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La nonviolenza e' in cammino. 478
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 478
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 16 Jan 2003 07:14:41 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 478 del 16 gennaio 2003 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo, la cultura del dominio (e alcuni antidoti) 2. Coordinamento comasco per la pace, apriamo luoghi di pace 3. Da Genova no preventivo alla guerra preventiva 4. Pax Christi, una giornata di preghiera e di digiuno per la pace 5. Amelia Alberti, ancora di lupi e di agnelli 6. Carlo Schenone: il porcellino Babe, la televisione e la nonviolenza 7. Patricia Lombroso intervista Rick Halperin 8. Luciano Dottarelli recensisce "Islam e democrazia" di Fatema Mernissi 9. Monica Farnetti recensisce "Approfittare dell'assenza" di Diotima 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LA CULTURA DEL DOMINIO (E ALCUNI ANTIDOTI) [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: dirienzo at tvol.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] La cultura del dominio e' presente anche nelle organizzazioni che si propongono di cancellarlo. Le caratteristiche che di seguito vi elenco sono dannose perche' vengono usate normalmente come standard o regole "gia' date". * Perfezionismo Scarso apprezzamento espresso dalle persone per il lavoro di altre persone; l'unico apprezzamento espresso e' usualmente diretto a coloro che godono comunque di credito. - Molto piu' comune e' sottolineare l'inadeguatezza di persone o del lavoro di persone. - Ancora piu' comune e' il parlare ad altri di tali inadeguatezze e non parlarne direttamente alle persone in questione. - Gli errori sono visti come "la persona": si riflettono negativamente su di essa, impedendo che li si veda per cio' che sono, errori. Fare un errore viene confuso con l'essere un errore, il fare qualcosa di sbagliato con l'essere qualcosa di sbagliato. - Scarsita' di tempo e scarsita' di energia e risorse messe nella riflessione sugli errori, nell'identificare le lezioni che si possono apprendere da essi: in altre parole, nessuno impara dagli errori. - Tendenza ad identificare cio' che e' sbagliato; pochissima capacita' di identificare, nominare ed apprezzare cio' che e' giusto. Antidoti al perfezionismo: sviluppate una cultura dell'apprezzamento, in cui il gruppo si prende tempo per assicurarsi che il lavoro e gli sforzi delle persone siano apprezzati; sviluppate un gruppo aperto all'apprendimento, ove ci si aspetti con tranquillita' che chiunque faccia errori e questi errori divengano un'opportunita' di imparare: spesso gli errori ci guidano verso risultati positivi; separate la persona dall'errore; quando valutate un'azione, parlate di ci' che ha funzionato oltre che di cio' che non ha funzionato; chiedete alle persone che hanno critiche di offrire assieme ad esse suggerimenti per fare le cose in modo differente. * Senso di urgenza, fretta Il continuo percepirsi in "emergenza" rende difficile trovare il tempo di essere inclusivi, di incoraggiare la presa di decisioni in modo democratico e riflessivo, di pensare alle conseguenze a lunga scadenza delle azioni. - Frequentemente questo ha il risultato di sacrificare o allontanare potenziali alleati, allo scopo di ottenere visibilita' ampia e veloce. - E viene rinforzato da progetti di investimento che comportano moltissimo lavoro a fronte di un rientro minimo, e dalla frustrazione di chi ne viene incaricato, che si aspetta molto ed otterra' poco. Antidoti all'urgenza: piani di lavoro realistici; capire che un'azione efficace richiede piu' tempo di quanto ci piacerebbe; discutere e pianificare all'interno del gruppo il raggiungimento degli scopi dell'inclusivita' e del riconoscimento/rispetto delle differenze; imparare dalle passate esperienze, dal tempo che hanno preso; sviluppare progetti di investimento realistici, con altrettanto realistiche prospettive temporali; essere chiari sul modo di prendere buone decisioni velocemente in caso di necessita'. * Stare sulla difensiva La struttura del gruppo e' tale che molta energia viene spesa nel difendersi da possibili abusi e nel proteggere il potere cosi' com'e', anziche' facilitare i modi per cui ogni persona possa dare il meglio di se', e senza che vi sia chiarezza su che potere ha chi ce l'ha, e come ci si aspetta che egli/ella lo usi. - La critica al potere e' vista come minacciosa, inappropriata o maleducata. - Le persone rispondono ad idee nuove o che comportano delle sfide stando sulla difensiva, e cio' rende molto difficile che tali idee vengano espresse o sostenute. - Molta dell'energia del gruppo e' spesa nel tentare di non urtare i sentimenti altrui, o nel lavoro per discutere con persone sulla difensiva. - Lo stare sulla difensiva di persone che detengono potere crea una clima ed una cultura oppressivi. Antidoti allo stare sulla difensiva: capire la connessione fra lo stare sulla difensiva e la paura (di perdere il potere, di perdere la faccia, di perdere comfort, di perdere privilegi); lavorare sui propri meccanismi difensivi; dare fiducia alle altre persone, la fiducia che possano gestire piu' cose di quante pensate; discutere su come lo stare sulla difensiva si traduca nel minor emergere di nuove idee e prospettive rispetto alla "mission" del gruppo. * La quantita' piuttosto della qualita' Tutte le risorse del gruppo sono dirette verso scopi "misurabili", "pesabili". Le cose che possono essere misurate vengono valutate molto di piu' delle altre: per esempio, il numero di persone presenti ad un incontro, il numero di newsletter circolate, l'ammontare di denaro speso... a tutto cio' viene dato maggior valore rispetto alla qualita' delle relazioni, alla democrazia del processo decisionale, alla capacita' di gestire costruttivamente il conflitto. - Nessun valore attribuito al processo decisionale: non puo' essere misurato, non serve a niente. - Disagio rispetto all'espressione di emozioni e sentimenti. - Il non capire che quando vi e' un conflitto fra il contenuto (l'ordine del giorno dell'incontro) e il processo (il bisogno delle persone di essere ascoltate o coinvolte), il processo prevarra': per esempio, voi potete esaurire tutto l'ordine del giorno, ma se non avete prestato attenzione alla necessita' delle persone di essere ascoltate, le decisioni prese all'incontro sono deboli, e verranno disattese. Antidoti alla quantita': includere come scopo nella pianificazione un processo decisionale di qualita'; assicurarsi che il gruppo abbia uno "statuto dei valori" in cui siano espressi i modi in cui volete fare il vostro lavoro, e che tale documento sia uno strumento "vivo", che le persone usano di giorno in giorno per orientarsi; cercate metodi per misurare come raggiungete gli scopi del processo decisionale scelto (se ad esempio l'inclusivita' e' uno di essi, pensate a sistemi per capire se l'avete raggiunta oppure no, e in che misura); imparare a riconoscere quei momenti in cui e' necessario uscire dall'ordine del giorno e rispondere alle preoccupazioni inespresse delle persone. * Adorazione della parola scritta - Se non c'e' nel verbale, o in un appunto, non esiste. - Il gruppo non valuta o contempla altri modi in cui le informazioni possono essere condivise. - Le persone fortemente documentate o capaci di scrivere sono valutate di piu', anche nei gruppi in cui l'abilita' nel tessere relazioni con altri e' la chiave della "mission" del gruppo. Antidoti all'adorazione della parola scritta: prendersi il tempo per analizzare come le persone, dentro e fuori l'organizzazione, ricevono e condividono informazioni; pensare a modi alternativi per documentare quanto sta accadendo; lavorare per il riconoscimento di tutti i contributi e le abilita' che ogni persona porta al gruppo. * Un solo modo e' quello giusto E' il credere che esista un solo modo corretto per fare le cose, e che spiegandolo alle persone esse "vedranno la luce" e lo adotteranno. - Quando le persone non si adattano o non cambiano, allora c'e' qualcosa di sbagliato in loro, non in noi, che conosciamo il "giusto" modo. - Allo stesso modo di chi intende catechizzare gli altri alla propria fede, i valori delle altre comunita' non vengono "visti". Antidoti a un solo modo: accettare che c'e' piu' di una maniera per giungere allo stesso risultato; una volta che il gruppo ha preso una decisione su quale modo adottare, onorate quella decisione e cercate di capire cosa voi e l'organizzazione potrete imparare su quella strada; quando notate la tendenza di una persona o di piu' persone a "spingere" in continuazione sullo stesso punto, perche' vi e' "un solo modo giusto", nominatela; quando lavorate con comunita' di cultura diversa dalla vostra, mettete in chiaro che il vostro gruppo deve apprendere i modi di agire di tale comunita': non presumete mai, ad esempio, che perche' siete anti-razzisti, sapete cos'e' meglio per una comunità di migranti. * Paternalismo Il modulo decisionale e' chiaro a chi ha il potere e non chiaro a coloro che ne sono privi. - Coloro che detengono il potere pensano di essere capaci di prendere decisioni anche nell'interesse di coloro che ne sono privi. - Queste stesse persone spesso non pensano che sia importante o necessario capire i punti di vista e le esperienze di coloro per i quali prendono decisioni. - Le persone prive di potere non comprendono in che modo le decisioni si formano, ma hanno completa familiarita' con l'impatto che le decisioni hanno su di loro. Antidoti al paternalismo: assicuratevi che ciascuno sappia e capisca come si prendono le decisioni nell'organizzazione, che livello di responsabilita' ha ciascuno; includete le persone su cui si prendono le decisioni nel modulo decisionale. * Il pensiero o/o Le cose sono: o/o, buone/cattive, giuste/sbagliate, con noi/contro di noi. E' strettamente collegato al perfezionismo nel rendere difficile imparare dagli errori o risolvere un conflitto. - Non si immagina neppure che le cose possano essere "entrambe" o "e/e". - Si tenta di semplificare cose complesse, e il risultato e' per esempio il credere che la poverta' sia semplicemente una mancanza di scolarita'/educazione. - Crea il conflitto, e aumenta il senso d'urgenza, perche' le persone sentono che devono prendere decisioni per fare questo o quello, senza che sia offerto tempo o incoraggiamento a considerare alternative. Antidoti al pensiero o/o: quando le persone usano questo tipo di linguaggio, chiedete loro di offrire piu' di due alternative; non semplificate questioni complesse, particolarmente se una decisione urgente dev'essere presa: rallentate, spingete verso un'analisi piu' profonda; quando le persone si trovano di fronte alla necessita' di prendere una decisione urgente, fate una pausa e date loro spazio per pensare creativamente; evitate di prendere decisioni sotto pressione. * Accumulo di potere Scarso o addirittura nessun valore conferito alla condivisione del potere. - Il potere e' visto come "limitato": ce n'e' solo quel tanto. - Coloro che lo detengono si sentono minacciati ogni volta in cui qualcuno suggerisce cambiamenti sulle azioni del gruppo, perche' i suggerimenti di cambiamento si riflettono sulla loro leadership. - Sempre costoro, non ritengono di accumulare il potere su se stessi, ne' percepiscono che li si teme. - I detentori del potere pensano di avere le migliori intenzioni, e l'interesse primario del gruppo a cuore, e che chi vuole un cambiamento e' male informato, stupido, emotivo, privo di esperienza. Antidoti all'accumulo di potere: includere nello statuto dei valori del gruppo la condivisione del potere; discutete sul fatto che se volete smantellare il dominio dovete cominciare da voi stessi, condividendo responsabilita', capacita', esperienze; accettate il fatto che i cambiamenti sono inevitabili: portano delle sfide, ma sono sani e produttivi; assicuratevi che il gruppo sia focalizzato sulla "mission". * Paura del conflitto aperto Si teme il conflitto, si tenta di ignorarlo, o lo si fugge. - Quando qualcuno solleva un problema che causa disagio, la risposta e' biasimare quella persona, anziche' discutere di che istanza sta alla base del problema stesso per risolverlo. - Enfasi sull'essere educati, o "in linea". - Scenari minacciosi vengono prospettati (ad esempio: "Stai spaccando il movimento!"). Antidoti alla paura del conflitto: provate "giochi di ruolo" che simulino il conflitto prima che questo si presenti veramente; distinguete fra l'essere corretti e il sollevare istanze difficili; non chiedete a chi solleva queste ultime di farlo in modi "accettabili" per evitare che le istanze vengano discusse; quando il conflitto e' risolto, prendetevi l'opportunita' di analizzarlo e di vedere se poteva essere gestito in altri modi. * Individualismo Scarsa esperienza nel lavoro di gruppo, o disagio nel lavoro stesso. - Le persone che fanno parte dell'organizzazione pensano di essere responsabili del dover risolvere i problemi da sole. - Le responsabilita' non sono mai precise, vagano di qua e di la'. - Conduce all'isolamento. - La competizione e' valutata meglio della cooperazione, poco tempo e poche risorse vengono dedicate all'apprendere le abilita' necessarie a cooperare. Antidoti all'individualismo: includete la capacita' e la volonta' di lavorare in gruppo nel vostro "statuto dei valori"; assicuratevi sempre che il gruppo stia lavorando per conseguire obiettivi condivisi e che le persone capiscano come il lavorare insieme faccia ottenere migliori risultati; date riconoscimento a tutti quelli che partecipano allo sforzo collettivo, non solo alle persone maggiormente "pubbliche"; create una cultura interna al gruppo per cui le riunioni divengano il luogo della risoluzione dei problemi, non solo il luogo in cui si riportano le azioni compiute. * Io son il solo Connessa all'individualismo, e' la convinzione che "se voglio che qualcosa sia fatto bene devo farlo io". - Scarsa o nessuna capacita' di delegare il lavoro ad altri. Antidoti a "io sono il solo": date valore alla capacita' di lavorare in gruppo, di raggiungere obiettivi condivisi; date riconoscimento alla capacita' di delegare ad altri. * Progredire significa "piu' grande", "di piu'" Presente nei sistemi di valutazione delle azioni e nei modi in cui si definisce il successo di un'azione. - Un gruppo che progredisce e' un gruppo che si espande (aggiunge attivisti, aggiunge progetti) o sviluppa la capacità di "servire" piu' persone (senza tener conto di quanto bene le serve). - Non si da' alcun valore, nemmeno negativo, al costo di tale "progredire", alla qualita' delle azioni, a quanti in nome di questo "di piu'" vengono esclusi od espropriati. Antidoti al progredire significa "piu' grande": provate con "la riflessione sulla settima generazione", ovvero chiedendovi come le azioni del gruppo influiranno sulle persone fra sette generazioni a partire da ora; assicuratevi che ogni analisi costi/benefici includa tutti i costi, non solo quelli finanziari: per esempio il costo in etica, il costo in credibilita', il costo in consumo delle risorse; fate in modo che i vostri progetti includano la trasmissione di come volete fare quello che fate, dei metodi che usate; chiedete a coloro per i quali lavorate di dare una valutazione sulle vostre azioni. * Oggettivita' E' il convincimento che esista qualcosa come "l'essere oggettivi". - Le emozioni sono intrinsecamente distruttive, irrazionali, e non devono avere posto nel processo decisionale. - Invalidare l'esperienza di coloro che mostrano emozioni. - Richiedere alle persone di pensare in modo "lineare" ed ignorare o delegittimare coloro che pensano in altri modi. - Impazienza e fastidio verso tutto quanto non appaia "logico". Antidoti all'oggettivita': capire che ciascuno di noi ha una visione del mondo, e che tale visione informa i modi in cui comprendiamo le cose: capite che questo significa anche voi; pensate che ognuno ha un pezzetto di verita', e che e' importante mettere i pezzetti insieme; se quando qualcuno si esprime in modi che non vi sono familiari tendete a non ascoltare, escogitate qualche trucco che mantenga all'erta la vostra attenzione (sedetevi in modo da provare disagio, per esempio). 2. INIZIATIVE. COORDINAMENTO COMASCO PER LA PACE: APRIAMO LUOGHI DI PACE [Dal Coordinamento comasco per la pace (per contatti: e-mail: comopace at cracantu.it) riceviamo e diffondiamo] Torna, dal prossimo primo febbraio e fino al 25 aprile, l'appuntamento del Coordinamento comasco per la pace con "Apriamo luoghi di Pace", l'iniziativa itinerante destinata a realizzare quotidianamente sul territorio spazi di riflessione in alternativa alla logica della guerra. L'iniziativa si terra' nel territorio comasco. Il programma con tutte le date e le informazioni necessarie verra' pubblicato sul sito www.comopace.org appena possibile. Di seguito il manifesto dell'iniziativa. * Una nuova guerra sta per essere scatenata. No, non e' cosi', la guerra contro la popolazione irachena e' in corso da oltre dieci anni, condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna, con l'embargo e con i bombardamenti che mai hanno avuto fine. Ora si vuole eliminare il dittatore che tanto ha servito gli interessi del mondo occidentale, sia quando, da amico, era il baluardo della "nostra civilta'" contro l'Iran di Khomeini, sia quando, da nemico, ha dato agli Usa il pretesto per collocarsi in forze in una delle zone piu' importanti per il controllo delle scorte di petrolio. Ora gli Stati Uniti vogliono prendere direttamente il possesso del paese che custodisce la seconda riserva petrolifera mondiale, proprio cio' di cui il mercato ha bisogno, per fornire combustibile agli sprechi della societa' dei consumi. Tutte le principali guerre di questi anni sono state combattute dagli Usa per assicurarsi il controllo delle riserve strategiche di petrolio e gas naturale. Dobbiamo pensare da subito alla possibilita' di fonti di energia alternative all'oro nero che tra qualche decennio sara' sempre meno disponibile. La transizione verso altre risorse energetiche e, soprattutto, verso un altro modello di societa', puo' essere indolore solo se progettata per tempo. Ma non sembra essere questa la direzione verso la quale ci stiamo movendo, e allora appare chiara l'utilita' dei criminali come Saddam Hussein e del terrorismo in generale nell'ottica del controllo militare delle riserve energetiche. Con l'idea di guerra preventiva si tenta di occultare, preventivamente, i nuovi crimini che saranno messi in atto in virtu' della nostra sottomissione al dio mercato. Per convincerci della bonta' di questa guerra preventiva, si semina paura, e la paura crea il clima adatto. Mentre la televisione s'incarica di far si' che le torri gemelle di New York crollino tutti i giorni, si aumenta la tensione con una minaccia tremenda: l'Iraq potrebbe di nuovo usare armi chimiche e, cosa molto piu' grave, un giorno potrebbe arrivare ad avere armi nucleari. L'umanita' non puo' permettersi quel pericolo, proclama il presidente dell'unico paese che abbia mai usato armi nucleari contro la popolazione civile. Le guerre preventive uccidono nel dubbio, non per le prove. Infatti di prove dellíesistenza dell'armamento nucleare, batteriologico, chimico di Saddam Hussein non se ne sono viste. Ma la guerra pare inevitabile, anche se non si capisce perche' l'arma atomica puo' essere pericolosa nelle mani irachene e non anche in quelle indiane, pakistane, russe, nordamericane, israeliane e di chiunque altro. Se l'Italia dovesse prendervi parte, con o senza l'approvazione delle Nazioni Unite, saremmo coinvolti in un'azione doppiamente criminale: poiche' la guerra e' sempre omicidio di massa e poiche' la partecipazione italiana configurerebbe la violazione della nostra Costituzione. Il governo, il parlamento e il presidente della Repubblica che facessero un tale passo si collocherebbero di nuovo fuori della legge e noi tutti, cittadini italiani, avremmo l'obbligo morale e giuridico di opporci efficacemente alla guerra in nome del diritto, dell'umanita', della stessa legge fondamentale della nostra Repubblica. Cosi', un anno dopo la guerra afgana, mentre con altre motivazioni di facciata si sta preparando un nuovo massacro, sono ancora identiche le problematiche mondiali irrisolte che ci interrogano quotidianamente: il concetto di guerra e dei suoi strumenti; la definizione di nemico; i concetti di pace, di giustizia e di solidarieta'; il concetto di difesa; il ruolo dell'Onu e degli organismi sovranazionali; il ruolo delle religioni e delle chiese; il ruolo del singolo e della sua coscienza; il sistema economico mondiale; il ruolo della politica. * Noi proponiamo di continuare ad aprire Luoghi di Pace che possano servire: come occasione di riflessione condivisa, serena, documentata e non preconcetta per chiunque ne senta il bisogno; come testimonianza, semplice ma viva, che non esiste solo la strada della guerra; come modalita' nonviolenta ed aperta di interazione tra singoli e gruppi; come costruzione di possibili modalita' alternative alla violenza e al sistema vigente. La proposta e' semplice: a partire dal primo febbraio e fino al 25 aprile 2003 le associazioni, i Comuni, le parrocchie, le persone aderenti all'iniziativa, ogni giorno, a turno, renderanno disponibile la loro sede o la loro casa (nei limiti della disponibilita' di spazio di ciascuno) per due ore al mattino, pomeriggio o sera organizzando, nelle forme che riterranno opportune, un momento di approfondimento e riflessione. E' possibile prevedere scambi di opinioni spontanee, conferenze, animazioni, proiezione di audiovisivi e filmati, creazione di documenti, di materiale fotografico, celebrazioni religiose, laboratori di approfondimento, cene, concerti, spettacoli e tanto altro. In questo modo potra' essere stilato un calendario che per il momento prevede di arrivare fino al 25 aprile, una data che per noi italiani significa fine della guerra, liberazione, speranza nel futuro. L'eventuale prosecuzione sara' concordata in base allo svolgersi degli eventi internazionali e in base all'andamento dell'esperienza, che vedra' ogni gruppo impegnato una o piu' volte al mese, a seconda del numero degli aderenti. Per tenere un filo conduttore dell'iniziativa e' importante che ogni associazione o Comune produca un sintetico contributo scritto riguardo la serata dallo stesso organizzata. Il contributo verra' inviato a tutte le altre associazioni o Comuni partecipanti. Il simbolo dei Luoghi di pace, insieme a questo manifesto, sara' esposto durante le manifestazioni. Per informazioni, adesioni e per segnalare le iniziative: tel. 031701517 - 031731445; e-mail: muretona00 at cracantu.it, comopace at cracantu.it 3. INIZIATIVE. DA GENOVA NO PREVENTIVO ALLA GUERRA PREVENTIVA [Da Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo questo appello sottoscritto da varie associazioni genovesi] Mentre cerchiamo di contrastare la presenza dei soldati italiani in Afghanistan, il nostro paese sta per essere direttamente coinvolto nella guerra che gli Usa stanno preparando contro l'Iraq. Non vogliamo rassegnarci a questa follia distruttiva, e chiamiamo ancora una volta tutti e tutte a far sentire il loro rifiuto incondizionato: no alla guerra senza se e senza ma; con l'Onu o senza l'Onu. Sabato 18 gennaio in molte citta' degli Stati Uniti si svolgeranno manifestazioni contro la guerra: non tutti gli statunitensi la pensano come Bush. Lo stesso giorno ricorre l'anniversario dell'inizio della guerra del Kosovo, un'altra della guerre che hanno visto in tempi recenti coinvolto il nostro paese, anche in spregio del dettato costituzionale. I movimenti statunitensi hanno lanciato appelli per una mobilitazione internazionale che dia forza alla loro protesta. I forum europei hanno raccolto il loro invito, proponendo iniziative nelle diverse citta', anche in preparazione della prima manifestazione europea e mondiale del 15 febbraio; ed hanno indicato l'esigenza che la costituzione europea veda all'art.1 il rifiuto della guerra ed il diritto alla pace. Per il 18 gennaio proponiamo di occupare ancora una volta piazza Matteotti (ore 15 - 17,30) con mostre, striscioni e bandiere della pace; ed invitiamo singoli ed organizzazioni a motivare il proprio no alla guerra. In piazza saranno disponibili cartelli da indossare o da esporre: la parte superiore sara' occupata da un grande "no alla guerra"; nella parte inferiore ciascuno sara' invitato a comunicare con parole, disegni o altro, le motivazioni e le caratterististiche del proprio rifiuto. Alle ore 16,30 in punto proporremo di osservare un minuto di silenzio, dedicato a tutte le vittime dei mercanti d'armi e delle forze armate italiane. 4. INIZIATIVE. PAX CHRISTI: UNA GIORNATA DI PREGHIERA E DI DIGIUNO PER LA PACE [Diffondiamo questo comunicato diffuso il 14 gennaio dal movimento cattolico per la pace Pax Christi. Per contatti: segreteria nazionale di Pax Christi, tel. 0552020375, e-mail: info at paxchristi.it, sito: www.paxchristi.it] Digiuno, preghiera, riflessione, impegno per la pace. Sono le proposte contenute nella lettera che Pax Christi ha inviato a tutti i vescovi italiani in preparazione dell'anniversario dello storico incontro del 24 gennaio 1986 tra il papa e i rappresentanti delle varie religioni tenutosi ad Assisi. La proposta, che trova l'adesione e il sostegno della Caritas Italiana e dell'Azione Cattolica, intende riprendere anche la proposta del papa del 14 dicembre 2001 che invitava al digiuno e "a pregare con fervore Dio perche' conceda al mondo una pace stabile, fondata sulla giustizia, e faccia si' che si possano trovare adeguate soluzioni ai molti conflitti che travagliano il mondo". "Sarebbe bello e significativo che le parrocchie che aderiscono all'iniziativa espongano sulla facciata della propria chiesa o sul campanile una bandiera della pace - ha dichiarato Tonio Dell'Olio, coordinatore nazionale di Pax Christi - per indicare la volonta' di pace dei credenti in Cristo e far sapere che in quella Chiesa si sta pregando e progettando per la pace". E' un modo, questo, per dare eco e sostegno "ai si' e ai no" pronunciati con ferma determinazione da Giovanni Paolo II ieri nel discorso tenuto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. 5. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: ANCORA DI LUPI E DI AGNELLI [Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient at tiscalinet.it) per questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente e collaboratrice di questo foglio] "Dopo avere lasciato scivolare di almeno un mese l'Ora X dell'attacco all'Iraq dalla fine di gennaio alla fine di febbraio il presidente americano George W. Bush torna a fare la voce grossa e mostra impazienza: 'Sono stanco e stufo' degli inganni iracheni - dice; il tempo perche' Saddam Hussein disarmi "sta scadendo". Parole, perche' Bush non fissa una scadenza e quindi non si capisce rispetto a cosa il tempo stia scadendo. Ma parole minacciose". Cosi' riporta un editoriale de "La Stampa" del 14 gennaio 2003, dal titolo: Bush, l'ultimatum a Saddam sta scadendo. Pronta a salpare per il Golfo una flotta di sette navi con 7.000 marines. Con gli atteggiamenti dell'iracondo Bush torna a venire alla mente la favoletta del lupo e dell'agnello, con il lupo che ad ogni costo vuole divorare l'agnello, ci siano o non ci siano giustificazioni. Nella favola di Fedro attorno ai due si immagina soltanto il ruscello, il prato, un boschetto e, in lontananza, cime nevose. Nessun testimone assiste all'iniqua esecuzione, nessuno tenta di impedirla o di accreditarla. Nella vicenda dei nostri tempi, invece, abbondano le comparse, che si affollano (alcune fin dall'inizio, altre in un secondo tempo) a monte, dalla parte del lupo, con diversi intenti: che il lupo, non sazio dell'agnello, non si rivolti contro gli amici; che il lupo lasci qualche avanzo di agnello per gli amici. (Naturalmente la descrizione come timido agnello non concerne un sanguinario dittatore criminale come Saddam Hussein, ma il gia' tanto martoriato popolo iracheno). 6. RIFLESSIONE. CARLO SCHENONE: IL PORCELLINO BABE, LA TELEVISIONE E LA NONVIOLENZA [Ringraziamo Carlo Schenone (per contatti: schenone at email.it) per questo intervento. Carlo Schenone e' una delle figure piu' note dell'impegno nonviolento in Italia] Mi e' capitato quasi casualmente di fare gratuitamente uno spot a favore della nonviolenza, che acquistato sarebbe costato circa un milione di euro. Stimolato dai miei figli che spesso guardano un quiz alla tv con il quale a volte mi diverto con loro a rispondere, mi sono candidato per partecipare al quiz. Dopo un certo numero di selezioni, e' arrivata la registrazione della puntata. Al momento in cui sono stato eliminato (verso la fine) ho chiesto di fare i canonici saluti. Ho salutato i miei bambini e poi ho ricordato "tutti i bambini che per la follia degli adulti rischiano di morire nella guerra che si sta preparando" e ho poi invitato "tutti coloro che non sono d'accordo che venga fatta questa guerra ad appendere ai propri balconi delle bandiere con su scritto pace" e intanto ho srotolato la bandiera arcobaleno con su scritto pace che mi ero portato dietro e l'ho appesa davanti alla mia postazione intanto che il regista allargava il campo per riprendere me e la bandiera. In quel momento nello studio si e' levata una ovazione con tutto il pubblico che applaudiva e urlava "bravo", i tecnici che venivano a stringermi la mano e le ballerine che mi davano delle pacche sulla spalla. A quel punto mi sono allontanato salutando. La trasmissione della puntata dovrebbe andare in onda su Rai 1 subito prima del telegiornale della sera, dalle 18,45 alle 20, venerdi' 17 gennaio, il giorno prima della manifestazione internazionale per la pace e contro la guerra. Purtroppo non posso assicurare che il mio "saluto" non venga tagliato, ma nel caso non lo sia, penso che potrebbe invogliare qualcuno a cercare una bandiera da appendere (l'audience della trasmissione che tutte le volte viene ripetuto e' di 7 milioni di persone che in genere non sono molto politicizzate). Ho pensato che fosse una buona occasione per parlare, far emergere il dissenso alla guerra e far conoscere l'iniziativa delle bandiere di pace che e' stata lanciata da un gruppo di associazioni e su cui si possono trovare ulteriori informazioni sul sito www.bandieredipace.org, e penso che la cosa puo' essere interessante anche, e forse ancor piu', se venisse censurata. Spesso i media ci usano e noi non riusciamo ad usare loro. In questo caso io mi sono fatto usare per poterli in qualche modo usare. Con questo concordo sul fatto che il modello comunicativo televisivo dovrebbe essere pesantemente contestato (senza escludere il fatto che quasi sempre quando il "movimento dei movimenti" prova a comunicare si adegua pedissequamente a tale modello). Ma d'altra parte bisognerebbe anche evitare di essere troppo ingenui. Per esempio quando si propone il boicottaggio della tv cosa si pensa di fare? Chi dovrebbe fare questo boicottaggio? Gli impegnati e i coinvolti, quelli che leggono le nostre mailing list o i "nostri" giornali spesso lo fanno gia' o perche' tra riunioni e incontri ben raramente hanno il tempo di guardare la tv o perche' in quelle rare occasioni, se non si sceglie di leggere posta elettronica o libri, viene fatta una selezione dei programmi, per cui il boicottaggio significherebbe levare audience a quei programmi che sono piu' interessanti e che rappresentano quella parte di tv che e' come dovrebbe essere tutto il resto. Tutti gli altri, il "popolo bruto", non vengono neppure a sapere del boicottaggio e poi, se anche venissero a saperlo, penserebbero subito che intanto nessuno se ne accorgerebbe, che in fondo hanno anche loro il diritto di rilassarsi un po' la sera o cose del genere. A cio' si aggiunga che il boicottaggio dovrebbe essere rilevato con sistemi come l'auditel che si basa su un campione ben selezionato di persone non scelte casualmente (quanti ne conoscete delle migliaia di italiani con l'auditel?) solo tra gli assidui teleutenti, per di piu' con uno strumento che puo' dare valori significativi tali da giustificare la selezione del teleutente solo se manovrato da qualcuno veramente convinto dell'importanza del suo ruolo di teleutente campione, che ovviamente ben difficilemente puo' essere impersonato da un contestatore del sistema. Potete immaginarvi quanto l'auditel sarebbe influenzato da un boicottaggio cosi' concepito. Praticamente il boicottaggio lo farebbero solo quelli che gia' non vedono la tv e/o non vengono rilevati dall'auditel (anche perche' in tal caso gli verrebbe levato il meccanismo) per cui non se ne "accorgerebbe" nessuno. Quando si intraprende una iniziativa bisognerebbe non solo valutare cio' che noi vorremmo avvenisse (magari immaginando che il resto del mondo sia come noi) ma soprattutto valutare cio' che si ottiene considerando che spesso il mondo e' ben diverso da noi. La parabola evangelica che invita ad essere "come agnelli in mezzo ai lupi" non chiede di diventare lupi feroci, ma neppure di agire come se si fosse nel bel mezzo di un gregge di pecore. Spesso invece si agisce affermando che tutti gli altri sono lupi aspettandosi poi da loro delle azioni da pecore. Bisognerebbe invece saper distinguere i lupi dalle pecore ma anche le pecore dai cani da pastore che in fondo tanto cattivi non sono ma che seguono ordinatamente cio' che il padrone gli dice ma ancora meglio cio' che si aspettando di sentire dal padrone che hanno dentro di loro. E parlare ad ognuno a seconda delle loro possibilita' di comprensione e del loro linguaggio. E tanto per citare un'opera realizzata da chi ha potere ma che, se utilizzata correttamente, puo' essere molto utile anche per chi potere non ne ha, provate a vedere cosa fa "Babe il maialino" (pur considerando che anche lui alla fine esegue quello che gli dice il "padrone" non molto diversamente da quello che in fondo facciamo tutti noi). 7. DIRITTI UMANI. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA RICK HALPERIN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 gennaio 2003] Per Leroy Orange, da 19 anni nel braccio della morte, come per tutti gli altri 167 detenuti che hanno visto la loro condanna commutata con un colpo di spugna dal governatore repubblicano dell'Illinois George Ryan, la semplice risposta da dare ai giornalisti e' stata: "Vivra'". "E' una decisione che per la sua entita' segnala un cambiamento storico. E' un passo in piu' verso l'ammissione che gli Stati Uniti hanno finora detenuto un primato di barbarie nel mondo civilizzato. La pena di morte verra' abolita: non e' piu' questione di 'se' ma di 'quando' cio' avverra'". E' questo il primo commento di Rick Halperin, presidente onorario di Amnesty International e presidente della Texas Coalition for abolishing the Death Penalty, nell'intervista al "Manifesto", dopo l'annuncio del governatore Ryan a Chicago. - Patricia Lombroso: Quale influenza avra' questa decisione storica in Illinois per tutti gli altri 3.800 condannati in attesa dell'esecuzione? - Rick Halperin: La Corte suprema gia' nel giugno scorso ha espresso delle decisioni che indicavano un proprio ripensamento in materia di pena di morte. Dichiaro' anticostituzionale l'esecuzione di ritardati mentali per i quali la sentenza fosse stata espressa da uno o piu' giudici, senza l'unanimita' dei giurati. Questa e' stata la prassi seguita sino ad oggi da tribunali e giudici in molti stati del sud degli Stati Uniti, soprattutto nei processi contro accusati indigenti, in stragrande maggioranza afroamericani e latini; ma anche bianchi poveri delle zone rurali. Questa decisione diventera' esecutiva e dovra' essere applicata in nove stati dove ancora e' praticata la pena capitale. - P. L.: Quanti sono i ritardati mentali, sui 3.800 detenuti nei bracci della morte? - R. H.: E' stato accertato che la percentuale di malati di mente si colloca tra il 15 e il 20 per cento. Sono mille persone destinate ad essere uccise che grazie a questa decisione avranno la possibilita' di salvarsi. Cio' premesso, l'America vanta ancora il primato barbaro, per il 2002, di aver ucciso 71 persone; di queste, quante erano innocenti? Chi merita comunque un nuovo processo? Per Bush ed Ashcroft, entrambi zeloti della pena di morte, erano tutti colpevoli. Di fatto, solo in dicembre, mentre il mondo celebrava la Giornata dei diritti universali dell'uomo, quattro persone sono state giustiziate. - P. L.: E' forse cambiato l'atteggiamento in Texas, da quando Bush non e' piu' governatore? - R. H.: Quest'anno, su 71 detenuti mandati a morte, oltre la meta' sono stati uccisi in Texas. Quando Bush era governatore, approvo' senza remore ben 152 esecuzioni. Per Bush, tutti coloro che finiscono nel braccio della morte erano colpevoli. Risulto' poi che per ben 67 degli uccisi, l'esame del Dna provava la loro innocenza. Il suo successore Rick Terry ha gia' raggiunto il record di 48 esecuzioni in due anni. Nel mese di gennaio e febbraio sono previste altre dieci esecuzioni. - P. L.: La decisione di Ryan potra' influenzare l'opinione pubblica americana? - R. H.: I sondaggi di opinione cui ci si affida improvvidamente omettono di completare le risposte fornite dagli intervistati in materia di pena di morte. Se si pone loro l'alternativa della prigione a vita senza il diritto alla liberazione anticipata, la maggioranza favorevole al boia indicata da tutti i media cala al 47 per cento. - P. L.: Quali atti concreti potrebbero portare all'abolizione della pena di morte negli Stati Uniti? - R. H.: Questo paese riconosce soltanto il diritto del dio denaro. Europa ed Italia hanno espresso in modo eloquente la loro opposizione alla pena di morte. Verbalmente soprattutto. Purtuttavia l'Europa e la comunita' del business europeo continuano a trarre profitti da un giro d'affari di 44 miliardi di dollari nei commerci con lo stato del Texas. E' un po' essere complici dello stato della morte. La citta' di Reggio Emilia ha stabilito una relazione di gemellaggio culturale ed economico con la citta' di Forth Worth, in Texas. Noi abbiamo invocato invece il boicottaggio a livello culturale ed economico. 8. RIFLESSIONE. LUCIANO DOTTARELLI RECENSISCE "ISLAM E DEMOCRAZIA" DI FATEMA MERNISSI [Ringraziamo Luciano Dottarelli (per contatti: ldottarelli at libero.it) per questo intervento. Luciano Dottarelli, docente e saggista, apprezzatissimo pubblico amministratore, e' uno dei collaboratori piu' autorevoli, e egli amici piu' cari, di questo foglio. Tra le opere di Luciano Dottarelli: Popper e il gioco della scienza, Erre Emme, Roma 1992; Kant e la metafisica come scienza, Ere Emme, Roma 1995. Fatema Mernissi e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, docente di sociologia, studiosa del Corano, narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002] "Mettere in pratica la politica della 'scrittura instancabile': piu' la polizia vieta, piu' bisogna scrivere. Quando il lavoro di una donna viene censurato, lei non deve scoraggiarsi. Invece di scrivere cinque pagine al giorno, deve produrne sei o sette. L'obiettivo e' di sommergere il censore con la quantita' di letture che deve fare per 'stare al passo'": la chiave della scrittura, personalissima, di Fatema Mernissi sta forse soprattutto nella fedelta' a questo principio. Una foga di scrivere che scaturisce da un fortissimo coinvolgimento personale, da una intensa partecipazione, insieme emotiva e razionale, alla condizione di frustrazione e al "desiderio di andare altrove, di una migrazione collettiva verso un altro presente", che e' la cifra piu' tipica del mondo arabo di oggi. Anche in questo libro (Islam e democrazia. La paura della modernita', Giunti, Firenze 2002, euro 12), la ricostruzione storica, la riflessione filosofica e l'analisi sociologica si intrecciano alla confessione personale e all'impegno di lotta, realizzando un impasto di scrittura che ricorda la libellistica fiorita in Occidente nell'eta' dell'Illuminismo. E non e' un caso che proprio nella tradizione illuministica la scrittrice e sociologa marocchina riconosca la principale radice fondativa della moderna dimensione culturale dell'Occidente, caratterizzata dalla democrazia e dai principi del rispetto della liberta' individuale, come risultano codificati nella loro veste piu' universale ed efficace dalla Carta delle Nazioni Unite, il testo che, benche' sottoscritto anche da tanti Stati musulmani, nel conflitto tra islam e democrazia viene assunto come contraltare simbolico del Corano. Il compito che Fatema Mernissi si propone e' quello di portare alla luce le motivazioni profonde, ancestrali della paura dell'Occidente, ricostruendo l'intero passato della civilta' araba e superando quella sorta di tabu' che impedisce di scavare nel tempo zero dell'islam, la jahiliyya, il caotico, disordinato e violento mondo preislamico, regno della liberta' individuale esasperata e arrogante, che precedette la riduzione ad uno e la pacificazione operata dalla predicazione egualitaria e dall'azione politica del Profeta. L'art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ("Ogni individuo ha diritto alla liberta' di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la liberta' di cambiare di religione o di credo"), che appare "l'esatta definizione" della jahiliyya, introduce contraddittoriamente nel presente e proietta nel futuro del mondo arabo la minaccia del disordine preislamico, su cui fanno leva sia i despoti al governo che i "mercanti di speranza" del terrorismo fondamentalista. Il tempo zero dell'islam era anche l'epoca in cui sul cielo e sulla terra regnavano dee assetate di sangue, dee di guerra e di morte ed e' per questo che esso risulta soprattutto evocato, con il suo carico angosciante di violenza e disordine, dall'idea del potere femminile. L' harem, lo spazio femminile separato da quello maschile dove il califfo gestiva il potere e usava la violenza, e l'hijab, il velo che nasconde la differenza femminile, sono sintomi e rimedi per esorcizzare questa paura del passato. Un passato con il quale si devono invece fare i conti fino in fondo nella convinzione che "la nostra modernita' dipendera' dalla riappropriazione di tutto cio' che opera negli strati profondi del nostro inconscio". L'opera di costruzione di un'identita' compiuta e dinamica per il mondo arabo-islamico, attraverso la comprensione e razionalizzazione delle sue paure arcaiche, e' condotta da Fatema Mernissi sul solco di quell'"avanguardia temeraria" che e' il femminismo arabo, come testimoniano altri suoi libri, gia' tradotti in Italia: Le donne del Profeta (Ecig 1992), Le sultane dimenticate (Marietti, 1992), La terrazza proibita (Giunti, 1996) e L'harem e l'Occidente (Giunti, 2000). Ma nell'orizzonte piu' ampio di questo saggio, l'autrice ha la possibilita' di collocare la sua battaglia per la democrazia, per l'accesso alla conoscenza e per il pluralismo sulla scia di una piu' antica tradizione, che e' parte viva della storia dell'islam e sta a ricordarci che il rispetto per l'individuo e la sua liberta' "non sono esclusiva proprieta' dell'Occidente". E' la ricca tradizione razionalistica ed umanistica rappresentata dai falasifa (filosofi ellenizzanti) e dai sufi (corrente ascetica favorevole ai carismi individuali) che non solo ha trasmesso all'Occidente il patrimonio culturale greco ma lo ha anche esteso e approfondito in modo originale, mediandolo con il pensiero orientale. Questa tradizione sta a contraddire la rappresentazione corrente di un islam baluardo del fanatismo dispotico in cui la ragione critica, la liberta' individuale, il rispetto per la dignita' di ogni uomo non hanno mai avuto spazio. Essa invera ed esalta la dimensione "galattica" dell'islam, in cui consiste l'insegnamento piu' profondo del Profeta, quello di alzare la testa, nel senso piu' letterale dell'espressione, per "camminare nella vita tenendo lo sguardo fisso al sole e alle stelle, ossia strettamente legati al cosmo e consci di farne parte". Purtroppo la fioritura razionalistica che accompagno' il tramonto della dinastia corrotta degli Omayyadi e l'avvento degli Abbasidi (750), duro' lo spazio di un secolo (il "secolo dell'apertura") e, con la ripresa del dispotismo oscurantista, ogni opposizione intellettuale fu repressa. A sfidare l'onnipotenza e l'incontestabilita' del potere dell'imam rimase solo la ribellione fanatica ed assassina ispirata alla tradizione di sovversione politica dei kharigiti. Da allora il rapporto tra obbedienza all'autorita' e liberta' individuale e' rimasto un argomento che l'islam politico non ha mai risolto ne' nella teoria ne' nella pratica: "La rottura con lo stato medievale, che usava il sacro per legittimare e mascherare un governo arbitrario, non ha mai avuto luogo nel mondo arabo". Questa consapevolezza non esclude una critica delle colpe storiche dell'Occidente: l'assoggettamento coloniale del Medio Oriente, il sostegno fornito ai regimi piu' dispotici e teologicamente conservatori, l'escalation degli armamenti consentita nell'area, e da ultimo la scelta della Guerra del Golfo, con il suo risvolto annichilente di ostentazione di un dominio tecnologico assoluto. Eppure proprio l'Occidente e' chiamato dalla Mernissi a svolgere un ruolo decisivo nel processo incerto e difficile di avanzamento della democrazia nel mondo arabo. E' questa una responsabilita' che gli deriva dal suo detenere il monopolio pressoche' totale nel campo della conoscenza scientifica e dello sviluppo delle tecnologie informatiche. Favorire l'accesso e la partecipazione equa agli sviluppi della rivoluzione elettronica (da internet, alla televisione satellitare indipendente) e' l'impegno di universalita' richiesto oggi all'Occidente. Solo esso puo' consentire - e gia' ora consente - di costruire quella moderna agora' in cui un nuovo, dinamico mondo arabo puo' addestrarsi ad esprimere liberamente opinioni divergenti e a discuterle criticamente, rinverdendo quella tecnica dello jadal (arte della controversia) che si radica nella tradizione dell'islam umanista ed ha un posto significativo nello stesso Corano (il versetto 125 della Sura XVI recita infatti: "Richiama verso il sentiero del Signore, fallo con saggezza e buone maniere, tieni discussioni (jadilhum) con essi su cio' che vi e' di migliore"). 9. RIFLESSIONE. MONICA FARNETTI RECENSISCE "APPROFITTARE DELL'ASSENZA" DI DIOTIMA [Dal quotidiano "Il manifesto del 10 gennaio 2003. Monica Farnetti e' nata a Ferrara nel 1960; italianista, ha pubblicato studi sul fantastico, sul rapporto tra letteratura e musica, sulla poesia filosofica, sulla letteratura del paesaggio, sulla scrittura femminile, privilegiando in particolare alcune prospettive di indagine (la teoria letteraria, la tematologia, il contatto fra discipline); e' l'autrice della prima monografia su Cristina Campo. Tra le opere di Monica Farnetti: Il giuoco del maligno, Vallecchi, 1988; La scrittura concertante, Bulzoni, 1990; Leggere lo "Zibaldone", Essegi, 1991; Reportages. Letteratura di viaggio del '900 italiano, Guerini, 1994; Geografia, storia e poetiche del fantastico, Olschki, 1995; Il romanzo del mare, Le Lettere, 1996; Ermo colle ed altri paesaggi, Liberty House, 1996; Annamaria Ortese, Bruno Mondadori, 1998; Cristina Campo, Tufani, 1999. "Diotima" e' la denominazione della comunita' filosofica femminile che da diversi anni svolge e promuove una riflessione di grande rilevanza muovendo dal ed agendo il "pensiero della differenza"] Dunque l'alta scommessa dell'ultimo libro di Diotima si chiama discontinuita': una discontinuita' non semplicemente rappresentata o messa a tema, come le prime pagine ben chiariscono, ma teoreticamente assunta come postura, capace di ripensare a fondo l'esperienza del tempo, il senso della storia e il rapporto con la tradizione. Discontinuita' come possibile manifestazione di "un essere non tenuto a farsi vedere per esserci" e, al limite, di "un esserci che non ha bisogno di durare"; discontinuita' come rilancio, come godimento e come investimento dell'assenza, o dell'intermittenza, della sottrazione e della mancanza che hanno caratterizzato fin qui il modo di farsi linguaggio, cultura e storia dell'esperienza femminile; discontinuita' infine come "storicita' originale, non confinata nella cronologia", e come "tradizione" che a dispetto dell'etimo si fa linea frastagliata tutta scosse e dislivelli, lungo la quale cio' che e' "tradito" scorre per l'appunto in modo discontinuo e accetta di esser "tradito" dal silenzio e dall'ombra. Presumo che altri e altre, oltre a me, possano aver sentito questa idea come portatrice di un gran senso di liberazione, di un clima di festa e di un'immediata euforia: umori tutti provenienti da un'improvvisa caduta di tensione, legata alla scoperta che possono darsi modalita' di esonero, peraltro teorizzabili e assai degne, dall'impegno angosciante della propria testimoniata e durevole presenza nel tempo, nella storia e nella tradizione. Presumo pero' anche che come me altri si siano subito dopo sorvegliati (nonche' puniti) nella (e della) propria giubilazione, intuendone la portata insidiosa nel momento in cui essa tendesse a offuscare - o addirittura a sostituire - la domanda sul come tradurre l'essere discontinui, intermittenti o assenti in un esserci comunque pieno, politicamente interpellabile e culturalmente imprescindibile. La storia e la tradizione dei testi, letterari ma non solo, mettono in buona evidenza questo problema e questo dilemma, e per via della famigerata questione del canone ne forniscono un'istruttiva rappresentazione. La fragile topologia della periferia e del centro, del dentro e del fuori, dell'enciclopedia e dell'eccentrico che struttura e governa l'arte della memoria (letteraria, ripeto, ma non solo) e' infatti una buona palestra per il pensiero che voglia ripensare e comprendere i fondamenti della storiografia, della critica e della lettura in genere, e la dice lunga sul cosa leggiamo (o non leggiamo) e sul come, celebrando chi e dimenticando chi, inevitabilmente assecondando un'economia dell'assenza/presenza orchestrata molto a monte e molto all'origine del "meccanismo" della tradizione e del racconto della storia. La storia dei testi insegna come sia difficile l'essere e lo stare "fuori" (dal centro o in assoluto), a che prezzo i soggetti "non egemoni" scontino i disturbi spazio-temporali (dis-locazione e dis-continuita') con cui stanno nella storia e nella tradizione, cosa comporti il risultare eccentrici rispetto al sistema dominante di rappresentazione e cosa significhi, letteralmente, "pagare il canone". Detto questo pero', e scontata la giusta punizione per aver troppo goduto di quanto mi e' stato dato con Approfittare dell'assenza, torno per un attimo, e per concludere, al mio iniziale stato d'animo festoso e giubilatorio e saluto con gioia un libro importante, a cui sono (e restero') profondamente grata, e della cui "assenza" non avremmo potuto, credo, in alcun modo approfittare. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 478 del 16 gennaio 2003
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