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La nonviolenza e' in cammino. 479
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 479
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 17 Jan 2003 03:17:36 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 479 del 17 gennaio 2003 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo, violenza di genere e costruzione di pace (ancora un contributo alla riflessione promossa da Giancarla Codrignani sui "pacifisti dimezzati") 2. Convenzione permanente di donne contro le guerre, una lettera aperta alle parlamentari europee 3. Norberto Bobbio, la situazione 4. Wanda Tommasi, pratiche e teorie, un sapere di esperienza 5. Stefano Ciccone, ripensare il maschile oltre la polarita' norma-trasgressione 6. Raffaele Manica ricorda Giuseppe Petronio 7. Il nuovo numero di "Gaia - ecologia, nonviolenza, tecnologie appropriate" 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: VIOLENZA DI GENERE E COSTRUZIONE DI PACE (ANCORA UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROMOSSA DA GIANCARLA CODRIGNANI SUI "PACIFISTI DIMEZZATI") [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: dirienzo at tvol.it) per questo contributo alla riflessione avviata dall'editoriale di Giancarla Codrignani apparso sul n. 437 di questo notiziario. Maria G. Di Renzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Ogni volta che affrontiamo il tema della violenza di genere, contribuiamo alla costruzione di pace nel mondo. Esaminando questo tema impariamo a contrastare la violenza piu' efficacemente. Quando lo facciamo per la prima volta possiamo sentirci impacciate e nervose, ma alla seconda la fiducia in noi stesse crescera', alla terza il nostro cuore battera' piu' calmo ed alla quarta l'esposizione del nostro ragionamento diventera' piu' articolata e serena... fidatevi! Chiedere agli uomini ed alle donne del vostro gruppo di discutere la questione e' importante: 1) la violenza individuale, stupro ed omicidio volontario, per esempio, conta il 90% di offensori di sesso maschile; 2) la percentuale resta la stessa nella formazione delle leggi (politici e professionisti di sesso maschile); 3) e resta identica nell'agire la guerra ed il terrorismo. * La prima risposta che probabilmente avrete quando solleverete la questione sara' l'alzare la voce di chi vi risponde. Questa persona lo fara' nel tentativo di intimidirvi e mettervi a tacere. Replicate immediatamente, in tono calmo e diretto: "Hai alzato la voce. Stai cercando di intimidirmi?". Quali che siano le cose dette a questo punto ("Ma no, ma no, chi deve parlare ora?", "Non essere isterica", "Voi femministe...", "C'e' la guerra, non possiamo perdere tempo con queste sciocchezze", ecc.) chiedete semplicemente: "Sapete, vero, cosa significa alzare la voce durante una discussione? E' il segno di un privilegio. Anche se nessuno di voi e' mai stato violento verso una donna, voi godete del privilegio di alzare la voce, che contiene la minaccia dell'uso della violenza fisica, quella che altri uomini stanno esercitando su altre donne in questo momento. Quando un uomo alza la voce, sta implicando questo scenario. Se la alzassi io potreste seccarvi, ma non vi sentireste minimamente minacciati". * Il secondo tipo di risposta sara' il tentativo di ignorare la questione. Si provera' ad ignorarla liquidandola con una battuta, o mettendovi in ridicolo, o cambiando argomento. Domandate subito, sempre in tono calmo e diretto, a chi vi ha risposto: "Perche' non vuoi parlarne? Io credo sia importante andare alle radici della violenza, se vogliamo sconfiggerla, ed il dominio maschile e' una di queste radici". * Il terzo responso sara', senza dubbio, "E allora Margaret Tatcher?" (o qualche altra donna di potere reazionaria e/o violenta). L'argomentazione sara' la seguente: Margaret Thatcher ha fatto questo e quello, ed era una donna, quindi le donne sono violente quanto gli uomini, e la questione non esiste. Ribadite che voi volete sentire le loro opinioni sulla dominazione maschile, sul patriarcato, e aggiungete: "Si', la signora Thatcher ha fatto quello che voi dite, esercitando il suo potere all'interno di un'istituzione che comprende al 90% maschi: l'elite del dominio maschile in Gran Bretagna. E scusatemi: la presenza di Condoleeza Rice al fianco di Bush prova che il governo Usa e' antirazzista? Prova che le donne di colore sono a favore della guerra? Gandhi prova che gli uomini sono tutti nonviolenti?". * La quarta risposta, ancor piu' indubitabilmente, sara': "Ma stai ignorando il fattore delle classi sociali". Tale replica e' tipica del maschio "progressista" o di sinistra, ed e' solo un altro tentativo di cambiare argomento. La divisione in classi e' stata possibile grazie all'esercizio della violenza maschile, ma gli uomini di sinistra, da Bakunin a Marx, da Lenin a Mao, da Castro al vostro compagno anarchico, comunista radicale, pacifista integrale, ecc., pretendono che la divisione in classi sia esclusivamente il risultato di condizioni economiche: cio' permette loro di distogliere l'attenzione dalla violenza maschile, che e' la sorgente dei loro stessi privilegi, e che e' il vero problema che ci troviamo di fronte. Se in questo momento la violenza maschile sparisse, la gerarchia delle classi sociali collasserebbe assieme ad essa, e saremmo libere e liberi di usare le nostre abilita' comunicative e di relazione per risolvere i conflitti. * Un altro commento che facilmente sentirete, quando i vostri interlocutori dovranno confrontarsi con la realta' e la sostanza del dominio maschile esercitato tramite la violenza, sara' l'accusa di essere odiatrici degli uomini. E' semplice tecnica "fumogena", la stessa che i sostenitori del governo israeliano usano quando bollano di antisemitismo coloro che lo criticano. L'antisemitismo esiste, ma il fatto che stiamo criticando e' il terrorismo di stato all'opera in Palestina. Similmente, esistono donne che odiano gli uomini (eppure mai quanto gli uomini riescono ad odiarsi l'un l'altro in nome delle loro "tribu'" di appartenenza, siano esse squadre di calcio o partiti politici), ma il fatto che voi avete posto all'attenzione del gruppo e' il controllo maschile delle istituzioni sociali attraverso l'uso della violenza. Esplorare questo, ovviamente, non e' odiare gli uomini. * Un altro commento possibile sara' che voi volete inibire la libera espressione dei maschi, o che non potete sopprimere le naturali inclinazioni degli uomini. Questo e' come dire: "Sto urlando insulti perche' sono fatto cosi', va bene?", o "Adesso ti metto le mani addosso perche' mi va di farlo!". Tralasciando il fatto che la violenza non e' per nulla "naturale", esplorate le motivazioni di chi lo crede, chiedetegli perche' si affanna a cambiare le cose, se "la legge del piu' forte" e' naturale, o se crede che la forza faccia il diritto. Un'onesta disamina della dominazione maschile non ha lo scopo di reprimere nessuno, e' mirata a cercare di comprendere come la violenza "lavora". Proprio come l'umanita' composta da uomini e donne e' piu' libera quando comprende come funzionano i sistemi di produzione e riproduzione, cosi' la stessa umanita' diviene piu' libera se capisce i sistemi ed i mezzi con cui il dominio maschile si sostiene; ma visto che questa faccenda mette in discussione i privilegi maschili, gli uomini non sono inclini ad affrontarla. * Le radici della violenza non saranno scalzate fino a che gli uomini non vorranno confrontarsi con esse, ma esse non sono affatto un'istanza ne' per i pacifisti, ne' per i rivoluzionari, ne' per il cosiddetto "movimento". Date un'occhiata ai giornali, ai siti, alle pubblicazioni dei media indipendenti, cercate articoli e riflessioni in cui gli uomini parlino della violenza di genere, o discutano del dominio maschile: non ne troverete. Questo perche', ovviamente, finche' gli uomini che gestiscono questi media non cominciano a riflettervi loro stessi, non considereranno importante la questione. E l'esercizio della violenza per mantenere il dominio maschile e' cosi' vasto e prevalente che abbiamo imparato a darlo per scontato. E' scontato nelle nostre famiglie, nei testi scolastici, nei programmi televisivi, nei film, e cosi' via. * Percio', ogni volta che sollevate la questione nei vostri gruppi, dovete ricordare che state sfidando il vostro stesso condizionamento. Vi state risvegliando. Vi state liberando al punto che vi permettete di osservare come la violenza lavori all'interno delle stesse persone che dichiarano di volerla cancellare: quando riuscite a vedere questo, la vostra capacita' di risolvere i conflitti in modo nonviolento aumenta e avete fatto un altro passo sulla strada che ci portera' ad un futuro di pace. 2. APPELLI. CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LE GUERRE: UNA LETTERA APERTA ALLE PARLAMENTARI EUROPEE [Da Monica Lanfranco (per contatti: mochena at tn.village.it) riceviamo e diffondiamo questa lettera aperta della Convenzione permanente di donne contro le guerre indirizzata alle parlamentari europee] Care onorevoli parlamentari europee, vi scriviamo (in rigoroso ordine alfabetico perche' qualsiasi altro ordine affettivo sarebbe meno "ordinato"), e vi diciamo subito chi siamo: siamo le portavoce della Convenzione permanente di donne contro le guerre, un soggetto politico che ha elaborato vari documenti e raggruppa donne di varie provenienze e storia, le quali rimangono nella loro associazione di origine e pattuiscono e convengono tra loro sul tema della guerra. La Convenzione ha una articolazione di ricerca, intitolata a Rosa Luxemburg, che intende costruire una cultura politica che escluda comunque il ricorso alla guerra. Per ora la Convenzione ha elaborato una proposta di Europa neutrale dal punto di vista militare giuridico e politico che sta avviando nel movimento: come tale la proposta non puo' certo essere presentata nei parlamenti; tuttavia nei parlamenti si puo' operare perche' non sia ostacolata nel suo cammino da posizioni preclusive. Noi ad esempio pensiamo che riconoscimenti di diritti sociali piu' arretrati ancora di Nizza siano una specie di dichiarazione di guerra verso le aree piu' disagiate, verso i e le migranti. Ci piacerebbe fosse sancita una posizione analoga a quelle che esistono nelle costituzioni italiana (art.11) e germanica sul ripudio della guerra; o l'affermazione positiva del diritto alla pace per i e le cittadine europee. Vorremmo anche cercare di ottenere che la Costituzione sia tale, cioe' sovraordinata agli stati nazionali e pero' che sia vigente solo dopo l'approvazione referendaria da parte delle popolazioni europee. Se quanto vi proponiamo vi pare utile fatecelo sapere e possiamo avviare una collaborazione che a noi farebbe molto piacere e crediamo potrebbe essere giovevole a tutte. Grazie ancora, buon lavoro, Le portavoce della Convenzione di donne contro le guerre: Lidia Menapace, Imma Barbarossa, Monica Lanfranco, Giusi Di Rienzo, Nella Ginatempo, Elena Beltrame, Rosangela Pesenti * Il nostro recapito piu' utile e' quello di Monica Lanfranco, che per la Convenzione svolge il lavoro di ufficio stampa, comunicazione e relazione, tel 3470883011 o anche 010543684; abbiamo anche una mailing list: lisistrata at yahoogropus.com e al sito di www.marea.it sono rintracciabili i materiali prodotti via via dalla Convenzione. La sede nazionale e' presso la Casa internazionale delle donne di Roma, in via della Lungara 19. 3. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO: LA SITUAZIONE [Da Norberto Bobbio, Il terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, p. 109. Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909, antifascista, filosofo della politica e del diritto, e' autore di opere fondamentali sui temi della democrazia, dei diritti umani, della pace. E' uno dei più prestigiosi intellettuali italiani del Novecento. Opere di Norberto Bobbio: per la biografia (che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno Maestri e compagni, Italia civile, Italia fedele, tutti presso l'editore Passigli. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta'; tutti presso Einaudi. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, varie ristampe; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica e cultura, Einaudi; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti, Teoria generale del diritto, Giappichelli. Di Bobbio recentemente e' stato pubblicato il volume-conversazione con Maurizio Viroli, Dialogo intorno alla repubblica, Laterza, Roma-Bari 2001. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni cultura della pace; S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2000. Karl Jaspers, nato a Oldenburg nel 1883 e scomparso a Basilea nel 1969, oppositore del nazismo, filosofo e psichiatra, e' uno dei pensatori che piu' ha riflettuto sugli eventi capitali del ventesimo secolo, Auschwitz ed Hiroshima. Opere di Karl Jaspers: segnaliamo particolarmente Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico Editore; Psicologia delle visioni del mondo, Astrolabio; Ragione ed esistenza, Marietti, poi Fabbri; La filosofia dell'esistenza, Laterza; La questione della colpa, Cortina; Ragione e antiragione nel nostro tempo, Sansoni; La bomba atomica e il destino dell'uomo, Il Saggiatore; Il problema della demitizzazione (discussione con Rudolf Bultmann), Morcelliana; Verita' e verifica, Morcelliana; si veda anche la bella raccolta delle lettere scambiate con la grande amica Hannah Arendt: Carteggio, Feltrinelli. Opere su Karl Jaspers: per un avvio cfr. AA. VV., Karl Jaspers: filosofia - scienza - teologia, Morcelliana, Brescia 1983; AA. VV., Karl Jaspers e la critica, Morcelliana, Brescia 1985; Giuseppe Cantillo, Introduzione a Jaspers, Laterza, Roma-Bari 2001] Siamo arrivati a una situazione definita da Jaspers, il filosofo autore del primo grande libro sulla bomba atomica e sul destino dell'uomo, come una situazione-limite, vale a dire una situazione oltre la quale non c'e' un'altra situazione, ma il nulla. 4. RIFLESSIONE. WANDA TOMMASI: PRATICHE E TEORIE, UN SAPERE DI ESPERIENZA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questa relazione tenuta da Wanda Tommasi in occasione del decimo simposio dell'Associazione internazionale delle filosofe, svoltosi a Barcellona, dal 2 al 5 Ottobre 2002. Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002] Vorrei parlare dello stretto rapporto fra pratiche e teorie nel femminismo italiano dagli anni '70 in poi. A differenza che in molto pensiero maschile, in cui il ruolo preminente del sapere esplicito e codificato comporta una svalutazione del sapere pratico, nel femminismo che ha la sua radice nelle pratiche, da quella dell'autocoscienza a quelle del partire da se' e dell'autorita' femminile, abbiamo a che fare con un sapere di esperienza, che non separa la pratica dalla teoria, ma che fa crescere l'una e l'altra di pari passo. Questo, a ben guardare, e' un tratto peculiare non solo di una parte importante del femminismo, ma del pensiero femminile in generale, quando questo si e' espresso in modo originale, non subordinandosi ai codici maschili. Ne e' un esempio straordinario la mistica femminile, che, ben prima del femminismo, ha puntato su un sapere di esperienza, un'esperienza, pero', non scissa dalla teoria, ma in grado di sovvertire, in forza appunto del sapere guadagnato, le concezioni teologiche e dogmatiche della tradizione religiosa. La grande Teresa d'Avila, ad esempio, si appella all'esperienza mistica da lei vissuta per opporsi alle imposizioni teologiche e dottrinali degli uomini di chiesa, dei dotti, dei "letterati": "Non diro' nulla che io non abbia ampiamente sperimentato", scrive Teresa per legittimare un'acvventura spirituale che, nella sua epoca, molti guardavano con sospetto. Un'analoga consapevolezza della fecondita' del sapere che nasce dall'esperienza la troviamo in una grande filosofa e mistica del '900, Simone Weil, quando scrive che la filosofia e' "cosa esclusivamente in atto e pratica". Cosa esclusivamente in atto e pratica, per la Weil, e' tutta la filosofia, anche quella teoretica: non si tratta dunque di una teoria applicata all'agire, come nella filosofia pratica secondo Aristotele, ma di una pratica che porta con se' un sapere, e di un sapere che e' incarnato, vissuto, sperimentale. Della mistica, oltre alla stretta relazione fra pratica e teoria e alla conseguente capacita' di sovvertire le concezioni teologiche codificate, di cui ho parlato fin qui, vorrei ora sottolineare un aspetto gia' messo in evidenza da Luisa Muraro, nei suoi studi sulla mistica femminile. La scrittura mistica lascia aperto un varco, un vuoto, un silenzio, in cui altro possa accadere e venire all'essere: Dio, un imprevisto che puo' anche prendere la forma della liberta' o della trascendenza femminile. * Una precisa consapevolezza della straordinaria fecondita' della mistica femminile, da questo punto di vista, si trova in Carla Lonzi, un'importante femminista italiana degli anni '70: lei fa da ponte fra le scrittrici mistiche, che amava molto, e le pratiche del femminismo, in primo luogo quella dell'autocoscienza, a cui lei stessa aveva dato vita. Carla Lonzi legge appassionatamente le mistiche, in particolare Teresa di Lisieux e Teresa d'Avila, le quali sono donne che, nonostante i condizionamenti della chiesa, non hanno mai perso il filo di se stesse. Nelle scrittrici mistiche, la Lonzi trova la capacita' di esplorazione del proprio spazio interiore e quella di dar voce alla soggettivita' femminile, generalmente tacitata, nella storia, dall'invadenza del simbolico maschile; trova, infine, un senso della trascendenza segnato dalla differenza femminile: per una donna, a differenza che per un uomo - scrive -, "vita e senso della vita si sovrappongono continuamente". Mentre per un uomo la trascendenza si pone come un al di la', come una verticalita' che si allontana dalla vita e dalla materialita' dell'esistenza, una donna fa continuamente la spola fra immanenza e trascendenza, fra vita e senso della vita. In Carla Lonzi e' forte il senso dell'"incredibile sproporzione" fra il suo io e qualcosa che lo eccede: la liberta' e la trascendenza femminili, le quali si sono si' incarnate storicamente nelle pratiche del femminismo, che hanno visto la donna nascere come soggetto, ma che sono sempre anche eccedenti rispetto a quell'incarnazione storica. La mistica femminile ci parla, ad esempio in Etty Hillesum, di Dio come silenzio interiore, come punto prospettico interno all'esperienza della vita, che consente di non esserne travolte, ma di prendere una distanza da essa e di darle senso. La mistica femminile ci trasmette il senso dell'essere come essere in relazione: con Dio, con l'altro, con il reale. Affinche' ci sia relazione con Dio, con l'Altro che fa spazio ad ogni alterita' nell'esistenza, occorrono del silenzio e del vuoto, un varco nell'esserci in cui l'essere possa accadere. Questo varco, Carla Lonzi l'ha tenuto aperto con cura, tenendo presente l'incredibile sproporzione fra se' e le sue pratiche, da un lato - queste ultime inevitabilmente limitate nella loro contingenza storica -, e la trascendenza femminile, da un altro lato: quando era faticosamente impegnata nella ricerca di se', ha saputo accogliere l'"imprevisto" del femminismo come un dono, una grazia, un'occasione in cui altro rispetto alle identita' femminili che le pesavano addosso poteva finalmente accaderle. * L'eredita' della mistica si coglie bene, in Carla Lonzi, nel suo continuo disfarsi non solo delle identita' femminili gia' codificate, ma anche dell'identita' femminista, faticosamente guadagnata in un percorso diverso. Come, nelle mistiche, ogni bene e ogni guadagno spirituale vengono continuamente messi a repentaglio e rigiocati nella relazione con Dio, cosi', nella Lonzi, i guadagni del femminismo e le sue pratiche vengono continuamente rimessi in gioco e rilanciati, in un azzardo sempre rinnovato, per impedirne la cristallizzazione dogmatica. Carla Lonzi scrive il Diario, dopo aver pubblicato alcuni testi teorici del femminismo come Sputiamo su Hegel, proprio per reagire all'appropriazione ideologica dei contenuti del femminismo da parte di alcune donne, che ne avevano fatte proprie le parole d'ordine, ma senza che ad esse corrispondessero ne' una pratica ne' una modificazione di se'. La Lonzi scrive il Diario, in cui mette in gioco la propria singolarita', per richiamare e trasmettere memoria del "momento non prestigioso del femminismo", in cui la differenza femminile e' presente; con il Diario, invita ciascuna donna a partire da se', singolarmente, affrontando gli ostacoli e i conflitti, che nascono dalle relazioni fra donne, e anche la prova della solitudine, che lei considera una tappa necessaria per la nascita di un'autentica autonomia interiore. Come scrive Maria Zambrano a proposito della confessione, anche il diario e' la "massima azione che e' dato realizzare con la parola": esso invita chi lo legge a compiere un percorso analogo a quello di chi l'ha scritto, ma anche inevitabilmente diverso, perche' segnato dalla propria singolarita'. * Oggi, nel femminismo italiano della differenza, si rinnova l'invito di Carla Lonzi a guardare al momento non prestigioso del femminismo, cioe' alle pratiche, in cui la differenza femminile e' presente. Non basta pero' solo guardarle, occorre anche metterle in parole, dar loro voce e consistenza simbolica. Infatti, come sottolinea Lia Cigarini, accade spesso che alcune donne, "avendo in mente qualche parola chiave, come ad esempio relazione politica e autorita' femminile", "operano laboriosamente dove si trovano", ma "trascurano (...) il lavoro di mettere in parole". Il risultato e' un silenzio femminile che non incide sulle grandi questioni del nostro tempo. Questo lavoro di mettere in parole, di dar voce alla differenza femminile, non deve tuttavia riempire tutto, ma deve lasciare del vuoto, dello spazio, che segnali nel linguaggio quel varco nell'essere che consente ad altro, all'"imprevisto", di accadere. Non si tratta, in altri termini, di prendere a prestito parole d'ordine come relazione, autorita' femminile, disparita' ecc., che rischiano talvolta di diventare etichette buone per ogni situazione, ma di trovare di volta in volta le parole necessarie, rispondenti al proprio sentire, alla concretezza delle proprie pratiche, alla loro fecondita' ma anche ai loro scacchi e inciampi. L'espressione adeguata puo', di volta in volta, trovare la forma del racconto, del diario, della messa a punto teorica. Non occorre dire tutto - cosa d'altra parte impossibile quando si ha a che fare con le pratiche, con un sapere di esperienza: occorre lasciare del vuoto, del silenzio proprio per segnalare che, nella vita come nella scrittura, altro puo' accadere in chi vive, in chi legge. L'essenziale delle pratiche infatti si lascia si' in parte tradurre in parole, ma solo in parte, per nostra fortuna. La vita si salva da se': nella vita come nel linguaggio, altro puo' accadere solo se viene salvaguardato uno spazio in cui l'imprevisto possa trovare posto. In questo senso, nel senso di salvaguardare del vuoto e del silenzio, vanno le proposte di Lia Cigarini e di altre giuriste milanesi di creare vuoti nel diritto esistente, perche' la differenza femminile non va "tutelata" con un eccesso di norme ne' di diritti ne' di politiche per le pari opportunita', ma coltivando le relazioni fra donne per produrre forza e autorita' femminile. E' nelle relazioni fra donne che si fa strada una modalita' della liberta' femminile non come replica del concetto di liberta' elaborato dagli uomini, ma come creativita', come continua reinvenzione di se' che, grazie ad una mediazione femminile, riesce a inscrivere nel mondo il proprio desiderio. * Tuttavia, c'e' silenzio e silenzio. C'e' un silenzio femminile che lascia che gli uomini decidano da se' su questioni importanti, facendo ricorso ad esempio alle armi e alla guerra. Questo e' un silenzio pericoloso e colpevole. Uscire da questo silenzio significa intensificare lo scambio fra donne e uomini, far sentire con piu' forza la voce della differenza femminile. Ma c'e' anche un altro silenzio, che invece salvaguarda l'essenziale, che fa capire che cio' che si dice prende senso a partire da un luogo segreto da cui si attinge forza. Di questo luogo segreto non si puo' parlare direttamente, si puo' solo alludervi, facendo capire che cio' che si dice non copre il vuoto, ma nasce precisamente dal saper stare di fronte al vuoto. Quest'ultimo silenzio io lo interpreto positivamente, e lo vedo come un modo femminile di salvaguardare la vita, di salvare l'essenziale, di far capire che, al fondo di ogni sforzo di dire, c'e' ascolto, attenzione, recettivita'. Io credo che molto silenzio di donne su questioni all'ordine del giorno nella societa' e nella politica, oggi, possa essere interpretato come silenziosa obiezione al modo in cui gli uomini impostano per lo piu' tali questioni, cioe' esclusivamente in termini di diritti, di norme, di regole. Ma e' un'obiezione silenziosa, che non incide sul modo in cui la differenza maschile si fa valere nella societa' e nella politica, in modo spesso invadente. C'e' pero' anche un silenzio, che invece e' salvaguardia di qualcosa a cui molte donne, io per esempio, tengono molto, qualcosa di essenziale: la gioia di vivere, senza la quale la vita non ha senso, un soffio di liberta' che consente di non essere ingombrate dal proprio ruolo, una leggerezza che permette di non acquietarsi nel gia' guadagnato, ma di metterlo a repentaglio affinche' altro possa accadere e accaderci. * Vorrei chiudere con un esempio, che fa capire che l'essenziale e' custodito dal silenzio, che la vita si salva da se', per nostra fortuna. L'episodio che vorrei raccontarvi riguarda un incontro avvenuto a Foggia, qualche mese fa, organizzato da donne vicine al pensiero della differenza. La magia di quell'incontro e' rimasta nel cuore a me e alle amiche di Foggia, ma non so dire perche' quel momento sia stato cosi' intenso e vivo. Eppure, talvolta, queste amiche di Foggia, quando descrivono la loro pratica, che e' viva, generosa ed efficace, scadono in parole autocelebrative, usurate, retoriche. Li' non e' successo. Eppure io stessa, che ero stata invitata a parlare di Simone Weil, ultimamente, quando parlo di questa autrice, mi annoio un po'. Li' non e' successo. Li' e' accaduto un imprevisto, un attimo di grazia. L'unicita' di quel momento, la sua irripetibilita' mi e' ben presente: so che c'e' stato, forse potra' capitare ancora, ma non e' detto. Abbiamo parlato molto, a lungo, ma, al centro delle molte parole spese in quella circostanza, c'e' come un punto di silenzio, in cui e' custodito l'essenziale della relazione fra me e Antonietta, Maria Grazia e le altre amiche di Foggia. E' custodito il ricordo di una pasta al burro che mi ha fatto sentire a casa, anche se Foggia mi e' antipatica perche' la' mio nonno e' stato al confino sotto il fascismo per due anni; sono custoditi i racconti dei nostri amori, alcuni solidi, altri traballanti e sbagliati, sono custodite le molte differenze e diffidenze fra il nord e il sud dell'Italia, sono custodite la pratica di relazione di Diotima e quella del movimento di autoriforma della scuola, che le amiche foggiane portano avanti con coraggio. Basta per tutto questo il nome di politica delle relazioni? Si', e' il nome giusto, ma, per fortuna, c'e' altro. Dirlo non e' facile. Ne sanno qualcosa i poeti, le poetesse. Lo dice bene Wislawa Szymborska, a cui lascio l'ultima parola: "Il silenzio non accompagna solo i complotti, ne' il corteo delle cause solo le incoronazioni. Possono essere tondi gli anniversari delle insurrezioni, ma anche i sassolini in parata sulla sponda. Fitto e intricato e' il ricamo delle circostanze. Il punto della formica nell'erba. L'erba cucita alla terra. Il disegno dell'onda su cui si infila un fuscello". 5. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: RIPENSARE IL MASCHILE OLTRE LA POLARITA' NORMA-TRASGRESSIONE [Ringraziamo Stefano Ciccone (per contatti: ciccone at uniroma2.it) per averci messo a disposizione questo intervento scritto alcuni mesi fa per la rivista "Adultita'". Stefano Ciccone, impegnato da sempre nella riflessione e nell'agire per la pace e i diritti umani, partecipa da alcuni anni ad una rete informale di riflessione sul maschile e di iniziativa politica di uomini su temi inerenti le relazioni tra i generi e la rimessa in discussione dei modelli normativi di virilita'] Mentre revisiono questo testo la televisione rimanda immagini di massacri e insensate rappresaglie, i commentatori ripetono le giustificazioni dell'inevitabilita' della guerra ed elencano i mutevoli obiettivi dell'azione militare ma non riescono a nascondere l'immagine di due bambini afgani menomati dalle bombe occidentali; e questa notte migliaia di civili palestinesi innocenti subiranno la brutale rappresaglia ordinata dal criminale di guerra Sharon per il criminale gesto suicida contro civili israeliani innocenti ad opera di terroristi di Hamas. Le regole della guerra come nobile arte di confronto virile si rivelano nella loro vera natura di macelleria di civili. Sempre piu' le guerre moderne uccidono civili, dopo aver avvelenato le relazioni tra le persone e le coscienze, sempre piu' spesso tornano a mescolare appartenenze arcaiche con moderni strumenti tecnologici di morte. Verrebbe da dire che attardarsi a riflettere sul maschile sia una colpevole divagazione di fronte alle urgenze della storia, alla ridefinizione di poteri e relazioni a dimensione mondiale, al degrado delle democrazie a cui assistiamo. Eppure trovo proprio nella riflessione sul maschile uno spunto per ascoltare con orecchie diverse le parole della televisione e per pensare possibile un'alternativa. La guerra come estrema trasgressione e nello stesso tempo estrema conferma di un ordine sociale e simbolico che ad ogni crisi sembra riaffermare la propria forza. Proprio quando a noi appare un residuo del passato riemerge nei campi profughi e nelle stanze buone delle democrazie occidentali la retorica della patria, dell'onore, la demonizzazione del nemico e dunque delle differenze al proprio interno, la riduzione del dubbio a tradimento o oggettiva complicita' con il nemico. La guerra come inevitabile intervento regolativo di un mondo impazzito ed in preda a conflitti arcaici incomprensibili. La guerra fatta da uomini che si rappresentano come difensori dell'onore dei padri, custodi della purezza del sangue e delle tradizioni ma anche da altri uomini convinti di essere portatori di una razionalita' astratta che afferma la propria superiorita' proprio per essersi affrancata dalle pulsioni del corpo e della natura, per essere portatrice di regole e tecniche valide ad ogni angolo della terra. La modernita' si presenta fino in fondo come luogo di tensione del maschile: frutto del mito razionale di emancipazione dell'individuo astratto e dall'altro crescita di istituzioni che mettono in discussione i modelli di genealogia maschile basati su saperi resi obsoleti dalla mobilita' sociale e dall'innovazione tecnologica. Insomma la guerra che torna nella nostra quotidianita' e che torna ad essere descritta come ineluttabile, "normale", ha molto a che fare con la storia degli uomini e il loro collocarsi entro la polarita' di ordine e trasgressione. Una polarita' che attraversa i corpi, li reinterpreta, li ridisegna. E proprio il corpo maschile, le sue pulsioni e la loro regolazione, i suoi limiti e le protesi simboliche, razionali o tecnologiche per rimuoverli, credo sia al fondo di questa tensione. Una tensione che mi appare sempre piu' nella sua carica distruttiva ma anche al tempo stesso nella sua potenza e nella forza seduttiva che ancora riesce ad esercitare su milioni di uomini (1) ad ogni latitudine geografica e culturale. * Ma cerco di riprendere con ordine il filo del rapporto che lega la virilita' col tema della trasgressione. La virilita' e' innanzitutto un modello normativo a cui ogni uomo deve rapportarsi pena non il suo successo, o la sua gratificazione, ma la sua stessa identita'. Quale uomo non si e' sentito incalzare sin da piccolo ad essere un uomo? A quanti non e' stato chiesto con ostentata delusione se per caso non fossero delle femminucce per il fatto di piangere? Tutti hanno conosciuto la fatica di controllare di continuo il proprio grado di approssimazione ad un modello di virilita' tanto indefinito quanto ferreo nella capacita' di esclusione. Ed anche lo scherno, quando non la discriminazione, verso gli omosessuali e' un continuo monito verso ogni uomo, un avvertimento dell'abisso in cui potrebbe precipitare chi non corrispondesse al modello di virilita', una minaccia per chi volesse trasgredire ai canoni della mascolinita' dominante. Ma se da un lato la virilita' agisce come modello normativo e la minaccia all'identita' verso ogni uomo che non corrisponda a cio' che ci si aspetta da lui e' sempre incombente, la "trasgressione" appare come parte costitutiva dei processi di definizione della virilia' che si sostanzia anche con la rappresentazione di una natura maschile che sfugge ai vincoli ed alle regole sociali (2). I maschi devono essere esuberanti, i loro corpi devono mal sopportare le angustie degli spazi, dei banchi scolastici, hanno bisogno di abiti comodi che permettano di essere scomposti. Devono fare battute volgari, devono ubriacarsi, calarsi (3), mangiare eccessivamente, fare giochi pericolosi, godere nello sfidare i limiti ed il rischio. Questo apprendistato giovanile (condito anche da comportamenti sessuali "estremi" ed eccessivi o dal loro semplice vagheggiamento) portera' ad un'eta' della maturita' in cui le trasgressioni o gli eccessi saranno relegati a momenti marginali (magari consumati lungo i viali delle stazioni una volta a settimana, o in qualche serata tra uomini, o in qualche litigio a un semaforo per uno sgarbo) per far posto alla qualita' virile del controllo, dell'autoregolazione, dell'emancipazione dalle emozioni (4). Quelle emozioni che tanto segnerebbero i comportamenti femminili fino a renderli inaffidabili e incapaci di autonomia e serenita' di giudizio. L'esuberanza del corpo trovera' istituzioni di disciplinamento dei corpi maschili: il servizio militare impone un'uniforme ed al tempo stesso insegna il processo di delega della propria identita' e responsabilita' al gruppo o al capo, la ripetitivita' del lavoro imporra' al corpo vincoli forse ancora piu' pesanti. La trasgressione collettiva degli ultra' negli stadi, l'esperienza quasi fusionale di rimozione dei limiti del proprio corpo nello scontro con la massa avversaria e' al tempo stesso conformismo di gruppo e "fedelta'". Anche un film che ha segnato il mio immaginario come quello di molti della mia generazione, Animal house, ripercorre ironicamente questo modello. Esperienze di subalternita' e al tempo stesso domande di senso e ricerche di liberta' che non trovano parole nuove per dirsi. Questa polarita' tra generazioni non e' una semplice sequenza temporale di esperienze diverse ma e' una polarita' interna al maschile che continuamente ridisloca identita' individuali e collettive. Produce una forma di trasgressione che riconosce un ordine, che lo conferma, che ne rappresenta un'articolazione necessaria. Non e' un caso che nella destra sciovinista e nazionalista questa domanda d'ordine e fedelta' alle tradizioni patrie ed il mito dell'individuo ribelle alle regole ed ai conformismi borghesi si intreccino non solo culturalmente ma anche nei processi storico politici. Non ho ne' lo spazio ne' la competenza per sviluppare un'analisi del rapporto tra identita' maschile, nazionalismi, modelli di appartenenza etnica e pensiero reazionario, come semplici esempi credo possa essere utile notare come il libro di George Mosse su sessualità e nazionalismo (5) abbia come sottotitolo Mentalita' borghese e rispettabilita', o che Angus McLaren scelga di intitolare il suo testo su "l'identita' maschile tra ottocento e novecento" Gentiluomini e canaglie (6). Quello che voglio chiedermi e' dove si intreccino le diverse significazioni della tensione tra norma e trasgressione, tra conformismo ed enfatizzazione del gesto estremo individuale: rischio del pericolo, eccesso, perdita di controllo, sovversione delle regole linguistiche. Dove nasce questo bisogno di messa alla prova del proprio corpo? Un volantino di un movimento cattolico studentesco sovrapponeva la frase "esistere vuol dire appartenere" ad un'immagine di giovani isolati tra loro su una grande scala di marmo. Rappresentava in modo plastico la condizione di solitudine e la domanda di senso a cui logiche - appunto - di appartenenza proponevano una soluzione. Perche' questo bisogno di appartenenza? E perche' esercita sui maschi di ogni eta' e ogni luogo un cosi' forte richiamo? Credo esista nella costruzione del corpo maschile un nodo profondo che accomuna queste domande: un corpo rispetto al quale il maschile appare aver ingaggiato una guerra per superarne i limiti, un corpo che ci porta a definire la nostra identita' fuori di noi, che ha prodotto l'illusione di poter costruire soggettivita' a prescindere dalla dimensione della corporeita' percepita come luogo di instabilita' dell'identita'. La rappresentazione dello scacco del corpo maschile, una elaborazione che agisce nell'immaginario rielaborando dati biologici come l'impossibilita' a generare, credo abbia fondato una identita' del maschile continuamente sottoposta ad una tensione "fuori di se'" alla ricerca di verifiche. * "Felice chi e' diverso essendo egli diverso ma guai a chi e' diverso essendo egli comune". Non so se questa poesia di Sandro Penna volesse rappresentare cio' che le ho sempre attribuito ma le poesie piu' di altro si prestano ad essere "distorte ed usate da noi lettori. Nei tanti livelli di lettura che permette io ci ho voluto vedere anche una continua domanda che costringe ad andare oltre l'autocompiacimento dell'"essere contro" ed a guardare senza accondiscendenza le sotterranee complicita' che legano spesso movimenti di opposizione all'universo che tentano di porre a critica. La pervasivita' di un modello che attraversa culture che si pongono all'opposizione e' rappresentata ad esempio dall'immagine del film Novecento in cui il padre della famiglia proletaria appare cosi' prossimo e simile al patriarca proprietario pur nella irriducibile conflitto tra oppresso e oppressore. Anche il bel libro di Sandro Bellassai sulle rappresentazioni dei ruoli e dei rapporti di genere nel PCI degli anni '50 (7) illustra come sia difficile per un partito che si propone per molti versi come "societa' altra" e che si candida a rappresentare un'alternativa di sistema destrutturare i modelli di "rispettabilita'" e trasgressione tradizionali. L'uomo comunista, pur impegnato in una sincera lotta per l'emancipazione femminile e contro lo sfruttamento tra i sessi, e' per molti versi il maggior difensore di un modello di autocontrollo virile a fronte di una degenerazione dei costumi borghese. Questa prossimità con modelli tradizionali di virilita' l'ho sentita ancora oggi in tutto il suo stridore quando molti uomini di un movimento che sceglie di dire che "un altro mondo è possibile" (8) "giocavano alla guerra". Non rompendo le vetrine ma inseguendo una strategia di legittimazione basata sul mettere in scena uomini in divisa con i loro scudi contrapposti ad altri con divise diverse ma con scudi speculari a distinguere i due campi, che paiono giustificarsi a vicenda in un gioco di rimandi di identita' amplificati dai media e osservanti lo stesso ordine simbolico. Un rincorsa esplicita alla simmetria con le forme e degli eserciti giunta alla "dichiarazione di guerra al g8", esito plastico della perpetuazione di vecchie culture gerarchiche e di potere che tradiscono la subalternita' alle logiche patriarcali del pensiero unico, e la cui efficacia politica - al di la' della conquista di qualche copertina - e' tutta da verificare. Ho scelto, con altri, di pormi "lontano dai militari e da chi li imita" seguendo percorsi paralleli di critica della politica e delle sue forme, dei rischi di subalternita' alle culture dominanti ed ai modelli di dominio e gerarchia che anche movimenti antagonisti rischiano di riprodurre anziche' di sovvertirne le regole. Ma il fatto per me nuovo e' stato di farlo in quanto uomo, ed affermando la valenza politica di questa collocazione. * La "trasgressione", dunque, mi appare spesso come una scorciatoia, una conflittualita' in libera uscita che si limita a frequentare gli spazi concessi per l'ora d'aria pronta a rientrare nei ranghi o a confermare la necessita' delle leggi che regola il proprio campo e quello del potere contro cui si e' scagliata. Ma, appunto, anche chi si pone come "anti sistema" sembra subire la seduzione di modelli identitari non riducibili al maschile ma che la lettura critica della maschilita' mi fa vedere in modo piu' chiaro, direi più stridente. Trasgredire alle regole di solidarieta' maschile vuol dire anche non concedere un sorriso complice o compiaciuto quando si incontra lo sguardo di un altro uomo dopo il passaggio di una donna. Il percorso di riflessione e di presa di parola pubblica sul maschile avviato in questi anni tra uomini al quale partecipo puo' essere anch'esso letto come un atto di trasgressione, di rottura di una complicita' maschile su piccoli e grandi aspetti dei processi di costruzione dell'identita' e di riconoscimento reciproco (9). Oggi posso dire che anche questa rottura e' maturata diventando percorso collettivo e quindi articolandosi, costruendo una nuova comunicazione E' ormai una realta' consolidata la rete di relazioni, di parole prodotte collettivamente a cui voglio dare valore (10). Non una trasgressione individuale, con tutte le ambiguita' che cio' puo' comportare, ma il riconoscimento della costruzione di uno spazio collettivo. In questi anni ho spesso avuto il dubbio di oscillare tra un'enfatizzazione ingiustificata di una storia individuale e la produzione di universalizzazioni poco verificabili. Quasi poco dicibili. Molte volte ho vissuto la difficolta' di spiegare questa riflessione senza la sensazione di esporre una stranezza. La costruzione di uno spazio di comune tra uomini mi ha aiutato ad andare oltre il limite della trasgressione ed a cogliere forse in modo piu' pieno il senso del partire da se' che non e' ne' il fermarsi alla propria esperienza assolutizzandola ne' cercare una impossibile corrispondenza ma scoprire che le singolarita' e la loro irriducibilita' messe tra loro in relazione possono costruire un senso che le risignifica, che propone ad ognuno di fare un'altra esperienza della propria storia e di dare alla propria esperienza il valore di occasione per leggere le storie degli altri. * Il nostro gruppo e piu' in generale la rete che si e' costituita ormai negli ultimi due anni sono caratterizzati da una grande eterogeneita' di esperienze, di eta' e culture. Un'eterogeneita' che riguarda anche scelte sessuali o "modi di interpretare" il proprio essere uomini. Ci sono padri e ci sono figli, uomini "responsabili" e altri che sfuggono ruoli e responsabilita'. Ci sono uomini che amano le donne e uomini che amano altri uomini, uomini contenti del proprio corpo e altri che difficilmente riescono ad accettarlo, laici e religiosi, politicizzati e delusi. Eppure ho la sensazione che queste siano diverse coniugazioni di una comune esperienza. Per me non e' stato del tutto banale scoprirlo. Credo che, ad esempio, questo suggerisca la possibilita' e forse la necessita' di un confronto ed un percorso comune tra uomini omosessuali ed eterosessuali perche' accumunati dall'esperienza di un corpo che ognuno risignifica in modo diverso ma che rappresenta per tutti un dato imprescindibile. La scarsa articolazione di una riflessione collettiva degli uomini sulla propria esperienza sessuata ha finora fatto si' che ogni intervento assumesse un carattere generico. Come se si dovesse, e come se fosse possibile, parlare "del maschile" senza aggettivi, senza specificazioni o ancoraggi alle esperienze individuali ed all'irriducibile differenza rappresentata dalle individualita'. E questo ha portato con se il rischio di un continuo fraintendimento: a rischio di un eccessivo schematismo credo sia importante chiarire che ogni riflessione non puo' che essere riferita alla parzialita' della propria esperienza individuale e di come questa si sia intrecciata con una rappresentazione storica del maschile. Giungere a costruire una posizione politica maschile vuol dire dare conto di questa articolazione. Nel confronto che ormai in modo stabile sperimento nel gruppo di uomini con cui condivido un percorso di riflessione ho scoperto che molte delle rappresentazioni su cui ho costruito la mia elaborazione su questi temi negli scorsi anni e' spesso molto legata alla mia esperienza personale e che spesso altri hanno costruito interpretazioni e modelli diversi per narrare il proprio rapporto con l'essere uomini. Ma al tempo stesso ci troviamo a scoprire insieme che queste differenze non inficiano la possibilita' di un discorso comune. Ho, oggi posso dire abbiamo, scelto di interpretare il percorso di distanziamento dai modelli e comportamenti tradizionali dell'universo maschile non come negazione e rimozione ma come "attraversamento". Abbiamo cioe' tentato di evitare una lettura "ideologica" e riduttiva delle relazioni sotterranee tra il nostro immaginario, l'idea di noi che ci siamo costruiti ed il complesso universo di regole, aspettative e modelli che "costruiscono" la mascolinita'. Vuol dire riconoscere in noi aspetti che ci accomunano all'esperienza di molti altri uomini, ascoltare questi aspetti della nostra esperienza interiore senza rimuoverli frettolosamente e senza schiacciarli in una dinamica di colpevolizzazione e connotazione negativa. * Note 1. AA. VV., La fine del patriarcato, "Via Dogana", n. 23, settembre/ottobre 1995. 2. Rise' Claudio, Il maschio selvatico. Ritrovare la forza dell'istinto rimossso dalle buone maniere, Red/Studio redazionale, Como 1993. 3. "Identita' di genere e abuso di sostanze nell'attuale fase postmoderna", Atti del convegno: Carcere e tossicodipendenza, prospettive di ricerca, Ussl 18, Brescia, marzo 1996. 4. Testi Arnaldo, Una storia da veri uomini; perche' gli storici (maschi) non usano il genere per leggere il passato, "Il manifesto" del 16 giugno 1990. - Idem, L'Autobiografia di Theodore Roosevelt: la faticosa costruzione di un forte e maschio carattere, "Rivista di Storia Contemporanea", n.1/1991. 5. Mosse George L., Sessualita' e nazionalismo, Laterza, Roma-Bari 1996. - Idem, L'immagine dell'uomo. Lo stereotipo maschile nell'epoca moderna, Einaudi, Torino 1997. 6. Mc Laren A., Gentiluomini e canaglie. L'identita' maschile tra '800 e '900, Carocci, Roma 1999. 7. Bellassai Sandro, La morale comunista. Pubblico e privato nella rappresentazione del Pci (1947-1956), Carocci, Roma 2000. 8. Ciccone S., Citoni M., in "Marea' n. 3, anno 2001, Erga Edizioni, Genova. 9. Ciccone S., Sebastiani R., Una proposta di riflessione "al maschile" sulla violenza sessuale, "Noidonne", n. 4/1988. 10. Vedi il sito http.web.tisclinet.it/uominincammino, mail maschileplurale at libero.it * Di seguito altri testi per chi voglia orientarsi nella riflessione sul maschile: - AA. VV., Ridefinirsi donna, ridefinirsi uomo. Itinerari nella differenza, numero monografico della rivista "Alfazeta", n. 40, dicembre 1994, Parma. - Gallelli R. (a cura di), Corpo e identita', Progedit, Bari 1999. - Gilmore David D., La genesi del maschile. Modelli culturali della virilita', La Nuova Italia, Firenze 1993. - Connel Robert W., Maschilita'. Identita' e trasformazione del maschio occidentale, Feltrinelli, Milano 1996. - AA. VV., Sezione monografica sulla storiografia sul maschile, curata da Maurizio Vaudagna, "Rivista di storia Contemporanea", Loescher, Torino, 1/1991. - Ballabio Luciano, Virilita'. Essere maschi tra le certezze di ieri e gli interrogativi di oggi, Franco Angeli, Milano 1991. - Seidler Victor J., Riscoprire la mascolinita'. Sessualita', ragione, linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1992. 6. LUTTI. RAFFAELE MANICA RICORDA GIUSEPPE PETRONIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 gennaio 2003] Molti e vari furono i modi di atteggiarsi della critica e della storiografia letteraria italiana al ridursi della presenza di Benedetto Croce, intensificati alla scomparsa di quel maestro e sempre piu' cospicui dagli anni Cinquanta in poi. Un'intera generazione, per le certezze perdute o per i conti sempre rinviati, si volse altrove, anche talvolta mantenendo saldo il tratto storicistico. Giuseppe Petronio, scomparso alle soglie dei novantaquattro anni, apparteneva in pieno, per evidenza delle ragioni anagrafiche, agli studiosi che Croce avevano incontrato negli anni della maturita'. Dunque il suo rivolgersi agli strumenti del marxismo pareva per forza destinato a rimanere radicato nello storicismo crociano. Ma, passato anche attraverso Gramsci, Petronio approdo' a un territorio piu' lontano, una specie di sirena alla quale, come lui, non furono immuni altri suoi coetanei: la sociologia applicata alla letteratura, incontro di discipline dove il pur ribadito ancoraggio ai valori formali finiva per mostrarsi piu' che altro una petizione di principio, se non un miraggio. La sua vicenda di studioso lo aveva portato in alcune universita' europee, poi a Cagliari e a Trieste, mentre gia' si consumava una tipica vicenda di uomo di sinistra di quegli anni: da azionista a marxista, prima socialista e poi comunista, attirato da Gramsci, s'e' detto, ma soprattutto dal Lukacs di Storia e coscienza di classe e dei saggi sul romanzo e sul realismo, che potevano prospettarsi, nell'uso quotidiano, non immuni da qualche schematismo, fino ad avversare itinerari di diversa indole, per esempio spiccatamente formali, in nome di una qualche sostanza letteraria intravista come di maggior concrettezza ma, alla fine, piu' ipotizzata che accertata. Una conseguenza di queste persuasioni, che si potrebbe definire didattica, fu la vena tra il pedagogico e l'ammonitorio da una parte; dall'altra si riscontra una esigenza di responsabilita' civile che, tuttavia, finisce per subordinare talvolta l'opera, anche grande, al rango di documento. Poi pero', scorrendo la bibliografia di Petronio, si vede che i frutti della sua operosita' non furono uniformi, ma diversamente problematici. Cosi', si consulta ancora con qualche profitto il Dizionario enciclopedico della letteratura italiana da lui diretto nella seconda meta' degli anni Sessanta, particolarmente per l'accuratezza bibliografica dei cataloghi; e sono ancora importanti vari volumi della Storia della critica impostata e uscita tra fine degli anni Cinquanta e meta' degli anni Settanta. Ne' si prescinde da molti suoi titoli, a partire dal saggio critico su Boccaccio (1935) fino a Parini e l'Illuminismo lombardo (1961). Infine va notato l'accendersi di nuove curiosita': non solo per i volumi sulla letteratura di massa e di consumo (1979) o sul romanzo poliziesco (1985), terreni ideali per la sociologia della letteratura, ma per l'interesse verso lo strutturalismo, l'idea di canone, le questioni teoriche in genere. E non si dimenticano, infine, i libri per la scuola, molto amati ma anche molto respinti; sempre molto segnati dalla sua personalita', che non e' un demerito, se non secondo i sociologismi letterari. 7. RIVISTE. IL NUOVO NUMERO DI "GAIA - ECOLOGIA, NONVIOLENZA, TECNOLOGIE APPROPRIATE" [Dall'Ecoistituto del Veneto (per contatti: info at ecoistituto.veneto.it) riceviamo e diffondiamo] L'inverno 2003 ci porta il nuovo numero della rivista "Gaia - ecologia, nonviolenza, tecnologie appropriate" che dedica un ampio spazio alla catastrofe sfiorata al Petrolchimico di Marghera il 28 novembre scorso. L'incendio si e' fermato a 20 metri dalla "colonna" del fosgene, tremendo gas asfissiante, presente in enorme quantita', tanto da aver fatto rischiare la morte a decine di migliaia di persone abitanti nel raggio di pochi chilometri (a Marghera, Mestre e dintorni). "Gaia" indica la strada di produzioni piu' sicure, meno inquinanti e basate su risorse rinnovabili, sia nella chimica che, come nel caso Fiat, per uscire dall'auto-lesionismo. Buone notizie da molte citta' della Campania, dove finalmente e' partita una buona (talvolta ottima) raccolta differenziata e riciclo dei rifiuti; al contrario a Trento, a Genova e Torino amministrazioni comunali o provinciali miopi, anche se con assessori "verdi", insistono a voler costruire forni inceneritori costosissimi, energivori e velenosi. "Gaia" si riceve solo per abbonamento, versando 20 euro sul cc postale 29119880 intestato a Ecoistituto del Veneto, viale Venezia 7, 30171 Venezia Mestre. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 479 del 17 gennaio 2003
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