La nonviolenza e' in cammino. 479



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 479 del 17 gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo, violenza di genere e costruzione di pace (ancora un
contributo alla riflessione promossa da Giancarla Codrignani sui "pacifisti
dimezzati")
2. Convenzione permanente di donne contro le guerre, una lettera aperta alle
parlamentari europee
3. Norberto Bobbio, la situazione
4. Wanda Tommasi, pratiche e teorie, un sapere di esperienza
5. Stefano Ciccone, ripensare il maschile oltre la polarita'
norma-trasgressione
6. Raffaele Manica ricorda Giuseppe Petronio
7. Il nuovo numero di "Gaia - ecologia, nonviolenza, tecnologie appropriate"
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: VIOLENZA DI GENERE E COSTRUZIONE DI PACE
(ANCORA UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROMOSSA DA GIANCARLA CODRIGNANI SUI
"PACIFISTI DIMEZZATI")
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: dirienzo at tvol.it) per questo
contributo alla riflessione avviata dall'editoriale di Giancarla Codrignani
apparso sul n. 437 di questo notiziario. Maria G. Di Renzo e' una delle
principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale
femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, ha
svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del
Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e'
impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze
di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Ogni volta che affrontiamo il tema della violenza di genere, contribuiamo
alla costruzione di pace nel mondo.
Esaminando questo tema impariamo a contrastare la violenza piu'
efficacemente.
Quando lo facciamo per la prima volta possiamo sentirci impacciate e
nervose, ma alla seconda la fiducia in noi stesse crescera', alla terza il
nostro cuore battera' piu' calmo ed alla quarta l'esposizione del nostro
ragionamento diventera' piu' articolata e serena... fidatevi!
Chiedere agli uomini ed alle donne del vostro gruppo di discutere la
questione e' importante:
1) la violenza individuale, stupro ed omicidio volontario, per esempio,
conta il 90% di offensori di sesso maschile;
2) la percentuale resta la stessa nella formazione delle leggi (politici e
professionisti di sesso maschile);
3) e resta identica nell'agire la guerra ed il terrorismo.
*
La prima risposta che probabilmente avrete quando solleverete la questione
sara' l'alzare la voce di chi vi risponde.
Questa persona lo fara' nel tentativo di intimidirvi e mettervi a tacere.
Replicate immediatamente, in tono calmo e diretto: "Hai alzato la voce. Stai
cercando di intimidirmi?". Quali che siano le cose dette a questo punto ("Ma
no, ma no, chi deve parlare ora?", "Non essere isterica", "Voi
femministe...", "C'e' la guerra, non possiamo perdere tempo con queste
sciocchezze", ecc.) chiedete semplicemente: "Sapete, vero, cosa significa
alzare la voce durante una discussione? E' il segno di un privilegio. Anche
se nessuno di voi e' mai stato violento verso una donna, voi godete del
privilegio di alzare la voce, che contiene la minaccia dell'uso della
violenza fisica, quella che altri uomini stanno esercitando su altre donne
in questo momento. Quando un uomo alza la voce, sta implicando questo
scenario. Se la alzassi io potreste seccarvi, ma non vi sentireste
minimamente minacciati".
*
Il secondo tipo di risposta sara' il tentativo di ignorare la questione.
Si provera' ad ignorarla liquidandola con una battuta, o mettendovi in
ridicolo, o cambiando argomento.
Domandate subito, sempre in tono calmo e diretto, a chi vi ha risposto:
"Perche' non vuoi parlarne? Io credo sia importante andare alle radici della
violenza, se vogliamo sconfiggerla, ed il dominio maschile e' una di queste
radici".
*
Il terzo responso sara', senza dubbio, "E allora Margaret Tatcher?" (o
qualche altra donna di potere reazionaria e/o violenta).
L'argomentazione sara' la seguente: Margaret Thatcher ha fatto questo e
quello, ed era una donna, quindi le donne sono violente quanto gli uomini, e
la questione non esiste.
Ribadite che voi volete sentire le loro opinioni sulla dominazione maschile,
sul patriarcato, e aggiungete: "Si', la signora Thatcher ha fatto quello che
voi dite, esercitando il suo potere all'interno di un'istituzione che
comprende al 90% maschi: l'elite del dominio maschile in Gran Bretagna. E
scusatemi: la presenza di Condoleeza Rice al fianco di Bush prova che il
governo Usa e' antirazzista? Prova che le donne di colore sono a favore
della guerra? Gandhi prova che gli uomini sono tutti nonviolenti?".
*
La quarta risposta, ancor piu' indubitabilmente, sara': "Ma stai ignorando
il fattore delle classi sociali".
Tale replica e' tipica del maschio "progressista" o di sinistra, ed e' solo
un altro tentativo di cambiare argomento.
La divisione in classi e' stata possibile grazie all'esercizio della
violenza maschile, ma gli uomini di sinistra, da Bakunin a Marx, da Lenin a
Mao, da Castro al vostro compagno anarchico, comunista radicale, pacifista
integrale, ecc., pretendono che la divisione in classi sia esclusivamente il
risultato di condizioni economiche: cio' permette loro di distogliere
l'attenzione dalla violenza maschile, che e' la sorgente dei loro stessi
privilegi, e che e' il vero problema che ci troviamo di fronte.
Se in questo momento la violenza maschile sparisse, la gerarchia delle
classi sociali collasserebbe assieme ad essa, e saremmo libere e liberi di
usare le nostre abilita' comunicative  e di relazione per risolvere i
conflitti.
*
Un altro commento che facilmente sentirete, quando i vostri interlocutori
dovranno confrontarsi con la realta' e la sostanza del dominio maschile
esercitato tramite la violenza, sara' l'accusa di essere odiatrici degli
uomini.
E' semplice tecnica "fumogena", la stessa che i sostenitori del governo
israeliano usano quando bollano di antisemitismo coloro che lo criticano.
L'antisemitismo esiste, ma il fatto che stiamo criticando e' il terrorismo
di stato all'opera in Palestina. Similmente, esistono donne che odiano gli
uomini (eppure mai quanto gli uomini riescono ad odiarsi l'un l'altro in
nome delle loro "tribu'" di appartenenza, siano esse squadre di calcio o
partiti politici), ma il fatto che voi avete posto all'attenzione del gruppo
e' il controllo maschile delle istituzioni sociali attraverso l'uso della
violenza. Esplorare questo, ovviamente, non e' odiare gli uomini.
*
Un altro commento possibile sara' che voi volete inibire la libera
espressione dei maschi, o che non potete sopprimere le naturali inclinazioni
degli uomini. Questo e' come dire: "Sto urlando insulti perche' sono fatto
cosi', va bene?", o "Adesso ti metto le mani addosso perche' mi va di
farlo!". Tralasciando il fatto che la violenza non e' per nulla "naturale",
esplorate le motivazioni di chi lo crede, chiedetegli perche' si affanna a
cambiare le cose, se "la legge del piu' forte" e' naturale, o se crede che
la forza faccia il diritto.
Un'onesta disamina della dominazione maschile non ha lo scopo di reprimere
nessuno, e' mirata a cercare di comprendere come la violenza "lavora".
Proprio come l'umanita' composta da uomini e donne e' piu' libera quando
comprende come funzionano i sistemi di produzione e riproduzione, cosi' la
stessa umanita' diviene piu' libera se capisce i sistemi ed i mezzi con cui
il dominio maschile si sostiene; ma visto che questa faccenda mette in
discussione i privilegi maschili, gli uomini non sono inclini ad
affrontarla.
*
Le radici della violenza non saranno scalzate fino a che gli uomini non
vorranno confrontarsi con esse, ma esse non sono affatto un'istanza ne' per
i pacifisti, ne' per i rivoluzionari, ne' per il cosiddetto "movimento".
Date un'occhiata ai giornali, ai siti, alle pubblicazioni dei media
indipendenti, cercate articoli e riflessioni in cui gli uomini parlino della
violenza di genere, o discutano del dominio maschile: non ne troverete.
Questo perche', ovviamente, finche' gli uomini che gestiscono questi media
non cominciano a riflettervi loro stessi, non considereranno importante la
questione.
E l'esercizio della violenza per mantenere il dominio maschile e' cosi'
vasto e prevalente che abbiamo imparato a darlo per scontato. E' scontato
nelle nostre famiglie, nei testi scolastici, nei programmi televisivi, nei
film, e cosi' via.
*
Percio', ogni volta che sollevate la questione nei vostri gruppi, dovete
ricordare che state sfidando il vostro stesso condizionamento. Vi state
risvegliando. Vi state liberando al punto che vi permettete di osservare
come la violenza lavori all'interno delle stesse persone che dichiarano di
volerla cancellare: quando riuscite a vedere questo, la vostra capacita' di
risolvere i conflitti in modo nonviolento aumenta e avete fatto un altro
passo sulla strada che ci portera' ad un futuro di pace.

2. APPELLI. CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LE GUERRE: UNA LETTERA
APERTA ALLE PARLAMENTARI EUROPEE
[Da Monica Lanfranco (per contatti: mochena at tn.village.it) riceviamo e
diffondiamo questa lettera aperta della Convenzione permanente di donne
contro le guerre indirizzata alle parlamentari europee]
Care onorevoli parlamentari europee,
vi scriviamo (in rigoroso ordine alfabetico perche' qualsiasi altro ordine
affettivo sarebbe meno "ordinato"), e vi diciamo subito chi siamo: siamo le
portavoce della Convenzione permanente di donne contro le guerre, un
soggetto politico che ha elaborato vari documenti e raggruppa donne di varie
provenienze e storia, le quali rimangono nella loro associazione di origine
e pattuiscono e convengono tra loro sul tema della guerra.
La Convenzione ha una articolazione di ricerca, intitolata a Rosa Luxemburg,
che intende costruire una cultura politica che escluda comunque il ricorso
alla guerra.
Per ora la Convenzione ha elaborato una proposta di Europa neutrale dal
punto di vista militare giuridico e politico che sta avviando nel movimento:
come tale la proposta non puo' certo essere presentata nei parlamenti;
tuttavia nei parlamenti si puo' operare perche' non sia ostacolata nel suo
cammino da posizioni preclusive.
Noi ad esempio pensiamo che riconoscimenti di diritti sociali piu' arretrati
ancora di Nizza siano una specie di dichiarazione di guerra verso le aree
piu' disagiate, verso i e le migranti.
Ci piacerebbe fosse sancita una posizione analoga a quelle che esistono
nelle costituzioni italiana (art.11) e germanica sul ripudio della guerra; o
l'affermazione positiva del diritto alla pace per i e le cittadine europee.
Vorremmo anche cercare di ottenere che la Costituzione sia tale, cioe'
sovraordinata agli stati nazionali e pero' che sia vigente solo dopo
l'approvazione referendaria da parte delle popolazioni europee.
Se quanto vi proponiamo vi pare utile fatecelo sapere e possiamo avviare una
collaborazione che a noi farebbe molto piacere e crediamo potrebbe essere
giovevole a tutte.
Grazie ancora, buon lavoro,
Le portavoce della Convenzione di donne contro le guerre: Lidia Menapace,
Imma Barbarossa, Monica Lanfranco, Giusi Di Rienzo, Nella Ginatempo, Elena
Beltrame, Rosangela Pesenti
*
Il nostro recapito piu' utile e' quello di Monica Lanfranco, che per la
Convenzione svolge il lavoro di ufficio stampa, comunicazione e relazione,
tel 3470883011 o anche 010543684; abbiamo anche una mailing list:
lisistrata at yahoogropus.com e al sito di www.marea.it sono rintracciabili i
materiali prodotti via via dalla Convenzione.
La sede nazionale e' presso la Casa internazionale delle donne di Roma, in
via della Lungara 19.

3. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO: LA SITUAZIONE
[Da Norberto Bobbio, Il terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, p. 109.
Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909, antifascista, filosofo della
politica e del diritto, e' autore di opere fondamentali sui temi della
democrazia, dei diritti umani, della pace. E' uno dei più prestigiosi
intellettuali italiani del Novecento. Opere di Norberto Bobbio: per la
biografia (che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della
storia italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti
autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia,
Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze su amici
scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico, morale e
intellettuale del Novecento) cfr. almeno Maestri e compagni, Italia civile,
Italia fedele, tutti presso l'editore Passigli. Per la sua riflessione sulla
democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa';
Eguaglianza e liberta'; tutti presso Einaudi. Sui diritti umani si veda
L'eta' dei diritti, Einaudi. Sulla pace si veda Il problema della guerra e
le vie della pace, Il Mulino, varie ristampe; Il terzo assente, Sonda,
Torino 1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della
mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche
la lettura di Politica e cultura, Einaudi; Profilo ideologico del Novecento,
Garzanti, Teoria generale del diritto, Giappichelli. Di Bobbio recentemente
e' stato pubblicato il volume-conversazione con Maurizio Viroli, Dialogo
intorno alla repubblica, Laterza, Roma-Bari 2001. Opere su Norberto Bobbio:
segnaliamo almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati
Boringhieri, Torino 1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole
del gioco, Edizioni cultura della pace; S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso
Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2000. Karl Jaspers, nato a Oldenburg
nel 1883 e scomparso a Basilea nel 1969, oppositore del nazismo, filosofo e
psichiatra, e' uno dei pensatori che piu' ha riflettuto sugli eventi
capitali del ventesimo secolo, Auschwitz ed Hiroshima. Opere di Karl
Jaspers: segnaliamo particolarmente Psicopatologia generale, Il Pensiero
Scientifico Editore; Psicologia delle visioni del mondo, Astrolabio; Ragione
ed esistenza, Marietti, poi Fabbri; La filosofia dell'esistenza, Laterza; La
questione della colpa, Cortina; Ragione e antiragione nel nostro tempo,
Sansoni; La bomba atomica e il destino dell'uomo, Il Saggiatore; Il problema
della demitizzazione (discussione con Rudolf Bultmann), Morcelliana; Verita'
e verifica, Morcelliana; si veda anche la bella raccolta delle lettere
scambiate con la grande amica Hannah Arendt: Carteggio, Feltrinelli. Opere
su Karl Jaspers: per un avvio cfr. AA. VV., Karl Jaspers: filosofia -
scienza - teologia, Morcelliana, Brescia 1983; AA. VV., Karl Jaspers e la
critica, Morcelliana, Brescia 1985; Giuseppe Cantillo, Introduzione a
Jaspers, Laterza, Roma-Bari 2001]
Siamo arrivati a una situazione definita da Jaspers, il filosofo autore del
primo grande libro sulla bomba atomica e sul destino dell'uomo, come una
situazione-limite, vale a dire una situazione oltre la quale non c'e'
un'altra situazione, ma il nulla.

4. RIFLESSIONE. WANDA TOMMASI: PRATICHE E TEORIE, UN SAPERE DI ESPERIENZA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questa relazione tenuta da Wanda Tommasi in occasione del decimo
simposio dell'Associazione internazionale delle filosofe, svoltosi a
Barcellona, dal 2 al 5 Ottobre 2002. Wanda Tommasi e' docente di storia
della filosofia contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della
comunita' filosofica femminile di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La
natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli
1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone
Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil.
Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi
e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore,
Edizioni Messaggero, Padova 2002]
Vorrei parlare dello stretto rapporto fra pratiche e teorie nel femminismo
italiano dagli anni '70 in poi.
A differenza che in molto pensiero maschile, in cui il ruolo preminente del
sapere esplicito e codificato comporta una svalutazione del sapere pratico,
nel femminismo che ha la sua radice nelle pratiche, da quella
dell'autocoscienza a quelle del partire da se' e dell'autorita' femminile,
abbiamo a che fare con un sapere di esperienza, che non separa la pratica
dalla teoria, ma che fa crescere l'una e l'altra di pari passo.
Questo, a ben guardare, e' un tratto peculiare non solo di una parte
importante del femminismo, ma del pensiero femminile in generale, quando
questo si e' espresso in modo originale, non subordinandosi ai codici
maschili.
Ne e' un esempio straordinario la mistica femminile, che, ben prima del
femminismo, ha puntato su un sapere di esperienza, un'esperienza, pero', non
scissa dalla teoria, ma in grado di sovvertire, in forza appunto del sapere
guadagnato, le concezioni teologiche e dogmatiche della tradizione
religiosa. La grande Teresa d'Avila, ad esempio, si appella all'esperienza
mistica da lei vissuta per opporsi alle imposizioni teologiche e dottrinali
degli uomini di chiesa, dei dotti, dei "letterati": "Non diro' nulla che io
non abbia ampiamente sperimentato",  scrive Teresa per legittimare
un'acvventura spirituale che, nella sua epoca, molti guardavano con
sospetto.
Un'analoga consapevolezza della fecondita' del sapere che nasce
dall'esperienza la troviamo in una grande filosofa e mistica del '900,
Simone Weil, quando scrive che la filosofia e' "cosa esclusivamente in atto
e pratica". Cosa esclusivamente in atto e pratica, per la Weil, e' tutta la
filosofia, anche quella teoretica: non si tratta dunque di una teoria
applicata all'agire, come nella filosofia pratica secondo Aristotele, ma di
una pratica che porta con se' un sapere, e di un sapere che e' incarnato,
vissuto, sperimentale.
Della mistica, oltre alla stretta relazione fra pratica e teoria e alla
conseguente capacita' di sovvertire le concezioni teologiche codificate, di
cui ho parlato fin qui, vorrei ora sottolineare un aspetto gia' messo in
evidenza da Luisa Muraro, nei suoi studi sulla mistica femminile. La
scrittura mistica lascia aperto un varco, un vuoto, un silenzio, in cui
altro possa accadere e venire all'essere: Dio, un imprevisto che puo' anche
prendere la forma della liberta' o della trascendenza femminile.
*
Una precisa consapevolezza della straordinaria fecondita' della mistica
femminile, da questo punto di vista, si trova in Carla Lonzi, un'importante
femminista italiana degli anni '70: lei fa da ponte fra le scrittrici
mistiche, che amava molto, e le pratiche del femminismo, in primo luogo
quella dell'autocoscienza, a cui lei stessa aveva dato vita.
Carla Lonzi legge appassionatamente le mistiche, in particolare Teresa di
Lisieux e Teresa d'Avila, le quali sono donne che, nonostante i
condizionamenti della chiesa, non hanno mai perso il filo di se stesse.
Nelle scrittrici mistiche, la Lonzi trova la capacita' di esplorazione del
proprio spazio interiore e quella di dar voce alla soggettivita' femminile,
generalmente tacitata, nella storia, dall'invadenza del simbolico maschile;
trova, infine, un senso della trascendenza segnato dalla differenza
femminile: per una donna, a differenza che per un uomo - scrive -, "vita e
senso della vita si sovrappongono continuamente". Mentre per un uomo la
trascendenza si pone come un al di la', come una verticalita' che si
allontana dalla vita e dalla materialita' dell'esistenza, una donna fa
continuamente la spola fra immanenza e trascendenza, fra vita e senso della
vita.
In Carla Lonzi e' forte il senso dell'"incredibile sproporzione" fra il suo
io e qualcosa che lo eccede: la liberta' e la trascendenza femminili, le
quali si sono si' incarnate storicamente nelle pratiche del femminismo, che
hanno visto la donna nascere come soggetto, ma che sono sempre anche
eccedenti rispetto a quell'incarnazione storica.
La mistica femminile ci parla, ad esempio in Etty Hillesum, di Dio come
silenzio interiore, come punto prospettico interno all'esperienza della
vita, che consente di non esserne travolte, ma di prendere una distanza da
essa e di darle senso.
La mistica femminile ci trasmette il senso dell'essere come essere in
relazione: con Dio, con l'altro, con il reale. Affinche' ci sia relazione
con Dio, con l'Altro che fa spazio ad ogni alterita' nell'esistenza,
occorrono del silenzio e del vuoto, un varco nell'esserci in cui l'essere
possa accadere.
Questo varco, Carla Lonzi l'ha tenuto aperto con cura, tenendo presente
l'incredibile sproporzione fra se' e le sue pratiche, da un lato - queste
ultime inevitabilmente limitate nella loro contingenza storica -, e la
trascendenza femminile, da un altro lato: quando era faticosamente impegnata
nella ricerca di se', ha saputo accogliere l'"imprevisto" del femminismo
come un dono, una grazia, un'occasione in cui altro rispetto alle identita'
femminili che le pesavano addosso poteva finalmente accaderle.
*
L'eredita' della mistica si coglie bene, in Carla Lonzi, nel suo continuo
disfarsi non solo delle identita' femminili gia' codificate, ma anche
dell'identita' femminista, faticosamente guadagnata in un  percorso diverso.
Come, nelle mistiche, ogni bene e ogni guadagno spirituale vengono
continuamente messi a repentaglio e rigiocati nella relazione con Dio,
cosi', nella Lonzi, i guadagni del femminismo e le sue pratiche vengono
continuamente rimessi in gioco e rilanciati, in un azzardo sempre rinnovato,
per impedirne la cristallizzazione dogmatica.
Carla Lonzi scrive il Diario, dopo aver pubblicato alcuni testi teorici del
femminismo come Sputiamo su Hegel, proprio per reagire all'appropriazione
ideologica dei contenuti del femminismo da parte di alcune donne, che ne
avevano fatte proprie le parole d'ordine, ma senza che ad esse
corrispondessero ne' una pratica ne' una modificazione di se'. La Lonzi
scrive il Diario, in cui mette in gioco la propria singolarita', per
richiamare e trasmettere memoria del "momento non prestigioso del
femminismo", in cui la differenza femminile e' presente; con il Diario,
invita ciascuna donna a partire da se', singolarmente, affrontando gli
ostacoli e i conflitti, che nascono dalle relazioni fra donne, e anche la
prova della solitudine, che lei considera una tappa necessaria per la
nascita di un'autentica autonomia interiore.
Come scrive Maria Zambrano a proposito della confessione, anche il diario e'
la "massima azione che e' dato realizzare con la parola": esso invita chi lo
legge a compiere un percorso analogo a quello di chi l'ha scritto, ma anche
inevitabilmente diverso, perche' segnato dalla propria singolarita'.
*
Oggi, nel femminismo italiano della differenza, si rinnova l'invito di Carla
Lonzi a guardare al momento non prestigioso del femminismo, cioe' alle
pratiche, in cui la differenza femminile e' presente.
Non basta pero' solo guardarle, occorre anche metterle in parole, dar loro
voce e consistenza simbolica. Infatti, come sottolinea Lia Cigarini, accade
spesso che alcune donne, "avendo in mente qualche parola chiave, come ad
esempio relazione politica e autorita' femminile", "operano laboriosamente
dove si trovano", ma "trascurano (...) il lavoro di mettere in parole". Il
risultato e' un silenzio femminile che non incide sulle grandi questioni del
nostro tempo.
Questo lavoro di mettere in parole, di dar voce alla differenza femminile,
non deve tuttavia riempire tutto, ma deve lasciare del vuoto, dello spazio,
che segnali nel linguaggio quel varco nell'essere che consente ad altro,
all'"imprevisto", di accadere.
Non si tratta, in altri termini, di prendere a prestito parole d'ordine come
relazione, autorita' femminile, disparita' ecc., che rischiano talvolta di
diventare etichette buone per ogni situazione, ma di trovare di volta in
volta le parole necessarie, rispondenti al proprio sentire, alla concretezza
delle proprie pratiche, alla loro fecondita' ma anche ai loro scacchi e
inciampi.
L'espressione adeguata puo', di volta in volta, trovare la forma del
racconto, del diario, della messa a punto teorica. Non occorre dire tutto -
cosa d'altra parte impossibile quando si ha a che fare con le pratiche, con
un sapere di esperienza: occorre lasciare del vuoto, del silenzio proprio
per segnalare che, nella vita come nella scrittura, altro puo' accadere in
chi vive, in chi legge. L'essenziale delle pratiche infatti si lascia si' in
parte tradurre in parole, ma solo in parte, per nostra fortuna. La vita si
salva da se': nella vita come nel linguaggio, altro puo' accadere solo se
viene salvaguardato uno spazio in cui l'imprevisto possa trovare posto.
In questo senso, nel senso di salvaguardare del vuoto e del silenzio, vanno
le proposte di Lia Cigarini e di altre giuriste milanesi di creare vuoti nel
diritto esistente, perche' la differenza femminile non va "tutelata" con un
eccesso di norme ne' di diritti ne' di politiche per le pari opportunita',
ma coltivando le relazioni fra donne per produrre forza e autorita'
femminile. E' nelle relazioni fra donne che si fa strada una modalita' della
liberta' femminile non come replica del concetto di liberta' elaborato dagli
uomini, ma come creativita', come continua reinvenzione di se' che, grazie
ad una mediazione femminile, riesce a inscrivere nel mondo il proprio
desiderio.
*
Tuttavia, c'e' silenzio e silenzio.
C'e' un silenzio femminile che lascia che gli uomini decidano da se' su
questioni importanti, facendo ricorso ad esempio alle armi e alla guerra.
Questo e' un silenzio pericoloso e colpevole. Uscire da questo silenzio
significa intensificare lo scambio fra donne e uomini, far sentire con piu'
forza la voce della differenza femminile.
Ma c'e' anche un altro silenzio, che invece salvaguarda l'essenziale, che fa
capire che cio' che si dice prende senso a partire da un luogo segreto da
cui si attinge forza. Di questo luogo segreto non si puo' parlare
direttamente, si puo' solo alludervi, facendo capire che cio' che si dice
non copre il vuoto, ma nasce precisamente dal saper stare di fronte al
vuoto. Quest'ultimo silenzio io lo interpreto positivamente, e lo vedo come
un modo femminile di salvaguardare la vita, di salvare l'essenziale, di far
capire che, al fondo di ogni sforzo di dire, c'e' ascolto, attenzione,
recettivita'.
Io credo che molto silenzio di donne su questioni all'ordine del giorno
nella societa' e nella politica, oggi, possa essere interpretato come
silenziosa obiezione al modo in cui gli uomini impostano per lo piu' tali
questioni, cioe' esclusivamente in termini di diritti, di norme, di regole.
Ma e' un'obiezione silenziosa, che non incide sul modo in cui la differenza
maschile si fa valere nella societa' e nella politica, in modo spesso
invadente.
C'e' pero' anche un silenzio, che invece e' salvaguardia di qualcosa a cui
molte donne, io per esempio, tengono molto, qualcosa di essenziale: la gioia
di vivere, senza la quale la vita non ha senso, un soffio di liberta' che
consente di non essere ingombrate dal proprio ruolo, una leggerezza che
permette di non acquietarsi nel gia' guadagnato, ma di metterlo a
repentaglio affinche' altro possa accadere e accaderci.
*
Vorrei chiudere con un esempio, che fa capire che l'essenziale e' custodito
dal silenzio, che la vita si salva da se', per nostra fortuna.
L'episodio che vorrei raccontarvi riguarda un incontro avvenuto a Foggia,
qualche mese fa, organizzato da donne vicine al pensiero della differenza.
La magia di quell'incontro e' rimasta nel cuore a me e alle amiche di
Foggia, ma non so dire perche' quel momento sia stato cosi' intenso e vivo.
Eppure, talvolta, queste amiche di Foggia, quando descrivono la loro
pratica, che e' viva, generosa ed efficace, scadono in parole
autocelebrative, usurate, retoriche. Li' non e' successo. Eppure io stessa,
che ero stata invitata a parlare di Simone Weil, ultimamente, quando parlo
di questa autrice, mi annoio un po'. Li' non e' successo. Li' e' accaduto un
imprevisto, un attimo di grazia. L'unicita' di quel momento, la sua
irripetibilita' mi e' ben presente: so che c'e' stato, forse potra' capitare
ancora, ma non e' detto.
Abbiamo parlato molto, a lungo, ma, al centro delle molte parole spese in
quella circostanza, c'e' come un punto di silenzio, in cui e' custodito
l'essenziale della relazione fra me e Antonietta, Maria Grazia e le altre
amiche di Foggia. E' custodito il ricordo di una pasta al burro che mi ha
fatto sentire a casa, anche se Foggia mi e' antipatica perche' la' mio nonno
e' stato al confino sotto il fascismo per due anni; sono custoditi i
racconti dei nostri amori, alcuni solidi, altri traballanti e sbagliati,
sono custodite le molte differenze e diffidenze fra il nord e il sud
dell'Italia, sono custodite la pratica di relazione di Diotima e quella del
movimento di autoriforma della scuola, che le amiche foggiane portano avanti
con coraggio.
Basta per tutto questo il nome di politica delle relazioni?
Si', e' il nome giusto, ma, per fortuna, c'e' altro.
Dirlo non e' facile. Ne sanno qualcosa i poeti, le poetesse.
Lo dice bene Wislawa Szymborska, a cui lascio l'ultima parola:

"Il silenzio non accompagna solo i complotti,
ne' il corteo delle cause solo le incoronazioni.
Possono essere tondi gli anniversari delle insurrezioni,
ma anche i sassolini in parata sulla sponda.

Fitto e intricato e' il ricamo delle circostanze.
Il punto della formica nell'erba.
L'erba cucita alla terra.
Il disegno dell'onda su cui si infila un fuscello".

5. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: RIPENSARE IL MASCHILE OLTRE LA POLARITA'
NORMA-TRASGRESSIONE
[Ringraziamo Stefano Ciccone (per contatti: ciccone at uniroma2.it) per averci
messo a disposizione questo intervento scritto alcuni mesi fa per la rivista
"Adultita'". Stefano Ciccone, impegnato da sempre nella riflessione e
nell'agire per la pace e i diritti umani, partecipa da alcuni anni ad una
rete informale di riflessione sul maschile e di iniziativa politica di
uomini su temi inerenti le relazioni tra i generi e la rimessa in
discussione dei modelli normativi di virilita']
Mentre revisiono questo testo la televisione rimanda immagini di massacri e
insensate rappresaglie, i commentatori ripetono le giustificazioni
dell'inevitabilita' della guerra ed elencano i mutevoli obiettivi
dell'azione militare ma non riescono a nascondere l'immagine di due bambini
afgani menomati dalle bombe occidentali; e questa notte migliaia di civili
palestinesi innocenti subiranno la brutale rappresaglia ordinata dal
criminale di guerra Sharon per il criminale gesto suicida contro civili
israeliani innocenti ad opera di terroristi di Hamas.
Le regole della guerra come nobile arte di confronto virile si rivelano
nella loro vera natura di macelleria di civili. Sempre piu' le guerre
moderne uccidono civili, dopo aver avvelenato le relazioni tra le persone e
le coscienze, sempre piu' spesso tornano a mescolare appartenenze arcaiche
con moderni strumenti tecnologici di morte.
Verrebbe da dire che attardarsi a riflettere sul maschile sia una colpevole
divagazione di fronte alle urgenze della storia, alla ridefinizione di
poteri e relazioni a dimensione mondiale, al degrado delle democrazie a cui
assistiamo.
Eppure trovo proprio nella riflessione sul maschile uno spunto per ascoltare
con orecchie diverse le parole della televisione e per pensare possibile
un'alternativa.
La guerra come estrema trasgressione e nello stesso tempo estrema conferma
di un ordine sociale e simbolico che ad ogni crisi sembra riaffermare la
propria forza. Proprio quando a noi appare un residuo del passato riemerge
nei campi profughi  e nelle stanze buone delle democrazie occidentali la
retorica della patria, dell'onore, la demonizzazione del nemico e dunque
delle differenze al proprio interno, la riduzione del dubbio a tradimento o
oggettiva complicita' con il nemico.
La guerra come inevitabile intervento regolativo di un mondo impazzito ed in
preda a conflitti arcaici incomprensibili.
La guerra fatta da uomini che si rappresentano come difensori dell'onore dei
padri, custodi della purezza del sangue e delle tradizioni ma anche da altri
uomini convinti di essere portatori di una razionalita' astratta che afferma
la propria superiorita' proprio per essersi affrancata dalle pulsioni del
corpo e della natura, per essere portatrice di regole e tecniche valide ad
ogni angolo della terra.
La modernita' si presenta fino in fondo come luogo di tensione del maschile:
frutto del mito razionale di emancipazione dell'individuo astratto e
dall'altro crescita di istituzioni che mettono in discussione i modelli di
genealogia maschile basati su saperi resi obsoleti dalla mobilita' sociale e
dall'innovazione tecnologica.
Insomma la guerra che torna nella nostra quotidianita' e che torna ad essere
descritta come ineluttabile, "normale", ha molto a che fare con la storia
degli uomini e il loro collocarsi entro la polarita' di ordine e
trasgressione. Una polarita' che attraversa i corpi, li reinterpreta, li
ridisegna. E proprio il corpo maschile, le sue pulsioni e la loro
regolazione, i suoi limiti e le protesi simboliche, razionali o tecnologiche
per rimuoverli, credo sia al fondo di questa tensione. Una tensione che mi
appare sempre piu' nella sua carica distruttiva ma anche al tempo stesso
nella sua potenza e nella forza seduttiva che ancora riesce ad esercitare su
milioni di uomini (1) ad ogni latitudine geografica e culturale.
*
Ma cerco di riprendere con ordine il filo del rapporto che lega la virilita'
col tema della trasgressione.
La virilita' e' innanzitutto un modello normativo a cui ogni uomo deve
rapportarsi pena non il suo successo, o la sua gratificazione, ma la sua
stessa identita'.
Quale uomo non si e' sentito incalzare sin da piccolo ad essere un uomo? A
quanti non e' stato chiesto con ostentata delusione se per caso non fossero
delle femminucce per il fatto di piangere? Tutti hanno conosciuto la fatica
di controllare di continuo il proprio grado di approssimazione ad un modello
di virilita' tanto indefinito quanto ferreo nella capacita' di esclusione.
Ed anche lo scherno, quando non la discriminazione, verso gli omosessuali e'
un continuo monito verso ogni uomo, un avvertimento dell'abisso in cui
potrebbe precipitare chi non corrispondesse al modello di virilita', una
minaccia per chi volesse trasgredire ai canoni della mascolinita' dominante.
Ma se da un lato la virilita' agisce come modello normativo e la minaccia
all'identita' verso ogni uomo che non corrisponda a cio' che ci si aspetta
da lui e' sempre incombente, la "trasgressione" appare come parte
costitutiva dei processi di definizione della virilia' che si sostanzia
anche con la rappresentazione di una natura maschile che sfugge ai vincoli
ed alle regole sociali (2).
I maschi devono essere esuberanti, i loro corpi devono mal sopportare le
angustie degli spazi, dei banchi scolastici, hanno bisogno di abiti comodi
che permettano di essere scomposti. Devono fare battute volgari, devono
ubriacarsi, calarsi (3), mangiare eccessivamente, fare giochi pericolosi,
godere nello sfidare i limiti ed il rischio.
Questo apprendistato giovanile (condito anche da comportamenti sessuali
"estremi" ed eccessivi o dal loro semplice vagheggiamento) portera' ad
un'eta' della maturita' in cui le trasgressioni o gli eccessi saranno
relegati a momenti marginali (magari consumati lungo i viali delle stazioni
una volta a settimana, o in qualche serata tra uomini, o in qualche litigio
a un semaforo per uno sgarbo) per far posto alla qualita' virile del
controllo, dell'autoregolazione, dell'emancipazione dalle emozioni (4).
Quelle emozioni che tanto segnerebbero i comportamenti femminili fino a
renderli inaffidabili e incapaci di autonomia e serenita' di giudizio.
L'esuberanza del corpo trovera' istituzioni di disciplinamento dei corpi
maschili: il servizio militare impone un'uniforme ed al tempo stesso insegna
il processo di delega della propria identita' e responsabilita' al gruppo o
al capo, la ripetitivita' del lavoro imporra' al corpo vincoli forse ancora
piu' pesanti.
La trasgressione collettiva degli ultra' negli stadi, l'esperienza quasi
fusionale di rimozione dei limiti del proprio corpo nello scontro con la
massa avversaria e' al tempo stesso conformismo di gruppo e "fedelta'".
Anche un film che ha segnato il mio immaginario come quello di molti della
mia generazione, Animal house, ripercorre ironicamente questo modello.
Esperienze di subalternita' e al tempo stesso domande di senso e ricerche di
liberta' che non trovano parole nuove per dirsi.
Questa polarita' tra generazioni non e' una semplice sequenza temporale di
esperienze diverse ma e' una polarita' interna al maschile che continuamente
ridisloca identita' individuali e collettive. Produce una forma di
trasgressione che riconosce un ordine, che lo conferma, che ne rappresenta
un'articolazione necessaria.
Non e' un caso che nella destra sciovinista e nazionalista questa domanda
d'ordine e fedelta' alle tradizioni patrie ed il mito dell'individuo ribelle
alle regole ed ai conformismi borghesi si intreccino non solo culturalmente
ma anche nei processi storico politici.
Non ho ne' lo spazio ne' la competenza per sviluppare un'analisi del
rapporto tra identita' maschile, nazionalismi, modelli di appartenenza
etnica e pensiero reazionario, come semplici esempi credo possa essere utile
notare come il libro di George Mosse su sessualità e nazionalismo (5) abbia
come sottotitolo Mentalita' borghese e rispettabilita', o che Angus McLaren
scelga di intitolare il suo testo su "l'identita' maschile tra ottocento e
novecento" Gentiluomini e canaglie (6).
Quello che voglio chiedermi e' dove si intreccino le diverse significazioni
della tensione tra norma e trasgressione, tra conformismo ed enfatizzazione
del gesto estremo individuale: rischio del pericolo, eccesso, perdita di
controllo, sovversione delle regole linguistiche.
Dove nasce questo bisogno di messa alla prova del proprio corpo?
Un volantino di un movimento cattolico studentesco sovrapponeva la frase
"esistere vuol dire appartenere" ad un'immagine di giovani isolati tra loro
su una grande scala di marmo. Rappresentava in modo plastico la condizione
di solitudine e la domanda di senso a cui logiche - appunto - di
appartenenza proponevano una soluzione.
Perche' questo bisogno di appartenenza? E  perche' esercita sui maschi di
ogni eta' e ogni luogo un cosi' forte richiamo?
Credo esista nella costruzione del corpo maschile un nodo profondo che
accomuna queste domande: un corpo rispetto al quale il maschile appare aver
ingaggiato una guerra per superarne i limiti, un corpo che ci porta a
definire la nostra identita' fuori di noi, che ha prodotto l'illusione di
poter costruire soggettivita' a prescindere dalla dimensione della
corporeita' percepita come luogo di instabilita' dell'identita'. La
rappresentazione dello scacco del corpo maschile, una elaborazione che
agisce nell'immaginario rielaborando dati biologici come l'impossibilita' a
generare, credo abbia fondato una identita' del maschile continuamente
sottoposta ad una tensione "fuori di se'" alla ricerca di verifiche.
*
"Felice chi e' diverso
essendo egli diverso
ma guai a chi e' diverso
essendo egli comune".
Non so se questa poesia di Sandro Penna volesse rappresentare cio' che le ho
sempre attribuito ma  le poesie piu' di altro si prestano ad essere
"distorte ed usate da noi lettori.
Nei tanti livelli di lettura che permette io ci ho voluto vedere anche una
continua domanda che costringe ad andare oltre l'autocompiacimento
dell'"essere contro" ed a guardare senza accondiscendenza le  sotterranee
complicita' che legano spesso movimenti di opposizione all'universo che
tentano di porre a critica.
La pervasivita' di un modello che attraversa culture che si pongono
all'opposizione e' rappresentata ad esempio dall'immagine del film Novecento
in cui il padre della famiglia proletaria appare cosi' prossimo e simile al
patriarca proprietario pur nella irriducibile conflitto tra oppresso e
oppressore.
Anche il bel libro di Sandro Bellassai sulle rappresentazioni dei ruoli e
dei rapporti di genere nel PCI degli anni '50 (7) illustra come sia
difficile per un partito che si propone per molti versi come "societa'
altra" e che si candida a rappresentare un'alternativa di sistema
destrutturare i modelli di "rispettabilita'" e trasgressione tradizionali.
L'uomo comunista, pur impegnato in una sincera lotta per l'emancipazione
femminile e contro lo sfruttamento tra i sessi, e' per molti versi il
maggior difensore di un modello di autocontrollo virile a fronte di una
degenerazione dei costumi borghese.
Questa prossimità con modelli tradizionali di virilita' l'ho sentita ancora
oggi in tutto il suo stridore quando molti uomini di un movimento che
sceglie di dire che "un altro mondo è possibile" (8) "giocavano alla
guerra". Non rompendo le vetrine ma inseguendo una strategia di
legittimazione basata sul mettere in scena uomini in divisa con i loro scudi
contrapposti ad altri con divise diverse ma con scudi speculari a
distinguere i due campi, che paiono giustificarsi a vicenda in un gioco di
rimandi di identita' amplificati dai media e osservanti lo stesso ordine
simbolico. Un rincorsa esplicita alla simmetria con  le forme e degli
eserciti giunta alla "dichiarazione di guerra al g8", esito plastico della
perpetuazione di vecchie culture gerarchiche e di potere che tradiscono la
subalternita' alle logiche patriarcali del pensiero unico, e la cui
efficacia politica - al di la' della conquista di qualche copertina - e'
tutta da verificare.
Ho scelto, con altri, di pormi "lontano dai militari e da chi li imita"
seguendo percorsi paralleli di critica della politica e delle sue forme, dei
rischi di subalternita' alle culture dominanti ed ai modelli di dominio e
gerarchia che anche movimenti antagonisti rischiano di riprodurre anziche'
di sovvertirne le regole. Ma il fatto per me nuovo e' stato di farlo in
quanto uomo, ed affermando la valenza politica di questa collocazione.
*
La "trasgressione", dunque, mi appare spesso come una scorciatoia, una
conflittualita' in libera uscita che si limita a frequentare gli spazi
concessi per l'ora d'aria pronta a rientrare nei ranghi o a confermare la
necessita' delle leggi che regola il proprio campo e quello del potere
contro cui si e' scagliata.
Ma, appunto, anche chi si pone come "anti sistema" sembra subire la
seduzione di modelli identitari non riducibili al maschile ma che la lettura
critica della maschilita' mi fa vedere in modo piu' chiaro, direi più
stridente.
Trasgredire alle regole di solidarieta' maschile vuol dire anche non
concedere un sorriso complice o compiaciuto quando si incontra lo sguardo di
un altro uomo dopo il passaggio di una donna.
Il percorso di riflessione e di presa di parola pubblica sul maschile
avviato in questi anni tra uomini al quale partecipo puo' essere anch'esso
letto come un atto di trasgressione, di rottura di una complicita' maschile
su piccoli e grandi aspetti dei processi di costruzione dell'identita' e di
riconoscimento reciproco (9).
Oggi posso dire che anche questa rottura e' maturata diventando percorso
collettivo e quindi articolandosi, costruendo una nuova comunicazione
E' ormai una realta' consolidata la rete di relazioni, di parole prodotte
collettivamente a cui voglio dare valore (10). Non una trasgressione
individuale, con tutte le ambiguita' che cio' puo' comportare, ma il
riconoscimento della costruzione di uno spazio collettivo.
In questi anni ho spesso avuto il dubbio di oscillare tra un'enfatizzazione
ingiustificata di una storia individuale e la produzione di
universalizzazioni poco verificabili. Quasi poco dicibili. Molte volte ho
vissuto la difficolta' di spiegare questa riflessione senza la sensazione di
esporre una stranezza.
La costruzione di uno spazio di comune tra uomini mi ha aiutato ad andare
oltre il limite della trasgressione ed a cogliere forse in modo piu' pieno
il senso del partire da se' che non e' ne' il fermarsi alla propria
esperienza assolutizzandola ne' cercare una impossibile corrispondenza ma
scoprire che le singolarita' e la loro irriducibilita' messe tra loro in
relazione possono costruire un senso che le risignifica, che propone ad
ognuno di fare un'altra esperienza della propria storia e di dare alla
propria esperienza il valore di occasione per leggere le storie degli altri.
*
Il nostro gruppo e piu' in generale la rete che si e' costituita ormai negli
ultimi due anni sono caratterizzati da una grande eterogeneita' di
esperienze, di eta' e culture.
Un'eterogeneita' che riguarda anche scelte sessuali o "modi di interpretare"
il proprio essere uomini. Ci sono padri e ci sono figli, uomini
"responsabili" e altri che sfuggono ruoli e responsabilita'.
Ci sono uomini che amano le donne e uomini che amano altri uomini, uomini
contenti del proprio corpo e altri che difficilmente riescono ad accettarlo,
laici e religiosi, politicizzati e delusi.
Eppure ho la sensazione che queste siano diverse coniugazioni di una comune
esperienza. Per me non e' stato del tutto banale scoprirlo. Credo che, ad
esempio, questo suggerisca la possibilita' e forse la necessita' di un
confronto ed un percorso comune tra uomini omosessuali ed  eterosessuali
perche' accumunati dall'esperienza di un corpo che ognuno risignifica in
modo diverso ma che rappresenta per tutti un dato imprescindibile.
La scarsa articolazione di una riflessione collettiva degli uomini sulla
propria esperienza sessuata ha finora fatto si' che ogni intervento
assumesse un carattere generico. Come se si dovesse, e come se fosse
possibile, parlare "del maschile" senza aggettivi, senza specificazioni o
ancoraggi alle esperienze individuali ed all'irriducibile differenza
rappresentata dalle individualita'.
E questo ha portato con se il rischio di un continuo fraintendimento: a
rischio di un eccessivo schematismo credo sia importante chiarire che ogni
riflessione non puo' che essere riferita alla parzialita' della propria
esperienza individuale e di come questa si sia intrecciata con una
rappresentazione storica del maschile.
Giungere a costruire una posizione politica maschile vuol dire dare conto di
questa articolazione.
Nel confronto che ormai in modo stabile sperimento nel gruppo di uomini con
cui condivido un percorso di riflessione ho scoperto che molte delle
rappresentazioni su cui ho costruito la mia elaborazione su questi temi
negli scorsi anni e' spesso molto legata alla mia esperienza personale e che
spesso altri hanno costruito interpretazioni e modelli diversi per narrare
il proprio rapporto con l'essere uomini.
Ma al tempo stesso ci troviamo a scoprire insieme che queste differenze non
inficiano la possibilita' di un discorso comune.
Ho, oggi posso dire abbiamo, scelto di interpretare il percorso di
distanziamento dai modelli e comportamenti tradizionali dell'universo
maschile non come negazione e rimozione ma come "attraversamento". Abbiamo
cioe' tentato di evitare una lettura "ideologica" e riduttiva delle
relazioni sotterranee tra il nostro immaginario, l'idea di noi che ci siamo
costruiti ed il complesso universo di regole, aspettative e modelli che
"costruiscono" la mascolinita'.
Vuol dire riconoscere in noi  aspetti che ci accomunano all'esperienza di
molti altri uomini, ascoltare questi aspetti della nostra esperienza
interiore senza rimuoverli frettolosamente e senza schiacciarli in una
dinamica di colpevolizzazione e connotazione negativa.
*
Note
1. AA. VV., La fine del patriarcato, "Via Dogana", n. 23, settembre/ottobre
1995.
2. Rise' Claudio, Il maschio selvatico. Ritrovare la forza dell'istinto
rimossso dalle buone maniere, Red/Studio redazionale, Como 1993.
3. "Identita' di genere e abuso di sostanze nell'attuale fase postmoderna",
Atti del convegno: Carcere e tossicodipendenza, prospettive di ricerca, Ussl
18, Brescia, marzo 1996.
4. Testi Arnaldo, Una storia da veri uomini; perche' gli storici (maschi)
non usano il genere per leggere il passato, "Il manifesto" del 16 giugno
1990.
- Idem, L'Autobiografia di Theodore Roosevelt: la faticosa costruzione di un
forte e maschio carattere, "Rivista di Storia Contemporanea", n.1/1991.
5. Mosse George L., Sessualita' e nazionalismo, Laterza, Roma-Bari 1996.
- Idem, L'immagine dell'uomo. Lo stereotipo maschile nell'epoca moderna,
Einaudi, Torino 1997.
6. Mc Laren A., Gentiluomini e canaglie. L'identita' maschile tra '800 e
'900, Carocci, Roma 1999.
7. Bellassai Sandro, La morale comunista. Pubblico e privato nella
rappresentazione del Pci (1947-1956), Carocci, Roma 2000.
8. Ciccone S., Citoni M., in "Marea' n. 3, anno 2001, Erga Edizioni, Genova.
9. Ciccone S., Sebastiani R., Una proposta di riflessione "al maschile"
sulla violenza sessuale, "Noidonne", n. 4/1988.
10. Vedi il sito http.web.tisclinet.it/uominincammino, mail
maschileplurale at libero.it
*
Di seguito altri testi per chi voglia orientarsi nella riflessione sul
maschile:
- AA. VV., Ridefinirsi donna, ridefinirsi uomo. Itinerari nella differenza,
numero monografico della rivista "Alfazeta", n. 40, dicembre 1994, Parma.
- Gallelli R. (a cura di), Corpo e identita', Progedit, Bari 1999.
- Gilmore David D., La genesi del maschile. Modelli culturali della
virilita', La Nuova Italia, Firenze 1993.
- Connel Robert W., Maschilita'. Identita' e trasformazione del maschio
occidentale, Feltrinelli, Milano 1996.
- AA. VV., Sezione monografica sulla storiografia sul maschile, curata da
Maurizio Vaudagna, "Rivista di storia Contemporanea", Loescher, Torino,
1/1991.
- Ballabio Luciano, Virilita'. Essere maschi tra le certezze di ieri e gli
interrogativi di oggi, Franco Angeli, Milano 1991.
- Seidler Victor J., Riscoprire la mascolinita'. Sessualita', ragione,
linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1992.

6. LUTTI. RAFFAELE MANICA RICORDA GIUSEPPE PETRONIO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 gennaio 2003]
Molti e vari furono i modi di atteggiarsi della critica e della storiografia
letteraria italiana al ridursi della presenza di Benedetto Croce,
intensificati alla scomparsa di quel maestro e sempre piu' cospicui dagli
anni Cinquanta in poi. Un'intera generazione, per le certezze perdute o per
i conti sempre rinviati, si volse altrove, anche talvolta mantenendo saldo
il tratto storicistico.
Giuseppe Petronio, scomparso alle soglie dei novantaquattro anni,
apparteneva in pieno, per evidenza delle ragioni anagrafiche, agli studiosi
che Croce avevano incontrato negli anni della maturita'. Dunque il suo
rivolgersi agli strumenti del marxismo pareva per forza destinato a rimanere
radicato nello storicismo crociano. Ma, passato anche attraverso Gramsci,
Petronio approdo' a un territorio piu' lontano, una specie di sirena alla
quale, come lui, non furono immuni altri suoi coetanei: la sociologia
applicata alla letteratura, incontro di discipline dove il pur ribadito
ancoraggio ai valori formali finiva per mostrarsi piu' che altro una
petizione di principio, se non un miraggio.
La sua vicenda di studioso lo aveva portato in alcune universita' europee,
poi a Cagliari e a Trieste, mentre gia' si consumava una tipica vicenda di
uomo di sinistra di quegli anni: da azionista a marxista, prima socialista e
poi comunista, attirato da Gramsci, s'e' detto, ma soprattutto dal Lukacs di
Storia e coscienza di classe e dei saggi sul romanzo e sul realismo, che
potevano prospettarsi, nell'uso quotidiano, non immuni da qualche
schematismo, fino ad avversare itinerari di diversa indole, per esempio
spiccatamente formali, in nome di una qualche sostanza letteraria intravista
come di maggior concrettezza ma, alla fine, piu' ipotizzata che accertata.
Una conseguenza di queste persuasioni, che si potrebbe definire didattica,
fu la vena tra il pedagogico e l'ammonitorio da una parte; dall'altra si
riscontra una esigenza di responsabilita' civile che, tuttavia, finisce per
subordinare talvolta l'opera, anche grande, al rango di documento.
Poi pero', scorrendo la bibliografia di Petronio, si vede che i frutti della
sua operosita' non furono uniformi, ma diversamente problematici.
Cosi', si consulta ancora con qualche profitto il Dizionario enciclopedico
della letteratura italiana da lui diretto nella seconda meta' degli anni
Sessanta, particolarmente per l'accuratezza bibliografica dei cataloghi; e
sono ancora importanti vari volumi della Storia della critica impostata e
uscita tra fine degli anni Cinquanta e meta' degli anni Settanta.
Ne' si prescinde da molti suoi titoli, a partire dal saggio critico su
Boccaccio (1935) fino a Parini e l'Illuminismo lombardo (1961).
Infine va notato l'accendersi di nuove curiosita': non solo per i volumi
sulla letteratura di massa e di consumo (1979) o sul romanzo poliziesco
(1985), terreni ideali per la sociologia della letteratura, ma per
l'interesse verso lo strutturalismo, l'idea di canone, le questioni teoriche
in genere.
E non si dimenticano, infine, i libri per la scuola, molto amati ma anche
molto respinti; sempre molto segnati dalla sua personalita', che non e' un
demerito, se non secondo i sociologismi letterari.

7. RIVISTE. IL NUOVO NUMERO DI "GAIA - ECOLOGIA, NONVIOLENZA, TECNOLOGIE
APPROPRIATE"
[Dall'Ecoistituto del Veneto (per contatti: info at ecoistituto.veneto.it)
riceviamo e diffondiamo]
L'inverno 2003 ci porta il nuovo numero della rivista "Gaia - ecologia,
nonviolenza, tecnologie appropriate" che dedica un ampio spazio alla
catastrofe sfiorata al Petrolchimico di Marghera il 28 novembre scorso.
L'incendio si e' fermato a 20 metri dalla "colonna" del fosgene, tremendo
gas asfissiante, presente in enorme quantita', tanto da aver fatto rischiare
la morte a decine di migliaia di persone abitanti nel raggio di pochi
chilometri (a Marghera, Mestre e dintorni).
"Gaia" indica la strada di produzioni piu' sicure, meno inquinanti e basate
su risorse rinnovabili, sia nella chimica che, come nel caso Fiat, per
uscire dall'auto-lesionismo.
Buone notizie da molte citta' della Campania, dove finalmente e' partita una
buona (talvolta ottima) raccolta differenziata e riciclo dei rifiuti; al
contrario a Trento, a Genova e Torino amministrazioni comunali o provinciali
miopi, anche se con assessori "verdi", insistono a voler costruire forni
inceneritori costosissimi, energivori e velenosi.
"Gaia" si riceve solo per abbonamento, versando 20 euro sul cc postale
29119880 intestato a Ecoistituto del Veneto, viale Venezia 7, 30171 Venezia
Mestre.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 479 del 17 gennaio 2003