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Appello contro la guerra
- Subject: Appello contro la guerra
- From: Fondazione Internazionale Lelio Basso <filb at iol.it>
- Date: Tue, 7 Jan 2003 14:05:40 +0100
La Fondazione Internazionale Lelio Basso, di fronte alla minaccia di una guerra preventiva contro l'Iraq, che metterebbe in pericolo il futuro del diritto internazionale e della convivenza civile dei popoli, ha deciso di lanciare l'appello approvato dal Tribunale Permanente dei Popoli a conclusione della sessione "Il diritto internazionale e le nuove guerre", svoltasi a Roma nei giorni 14 -16 dicembre. Le adesioni all'appello vanno inviate, possibilmente entro il 15 gennaio, alla Fondazione Internazionale Lelio Basso (indirizzo di posta elettronica: filb at iol.it tel: 06.68801468; fax: 06. 6877774, oppure andrea.mulas at poste.it tel: 339.1350351). Il testo della sentenza si trova nel sito http://www.grisnet.it/filb Gianni Tognoni e Linda Bimbi Via della Dogana Vecchia, 5 - 00186 Roma - www.grisnet.it/filb - e mail: filb at iol.it Contro la guerra La minaccia di una guerra preventiva contro l'Iraq è una mi-naccia al futuro della convivenza civile sul nostro pianeta fondata sul diritto internazionale. Più ancora delle altre guerre del pas-sato decennio, una simile guerra rappresenterebbe una violazione vistosa della Carta dell'Onu. Non ricorre infatti "un attacco armato con-tro un membro delle Nazioni Unite": che è il solo caso in cui è consentito dalla Carta l'esercizio del "diritto naturale di autotutela individuale o collettiva", in deroga al divieto della minaccia e dell'uso della forza nelle relazioni internazio-nali. Come hanno più volte affermato il Consiglio di Sicu-rezza e la Corte internazionale di giustizia, la "guerra preventi-va", e perfino singole azioni militari intraprese contro l'astratto pe-ricolo di un'aggressione, sono radicalmente contrarie al-l'ordina-mento delle Nazioni Unite. La stessa espres-sione "guerra preventiva", del resto, è una formula contraddittoria, idonea a legittimare la guerra di aggressione attraverso la trasformazione dell'aggredito in ag-gressore. Ma il pericolo di un crollo del diritto internazionale deriva soprattutto dall'aper-ta e insistente rivendicazione, che accompagna la minaccia di questa guerra, della legittimità della guerra medesima come strumento di soluzione dei problemi e delle contro-versie internazionali. Questa riabilitazione della guerra equivarrebbe a una dissoluzione dell'Onu, la cui ragion d'essere risiede precisamente nella messa al bando della guerra e nel mantenimento della pace, attraverso un complesso sistema di misure che include un uso regolato e controllato della forza sot-to la co-stante direzione del Consiglio di Sicurezza. La guerra, in quanto uso sregolato, illimitato e incon-trollato del-la forza, è d'altro canto la negazione del diritto, consistendo il diritto nella regolazione e nella limitazione della forza. E lo sono tanto più le odierne guerre aeree scatenate dalle potenze occidentali, il cui tratto ca-ratte-ristico è di svolgersi senza perdite di vite umane dalla par-te degli aggres-sori e di produrre la quasi tota-lità delle vit-time tra le popolazioni civili, innocenti del-le colpe addebi-tate ai loro governanti. Espressioni come "guerra giusta" o "guerra legittima" a proposito di queste guerre hanno perciò un signifi-cato ana-logo a quello di espressioni del tipo "giusto massacro", "giusta o legittima strage di innocenti", "giusta carneficina", "tortura legittima" e simili. Non meno incongruo e irrazionale è il ricorso alla guerra come mezzo per battere il terrorismo globale. Il terrorismo è una forma di vio-lenza politica che si caratterizza per la sua impre-vedibilità e per il carattere indiscriminato delle sue vittime, immancabilmente innocenti. La risposta ad esso con la guerra, che è parimenti violenza indiscriminata, equivale a una sua omologazione ai metodi delle organizzazioni terroristiche, e perciò a un abbassa-mento de-gli Stati che la promuo-vono al loro livello. Ne risulterebbe una guerra altrettanto globale, senza limiti di tempo e di spazio, che anziché sconfiggere il terrorismo finirebbe per alimentarlo in una spirale senza fine. Al contrario il terrorismo può essere battuto soltanto con la risposta, ri-spetto ad esso asimmetrica, del diritto e della politica, cioè della sco-perta e della cattu-ra dei responsabi-li, nonché della capacità dei governi di farsi carico delle sue cause politiche, economiche e culturali. La rilegittimazione della guerra come strumento di governo del mondo, preannunciata dal documento strategico americano del 17 settembre, produrrebbe inoltre una regressione neo-assolutistica e imperiale dell'ordine mondiale che finirebbe per compromettere le forme stesse dello stato di diritto e della democrazia. La restaurazione di un po-tere di guerra insindacabile e imprevedibile in capo alla super-potenza americana, e perciò al suo presidente, contraddirebbe infatti il paradigma dello stato di diritto, che non ammette poteri assoluti e richie-de la soggezione alla legge di qualunque potere. E varrebbe a logorare profondamente le nostre democrazie, sotto due aspet-ti: all'interno dei paesi occidentali, a causa delle leggi liberticide, della disinformazione, della propaganda e dell'intimidazione del dissenso che sempre si accompagnano all'emergenza bellica; a livello mondiale perché di fatto l'intera popolazione della terra risulterebbe virtualmente soggetta a un nuovo sovrano, rappresentativo nel migliore dei casi del solo popolo del suo paese. Si avrebbe così il paradosso che una guerra, promossa secondo il documento strategico statunitense per difendere "libertà, democrazia e libero mercato", avrebbe raggiunto l'effetto di affossarli. E questa contraddizione sarebbe drammaticamente aggravata dalla crescita dell'odio e dello spirito di rivolta nei confronti dell'Occidente e dalla totale perdita di credibilità, presso i popoli poveri della terra, del suo intero sistema di valori. L'imprudenza politica ha di solito conseguenze catastrofiche non soltanto per chi la subisce ma anche per i politici imprevidenti. Se poi l'imprudenza è un'imprudenza armata, la catastrofe acquista i caratteri della tragedia collettiva. Quando infine l'appello moralistico ai valori umanitari è utilizzato per occultare gli effetti perversi di una guerra, l'imprudenza politica ha la tendenza ad acquistare, come scrisse Hume, i caratteri della veemenza e a contribuire alla rapida distruzione dei medesimi valori che si invocano a sostegno dell'intervento armato. E' probabile che in futuro l'uso sempre più frequente di un pensiero di tipo bellicista indebolisca i freni della prudenza e favorisca il trattamento veemente, cioè irriflessivo, dei problemi politico-giuridici. Questo contribuirà anche a formulare false giustificazioni a sostegno del raggiungimento egoista e violento di interessi nazionali, a imporre la pratica di una diplomazia coercitiva informata alla legge del più forte, a rafforzare gli odii e i pregiudizi ideologici e, last but not least, a ridurre la fiducia nella possibilità che le relazioni internazionali siano basate su principi e regole morali di carattere universale. Quando la guerra si rende accettabile attraverso lo schermo retorico dell'umanitarismo armato dei "moralisti politici", come li chiamò Kant, allora l'uscita dal labirinto della violenza diventa impossibile. Noi non ci illudiamo, con questa dichiarazione, di convincere i potenti della terra dai quali dipendono i destini del mondo. Ciò che intendiamo affermare è che la guerra attualmente annun-ciata sarebbe giuri-dicamente illecita, moralmente ingiustificabi-le e politicamente inefficace. Il suo terribile effetto, oltre alle vittime e alle devastazioni che seguono ad ogni guerra, sa-rebbe la distruzione dell'attuale ordine interna-zionale nel ten-tativo, a nostro parere irrealistico, di sosti-tuirlo con un nuovo ordine basato sulla forza e sull'arbitrio. Contribuire a privare questo nuo-vo ordine del consenso necessario alla sua legittimazione è il principale scopo di questo appello.
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