nostri" alpini per l'Afghanistan, dove andranno sotto controllo Usa e a fianco dei "signori della guerra". 5. RIFLESSIONE. ORNELLA DE ZORDO: QUALCOSA DI NUOVO [Dal sito del "Paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento tenuto da Ornella De Zordo (del Laboratorio per la democrazia) all'incontro "Politica e movimenti: costruiamo insieme un futuro diverso" del 10 gennaio 2003 al Palasport di Firenze] Se dovessi in estrema sintesi dire che cosa ha tentato di fare nel corso di questo ultimo anno il Laboratorio per la democrazia, che non e' che uno dei tanti gruppi, comitati, associazioni che sono nati nel corso del 2002 nell'ambito della societa' civile, direi che ha tentato di fare due cose: innanzi tutto manifestare in difesa dei diritti e della democrazia nelle molte situazioni in cui questo governo ha nei fatti negato principi fondamentali della vita democratica. Per questo in tanti siamo scesi nelle piazze e ci siamo ritrovati nelle case del popolo di questa citta', mobilitandoci per il pluralismo dellíinformazione, per l'autonomia della magistratura o contro inaccettabili provvedimenti legislativi. Il secondo piano su cui il Laboratorio si e' impegnato e' stato quello della crescita del livello della democrazia esistente, perche' di giustizia si parlasse anche nel senso di affermazione dei diritti e delle garanzie individuali. Abbiamo affrontato, anche nel lavoro dei gruppi, i temi dell'estensione della cittadinanza, di una maggiore giustizia sociale, della realizzazione di una ancora lontana democrazia di genere. E, su questo piano, sempre maggior rilievo ha preso per noi il discorso, ancora tutto da concretizzare, della democrazia partecipativa, un cammino non privo di difficolta', che implica mutamenti essenziali nel rapporto tra governo locale e societa' civile: una maggiore trasparenza, una piu' ampia partecipazione dei cittadini nella gestione della vita pubblica, la condivisione delle priorita' e delle scelte da parte delle molte espressioni sociali della citta'. Su questi due piani intendiamo continuare a impegnarci con la passione e con l'ostinazione che ci ha sorretti fino ad ora. * Ma accanto a tutto questo, oggi, si puo' aprire qualcosa di nuovo. Qualcosa che certo non si sostituisce ai nostri obiettivi originari, ma vi si aggiunge. Nel corso dell'ultimo anno (cioe' da quando siamo nati) ci siamo sentiti chiedere: "Ma in che modo il movimento puo' influire sulla politica?", la politica che conta, quella con la p maiuscola, quella che si fa dentro il palazzo? Perche' il nostro motto e' sempre stato: "Dentro la politica, fuori dai partiti", consapevoli che una gran parte della nostra forza propositiva stava proprio nell'essere e nel funzionare diversamente dalla macchina dei partiti, anche se, come abbiamo ripetuto molte volte, non abbiamo mai messo in discussione la forma del partito. E allora, in che modo si puo' evitare il rischio di essere inefficaci, senza diventare qualche altra cosa da quello che siamo? Cioe' autonomi, autorganizzati, non professionisti della politica? Come si puo' rimanere all'esterno ma non sprecare tutte le energie appassionate che quest'anno abbiamo visto crescere e mobilitarsi, visto il prevalere nei luoghi del potere politico dei personalismi, delle logiche interne, delle lotte per i primati? Da queste e altre riflessioni su quale tipo di contributo noi possiamo dare alla "costruzione di un futuro diverso", nasce la ragione della nostra presenza in un'iniziativa come questa; un'iniziativa, e' bene dirlo subito, con la quale non rinunciamo alla nostra identita' di movimento, ne' ci proponiamo di ritagliare lo spazio per un nuovo soggetto ricavandolo tra i molti che popolano il panorama gia' folto della sinistra. E' chiarissimo nella nostra mente quanto pericolosa sia la frammentazione e la divisione e, al contrario, pensiamo semmai che qualcosa si possa fare andando nella direzione opposta, cioe' quella della coesione e dell'unita'. Non si propone la nascita di un soggetto nuovo, dicevo, ma piuttosto una rete di soggetti gia' esistenti e diversi tra loro; non si sta insomma qui fondando un nuovo partito, ma si vuole dar vita a qualcosa che sappia connettere, in un lavoro condiviso e alla pari, esperienze politiche difformi per natura e tipologia (e questa non omogeneita' e' un punto non secondario della proposta): le varie espressioni della societa' civile come i girotondi, le associazioni delle donne, dell'area del volontariato, del mondo ambientalista, del pacifismo, la grande realta' del sindacato, quelle associazioni anche trasversali che sono di recente nate alla base dei partiti della sinistra, e tutti i gruppi che siano interessati a lavorare con noi tra i molti soggetti dell'ampia galassia del Social Forum, il movimento da cui molto sentiamo di poter imparare quanto a pluralismo e capacita' di stare insieme nelle differenze. * Una rete che puo' cominciare questa sera e che e' aperta non solo ai presenti ma anche al contributo di altri che qui non sono, e voglio solo citare tra i tanti soggetti vitali che potrebbero arricchirla, quelli dell'opposizione sociale, dei centri sociali o dei sindacati di sinistra non-confederali, e altri ancora. Si tratta evidentemente di un soggetto plurale, nel quale, come ben dice il concetto di rete, o di costellazione, non c'e' un vertice e una base, dove ciascuno mantiene la propria identita' e autonomia, e dove non tutti devono pensare la stessa cosa su tutto, perche' sappiamo gia' in partenza che non e' cosi'. Noi vogliamo lavorare sui punti che ci uniscono e questo e' possibile solo se partiamo dalle nostre differenze, che devono essere viste come una risorsa e non come una minaccia. Dunque, nessuna preclusione a priori verso nessuno. * Ma, una rete, per fare cosa? Per costruire un progetto alternativo, di cui io posso qui solo avanzare (e' chiaramente una proposta, la mia) alcuni punti. Saro' necessariamente schematica: 1. Un'opposizione intransigente alle politiche del governo, un'opposizione che si colleghi a un'adeguata analisi storico-politica della natura del progetto berlusconiano e del suo modello di creazione del consenso; e questo non per una sterile passione per le definizioni, ma perche' piu' complessiva risulti la critica. 2. Il rinnovamento autentico e non presunto delle forme della politica. Lo abbiamo detto molte volte: no al verticismo, al leaderismo, all'autoreferenzialita', si' alla partecipazione e allo scambio, e vorrei aggiungere, a un ripensamento forte sull'equilibrio, o meglio sul disequilibrio tra i generi, perche' i termini democrazia e partecipazione non devono essere pensati solo in riferimento all'asse che in verticale unisce base e vertice ma, cosa forse ancor piu' difficile, in senso orizzontale, tra i due generi; certo e' un progetto difficile in una cultura in cui la politica viene ancora declinata al maschile, eppure dovra' essere uno dei punti cardine di una nuova progettualita' di sinistra, conquista non solo delle donne, ma passaggio obbligato per un reale avanzamento democratico di tutti, donne e uomini. 3. La messa a fuoco e l'approfondimento dei temi concreti, stabilendo le priorita' di un'azione politica, dalla giustizia, all'informazione, al problema del lavoro e dei diritti. 4. Una riflessione coerente sul modello di sviluppo, e un impegno per un'economia solidale che metta al centro le persone e non il profitto (che avvicini e non separi ancora di piu' il nord e il sud del mondo), con un'attenzione reale a temi importanti che oggi non vediamo al centro dell'agenda politica dei partiti della sinistra, dai consumi critici, all'utilizzo equo e responsabile delle risorse, alla sostenibilita' ambientale. Infine, molto semplicemente: 5. Un no senza condizioni alla guerra. Noi non vogliamo dividere la sinistra, e tanto meno il movimento, e questa iniziativa in cui compaiono tante presenze, e alla quale, come ho detto, altre speriamo si aggiungano, ne e' la prova. E' una sfida, ne siamo consapevoli, una sfida che vuole coniugare le esigenze e i problemi reali della gente a qualcosa che non dovrebbe mancare a chi crede davvero che un futuro diverso sia possibile, e cioe' la speranza e la volonta' del cambiamento. 6. APPELLI. VINCENZO PASSERINI: 34 CONSIGLIERI REGIONALI DEL TRENTINO-ALTO ADIGE/SUDTIROL CHIEDONO AL PARLAMENTO DI NON LIBERALIZZARE L'EXPORT DI ARMI [Da Vincenzo Passerini, consigliere regionale e presidente del Forum trentino per la pace (per contatti: forum.pace at consiglio.provincia.tn.it) riceviamo e diffondiamo] Dal 28 gennaio prossimo andra' al dibattito del Senato il disegno di legge che modifica la legge 185 che disciplina l'export degli armamenti. Le modifiche tendono a liberalizzare l'export di armi riducendo i rigidi criteri della legge 185 che, come si ricordera', era nata dopo l'acceso dibattito della seconda meta' degli anni '80 sullo scandalo delle armi italiane che finivano a regimi dittatoriali o ad alimentare le guerre. Tra i protagonisti di quel dibattito che porto' poi alla legge 185 ci fu padre Alex Zanotelli e con lui molti movimenti cattolici e della societa' civile. Oggi, di fronte alle pericolose modifiche alla legge che presto saranno discusse al Senato (dopo l'approvazione della Camera) c'e' una nuova mobilitazione di movimenti cattolici e della societa' civile impegnata sul fronte della pace e della solidarieta' internazionale. Rispondendo all'appello di questi movimenti, in particolare della Rete di Lilliput, 34 consiglieri regionali del Trentino-Alto Adige/Sudtirol hanno sottoscritto una lettera (primo firmatario Vincenzo Passerini, consigliere regionale e presidente del Forum trentino per la Pace), inviata ai capigruppo del Senato e della Camera in cui si chiede di non smantellare i rigorosi criteri della legge 185 che disciplinano l'export di armi. Tra i firmatari, il presidente della Regione Andreotti, il presidente della Provincia di Trento Dellai, il presidente del Consiglio regionale Franz Pahl, la presidente del Consiglio provinciale di Bolzano Alessandra Zendron, il capogruppo della Svp Herbert Denicolo', numerosi capigruppo del centrosinistra e di altro schieramento, tra cui il consigliere Perego di Forza Italia. Si tratta di una iniziativa concreta di pace in un momento in cui si annuncia una nuova grave guerra. 7. INIZIATIVE. NORMA BERTULLACELLI: DA GENOVA PER LA PACE [Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b at libero.it) per questo intervento. Norma Bertullacelli, insegnante, e' impegnata nella "Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti" di Genova] Gli alpini (e le alpine) italiani si apprestano a raggiungere la propria destinazione tra le montagne afgane. Si tratta di una vera e propria missione di guerra, vietata dalla Costituzione che "ripudia la guerra, come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Contribuiranno a "dare la caccia a Bin Laden": esiste ancora qualcuno disposto a credere che sia questo il vero obiettivo della presenza di forze armate internazionali in Afghanistan? Nel frattempo le minacce di guerra contro l'Iraq divengono ogni giorno piu' concrete, nonostante la crescente opposizione in tutto il mondo; ma se anche l'Iraq verra' attaccato, non sara' in nostro nome. Dalla settimana successiva all'attentato di New York i pacifisti genovesi si danno appuntamento in piazza De Ferrari, sui gradini del palazzo ducale, per un'ora in silenzio per la pace, dalle 18 alle 19. L'iniziativa si svolgera' anche il prossimo mercoledi', 22 gennaio. Esprimeremo il nostro lutto e la nostra indignazione per le vittime di tutte le guerre, certamente: ma in modo particolare per le vittime dei mercanti d'armi italiani (ai quali il nostro parlamento si appresta a regalare una revisione della legge 185 che limitava fino ad ora il traffico "legale" di armi) e delle forze armate italiane, impiegate in missioni di guerra presenti e future esplicitamente vietate dalla nostra carta fondamentale. Senza dimenticare che la precedente guerra del Golfo non e' mai terminata, e prosegue quasi quotidianamente con i raid angloamericani sulla "no fly zone" arbitrariamente proclamata da questi due paesi, ci auguriamo che, all'eventuale scoppio di un nuovo conflitto con la partecipazione del nostro paese, tutte le organizzazioni politiche e sindacali vogliano proclamare uno sciopero generalizzato ed immediato, chiamando non solo i lavoratori occupati, ma tutti i cittadini e le cittadine a dichiarare con questo atto il proprio rifiuto ad avallare una nuova imperdonabile violazione della Costituzione e del diritto internazionale. 8. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: DONNE, UOMINI, CONFLITTO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo intervento di Stefano Ciccone (da sempre impegnato per la pace e i diritti umani, e in una riflessione individuale e collettiva sulla propria identita' sessuata e una verifica critica di modelli e culture del maschile), che sviluppa alcuni temi della riflessione svolta in occasione di uno dei dibattiti del Forum sociale europeo di Firenze] Mi chiamo Stefano Ciccone e faccio parte di un gruppo (e di una fragile rete nazionale) di uomini che tentano di riflettere sulla propria identita' sessuata e sottoporre a critica modelli e culture del maschile. Laura Colombo mi ha segnalato questo spazio di confronto e mi ha proposto di intervenire, cosa che faccio volentieri anche perche' mi/ci farebbe piacere trovare canali di comunicazione anche con la vostra esperienza che e' ovviamente uno dei punti di riferimento con cui ci interessa misurarci/interloquire/ confliggere/ascoltare. L'incontro promosso nell'ambito del Social forum di Firenze proponeva nel titolo un'interlocuzione tra donne e uomini a partire dal reciproco riconoscimento di parzialita' anziche' solo dalla condivisione di obiettivi politici comuni. In effetti la discussione che c'e' stata ha lasciato anche me un po' perplesso e forse preoccupato. Il tema posto era "donne e uomini: un conflitto necessario per un futuro comune" ed intervenendo ho cercato di domandarmi come potevo collocarmi in questo "conflitto necessario". Se questo conflitto si gioca sulla differenza salariale o sugli spazi nella politica (come molti interventi hanno riproposto) cio' che possiamo fare come uomini impegnati politicamente su obiettivi di giustizia, equita' e solidarieta', e' appunto "solidarizzare" con giuste rivendicazioni di spazi e diritti delle donne come di altri "soggetti deboli" o discriminati. E' una prospettiva per me ormai sterile e che non corrisponde piu' al mondo che conosco, ai miei desideri, alle relazioni con le donne che ho costruito. Non solo perche' sento come riduttiva la rappresentazione delle donne come "soggetto debole" a favore del quale rivendicare un riequilibrio ma perche' mi propone un terreno "troppo facile" che mi chiede (e mi offre) solo una disponibilita' a "cedere" spazi e rinunciare a privilegi. Non si tratta, ovviamente di non riconoscere le disparita' che ancora segnano l'organizzazione sociale, l'accesso al potere, ai saperi, alla cittadinanza, ma di andare oltre. Criticando alla radice le forme del potere, dei saperi, della cittadinanza. * Il "conflitto necessario" tra donne e uomini e' per me non occasione di rinuncia volontaristica a quelli che sono stati definiti i dividendi del patriarcato e di cui ho certamente goduto nella mia esperienza, ma occasione per una ricerca di liberta' e di una diversa ricchezza della mia vita che proprio l'accesso a quei dividendi sento aver impoverito come un'eredita' in parte inservibile e in parte avvelenata. Ho partecipato a quell'incontro perche' non era scontato proporre quel tema in un movimento in cui, a fronte di molte dichiarazioni di radicalita' e disobbedienza, si ripropongono forme e linguaggi subalterni ad una cultura segnata da un immaginario virile e bellicista. Abbiamo gia' tentato di aprire un dibattito e un conflitto nel movimento dei movimenti dalla manifestazione di Genova in poi partendo dall'immagine della specularita' degli schieramenti, dei linguaggi, (degli scudi) che in piazza riproducevano emblematicamente un deficit di alterita'. Ma credo sia importante riprendere anche qui questa riflessione. Se e' vero infatti che un ordine si e' rotto e che appare inservibile per conferire senso alla mia vita e a quella di tanti uomini, e' anche vero che questo stesso universo simbolico patriarcale oggi dimostra una sua grande vitalita' (se volete regressiva), una rinascente capacita' di seduzione sugli uomini di ogni latitudine geografica e culturale. Si insidia ovunque, anche nelle culture e nelle forme politiche che si vogliono antagoniste e radicali. Offre opportunita' di identita' e di senso di fronte alla crisi degli stati nazionali, le lotte di uscita dal colonialismo, la crisi della politica. Ma, appunto, anche chi si pone come "anti-sistema" sembra subire la seduzione di modelli identitari non riducibili al maschile ma che la lettura critica della maschilita' mi fa vedere in modo piu' chiaro, direi piu' stridente. E forse in questo ha pesato una insufficiente capacita' di comunicazione che emerse gia' in occasione di Genova. Ci sembra significativo che proprio Luisa Muraro, dopo avere riaffermato la forza di una "politica prima" costruita nelle relazioni quotidiane, abbia scelto, a proposito di quanto avvenuto a Genova, di aggiungere queste parole: "Molto di quello che ho scritto qui, io e altre meglio di me, lo sapevamo da prima. Anche la mossa dell'avversario era prevedibile da prima, almeno da parte di chi ha una storia come la mia, che comincia negli anni Sessanta e si e' sviluppata nei movimenti non organizzati. Ma non abbiamo parlato, non siamo intervenute. Saremmo state ascoltate? Non lo so, ma valeva la pena esporsi a questa prova e, forse, si doveva". Ho scelto, con altri, di pormi "lontano dai militari e da chi li imita" seguendo percorsi paralleli di critica della politica e delle sue forme, dei rischi di subalternita' alle culture dominanti ed ai modelli gerarchici che anche movimenti antagonisti rischiano di riprodurre anziche' di sovvertirne le regole. Ma il fatto per me nuovo e' stato di farlo in quanto uomo, ed affermando la valenza politica di questa collocazione. Si tratta non di una scelta "moderata" ma al contrario che ricerca ed esprime al massimo la conflittualita', che non la riduce allo schieramento tra fronti ma ne legge le potenzialita' nelle relazioni, nei linguaggi, nella quotidianita'. Non un di meno ma un di piu' di critica dell'esistente. * Il nodo credo sia proprio in quel nesso tra radicalita' e memoria che oggi il movimento dei movimenti ha davanti a se'. Negli interventi che si sono succeduti credo sia emersa una contraddizione: una domanda di radicalita' che non trova parole per dirsi e non riesce a riconoscersi nelle parole prodotte dalle culture critiche, e al tempo stesso la diffidenza verso la politica delle donne vista come rischio di deriva intellettualistica o accademica che porta a rifugiarsi in certezze (penso alle giovani ragazze inglesi e tedesche o del nordeuropa che reiteravano la loro collocazione radicale, antagonista, antiliberista, anticapitalistica) che fungano da antidoto a questa "fuoriuscita dal conflitto". Il dibattito tra le italiane presenti e' stato certamente quello piu' avanzato ma al tempo stesso poco capace di comunicare ad altre esperienze e, credo, troppo segnato dalla valutazione del passato e dalla collocazione rispetto ad esso. I femminismi sono stati e sono anche un'esperienza diffusa, radicata e concreta di critica della politica. Oggi che la politica torna nelle piazze e torna ad acquisire una dimensione "di massa" mi pare abbia bisogno di questa radicalita'. 9. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA PERDITA [Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani 1964, 1994, p. 240. Hannah Arendt e' nata ad Hannover nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America. E' tra le massime pensatrici politiche del Novecento. Docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani. Mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, DTV, Muenchen 2000] Se paragoniamo il mondo moderno con quello del passato, balza agli occhi in tutta la sua evidenza la perdita di esperienza umana comportata da questo sviluppo. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per con tatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 483 del 21 gennaio 2003
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