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La nonviolenza e' in cammino. 480
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 480
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 17 Jan 2003 22:37:04 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 480 del 18 gennaio 2003 Sommario di questo numero: 1. Lev Tolstoj, un'esecuzione capitale 2. Ida Dominijanni, Ingrao e Scalfaro contro la guerra 3. Filippo Ciardi, contro la guerra con la nonviolenza attiva 4. Renate Siebert, per fare carriera 5. Augusto Cavadi, un seminario a Palermo su induismo e buddismo 6. Carmela Baffioni, l'altrui decadenza 7. Francesco Comina, un film sulla violenza in America 8. Cristina Papa, la rete e la memoria 9. Cecilia Bello Minciacchi, la scomparsa di Emilio VIlla 10. Peppe Sini, guardando indietro e portando tutto a casa 11. Riletture: Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria 12. Riletture: Claudine Vegh, Non gli ho detto arrivederci 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. MAESTRI. LEV TOLSTOJ: UN'ESECUZIONE CAPITALE [Da Lev Tolstoj, La confessione, SE, Milano 1995, pp. 21-22. Lev Tolstoj, nato nel 1828 e scomparso nel 1910, non solo grandissimo scrittore, ma anche educatore e riformatore religioso e sociale, propugnatore della nonviolenza. Opere di Lev Tolstoj: tralasciando qui le opere letterarie (ma cfr. almeno Tutti i romanzi, Sansoni, Firenze; e alcuni dei piu' grandi racconti, come La morte di Ivan Il'ic, e Padre Sergio), della gigantesca pubblicistica tolstojana segnaliamo particolarmente almeno Quale scuola, Mondadori, Milano; La confessione, SE, Milano; Perche' la gente si droga? e altri saggio su societa', politica, religione, Mondadori, Milano; Il regno di Dio e' in voi, Bocca, Roma, poi Publiprint-Manca, Trento-Genova; La legge della violenza e la legge dell'amore, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona; La vera vita, Manca, Genova. Opere su Lev Tolstoj: dal nostro punto di vista segnaliamo particolarmente Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj, Il Mulino, Bologna; Pier Cesare Bori, Tolstoj, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi); Pier Cesare Bori, L'altro Tolstoj, Il Mulino, Bologna; Amici di Tolstoi (a cura di), Tolstoi il profeta, Il segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (Vr). Indirizzi utili: "Amici di Tolstoi", c/o Gloria Gazzeri, via Casole d'Elsa 13, 00139 Roma, tel. 068125697, e-mail: amiciditolstoi at tiscalinet.it] Durante il mio soggiorno a Parigi, la possibilita' di assistere a un'esecuzione capitale mi svelo' tutta la fragilita' della mia superstiziosa fede nel progresso. Quando vidi la testa dividersi dal tronco e l'uno e l'altra piombare separati nella cassa, compresi - non con l'intelligenza, ma con tutto il mio essere - che nessuna teoria della razionalita' del reale e del progresso poteva giustificare un atto simile, e che se anche tutti gli uomini dell'universo, dalla creazione stessa del mondo, fondandosi su una qualsiasi teoria avessero sostenuto che era necessario, ebbene, io sapevo che non lo era, che era male, e che dunque il giudizio su cio' che era buono e necessario non poteva fondarsi su quello che gli uomini dicono o fanno, e neppure sul progresso, ma soltanto su di me, sul mio cuore. 2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: INGRAO E SCALFARO CONTRO LA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 gennaio 2003. Ida Dominijanni e' una prestigiosa intellettuale femminista. Pietro Ingrao e' stato presidente della Camera dei Deputati. Oscar Luigi Scalfaro e' stato presidente della Repubblica] "Strano nel 2003, dopo tutto il cammino fatto dalla civilta', trovarsi a dover tornare all'interrogativo guerra-non guerra", esordisce l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, convenuto con Pietro Ingrao ("il mio Presidente" lo chiama affettuosamente Scalfaro ricordandolo presidente della Camera dei deputati) nella sala di palazzo Marini per spronare i parlamentari a fare tutto cio' che possono e cio' che devono per dire di no alla guerra sulla base dell'articolo 11 della Costituzione italiana. E' strano, ma e' tragicamente vero. Tutto e' cambiato da quando quell'articolo, ricorda Scalfaro, fu votato all'unanimita', il 24 marzo del '47, dai costituenti che avevano vissuto la seconda guerra mondiale. Il mondo bipolare e' diventato globale, e con i confini certi sembra aver perso la certezza delle Costituzioni nazionali e del diritto internazionale. Ma e' cosi'? I cambiamenti in corso ci autorizzano, come ogni giorno viene ventilato, a considerare la Costituzione superata, e a metterle i poteri dell'Onu in contrapposizione? Scalfaro e Ingrao sono li' per dire di no, e spiegare perche' no alla sala gremita di parlamentari e di gente comune - in molti non riescono a entrare, "segno dei tantissimi che nel paese non vogliono la guerra, che vogliono pesare e che dovete riuscire a far pesare", dira' Ingrao rivolto ai deputati e senatori, quasi tutti dell'ala pacifista del centrosinistra, che ascoltano. Famiano Crucianelli e Alberto Monticone, sul palco con Rosi Bindi, hanno introdotto l'incontro, che si svolge la' a indicare che e' il parlamento a doversi investire del ruolo di garante della Costituzione e della democrazia rappresentativa. Contro la vulgata dominante, che con l'una considera superata anche l'altra. Dunque, la vulgata dice che i pericoli del mondo globale, il terrorismo al primo posto, autorizzano l'Occidente a difendersi attaccando. Preventivamente, precisa Bush. Ma la logica dice che se e' "preventiva", la guerra e' d'attacco e non di difesa, tantomeno di legittima difesa. "L'idea della guerra di difesa si rovescia nel suo contrario", sintetizza Ingrao. Non e' il primo passaggio: c'erano gia' state, negli anni novanta, le guerre "sante" e le guerre "giuste" a normalizzare la guerra che la Costituzione ripudia. Ma la guerra preventiva e' un salto ulteriore: definitivo. C'e' chi ne deduce che basta a dichiarare morta la Costituzione. "Ma se avanza la guerra preventiva, anche la Carta dell'Onu va in polvere", spiega Ingrao, "o almeno diventa arduo alzare la bandiera dell'Onu e tacere sulla guerra preventiva". Che e' invece quello che la vulgata corrente fa. Dimenticando che, come ricorda Scalfaro, "le istituzioni internazionali per loro natura possono essere solo per la pace, non possono volere la guerra". Dice di piu', l'ex presidente della Repubblica. Sostiene che, qualora l'Onu desse la sua autorizzazione alla guerra preventiva contro l'Iraq, l'Italia non potrebbe che attestarsi sulla difesa della sua Carta costituzionale e dell'articolo 11. "Se non siamo in grado di farlo, tanto vale dichiarare che siamo a favore della guerra dichiarata dall'alleato piu' forte". Ecco, la questione dell'alleanza: uno dei concetti di base da ritirare fuori, sostiene Scalfaro. Perche' "un'alleanza e' tale solo a condizioni di parita'. Se invece qualcuno sta in posizione di dominio, non si tratta di un'alleanza, e se qualcuno accetta questa posizione di dominio altrui non e' alleato ma suddito. Una sudditanza che, quando e' scelta, e' il massimo del degrado: essere alleati comporta il diritto-dovere di far sentire la propria voce". Suona feroce la critica a Berlusconi e al suo modo di declinare le sue "amicizie personali", piovono applausi. L'altro concetto di base da ripensare, per Scalfaro, e' il concetto stesso di guerra. "Siamo convinti che la guerra e' male assoluto, senza eccezioni? E riteniamo o no che sia il raziocinio, e la capacita' di dialogo, a qualificare l'uomo?". Il dettato costituzionale del ripudio della guerra deriva da questa convinzione. Quanto e' ancora viva, nella coscienza e nella memoria d'inizio millennio? Dice Ingrao che e' viva, come l'affluenza a questa e ad altre iniziative di pace dimostra. Che, pero', bisogna saperle dare voce. A questo servivano e servono tuttora i parlamenti. A questo servirebbe una democrazia che si voglia davvero decentrata e federale, a dare, non a togliere voce. Percio' e' l'ora, "se non ora quando", che il parlamento si riunisca e che discuta, e che sappia dire no: "Su di voi - si rivolge ai parlamentari - pesa il compito di appurare se regge ancora e se ha valore la legge fondamentale di questo paese, e anche quanto la nazione italiana puo' incidere sulle decisioni delicatissime che attendono il giovane parlamento europeo. Diciamoci la verita': c'e' chi considera ormai un pesante ingombro queste assemblee, questi luoghi della rappresentanza di fronte al nuovo potere dei capi. Non qui, non noi". Dipende dal parlamento, anche dal parlamento, "chiarire se la Costituzione in nome della quale giura il presidente della Repubblica e' consumata, o ancora vive e ha un domani la sua grande domanda di pace". No, non convince ne' Ingrao ne' Scalfaro il modo in cui il presidente Ciampi sta risolvendo il dilemma, difendendone il dettato ma sub condicione delle decisioni dell'Onu, e lasciando aperta la porta alla partecipazione dell'Italia a operazioni antiterrorismo. "Il terrorismo non si combatte con le cannonate", dice Scalfaro, anzi con le cannonate, dice Ingrao, non si fa che lanciare ai kamikaze il messaggio che altro non resta da fare che suicidarsi. 3. PROPOSTE. FILIPPO CIARDI: CONTRO LA GUERRA CON LA NONVIOLENZA ATTIVA [Filippo Ciardi (per contatti: filciar at inwind.it) ha diffuso questa lettera, che volentieri ridiffondiamo. Filippo Ciardi, gia' obiettore di coscienza, e' un amico della nonviolenza impegnato nelle attivita' del movimento per la pace a Prato] Mi piacerebbe sapere da ognuno di voi cosa ne pensa delle seguenti proposte di nonviolenza attiva contro la guerra, che non sono mie, ma che in gradi diversi condivido. Se ne apprezzate qualcuna anche voi, vi invito a pensare come possiamo renderle operative, compatibilmente con le capacita', la competenza, il tempo e gli impegni di ognuno. Lo spirito delle proposte che seguono potrebbe essere quello di un qualsiasi cittadino italiano a cui la coscienza impone di essere contrario alla guerra ma anche che ha voglia di fare qualcosa di efficace per contrastarla: e' quindi l'atteggiamento che potrebbe essere di tanti altri cittadini con un minimo di buon senso e di attenzione al rapporto tra i mezzi e i fini, che almeno alcune di queste proposte potrebbero accogliere e praticare. Sintetizzo qui le proposte, che vi invito comunque a leggere nella versione originale degli autori. 1) "Scegliere la nonviolenza", in modo formale e sostanziale, il che si puo' fare con la campagna omonima che prevede che ogni cittadino possa dichiarare alle istituzioni l'obiezione di coscienza alla preparazione e collaborazione alle guerre e la possa praticare con la scelta di alcune opzioni di nonviolenza attiva. Il testo si trova qui: www.retelilliput.org/scelgolanonviolenza.asp. Per i pratesi, fiorentini e pistoiesi, io ed altri amici possiamo fornire copia cartacea, che puo' anche essere richiesta direttamente alla segreteria operativa della campagna di Torino, allo 011532824. Per rendere operativa la campagna in riferimento alla guerra minacciata contro l'Iraq, mi sembrano interessanti ed efficaci, se coordinate e rese pubbliche, le seguenti azioni nonviolente (che sintetizzo dalle proposte originali che trovate piu' sotto), sulle quali invito tutti, e in particolar modo i conterranei pratesi, fiorentini e pistoiesi, a coordinarci sul territorio per realizzarle, sulla base della campagna "scelgo la nonviolenza". 2) Organizzare estesamente il non-acquisto da quelle pompe di benzina che sono collegate con i governi che organizzano la guerra (vedi sotto la proposta di "Bilanci di Giustizia"). Su questo punto vi informo che e' allo studio per il medio-lungo termine una vera campagna di "riduzione della dipendenza dal petrolio": chi avesse contributi o volesse informazioni puo' mettersi in contatto con yukaris at tiscalinet.it. 3) Sperimentare delle forme diverse di opposizione alla guerra incombente che si fondino sul potere di consumatori dei cittadini organizzati. In altri termini delle azioni di noncollaborazione economica, interrompere cioe' ogni rapporto economico con quei soggetti erogatori di beni e servizi che non dichiarino la loro opposizione alla guerra e non si attivino per fermarla (vedi sotto proposta di "Cittadinanzattiva"). 4) Quattro proposte del Centro di ricerca per la pace di Viterbo: a) bloccare, in caso di guerra, la macchina bellica con l'azione diretta nonviolenta (di seguito e' presentata quella delle "mongolfiere della pace", che gia' fu sperimentata efficacemente in passato); b) bloccare, in caso di guerra, la catena di comando che decidesse la partecipazione italiana alla guerra, attraverso una campagna di disobbedienza civile di massa; c) preparare e promuovere, in caso di guerra, lo sciopero generale ad oltranza fino alle dimissioni degli organi istituzionali che avessero portato l'Italia in guerra; d) promuovere, in caso di guerra, una campagna di massa di presentazione di denunce presso tutte le autorita' giudiziarie e di pubblica sicurezza contro gli organi istituzionali che avallando la partecipazione italiana alla guerra violerebbero la Costituzione della Repubblica Italiana cui pure hanno giurato fedelta' e si renderebbero colpevoli di alto tradimento, di eversione, di complicita' in crimini di guerra e contro l'umanita'. * Molto altro puo' essere fatto ovviamente, e tante altre proposte probabilmente io non conosco neanche; chi ha da dire, lo faccia. Personalmente non credo che cortei, marce, o appelli in cui semplicemente si dice di essere contrari alla guerra e si chiede ad altri (istituzioni, ecc.) di non farla, siano idonei allo scopo di fermarla. Credo che si possa tentare di essere efficaci solo operando con la nonviolenza attiva e assumendosi in prima persona le responsabilita' di certi gesti, anche piccoli, ma che se praticati da tanti potrebbero veramente mettere in difficolta' la "macchina bellica". Alcune azioni richiedono una seria riflessione, preparazione, e capacita' di assumere su di se' anche eventuali conseguenze legali, ma altre potrebbero essere praticate veramente da tutti quelli che si dicono contrari alla guerra (se ad esempio tutti quelli che erano presenti al corteo di Firenze facessero qualcosa...). A questo punto avrebbe senso coordinare la preparazione di queste azioni e far sapere alle istituzioni, alle aziende e a tutti quanti fossero disposti ad approvare o collaborare con le azioni militari, che se cosi' fosse, "noi" saremmo pronti a mettere in campo almeno alcune di queste iniziative di noncollaborazione, boicottaggio, disobbedienza civile, ecc. Importante sarebbe secondo me anche stabilire contatti su proposte operative con cittadini e organizzazioni pacifiste di altri paesi europei ed americani. Chi ha conoscenze o contatti personali li potrebbe mettere in campo. Che ne dite? E' possibile coordinarsi a livello locale e nazionale, sulla base e in attuazione della campagna "scelgo la nonviolenza", o almeno ponendo la nonviolenza come base dell'azione, ed in modo che ogni cittadino potenzialmente possa fare almeno qualcosa? 4. MAESTRE. RENATE SIEBERT: PER FARE CARRIERA [Da Renate Siebert (a cura di), Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000, p. 14. Renate Siebert, prestigiosa intellettuale, sociologa, nata a Kassel nel 1942, allieva di Theodor W. Adorno, vive e lavora nell'Italia meridionale, insegna Sociologia del mutamento presso l'Universita' di Calabria. Opere di Renate Siebert: oltre a Frantz Fanon e la teoria dei rapporti tra colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano 1970, e ad Interferenze, Feltrinelli, Milano 1979 (in collaborazione con Laura Balbo), tra le opere recenti segnaliamo: E' femmina pero' e' bella, Rosenberg & Sellier, Torino 1991; Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994 (poi Est, 1997); La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Mafia e quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996; Andare ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia Djebar); Cenerentola non abita piu' qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999; (a cura di), Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000] Assenza di senso di colpa, deumanizzazione delle relazioni, freddezza emotiva, una struttura psichica del "come se", cioe', debole ed inconsistente. Ecco gli ingredienti dei profili maggiormente richiesti per fare carriera nei traffici criminali del futuro: il traffico di persone, le nuove schiavitu'. 5. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: UN SEMINARIO A PALERMO SU INDUISMO E BUDDISMO [Ringraziamo Augusto Cavadi (acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo intervento, una cui versione ridotta e' apparsa nell'edizione palermitana de "La Repubblica" del 16 gennaio 2003. Augusto Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione civica, impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Di buone ragioni per organizzare a Palermo un seminario di introduzione alle religioni orientali (in particolare induismo e buddismo) ce ne sono almeno tre. La prima e', per cosi' dire, di ordine esistenziale. Le domande sul senso della vita e della morte, della gioia e del dolore, ricorrono nelle epoche. Per noi mediterranei sono disponibili essenzialmente le risposte delle religioni del Libro (ebraismo, cristianesimo, islamismo) e, per ristretti gruppi piu' fortunati, della filosofia "occidentale". Puo' essere interessante, dunque, allargare - almeno ogni tanto - gli orizzonti ed esaminare se le sapienze "orientali" piu' diffuse sul pianeta non abbiano indicazioni preziose da offrire a chi si pone in atteggiamento di ricerca nei confronti dell'avventura terrena. Una seconda ragione la vedrei sul piano socio-culturale. Le strade della nostra isola si vanno popolando - con soddisfazione da parte di alcuni, con apprensione da parte di molti - di uomini e donne provenienti dal continente asiatico: e' sempre piu' facile assumere come collaboratrice domestica una signora induista o scoprire che l'autista del taxi segue i dettami del buddismo. Questo intreccio di culture puo' rivelarsi produttivo, fecondo, solo se avviene all'interno di una logica di rispetto reciproco: ma e' ovvio che non ci puo' essere rispetto profondo se non si conosce davvero l'identita' dell'altro. Un breve corso su induismo e buddismo (un corso "laico", di informazione, che non costringa nessuno preliminarmente a farsi adepto di una comunita', a rasarsi il capo o a velarsi il volto) e' dunque un'occasione per alimentare quello spirito di tolleranza e talora persino di accoglienza che, in genere, distingue (questa volta in positivo!) le regioni meridionali da altre regioni italiane. La Scuola di formazione etico-politica "Giovanni Falcone", che organizza quattro incontri con cadenza settimanale presso il Gruppo di studio per la qualita' della vita (via Notarbartolo 41), ha affidato il compito di presentare le due religioni orientali ad Andrea Cozzo, uno dei piu' stimati docenti della Facolta' di Lettere e Filosofia. Egli e' noto non solo come studioso di lingua e letteratura greca, ma anche per aver chiesto e ottenuto dal Consiglio di Facolta' di attivare un vero e proprio corso sulla teoria e pratica della nonviolenza (valido a tutti gli effetti giuridici come corso universitario). Gia', la nonviolenza: tocchiamo qui una terza ragione dell'iniziativa. La nostra terra e' anche terra di violenza, spontanea e soprattutto sistemica, individuale ma anche istituzionale: nei nostri costumi i tratti della mitezza caratteriale s'intrecciano, inquietantemente, con atteggiamenti strutturalmente violenti nei confronti di uomini e cose, della bellezza naturale ed artistica. In questo contesto una conoscenza seria, spregiudicata, aggiornata di che cosa sia la nonviolenza come metodo per affrontare i conflitti non potrebbe valutarsi certo come superflua. Ma si tratta di una tradizione di pensiero e di azione che, per quanto esportabile in differenti aree del mondo (ancora questa estate il sociologo Enzo Sanfilippo ha riproposto le sue idee circa la possibile applicazione dei criteri gandhiani alla lotta contro il sistema di potere mafioso), ha avuto come culla l'India, la patria di Gandhi. Dunque per conoscere sin dalle radici le linee portanti della nonviolenza non si puo' fare a meno di una ricognizione, almeno sommaria, di che cosa abbiano proposto l'induismo (la religione "con molti dei") ed il buddismo (la religione "con poco dio"). Magari alla fine ognuno restera' delle proprie convinzioni, ma si sara' affacciato per qualche tempo fuori dalle finestre di casa: e avra' respirato un'aria diversa. Avra' sperimentato, ancora una volta, che l'ascolto dell'altro e' un esercizio che ci rende piu' consapevoli della nostra stessa anima, delle nostre risorse e dei nostri condizionamenti storici: in ogni caso, un po' migliori di come ci ha trovato. 6. RIFLESSIONE. CARMELA BAFFIONI: L'ALTRUI DECADENZA [Da Carmela Baffioni, Storia della filosofia islamica, Mondadori, Milano 1991, p. 381. Carmela Baffioni e' docente universitaria di storia della filosofia islamica, ha lavorato soprattutto sulla trasmissione dell'eredita' classica nel mondo arabo-islamico] Cio' che all'europeo potrebbe apparire segno di decadenza puo' essere considerato dal musulmano segno di vitalita' spirituale; come pure viene talora obiettato che l'ideale di vita musulmano non consiste in una ipertrofica civilta' industriale, ma in una vita piu' semplice; donde proprio l'adozione dei modelli occidentali verrebbe dai musulmani considerata fattore di "declino". D'altra parte, i rapporti fra colonizzatori e colonizzati non sono stati certo teneri. 7. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: UN FILM SULLA VIOLENZA IN AMERICA [Ringraziamo Franceco Comina (per contatti: f.comina at ilmattinobz.it) per questo intervento. Francesco Comina e' giornalista e saggista, amico della nonviolenza, impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimundo Panikkar, collabora a varie testate. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; ha contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della memoria; e ad AA. VV., Giubileo purificato] Ci voleva un grande documentario come "Bowling for Colombine" (premio della giuria a Cannes) per rivelare i motivi profondi dell'ancestrale spirito di violenza che pervade gli Stati Uniti d'America, timone della democrazia internazionale e bulldozer della pace sociale. E una domanda multipla percorre in lungo e in largo tutto lo spazio della pellicola: perche' non in Canada? Perche' non in Germania, in Turchia, in Giappone, in Gran Bretagna? Perche' solo negli States avvengono, in media, ogni anno oltre 11.000 morti per arma da fuoco? Perche' sono solo 165 quelle del vicino Canada, paese che ha piu' o meno lo stesso giro d'armi e la stessa anima culturale americana. E perche' sono solo 381 in Germania? Il capolavoro del regista Michael Moore, faccia da americano stile cornflakes e viedogiochi, sta proprio nel dipingere l'affresco di una societa' stritolata nella pressa della sua spasmodica ricerca di sicurezza e dalla brutalita' delle misure adottate per mantenerla, una societa' che cerca la vita con la morte, che vuole la liberta' incatenata, che nel chiedere pace ordina la guerra e che nel predicare il bene lancia campagne di male. Il film e' il racconto senza fine dell'eterna contraddizione che brucia i figli sulla bandiera a stelle e strisce del potere globale. Come accadde in quel maledetto 27 aprile del 1999, leitmotiv del documentario, quando due giovani collegiali uscirono dalla pista di boowling per realizzare l'incubo della loro vita: massacrare i loro compagni di classe con le armi che hanno comprato senza problemi al vicino supermercato. La voce del presidente Clinton ha appena annunciato di aver ordinato ai caccia americani di riversare sul Kosovo un inferno di missili e bombe: per la liberta', per la vita. I due ragazzi della Columbine school a Littleton, in Colorado, sono pronti per dare l'ordine di un altro inferno: quello delle pallottole da riversare contro i loro compagni di istituto. Entrano - le telecamere li inquadrano - e in poco tempo uccidono dodici ragazzi e un insegnante. Ne feriscono decine. Sparano sessanta munizioni e alla fine rivoltano le armi contro di loro, interrompendo la tempesta di spari, urla e sangue. L'America si paralizza. Il giorno dopo parlano le due lingue della contraddizione americana. Il padre di un ragazzo ucciso davanti ad un gruppetto di famiglie urla il suo sdegno: "Mai piu', mai piu' un'altra strage". Il potente magnate della National Rifle Association (organo che si occupa della diffusione delle armi per uso domestico) urla il suo motto: "Dalle mie fredde mani, morte". L'assemblea applaude e urla impazzita. "Si', giusto, siamo con te". Michael Moore entra nelle spirali assurde della violenza americana. I grandi volti del giornalismo tengono banco nei talk show prendendo di mira, di volta in volta, le varie facce della degenerazione culturale giovanile. Nascono i mostri: il bowling incita alla violenza; la musica rock ammala le menti; i videogiochi insegnano a sparare. E poi: mancano i metal detector davanti alle entrate delle scuole; i genitori non insegnano ai figli la tolleranza e il dialogo; e infine c'e' l'hashish, ci sono le pasticche, c'e' l'alcool, la depravazione, il bullismo. Ma a nessuno viene in mente di analizzare le derive dell'informazione televisiva, che continua a promuovere scene dal vivo di violenza urbana dove i poliziotti pestano, massacrano e uccidono i poveri neri delle sudicie periferie metropolitane. Moore consiglia ad un potente ideatore di questi filmati di cambiare soggetti e di seguire, per esempio, l'arresto di un grande finanziere, coinvolto in truffe ai danni della collettivita'. Ma non fa notizia, non c'e' violenza, si usano i guanti di velluto... E allora gira, il regista col cappellino da baseball sulla testa. Entra nel quartiere dove ha progettato il suo folle disegno di morte Timothy Mac Veigh, il giovane estremista che ce l'aveva coi neri e con lo stato federale e che ha deciso di far saltare in aria un palazzo ad Oklahoma City. Moore interroga gi amici, che hanno conosciuto il giovane appassionato di bombe e di polvere da sparo. Tutti, nel circondario, se ne stanno con l'arma da fuoco sotto il cuscino. Nessuno si azzarda a condannare l'attentato dell'amico. Si, non era giusto che arrivasse fin la', pero'... Intanto la telecamera passa in rassegna la frenesia della sicurezza. Molti cittadini si preparano, ogni giorno, per assaltare un potenziale nemico. Non si sa dove ma c'e', da qualche parte, il bruto, il folle, il terrorista, il maniaco, il ladro, il cecchino pronto per uccidere. Si iscrivono nelle milizie private per sparare, sparare, sparare. Una famosa banca lancia una campagna promozionale: "Se fai il conto da noi ti regaliamo un fucile". Il legame fra la finanza e le lobby delle armi impazza. Gruppi di giovani tentano la strada del commercio illegale d'armi cosi' che anche i ragazzini possono acquistarle. E i quartieri si trasformano in poligono di tiro. E le cronache continuano a segnalare casi di omicidi nelle scuole. Nel Michigan un bambino di sette anni, figlio di una donna povera costretta a turni di lavoro massacranti per sopravvivere, si impadronisce della pistola di uno zio, entra a scuola e uccide una sua compagna di banco. E' il caso del piu' piccolo omicida degli Stati Uniti. Qualcuno chiede un processo uguale a quello degli adulti. La madre vessata da una legge assurda viene additata come un mostro. Intanto gli arsenali d'armi di sterminio di massa vengono potenziati per le guerre preventive ancora tutte da costruire. I missili escono dall'industria di fabbricazione di notte, scortati da decine di poliziotti, passano davanti alla Colombine school mentre i ragazzi dormono, e si preparano al viaggio verso l'obiettivo dichiarato dal capo di stato maggiore: per massacrare il popolo nemico di turno. E c'e' Manhattan con gli aerei terroristi che fanno polvere delle Twin Towers. E c'e' l'America che piange e si dispera perche' nonostante tutta la frenesia della sicurezza, alcuni taglierini sono filtrati negli aerei facendo tremare il piu' grande Paese del mondo. E la voce di Heston ripete: "Dalle mie fredde mani, morte" mentre due ragazzi sopravvissuti alla strage del college (uno paralizzato sulla sedia a rotelle e l'altro percorso da decine di fori) decidono di restituire all'azienda produttrice tutte le munizioni acquistate in un negozio di armi. Michael Moore a questo punto decide di incontrare lui, Charlton Heston, il "testimonial" delle multinazionali delle armi domestiche. Suona alla residenza con campo da tennis e piscina facendosi passare come un suo fan. Heston lo riceve, ma subito capisce con chi ha a che fare. Non riesce piu' a parlare, diventa pallido, tremolante, terrorizzato, prigioniero di se stesso. Ad un certo punto interrompe la conversazione ritirandosi. Moore gli mostra la foto della bambina uccisa nella scuola del Michigan. Non la prende e sparisce in casa. Moore la lascia appoggiata ad una colonna nel cortile. Heston e' l'icona malandata e spettrale della contraddizione terribile degli Stati Uniti d'America, e' l'incubo del suo grande Paese. Ed e' anche la risposta vivente alle domande iniziali del film: perche' 11.000 morti all'anno per cause d'arma da fuoco negli States e non 165 come in Canada? Bowling for Colombine dice tutto sull'America e sul suo spirito aggressivo. Parla con le sue voci, racconta la sua storia, analizza le sue pulsioni e le sue perversioni. E' un capolavoro d'autocritica, e' la storia della crisi di un modello che ha finito per diventare lo spauracchio per tutti i popoli della terra. Compreso il suo. 8. ESPERIENZE. CRISTINA PAPA: LA RETE E LA MEMORIA [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento di Cristina Papa, che ne e' attivissima e sempre lucida redattrice] Nuova sede e nuove tecnologie per il "Centro documentazione donna" di Modena, un interessante esempio di sinergia tra associazionismo femminile, istituzioni locali e forze economiche della citta'. Il 13 dicembre il Centro documentazione donna di Modena ha inaugurato la sua nuova sede, 300 luminosi metri quadri nella palazzina dell'ex direzione del Mercato Bestiame in via Canaletto 88 nel centro di Modena. Presentata attraverso una conferenza stampa telematica, svoltasi miracolosamente senza neanche un intoppo, la nuova sede ospitera' la biblioteca (6.000 volumi catalogati e inventariati) e uno dei piu' grandi archivi di materiali prodotti da donne singole o inserite all'interno di associazioni femminili e femministe (oltre 2.000 raccoglitori di materiale documentario, foto, manifesti, cassette audio e video, da tempo patrimonio della citta', e ora finalmente fruibili con agio anche attraverso il catalogo on line in fase di completamento). Internet al servizio della memoria delle donne e la memoria delle donne al servizio della citta' e delle nuove generazioni, insomma. "E' proprio quello che intendevamo fare - dice Caterina Liotti presidente del Centro documentazione donna - salvaguardare un patrimonio e farlo conoscere. In questa nuova sede ristrutturata e messa a nostra disposizione, con un notevole sforzo, dal Comune e grazie anche al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e della Provincia, abbiamo spazi e tecnologie avanzate. Necessita' che erano diventate urgenti per riuscire a rispondere adeguatamente alla crescita dell'associazione, delle sue attivita', dei servizi messi in campo e che la vecchia sede della "Casa delle donne" di via del Gambero non riusciva piu' a contenere, anche se andarcene non e' stato facile. Crediamo nell'importanza politica di un luogo che possa accogliere e quindi essere anche spazio di incontro tra le associazioni femminili del territorio". Ed e' proprio il rapporto con il territorio l'aspetto piu' interessante di quella che potremmo considerare una vera e propria scommessa, fatta insieme dall'amministrazione comunale, le forze produttive e dalle donne della citte' di Modena. La nuova sede rappresenta infatti un'avanguardia nel piu' complessivo progetto di riqualificazione della zona dell'ex mercato del bestiame, una riqualificazione non solo urbanistica ma anche sociale. Una dimostrazione, secondo noi, di come una forte e radicata domanda politica femminile possa riscrivere la geografia (sociale e urbanistica) di una citta', sottraendosi al pericolo di perdere la propria radicalita' nella mediazione isitituzionale. Ma anche, ed e' questo forse il vero elemento di interesse dell'esperimento modenese, un riconoscimento da parte delle istituzioni dell'importanza del pensiero e della politica delle donne per il rinnovamento della citta', al di la' di un immediato ritorno economico dell'attivita'. Ritornando all'attivita' del Centro, merita di essere ricordato l'intenso lavoro di ricerca storica che in questi anni ha dato vita alla collana editoriale "Storie differenti", di cui dal '98 ad oggi sono gia' usciti sei volumi dedicati a temi di storia locale dimenticati dalla storiografia ufficiale. La nuova sede ospitera' anche il Laboratorio Ph 7, il corso di politica per donne, giunto ormai alla sua quinta edizione, decentrato negli anni passati nelle sedi di quartiere. Grazie ai significativi investimenti destinati all'innovazione tecnologica, l'utenza potra' fruire di consulenza bibliografica ed archivistica, accedere al prestito, nonche' ai corsi di formazione e informazione sui temi delle pari opportunita' e della conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro. Attivita' questa che si affianchera' allo Sportello InformaDonna, attivo gia' da qualche anno (aperto tutti i giorni tranne il mercoledi' pomeriggio, in Piazza Grande). Ultimo in ordine di tempo l'innovativo laboratorio di ricerca sociale PercorsoDonn@, nato nell'ambito di un progetto Equal, una vera e propria "officina di sperimentazioni" che attraverso azioni culturali, formative e di orientamento punta ad incidere sulla organizzazione del lavoro in un'ottica di genere. Il laboratorio funzionera' anche come sensore per la raccolta dei bisogni delle donne tramite un servizio di front office, ma anche tramite l'impiego di sofisticate tecnologie di Contact center multicanale capaci di garantire una comunicazione sincrona tra soggetti posti in luoghi diversi con un livello di interattivita' che coinvolge voce, chat, telefono, web, fax, sms, guidando un utente in difficolta' e condividendo files, video, testi, filmati. Il sito, http://www.comune.modena.it/associazioni/cddonna/, che conta circa 6.000 contatti al mese consentira' anche a chi vive in un'altra citta' di seguire l'attivita' del Centro. Non scordate di segnarlo tra i vostri preferiti. 9. LUTTI. CECILIA BELLO MINCIACCHI: LA SCOMPARSA DI EMILIO VILLA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 gennaio 2003] Negli ultimi anni, ostinatamente, andava cancellando il suo nome da tutti i suoi scritti, editi e inediti, che gli tornavano fra le mani, in un continuo rileggere/riscrivere le sue tante lingue, vive e morte. Cancellava i dati materiali, le gia' scarne e spesso volutamente depistanti notizie in calce ai suoi testi. Nome - autoriale e non - e attendibilita' biografica non lo avevano interessato mai. Esortava a fare e poi a distruggere. Evento del transeunte. Il nome di Emilio Villa corre, e' corso troppo spesso marginale o sotterraneo negli anni lunghi della sua vita e della sua energica, scontrosa e fiera attivita' di poeta, traduttore, artista e critico d'arte di sguardo acuto quanto lungimirante. Lo stesso Calvesi riconobbe a Villa la scoperta, tra i tanti, di Burri; di impatto straordinario fu Attributi dell'arte odierna. 1947-1967 (Feltrinelli, 1970). Un'attivita' poliedrica volutamente in ombra ma generosa di se'; fertile, a volte affastellata come la sua scrittura ondivaga e onnivora che pullulava su pagine e carte usate, d'occasione o di recupero, di cui fagocitava tutti gli spazi bianchi. Sorta di esemplare ossimoro tra la necessita' imperiosa della scrittura (a volte in irridente maschera di vaticinio) e l'assoluta casualita' del mezzo. Si e' comportato un po' da clandestino, Villa, da studioso affilatissimo quanto eslege, qual era. E dalla clandestinita' in cui una critica ufficiale priva di membrana vibrante l'aveva lasciato, malgrado una sperimentazione accanita che sbriciolava per davvero le barriere fra le arti e i saperi e mescidava idiomi in concrezioni inaudite, Villa non e' mai veramente emerso. Neppure quando Feltrinelli ha avuto il coraggio (e il buon gusto) di riproporre la sua traduzione dell'Odissea (oggi di nuovo quasi irreperibile), quando Aldo Tagliaferri - antico conoscitore dell'opera di Villa nonche' di finissimi dettagli della sua biografia - ha curato diversi volumi di poesie, tra tutti Opere poetiche (Coliseum '89), poi una retrospettiva al Pecci di Prato ('96), un numero monografico del "Verri" ('98). Le notizie su Villa correvano per tradizione orale, spesso mitizzate o distorte - da lui stesso per burla intorbidate o mai chiarite. Di quest'autore detto morto anzitempo - gia' nel 1986 - si e' parlato spesso a sproposito o, piu' spesso, si e' taciuto. Anche quando era per molti termine fisso, ma coperto, di una sperimentazione esemplare: penso a 17 variazioni su temi proposti per una pura ideologia fonetica (1955, in collaborazione con Burri), Heurarium (1961), Villadrome (1964), Le monde Frotte' Foute (1970, con 6 tavole di Claudio Parmiggiani), le mura di tebe (1981). Una sperimentazione unica, quale la conoscenza dell'ugaritico, dell'assiro-babilonese, oltre che di greco, latino, francese, inglese, portoghese e dei linguaggi delle arti visive, gli permetteva. In latino scriveva Sibyllae e Verboracula (quest'ultima ora in Zodiaco, 2000, forse l'ultimo libro edito in vita), aggrediva il francese scrivendolo come "un negro di Dakkar" ma giocando finemente con gli omofoni, in un delirio grammatical-sintattico di inesauribile polisemia. L'italiano, dato lo stato della nostra patria cultura, gli era nemico, "un segno di schavitu'". Era fortemente protestatario: dietro l'enormita' del rapporto di Villa con la propria lingua nazionale, esisteva un'insofferenza innata alle coercizioni manifeste o sotterranee del mercato, oltre a una sempre rinnovata vocazione antiaccademica. Vocazione che ha tenuto Villa, di splendida cultura classica e di formazione seminariale, fuoriuscito dal Pontificio Istituto Biblico, laicissimo traduttore della Bibbia restituita al suo valore letterario prima che religioso - "bibbia", con desacralizzante minuscola - lontanissimo dagli sclerotizzanti stilemi della critica blasonata e dispotica, dai molti poco critici brusii effimeri e dell'effimero. 10. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: GUARDANDO INDIETRO E PORTANDO TUTTO A CASA Sono di quelli che pensano che sia possibile che il regime dittatoriale iracheno abbia armi di sterminio di massa. Le uso' contro i kurdi quando era l'amico dell'amico americano e l'Italia lo riforniva di armi. Non mi stupirebbe ne avesse tuttora. Quel che contesto in radice e' che il possesso di armi di sterminio di massa da parte di uno stato sia ragion sufficiente a scatenare una guerra: con questa logica occorrerebbe bombardare innanzitutto gli Stati Uniti d'America che tale tesi propugnano. E sono di quelli che pensano che non possa essere ragion sufficiente a scatenare una guerra neppure il fatto che il governo di uno stato sia o sia stato complice di terroristi: perche' con questa logica occorrerebbe bombardare l'Italia, al cui governo non e' mancato (e chissa' quando vi sara' un governo in cui manchi) chi ha avuto rapporti con la mafia, e chi ha promosso o coperto le stragi di stato; ed occorrerebbe bombardare ancora una volta gli Usa il cui governo di tale tesi e' assertore, paese la cui amministrazione volta a volta e' stata complice decisiva di crimini inenarrabili ai quattro angoli del pianeta, dal golpe dell'11 settembre 1973 in Cile, al sostegno ai gruppi fondamentalisti islamici quando Bin Laden era considerato "un combattente per la liberta'" che e' il titolo che si concede senza esitazioni anche ai terroristi e ai malavitosi piu' feroci quando lavorano per gli interessi statunitensi (cosi' per l'Uck, ed in infinite altre vicende). Sono di quelli che pensano che alla guerra occorre opporsi sempre, poiche' sempre essa non altro e' che esecuzione di omicidi di massa, strage di innocenti, crimine contro l'umanita'. Ed a maggior ragione occorre opporsi alla guerra quando essa puo' provocare la distruzione della civilta' umana, che e' la situazione precisa e angosciante in cui ci troviamo nell'epoca aperta da Auschwitz e da Hiroshima, epoca che - ci spiego' Guenther Anders, una volta per sempre - non finira' se non con la fine stessa della civilta' umana. Ma opporsi alla guerra sempre ha una implicazione necessaria: che occorre opporsi altresi' agli eserciti e alle armi, che della guerra sono gli agenti e gli strumenti, che con la loro stessa esistenza anche in tempo di presunta pace sono gia' la guerra in potenza - e per molti versi in atto. * Ho la ventura di esser di quelli che si batterono contro le forniture di armi italiane a Saddam Hussein quando quel dittatore era sostenuto dagli americani e dal nostro paese; ero tra quelli che allora denunciavano i crimini del regime iracheno, e la compliciita' italiana con esso. Sono stato il principale organizzatore delle manifestazioni nonviolente che qualche decennio fa si opposero alle mostre mercato di armi che avevano luogo nel poligono militare di Monteromano (Vt) col Ministero della Difesa che faceva da maitresse agli affari sporchi (e dagli esiti necessariamente assassini) delle industrie armiere in combutta con regimi violatori dei diritti umani, dittatoriali e fin genocidi. Ed ho la ventura di esser di quelli che quando si scateno' la guerra del Golfo cercarono di contrastarla contrastando la partecipazione italiana ad essa; lo facemmo in nome della Costituzione della Repubblica Italiana, della Carta dell'Onu, del diritto internazionale, e lo facemmo proponendo l'impegno nonviolento contro la guerra. * Se ripenso alla guerra del Golfo di dodici anni fa la prima cosa che mi viene in mente e' questa: eravamo cosi' sprovveduti. Nel senso di sprovvisti di una preparazione e di una strumentazione adeguate a fronteggiare la guerra: per quanto pessimisti potessimo essere, non avevamo mai pensato che l'Italia potesse nuovamente trovarsi coinvolta in una guerra dopo la fine di quell'immane carneficina che fu la seconda guerra mondiale, ed in presenza di una legge fondamentale dello Stato che la guerra esplicitamente ripudia; nei decenni precedenti ci eravamo battuti contro guerre che avevano luogo altrove, e in casa nostra piuttosto contro il riarmo giacche' l'Italia in guerra non credevamo possibile; ci eravamo illusi che nessun governo e parlamento e capo dello stato sarebbero stati cosi' felloni e perversi da farsi epigoni di Mussolini. Cosi' perdemmo tempo prezioso (i mesi che andarono dall'invasione del Kuwait all'inizio dei bombardamenti sull'Iraq) in iniziative inadeguate e inutili, e non sapemmo costruire un fronte ampio che facendo perno sulla difesa dell'articolo 11 della Costituzione smascherasse che la partecipazione italiana alla guerra configurava un golpe, e chiarisse che una strage e' una strage, ed ottenesse il recedere dell'Italia dal partecipare ai massacri venienti. Ed eravamo cosi' sprovveduti anche nel senso che durante la guerra non sapemmo spostare il sempre piu' assottigliantesi movimento pacifista italiano dalle parate cittadine sempre piu' esigue e piu' risibili e dalle ciance tanto roboanti quanto ininfluenti verso cio' che solo occorreva a quel punto giunti: l'azione diretta nonviolenta contro la guerra, in difesa della legalita' costituzionale e della vita e della dignita' degli esseri umani, che venivano uccisi mentre le popolazioni rimbambite del ricco e panottico occidente vedevano in tivu' null'altro che le riprese dereistiche di puntini verdi e si bevevano che la guerra fosse solo un videogame. Ricordo la fatica e l'angoscia di quei giorni e quelle notti: l'opposizione alla guerra che all'inizio era impeto morale di molti scemava rapidamente; quelli che cercammo di organizzare una resistenza in nome della legge e con l'azione diretta nonviolenta ci trovammo, pochi del resto, sui banchi degli imputati all'incirca un anno dopo con imputazioni a dir poco oltraggiose. Per buona sorte - e grazie a una vasta solidarieta' da padre Balducci a Danilo Dolci a innumerevoli altre e altri, e grazie anche alla difesa di Alfredo Galasso - venni assolto. * Avevo ben chiaro tutto questo anche nel '99: neppure allora riuscii a persuadere l'insieme del movimento pacifista italiano a fare quel che solo occorreva, riuscii soltanto con pochi amici a darne l'esempio, ma non basto' (ed anche allora aver proposto e realizzato un'azione diretta nonviolenta - che per qualche ora fermo' ad Aviano i decolli dei bombardieri - mi frutto' un procedimento penale, anch'esso per mia fortuna conclusosi senza danni). * La guerra del Golfo del '91 segno' in Italia anche la bancarotta del pacifismo istituzionale e di quello parolaio, festaiolo e da corteo. Un pacifismo inconcludente e carrierizio, ambiguo e ciarlatano, che e' stato complice anche, con la sua insipienza e la sua corruzione, le sue ambiguita' teoriche e pratiche, delle guerre successive, del '99 e del 2001. Un pacifismo inconcludente e carrierizio, ambiguo e ciarlatano, che oggi ancora una volta tiene banco, e rischia di corrompere tante persone generose quanto ingenue. E distrarle da cio' che invece occorre scegliere, preparare e fare. E cio' che occorre scegliere, preparare e fare e' facile da dire in due parole (mentre e' difficilissimo da mettere in pratica): preparare la resistenza nonviolenta alla guerra, in difesa della legalita' costituzionale e del diritto internazionale, in difesa delle concrete vite umane dalla guerra minacciate, e dell'umanita' intera che nella sua interezza e' dalla guerra minacciata. Altri giochino a lanciare slogan tanto imbecilli quanto futili ed autolesionisti (ad esempio: il farneticante "siamo tutti sovversivi"); altri perdano tempo a far le sfilate col chitarrone e il mandolino; altri giochino a travestirsi da sottoproletari mentre campano di soldi pubblici e di pubbliche prebende e di ben rimpannucciate carriere e privilegi; altri giochino a riprodurre il militarismo (le folli "dichiarazioni di guerra", e poi i proclami di vittoria mentre il sangue era ancora fresco per le strade; le manifestazioni in cui si recita la guerriglia urbana ad uso dei media e poi qualcuno - piu' ingenuo o piu' sfortunato degli altri - si trova rovinata per sempre la vita; le provocazioni di mascalzoni che in capo a qualche anno indefettibilmente te li ritrovi in parlamento o nelle redazioni o sulle cattedre - se gia' non vi sono quando recitano le loro tragiche farse - o almeno almeno in qualche commissione istituita dal governo o dall'assessore in carica per foraggiare un po' di amici e amici degli amici). Altri giochino, e quel gioco ancor ci offende. Noi proponiamo invece un'altra cosa, anzi cinque, da preparare subito poiche' il tempo stringe, e da discutere a fondo poiche' si tratta di scelte impegnative che non possono esser fatte a cuor leggero: a) la scelta della nonviolenza, senza di cui non si da' azione per la pace che possa dirsi onesta e persuasa; la scelta della nonviolenza, che implica il prender sul serio le nostre idee e il rigorizzare le nostre condotte; la scelta della nonviolenza, che impone la necessita' della formazione e dell'addestramento alla nonviolenza, un processo di chiarificazione e di coscientizzazione non breve ne' facile, studio e discussione, lavoro e fatica; b) l'azione diretta nonviolenta, che sola puo' contrastare la guerra concretamente, operativamente, in modo limpido e rigoroso; e che puo' esser realizzata solo da persone alla nonviolenza accostatesi per tempo e intimamente persuase di essa, ed all'azione nonviolenta stessa lungamente preparatesi; c) la disobbedienza civile di massa, che paralizzi i poteri che allo scatenamento della guerra presiedono; e che deve essere studiata e preparata con una lunga e profonda discussione pubblica, che coinvolga tutti i soggetti coinvolti (ed e' incompatibile con le solite ignobili modalita' autoritarie e spettacolari con cui vengono lanciati tanti appelli e tante campagne che sarebbero comiche se non avessero esiti nefasti e sovente fin tragici); d) lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra scatenata, fino alle dimissioni del governo che la guerra promuove ed avalla; e) la denuncia alla magistratura ordinaria e la richiesta di intervento delle forze dell'ordine per arrestare quelle persone che investite di pubblici poteri a cio' efficienti avessere deciso ed avallato l'ingresso del nostro paese in una guerra illegale e criminale ai sensi dell'articolo 11 della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico. * Vivamente spero che la guerra possa essere fermata, e credo fermamente che se il nostro paese prendesse ufficiale posizione - come il dettato della Costituzione impone - contro di essa potrebbe condizionare anche altri paesi i cui governi oggi guidati da delinquenti cinici e sadici come quel giovine inglese e quel figlio di presidente americano stanno facendo di tutto per arrivare alla catastrofe. Ma se non riusciremo a fermarla prima, occorrera' cercare di fermarla anche quando sara' scoppiata, e per fermarla avremo a disposizione pressoche' solo le iniziative che ho elencato sopra, che richiederanno addestramento vero, rigore intellettuale e morale, e se posso usare la brutta parola: anche quella cosa che chiamiamo coraggio, e disponibilita' a subire le eventuali spiacevoli conseguenze che sempre sono nel conto quando si sceglie la nonviolenza, che e' la lotta piu' nitida ed intransigente contro la violenza (e intendo conseguenze come arresti, condanne, detenzioni: da accettare come e' dovere di ogni amico della nonviolenza). 11. RILETTURE. EDGARDA FERRI: IL PERDONO E LA MEMORIA Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli, Milano 1988, pp. 270. L'autrice incontra e dialoga con i familiari di vittime della Shoah e degli eccidi della guerra, delle mafie e del terrorismo. 12. RILETTURE. CLAUDINE VEGH: NON GLI HO DETTO ARRIVEDERCI Claudine Vegh, Non gli ho detto arrivederci, Giuntina, Firenze 1981, pp. 168. I colloqui dell'autrice con i figli delle vittime della Shoah. Con una postfazione di Bruno Bettelheim. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 480 del 18 gennaio 2003
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