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La nonviolenza e' in cammino. 447
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 447
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 15 Dec 2002 18:22:58 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 447 del 16 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Franca Bimbi, cinque domande contro la guerra (un contributo alla riflessione proposta da Giancarla Codrignani) 2. Antonio Vigilante, un contributo alla riflessione proposta da Giancarla Codrignani 3. Una lettera aperta al presidente della Commissione Europea 4. Laura Genga, l'Europa neutrale delle donne 5. Giannozzo Pucci ricorda Ivan Illich 6. Yosano Akiko, senza paura del buio 7. Riccardo Orioles ricorda Antonino Caponnetto 8. Madame de Sevigne': addio alle foglie 9. Riletture: Sergio Albesano, Storia dell'obiezione di coscienza in Italia 10. Riletture: Murray Bookchin, Democrazia diretta 11. Riletture: Barry Commoner, Virginio Bettini, Ecologia e lotte sociali 12. Riletture: Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea 13. Riletture: Gianfranca Pochettino (a cura di), I senza fissa dimora 14. Riletture: Maria Teresa Tavassi La Greca, Cosa leggere sull'emarginazione sociale 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. FRANCA BIMBI: CINQUE DOMANDE CONTRO LA GUERRA (UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI) [Ringraziamo Franca Bimbi (per contatti: e-mail: franca.bimbi at unipd.it; sito: www.francabimbi.net) per averci inviato questo suo densissimo intervento del 1992 (pubblicato allora nella rivista della Commissione pari opportunita' del Veneto, di cui l'autrice era all'epoca presidente) come contributo al dibattito proposto da Giancarla Codrignani con la sua "lettera ai pacifisti dimezzati" apparsa come editoriale del n. 437 di questo notiziario. Franca Bimbi e' docente universitaria e parlamentare, tra le sue pubblicazioni recenti: (a cura di, con Alisa Del Re), Genere e democrazia. La cittadinanza delle donne a cinquant'anni dal voto, Rosenberg & Sellier, Torino 1997; (a cura di, con M. Carmen Belloni, presentazione di Massimo Cacciari), Microfisica della cittadinanza. Citta', genere, politiche dei tempi, Angeli, Milano 1997; (a cura di, con Rita D'Amico), Sguardi differenti. Prospettive psicologiche e sociologiche della soggettivita' femminile, Angeli, Milano 1998; "L'Italie. Concertation sans representation" (con Vincent Della Sala), in Jane Jenson, Mariette Sineau (sous la direction de), Qui doit garder le jeune enfant? Modes d'accueil et travail des meres dans l'Europe en crise, L. G. D. J., Paris 1998; "Measurement, Quality, and Social Change in Reproduction Time. The Twofold Presence of Women and the Gift Economy", in Olwen Hufton, Yota Kravaritou (eds.), Gender and the Use of Time / Gender and Emploi du Temps, European University Institute, Centre for Advanced Studies, Firenze, Kluwer Law International, 1999; "The Family paradigm in the Italian Welfare State", in Gonzalez Maria Jose', Jurado Teresa, Naldini Manuela (eds.), Gender Inequalities in Southern Europe. Women, Work and Welfare in the 1990s, South European Society & Politics, 4/2, Autumn 1999; (a cura di) Madri sole. Metafore della famiglia ed esclusione sociale, Carocci, Roma 2000; (a cura di, con Cristina Adami, Alberta Basaglia, Vittoria Tola), Liberta' femminile e violenza sulle donne, Angeli, Milano 2000; (a cura di, con Ruspini Elisabetta) "Poverta' delle donne e trasformazione dei rapporti di genere", in Inchiesta, 128, aprile-giugno 2000; (a cura di), Sex Worker. Reti sociali, progetti e servizi per uscire dalla prostituzione, Aesse, Roma 2000; "Prostituzione, migrazioni e relazioni di genere", in Polis, 1, 2001; "Violenza di genere, spazio pubblico, pratiche sociali", in C. Adami, A. Basaglia, V. Tola (a cura di), Dentro la violenza: cultura, pregiudizi, stereotipi, Angeli, Milano 2002] Volendo muoversi nella direzione di gesti disarmati di solidarieta' verso le donne e le popolazioni che subiscono la morsa della guerra, ci sembra necessario fondare la nostra azione su una specifica riflessione al femminile, con la pretesa di offrire al dibattito piu' i nostri dubbi che un bagaglio di sicurezze acquisite. Mi sono posta cinque domande: quelle che, probabilmente, agitano ciascuna di noi. * 1. La guerra e' un'attivita' sociale sessuata? Anche nel dibattito pacifista c'e' un silenzio. Tra le tante riflessioni che sostengono il "folle" buon senso delle politiche di pace, contro le tante e diverse "razionali" logiche delle politiche della guerra, manca una osservazione empirica fondamentale. La guerra e', ancor oggi, un'azione sociale quasi del tutto maschile. Istituzionalizzata al maschile. Inoltre, piu' in generale i ruoli tradizionali femminili e maschili riemergono nella guerra. Le donne e gli uomini nati nel secondo dopoguerra costituiscono forse la prima generazione di persone per le quali il sacrificio femminile nella maternita' e quello maschile per la patria non hanno rappresentato ideali pubblici indiscutibili. Tuttavia la televisione ci mostra ossessivamente ogni giorno come la polarizzazione dello stile del genere maschile attorno all'aggressivita' e di quello femminile attorno alla sofferenza subita non siano per nulla scomparsi dall'orizzonte della civilizzazione. Il "caso estremo" della guerra, o meglio delle guerre, ci appare ormai come motivo della vita quotidiana. Nel quotidiano della guerra le donne sembrano riemergere esclusivamente come madri, immagini della cura e della salvaguardia della vita; gli uomini come guerrieri e immagini delle strategie di distruzione. Come se l'identita' di genere si fosse cristallizzata attorno a queste due sole possibili figure. Dal dopoguerra, soprattutto l'Olocausto e la Bomba sembravano aver definitivamente cancellato un modello di civilizzazione fondato sull'uso della forza fisica e della guerra, in passato intesi come principi positivi di regolazione dei conflitti privati e pubblici e come contesti di esercizio delle virtu' legate alla figura sociale dell'eroe. Oggi possiamo osservare come il soldato-cittadino, modellato sui valori della fraternita' e della estrema legittima difesa, appaia altrettanto capace di ferocia dei suoi predecessori, gli eroi della morte. Sembra riattualizzarsi l'osservazione di Claude Levi-Strauss: "Quando consideriamo attivita' meno fondamentali dell'allevamento dei bambini e della guerra, diventa sempre piu' difficile discernere fra le norme che governano la divisione del lavoro tra i sessi" (in Razza e storia e altri studi di antropologia, Einaudi, Torino 1967, p. 165). Nel dibattito pacifista di oggi manca una interrogazione sull'identita' maschile. Nel senso che anche per uomini civilizzati resta aperto il problema del rapporto tra la costruzione sociale dell'identita' e l'istituzionalizzazione dell'aggressivita'. Allora nel dibattito sulla guerra e' implicito che le donne siano pacifiste "per natura"? * 2. Le donne sono pacifiste per "natura"? Nell'immaginario collettivo codificato la madre tradizionale sopporta anche l'estrema sconfitta (la morte) facendosi simbolo sociale dell'espressione del lutto. Inoltre per le donne la morte e' stata tradizionalmente inserita nella banalita' del quotidiano ed ha assunto rilevanza in base al legame affettivo-parentale (indipendentemente dal "valore" di chi muore). Per di piu' la morte, nel senso del dare la vita per l'altro, e' stata un contenuto per lungo tempo consueto dell'esperienza femminile del mettere alla luce un figlio, sia come rischio che come possibilita', senza bisogno che il morire dovesse assumere un significato trascendente: la nascita, esito "banale" del parto, compensava socialmente la morte della madre. Al contrario, nel modello eroico maschile la morte ha valore a due condizioni: che sia straordinaria, cioe' non legata al flusso quotidiano del riprodursi della vita e che non implichi la sconfitta del singolo, ma anzi ne segni la possibile glorificazione. Il dare la vita e' rappresentato al di fuori della banalita' quotidiana, puo' esser positivo solo in quanto rappresenta la trascendenza della propria vita concreta. Per il resto uccidere ed annullare l'avversario risultano valori strumentali supremi; questi sono i segni della supremazia collettiva, contro il male rappresentato per definizione dall'alterita' del nemico. Nella figura dell'eroe vita e morte appaiono due valori inconciliabili ed opposti, cio' che non e' in quella della madre. Tuttavia il rapporto delle donne con la protezione della specie e la salvaguardia della vita puo' essere inteso in molti modi. Si puo' pensare che le donne "normali" siano "biologicamente" esentate dall'aggressivita' nelle sue forme piu' estreme, a causa della loro funzione materna. Questa prospettiva pare oggi poco sostenuta. Ma forse e' ancora largamente implicita nei nostri modelli culturali. Dobbiamo ammettere che la figura della madre nelle guerre agisce normalmente come difesa disarmata verso l'esterno (il nemico), e come complice interna (verso il soldato). Proviamo ad immaginare un altro possibile scenario. Le donne serbe o croate o bosniache che si incamminano con i bambini verso i villaggi nemici attaccati portando pane e coperte. Proviamo a pensare a uomini validi e vecchi guerrafondai che non trovano pronta la cena. A una madre, una sorella o un'amante che non crede all'innocenza del "suo" guerriero. In realta' la figura della madre non comprende che raramente scenari di questo tipo. Hannah Arendt spiega come la logica della "banalita'" del male spezzi anche le piu' forti tradizioni di solidarieta', di pieta' e di compassione reciproca. Tuttavia la figura tradizionale della madre di per se' rappresenta piu' la sofferenza e la permanenza della cura che un'opposizione alla guerra. Un'altra ipotesi e' che l'istituzionalizzazione tradizionale delle donne nella protezione della specie e nel lavoro di cura le renda ancor oggi, nei conflitti, sia piu' capaci che piu' sensibili rispetto alla elaborazione della cooperazione sociale, piuttosto che a quella dell'aggressivita' e delle spinte competitive. Credo che su questo possa esserci un largo accordo, sia tra le donne che nel dibattito culturale contemporaneo. Tuttavia bisogna osservare come queste capacita', nella guerra, nella vita quotidiana, nella famiglia e nella vita politica, sono utilizzate soprattutto per sostenere il lavoro massiccio delle donne nella riproduzione dell'esistenza, mentre le mantengono ancora fuori dalle aree di decisione. Se davvero ci fosse riconoscimento sociale di maggiori capacita' femminili nel mediare i conflitti, vedremmo sedere piu' donne nei luoghi della negoziazione diplomatica e nelle commissioni sui crimini di guerra; avremmo piu' spazio per la leadership femminile anche nei movimenti pacifisti. Il che non e'. Per ora sembra trattarsi di un riconoscimento piuttosto ambiguo di virtu' socialmente deboli, per quanto ritenute necessarie. A tal punto che alcune donne hanno cominciato a pretendere pari opportunita' rispetto al servizio militare ed alla guerra. * 3. Il soldato-donna o la donna-soldato: le pari opportunita' nel fare la guerra? Su questo versante si sono osservati processi di cambiamento, per quanto controversi. Nella guerra del Golfo, dalla parte dei piu' forti, abbiamo visto come l'estrema traduzione del corpo umano in protesi pensante della macchina bellica abbia reso possibile una neutralita' delle differenze di genere, rivendicata nel senso delle pari opportunita' dalle donne-soldato Usa. Al contrario, nella vita quotidiana delle soldatesse erano presenti i simboli della femminilita' tradizionale, legata ad un corpo stilizzato attraverso la fragilita', la dolcezza e la seduzione (i pelouches, gli oggetti di trucco, le rose apparse nelle foto d'agenzia). Melissa fatta prigioniera ci e' apparsa come un corpo di donna in mezzo alla guerra: per scelta. Personalmente l'ho sentita piu' lontana di qualsiasi soldato, perche' essa (e non "loro", i maschi) mi ha strappato alla mia estraneita'. Mi sono chiesta allora se, prigioniera, avrebbe ritrovato le ragioni di una estraneita', che aveva perduto e fatto perdere a tutte noi. Ma le rivendicazioni di pari opportunita' nella guerra espresse esplicitamente dalle soldatesse americane e gia' in parte riconosciute quest'anno ci hanno tolto ogni illusione in merito. Nel caso della guerra del Golfo c'e' stata anche l'ironia della sorte, per la quale partite da guerriere con un test di gravidanza negativo, e abilitate percio' al lavoro di collaborare ad uccidere, infine, in molte si sono trovate incinte. Se si e' trattato di gravidanze "involontarie", quale astuzia del corpo e quali profondi messaggi della mente! Se ci sono state scelte calcolate, dalla soldatessa emerge allora un misto di saggezza e di pena per se stessa: per la guerriera che e' partita da lontano, e, nel Golfo, in mezzo ad un tipo di estraneita' mai sperimentata prima, ha ritrovato, nel bene o nel male, una parte sommersa di se'. Ma le Melissa sono anche cittadine di un paese dove la democrazia, il pacifismo, l'attenzione alla differenza sessuale si possono dichiarare a voce alta; dove e' possibile essere cittadine ed assieme dichiararsi estranee alle macchine per la guerra. Le donne Marines che rivendicano le pari opportunita' nell'uccidere e nel fare carriera nell'esercito e le donne Usa che sono finite in carcere come obiettrici di coscienza hanno cambiato il nostro rapporto col maschile che va sempre alla guerra: perche' non e' piu' cosi' solo. L'estraneita', nella quale Virginia Woolf ci ha ammaestrate, non appare piu' pensabile allo stesso modo. L'obiezione di coscienza riporta ad un possibile diritto all'estraneita'. Se dovessi spendere una ghinea, dunque, la spenderei per questa scelta. Poter scegliere tra due diritti rende piu' facile capire anche il diritto femminile a fare la guerra. Esiste anche la figura di Antigone, che ci offre la possibilita' di pensare in altro modo ad altre regole di giustizia, al di la' delle leggi scritte, della tradizione materna e delle possibili pari opportunita'. Creonte sostiene che la guerra puo' sospendere tutte le regole, tranne la sua legge (del vincitore), mentre Antigone sostiene che ci sono leggi che, esse si', possono sospendere la guerra e la legge del vincitore. La pieta' e' una legge superiore che anche il vincitore deve riconoscere. Questo tema, della presenza attiva dell'etica anche nella guerra, avvicina il pensiero femminista e quello pacifista. Sara' un caso che Antigone sia pensata donna e sorella? * 4. Le donne: popolo, nazione, patria e stato. Quali ambiti di riconoscimento? Le guerre di popolo fanno differenza? Sino a che punto si puo' parlare, qui, di legittima difesa? Non trovo risposte facili, perche' non so che scelta farei all'occorrenza. Vorrei pero' affrontare queste domande dal punto di vista delle donne. All'origine del totalitarismo troviamo la sovrapposizione tra popolo, nazione, patria e stato, fondata sulla rilevanza degli aspetti etnici dell'identita' rispetto a tutti gli altri fattori di identificazione sociale e politica (e' l'esperienza del nazionalsocialismo). Ma ci sono anche regimi totalitari che si fondano sulla negazione dell'identita' dei popoli, per l'affermazione violenta di una sintesi statale sovranazionale (e' lo stalinismo). La prima sovrapposizione era gia' stata designata come "processo di balcanizzazione"; la seconda come "politica imperiale di annientamento". A quanto pare continuiamo ad oscillare tra questi due poli. Il federalismo sembra riaffacciarsi come possibilita' di mantenere assieme l'eguaglianza tra nazioni sovrane, contenuta nell'idea di uno stato federale, e la differenza delle identita', richiesta dall'idea di popolo. L'identita' linguistica e delle tradizioni culturali e' fondante del concetto di popolo. Da questo punto di vista non puo' essere indifferente la comune connotazione della lingua di appartenenza come lingua materna. L'identita' di popolo sembra allora avere a che fare con la storia al femminile. Tuttavia, anche all'interno dello stesso popolo, le donne sposandosi perdono il nome familiare e percio' una parte importante della loro identita' risulta normalmente negata. Percio' per esse ogni matrimonio potrebbe essere considerato un matrimonio misto, in cui parte della identita' femminile costitutiva si perde, grazie soprattutto al fatto che si mettono al mondo figli, i quali prendono nome da una famiglia diversa da quella che segna le origini materne. Un popolo puo' essere anche disperso in molte nazioni. Anche l'appartenza ad una nazione e ad una patria, in senso territoriale, contraddice l'esperienza femminile della mobilita' matrimoniale: normalmente sono le donne a perdere il loro territorio col matrimonio. Dal punto di vista del territorio le donne fanno spesso matrimoni misti. Per quel che riguarda lo stato, la contraddizione con la storia delle donne e' ancora piu' radicale: sposandosi esse perdono spesso la cittadinanza, non sempre la possono trasmettere ai figli, spesso restano straniere nella casa del marito. Tuttavia potremmo osservare che i matrimoni misti sono la base sociale della pacificazione tra i popoli. Per quanto il nome, o la lingua, o il territorio o la cittadinanza materna vengano tacitati o negati, le popolazioni si alleano socialmente attraverso matrimoni misti. E nonostante le donne si vedano spesso socialmente discriminate nello scambio matrimoniale, tuttavia esse, piu' degli uomini, difendono i matrimoni misti, in nome della maternita', o meglio in nome della nuova societa' multiculturale che i figli rappresentano. Levi Strauss ce lo ricorda: "l'umanita' si rese conto molto presto che, per potersi liberare da una selvaggia lotta per l'esistenza, doveva scegliere molto semplicemente fra lo sposarsi fuori o morire fuori" (Ibidem, p. 169); "i sistemi di parentela e le regole matrimoniali... applicazioni di quel gioco che consiste, per gruppi consanguinei di uomini, nello scambiarsi le donne, cioe' nel costruire nuove famiglie con pezzetti di quelle precedenti, che dovranno percio' essere frantumate" (Ibidem, p. 175). Guardando alla guerra vicino a noi possiamo allora osservare come i matrimoni misti costituiscano un segno di alleanza, per quanto ambiguo, e come la loro negazione corrisponda al primo passo di pulizia etnica, cancellando le donne due volte: perche' si disconosce il loro farsi tramite di scambi sociali vitali; perche' le si considera nemiche ai loro stessi figli. * 5. Lo stupro come politica demografica di genocidio: ad Ovest siamo davvero innocenti? Le guerre a noi vicine mostrano lontana la pacificazione sociale dell'aggressivita', ma anche indicano come essa divida fortemente donne e uomini. Nella guerra dell'ex-Jugoslavia ritorna soprattutto e duramente il rituale piu' antico: quello dello stupro della donna del nemico. Nello stupro l'immagine del corpo maschile, come "macchina" per aggredire il nemico, e di quello femminile, come macchina per accudire la specie, si scontrano vergognosamente e dolorosamente. Di nuovo ritornano le domande tacitate sull'identita' maschile e sulla "facilita'" con cui essa prevede la violenza sessuale. Si tratta, a ben pensare, di uomini che negano la loro stessa definizione di virilita' fecondante. Lo stupro e' una delle situazioni emblematiche che svela la paternita' come fatto prevalentemente giuridico-giurisdizionale, mostrando l'identita' maschile divisa dall'esperienza del proprio corpo e della generativita'. Il messaggio che ne risulta sembra affermare: "la madre dei miei figli e' la donna che io sposo o posso sposare, ma non la donna a cui mi accoppio per scelta (sia pure violenta per lei)". Tuttavia la politica dello stupro, nella sua malvagia banalita', nasconde molte ragioni, oltre a quelle tradizionali della maggiore irresponsabilita' maschile verso la propria sessualita' e la propria capacita' di dare la vita. Sappiamo come la violenza sessuale non sia mai un fatto privato; e come, in questo caso piu' che mai, si tratti di una strategia pubblica e politica contro il genere femminile. Condanniamo, in questo caso, l'emergere di un crimine pianificato da uomini, che utilizza il corpo delle donne e delle ragazzine, e la vita dei loro figli, per colpire altri uomini (i "nemici") nella loro malintesa identita' di popolo. Ma nel contesto delle Repubbliche dell'ex-Jugoslavia lo stupro sistematico appare anche come un aspetto della politica demografica di genocidio, di popolazioni piu' ricche e meno prolifiche nei confronti dei poveri che fanno piu' figli. E' indubbio che si tratti di "pulizia etnica", nel senso di stupri rivolti contro la "purezza razziale" dei nemici: in tal caso emerge la sovrapposizione tra popolo, nazione-territorio e stato gia' citata. Ma e' altrettanto indubbio che si tratti prevalentemente di atti criminali rivolti verso l'"eccessiva" prolificita' delle donne musulmane, interpretata come un pericolo per l'espansione degli altri popoli. Va da se' che ne' l'allora Repubblica Jugoslavia ne' le popolazioni musulmane (per motivi diversi, ma convergenti in un'ottica patriarcale) si sono preoccupate in passato di sviluppare adeguatamente la principale politica di implementazione delle capacita' delle donne di autoregolare la propria fertilita' in base ai propri desideri: una politica di istruzione generalizzata e non discriminata rivolta alle ragazze. Vorrei pero' riflettere sul fatto che tutta l'Europa agita l'immagine dello scontro di interessi tra popolazioni "troppo poco" prolifiche e popolazioni "troppo" capaci di riprodursi. Il "troppo" ed il "troppo poco" non sono argomentati con riferimento alle scelte delle donne e delle famiglie, ne' sono intesi come problemi da affrontare, nel confronto tra modelli diversi di civilizzazione, con tutti i loro difficili conflitti; quanto piuttosto servono a richiamare una parte delle donne al loro dovere di procreare e ad esorcizzare la solidarieta' verso altri possibili bambini, di etnie, colori, popoli differenti. Le guerre attorno al territorio, la pulizia etnica, lo stupro, mandano all'Europa ricca il messaggio che essa stessa coltiva: "loro sono troppi. Dobbiamo difenderci ad ogni costo dalla minaccia del numero". Questo ragionamento appare piu' spesso di quel che non si creda sui nostri giornali. E' un messaggio diffuso per tutta l'Europa. In Italia serve a lanciare messaggi pro-natalisti contro le donne autoctone, giudicate sbrigativamente pigre e consumiste; in Bosnia a giustificare lo stupro come risposta alla supposta aggressione demografica da parte di chi e' piu' povero e piu' prolifico. Il senso di questi messaggi ci riporta assieme alla negazione delle donne ed alla nefasta sovrapposizione tra identita' culturale, territorio nazionale e stato. 2. RIFLESSIONE. ANTONIO VIGILANTE: UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI [Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: naciketas at jumpy.it) per questo intervento. Antonio Vigilante e' un autorevole studioso ed amico della nonviolenza] Si puo' cominciare con il riflettere su un passo di Lanza del Vasto: "Se domandiamo -dice- quali siano le imprese piu' importanti nelle quali si sono distinti Abramo, Isacco e Giacobbe, dovremo rispondere non senza qualche stupore: hanno generato. E i nostri inni di gloria celebrano ancora 'la loro stirpe nei secoli'". (Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano 1989, p. 135). L'osservazione fa parte di una riflessione sulla sessualita'. Per Lanza del Vasto la sessualita' fine a se stessa e' un male (parla di "peccato contro la natura"). Otttimo rimedio e' la castita' - ed in cio' segue il suo maestro Gandhi -, ma e' accettabile anche la sessualita' legata alla procreazione, all'interno del matrimonio. Una procreazione che dev'essere abbondante, per la gloria dell'uomo. E' una mentalita' arcaica, patriarcale, misogina. La sua concezione veterotestamentaria della sessualita' poco si accorda con una visione sociale rispettosa dell'emancipazione femminile. * Il vero problema mi sembra essere quello della concezione della sessualita' all'interno del pensiero nonviolento. Un pensiero che non e' riuscito ad attingere la consapevolezza che una sessualita' sana, adulta, libera dalla colpa puo' essere strumento di liberazione dalla violenza. In Gandhi prevale ancora, in questo, la visione ascetica tipica della spiritualita' indiana. In Lanza del Vasto c'e' una visione patriarcale. In Capitini c'e' un candore che poco si concilia con la presa in considerazione di certe tematiche. E si potrebbe continuare. Anche all'interno del pensiero nonviolento puo' annidarsi qualche forma di violenza. E' bene prenderne atto. In questo caso, il rifiuto della sessualita' puo' comportare una violenza interiorizzata, mentre la sua affermazione veterotestamentaria comporta una certa violenza contro le donne. E' qui evidente anche la tentazione premoderna di parte del pensiero nonviolento. E' il caso di ricordare che Gandhi, se da un lato riconosce il ruolo delle donne nel satyagraha, dall'altro deplora in "Hind Swaraj" il fatto che in Inghilterra le industrie impiegano donne, il cui ruolo naturale e' di essere "regine della casa". Inoltre si trova spesso nei maestri della nonviolenza la preoccupazione di affermarne il carattere attivo. In qualche caso si giunge a sostenere che il nonviolento, o amico della nonviolenza, ha tutte le qualita' del soldato - coraggio, sprezzo del pericolo, senso del sacrificio -, eccezione fatta per il ricorso alla violenza. E questa preoccupazione d sottolineare il carattere virile della nonviolenza non ha favorito certo l'incontro con la riflessione femminista. * Bisogna riconoscere anche, d'altra parte, che nelle grandi rappresentanti del pensiero al femminile e' ugualmente mancato una adeguato apprezzamento della nonviolenza, della sua novita' ed importanza. L'opera di Simone Weil, ad esempio, e' fondamentale per la fenomenologia della violenza, e tuttavia non va al di la' della "esigenza" della nonviolenza, per usare l'espressione di Muller. Mentre la Arendt fa suo il vecchio, superficiale giudizio sull'indipendenza indiana che non sarebbe mai stata raggiunta se Gandhi si fosse trovato a combattere dei nemici privi di scrupoli, invece degli Inglesi. * Un'ultima considerazione. Credo che ricondurre la nonviolenza a una polarita' sessuale significhi disconoscerne la natura. Nonviolenza e' teoria e prassi dell'incontro. Sta tra le polarita', nasce dal loro reciproco implicarsi. Sta tra Oriente ed Occidente, tra Nord e Sud, tra fede e laicita', tra spiritualita' e impegno. Tra uomo e donna. In Palpitare di nessi Danilo Dolci parla della "equazione intima" dell'amore tra un uomo e una donna, ed afferma che e' l'equazione elementare, risolta la quale e' possibile passare alle altre, difficili equazioni sociali, politiche, economiche. Forse e' proprio in questa equazione, piu' che nella maternita' benevola ed accogliente o nella generosa paternita' dei profeti biblici, l'inizio della nonviolenza. 3. DOCUMENTI. UNA LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA [La seguente lettera aperta e' stata diffusa dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo il 13 dicembre] Signor Presidente, egregio dottor Romano Prodi, le scriviamo per sottoporre alla sua attenzione una questione che molto ci angoscia, e per formularle una richiesta di urgente, personale intervento. * Lei conosce Lei conosce la condizione fatta dalla legislazione e dall'amministrazione pubblica italiane alle persone che nel nostro paese cercano di venire fuggendo da luoghi in cui imperano le dittature, le persecuzioni, la guerra, la miseria, la fame. La Costituzione italiana stabilisce esplicitamente che le persone che nel loro paese non godono dei diritti democratici che essa Costituzione riconosce e garantisce ai cittadini italiani, per questo stesso fatto hanno diritto di ricevere asilo nel nostro paese; ma purtroppo altre leggi in vigore nel nostro paese - e palesemente in contrasto con il dettato costituzionale - questo diritto di asilo scandalosamente denegano, con esiti terribili. E purtroppo coerentemente con queste scandalose leggi dagli esiti terribili, ed in effettuale violazione della Costituzione, i poteri pubblici attuano una politica di persecuzione anziche' di accoglienza nei confronti delle persone che nel nostro paese cercano e sperano di trovare rifugio. Lei sa gia' quali siano le conseguenze di questa situazione: - centinaia, e forse migliaia, di esseri umani hanno trovato la morte in mare nel disperato tentativo di raggiungere il nostro paese; ed ogni giorno nuove vittime possono aggiungersi a questa mostruosa strage degli innocenti; - centinaia di migliaia di persone vivono nel nostro paese in condizioni di clandestinita', ovvero di paura e assenza di diritti, esposte ad ogni pericolo e soprattutto alle vessazioni dei poteri criminali contro cui nella maggioranza dei casi non possono chiedere soccorso ai pubblici poteri poiche' temono una duplice persecuzione per se' e per i loro cari; - il trasporto in Italia di persone che per dettato costituzionale hanno diritto di asilo nel nostro paese e' colpevolmente affidato in monopolio ai poteri criminali piu' brutali, che lucrano immensi guadagni proprio in ragione della scelta delle istituzioni italiane di non rispettare la Costituzione e quindi di non consentire l'ingresso legale in condizioni di sicurezza e trasparenza; - tutto cio' aumenta l'insicurezza di tutti e provoca altresi' ingentissimi sperperi di risorse pubbliche, con risultati peggio che inani, addirittura criminali e criminogeni. Lei sa anche che questa inammissibile situazione e' avallata e in una certa misura addirittura surdeterminata dai cosiddetti "accordi di Schengen" che palesemente confliggono con quanto disposto dalla Costituzione della Repubblica Italiana e che quindi nessuna autorita' pubblica italiana avrebbe avuto il diritto di sottoscrivere perche' illegali in radice per il nostro ordinamento giuridico in quanto incostituzionali. * Lei puo' Lei, egregio dottor Prodi, in quanto Presidente della Commissione Europea, ha un ruolo rilevantissimo nell'articolazione del sistema istituzionale e dei poteri dell'Unione Europea. Questo implica una ineludibile responsabilita'. Lei puo' assumere un'iniziativa. Un'iniziativa di civilta', un'iniziativa che qualificherebbe straordinariamente il suo mandato, il suo operato; un'iniziativa di valore storico. 1. Assuma l'iniziativa di proporre la rinegoziazione degli accordi di Schengen, anche alla luce del fatto che essi sono nulli in radice per quanto concerne l'Italia poiche' effettualmente confliggono con l'art. 10 comma terzo della Costituzione della Repubblica Italiana e quindi erano e sono irricevibili nel nostro ordinamento. 2. Assuma l'iniziativa di evidenziare la primazia del diritto di asilo, e di proporre quindi conseguenti misure concrete in difesa ed a promozione del diritto di asilo, questo principio di civilta' giuridica senza il riconoscimento e l'inveramento del quale la stessa Dichiarazione universale dei diritti umani e' resa carta straccia, e soltanto trionfa l'egoismo piu' feroce e solipsistico, e si condannano innumerevoli esseri umani alla disperazione e alla morte. Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della ragionevole proposta che consente di salvare la vita di innumerevoli esseri umani. Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della ragionevole proposta che consente l'ingresso nella legalita' di centinaia di migliaia di persone attualmente costrette a vite di terrore in territorio europeo. Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della ragionevole proposta che infligge il colpo piu' duro ai poteri criminali transnazionali che oggi lucrano immensi profitti sul traffico di esseri umani disperati e sulla condizione di clandestinita' e di soggezione fino alla schiavitu' di centinaia di migliaia di sorelle e fratelli in territorio europeo. Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della ragionevole proposta che non solo invera il dettato della Costituzione della Repubblica Italiana e restituisce vigenza alla legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico nazionale, ma invera parte sostanziale e decisiva della stessa Dichiarazione universale dei diritti umani. Lei puo', con questa iniziativa, farsi promotore in ambito europeo della ragionevole proposta che consente finalmente l'ingresso legale almeno in Italia a quanti ne hanno pieno diritto ed assoluta urgente necessita'. Lei puo' decisivamente contribuire a salvare molte vite umane. Lei puo' decisivamente contribuire a far trionfare la legalita' sul crimine. Lei puo' dare un contributo storico alla costruzione di un'Europa della civilta' giuridica e dei diritti umani. La preghiamo di dare ascolto a questo appello, di accogliere questa ragionevole proposta, di adoperarsi per essa, di farla propria e di farne oggetto di una sua iniziativa politica ed istituzionale. Lei ne ha il potere. E naturalmente ha anche il potere di non farlo. Ma non vogliamo credere che preferirebbe una condotta omissiva dinanzi ad una richiesta di aiuto cosi' drammatica come quella che ci proviene dal dolore e dalle stragi di tanti innocenti. * Lei deve Lei puo'; e ci sia consentito di esprimere una franca opinione: lei deve. Voglia gradire distinti saluti ed auguri di buon lavoro. 4. INCONTRI. LAURA GENGA: L'EUROPA NEUTRALE DELLE DONNE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 dicembre 2002 riprendiamo questo articolo] Con l'appello "Fuori la guerra dalla storia, fuori l'Europa dalla guerra" la Convenzione permanente di donne contro le guerre ha presentato ieri a Roma una campagna per l'uscita dell'Europa dalla guerra "senza se e senza ma", e per una politica di disarmo del vecchio continente. Il lancio della campagna coincide con l'apertura della quinta assemblea della Convenzione permanente, soggetto politico dalla composizione eterogenea, nata tre anni fa per rendere visibile il movimento delle donne contro le guerre in un momento in cui la "guerra umanitaria" del '99 contro la Serbia spaccava la sinistra. "La campagna - sottolineano le portavoce del movimento - e' lanciata in occasione dei nuovi preparativi di aggressione verso il popolo iracheno, gia' provato da dieci anni di embargo e in presenza del tentativo, gia' in atto, di rendere la guerra permanente". La Convenzione ha tra i suoi obiettivi quello di mantenere sempre alta l'attenzione sui possibili conflitti, in opposizione alle mobilitazioni dettate dall'emergenza di turno, ed e' uno degli elementi che caratterizzano maggiormante le donne contro la guerra rispetto agli altri movimenti pacifisti. Tra le principali finalita', c'e' la creazione di una cultura politica che escluda la guerra e il terrorismo dalle possibili modalita' di relazione. La campagna "Fuori la guerra dalla storia, fuori l'Europa dalla guerra" si e' aperta con un appello, firmato finora da Lidia Menapace, Imma Barbarossa (forum delle donne di Rifondazione), Giusi Di Rienzo, Nella Ginatempo (Bastaguerra), Monica Lanfranco (rivista "Marea"), Elettra Deiana (Rifondazione), che chiede ai governi e alle istituzioni europee di opporsi con decisione alla guerra preventiva di Bush in Iraq e di promuovere una politica attiva di pace appoggiando tutte le iniziative per sottrarsi alla guerra, "compresa la propaganda alla diserzione". Il passo successivo, delineato da Elettra Deiana, e' "l'opposizione al meccanismo di costruzione della legittimazione alla guerra in Iraq", meccanismo in cui, continua la parlamentare di Rifondazione, "la stampa e' complice". Se l'obiettivo immediato e' "rendere impossibile la partecipazione dell'Italia e dell'Europa alla guerra", a lungo termine le donne contro le guerre vogliono un'Europa neutrale e smilitarizzata. Dal punto di vista giuridico, infatti, la neutralita' e' l'unica forma di alternativa alla guerra. Il nuovo status, inoltre, aprirebbe la strada anche per una ridefinizione dell'economia e dei rapporti del vecchio continente con le Nazioni Unite. "E proprio in vista di un'Europa neutrale - racconta Lidia Menapace - la Convenzione permanente attivera' una serie di contatti con i parlamentari dell'Unione Europea e lavorera' affinche' la Costituzione europea, che verra' scritta entro il 2003, abbia, come quella italiana, un articolo che tuteli esplicitamente il diritto universale alla pace". Ma "essere neutrali - ha sottolineato Imma Barbarossa - non significa ne' essere neutri ne' essere equidistanti tra oppressi ed aggressori". Una posizione va sempre presa. Per questo le donne della convenzione contro le guerre collegano il disarmo alla necessita' che l'Europa realizzi una politica di maggiore apetura alla cittadinanza sociale: il vecchio continente infatti, dicono le donne, non puo' promuovere la pace e poi "chiudersi come una cittadella ai migranti". 5. AMICIZIA. GIANNOZZO PUCCI RICORDA IVAN ILLICH [Da sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo questo ricordo di Ivan Illich scritto da Giannozzo Pucci, amico della nonviolenza e del grande pensatore scomparso] Ivan Illich era nato a Vienna il 4 settembre 1926 da padre croato e cattolico, proprietario di terre che appartenevano da secoli alla famiglia nell'isola dalmata di Brazza, e da madre ebrea sefardita. Nel 1941 con la madre e i fratelli dovette lasciare l'Austria a causa delle leggi razziali e venne a Firenze. Qui fini' le scuole secondarie al liceo scientifico Leonardo Da Vinci e inizio' l'universita' con studi di istologia, cristallografia, e per proprio conto psicologia e storia dell'arte; qui maturo' la scelta del sacerdozio. Nel 1943 comincio' a Roma i corsi all'Universita' Gregoriana, risiedendo al Collegio Capranica. Ordinato sacerdote nel 1951 chiese di essere assegnato alla diocesi di New York e fu nominato viceparroco in una parrocchia dove stava iniziando l'arrivo di molti immigrati portoricani a cui si dedico' con grande passione. In questo periodo collaboro' con Jacques Maritain, sostituendolo quando era impossibilitato per malattia a tenere le lezioni a Princeton su S. Tommaso d'Aquino. Nel 1956 si trasferi', come prorettore, all'Universita' Cattolica di Portorico. Nel 1959, a 33 anni, divenne uno dei piu' giovani monsignori del tempo, ma nel 1960 lascio' l'isola anche per la sua opposizione a un modello di chiesa locale "yankee" in una societa' latinoamericana che lo aveva portato allo scontro con la gerarchia cattolica del luogo e in particolare col vescovo di Ponce, James McManus, che aveva preso posizione in occasione delle elezioni locali. Tornato a New York divenne delegato per il settore ricerche del presidente della Fordham University e nel 1961 mise in piedi, in Messico a Cuernavaca, il Centro Interculturale di Documentazione (Cidoc) per preparare i preti alle missioni in America latina, specialmente dopo un esplicito invito del papa a che almeno uno su dieci dei religiosi nordamericani si mettessero al servizio della parte sud del continente. Illich ne rimando' a casa la meta' giudicandoli inadatti all'impegno missionario, perche' incapaci di liberarsi dai postulati del benessere consumista e della societa' industriale nordamericana. Ciononostante il Centro esercito' una grande attrazione sui giovani sacerdoti prima, e successivamente su tutta la generazione degli anni '60 e '70 diventando uno dei punti piu' avanzati nel mondo sullo studio della modernita' e dei problemi chiave della societa' occidentale. Partendo da un'ispirazione assolutamente non marxista ma cristiana, divento' molto efficace nel combattere la politica colonialista del modello americano/occidentale di societa'. In un episodio mai completamente chiarito s'insinuo' nei rapporti fra Stati Uniti e Chiesa per salvare persone, fra cui dei preti, sottoposte alla tortura in regimi dittatoriali del sudamerica. Sfuggi' a piu' di un attentato e, dopo la morte del cardinale di New York Spellmann che aveva sempre nutrito una grande fiducia nella sua devozione e impegno, nel 1968 fu chiamato a Roma davanti al Sant'Uffizio per un processo da cui usci' prosciolto, ma a causa delle sue critiche all'organizzazione istituzionale della Chiesa sulla rivista americana dei gesuiti gli furono tolti i finanziamenti, dopo di che Illich recise ogni legame fra il Cidoc e la Chiesa. Nel gennaio 1969 il Sant'Uffizio vieto' ai preti di seguire i corsi del Cidoc. Due mesi dopo, in una lettera aperta pubblicata dal "New York Times", Illich rinuncio' unilateralmente a tutti i suoi titoli, benefici e servizi ecclesiastici, smise di dire messa, conservando l'impegno alla preghiera quotidiana del breviario. Non chiese mai la riduzione allo stato laico, non fu mai sospeso, ma e' rimasto fino alla fine nell'elenco dei sacerdoti incardinati nella diocesi di New York. La sua divento' quindi da allora una missione "in partibus infidelium", cioe' in una zona di frontiera della chiesa. Il primo libro di Illich, pubblicato alla fine degli anni '60, riguarda appunto la Chiesa nel processo di trasformazione della societa' moderna (The Church, change and development). Il secondo, del 1970, intitolato Celebration of Awareness (Celebrazione della consapevolezza: un appello alla rivoluzione istituzionale), e' contro le certezze delle istituzioni che imprigionano l'immaginazione e rendono insensibile il cuore. Poi, nel 1971, esce Descolarizzare la societa', che e' stato al centro del dibattito pedagogico internazionale con la tesi che la scuola produce la paralisi dell'apprendimento e danneggia i ragazzi, educandoli a diventare meri funzionari della macchina sociale moderna. Convinto che il sistema educativo occidentale fosse al collasso sotto il peso della burocrazia, dei dati e del culto del professionalismo, combatteva i diplomi, i certificati, le lauree, insieme all'istituzionalizzazione dell'imparare. Affermava che un adulto sarebbe in grado di apprendere i contenuti di dodici anni di scuola in uno o due anni. Del 1973 e' La Convivialita', il testo fondamentale dell'ecologia politica, in cui si dimostra che l'origine di ogni inquinamento industriale sta nei divieti e ostacoli alle culture solidaristiche e comunitarie di uso della natura che contengono la chiave per un percorso di liberazione. Energia ed Equita' esce l'anno dopo concentrandosi sull'analisi del sistema dei trasporti e vi si dimostra come elevate quantita' di energia degradino le relazioni umane con la stessa ineluttabilita' con cui inquinano la natura. Nemesi Medica, del 1976, esamina i danni alla salute prodotti dalla crescita dell'organizzazione sanitaria, uno degli aspetti della nocivita' dello sviluppo industriale. Il sistema medico della societa' moderna non e' solo produttore di danni alla salute con terapie spesso menomanti, ma anche con la medicalizzazione della vita come sostituzione dei necessari provvedimenti politici per rendere l'ambiente salubre. Per una storia dei bisogni e' del 1978 e descrive la modernizzazione della miseria, cioe' l'organizzazione dell'impotenza del cittadino ad agire autonomamente per la crescente dipendenza da merci e servizi industriali la cui necessita' e' imposta da una casta di esperti. Ancora del 1978 e' Il diritto a una disoccupazione creativa in cui si dimostrano le ambiguita' storiche su cui si fonda la moderna identificazione del lavoro col lavoro salariato. Solo distruggendo questo tabu' si potranno creare le condizioni per una piena occupazione. Lavoro Ombra, del 1981, sviluppa ancora il tema della formazione della scarsita' attraverso la distruzione delle comunanze, su cui, nel loro aspetto di lavoro domestico femminile, si riposa il lavoro salariato, trasformandole appunto nella propria ombra sfruttata. In Genere e Sesso, del 1982, la scomparsa del genere maschile e femminile e l'invasione dei rapporti fra uomo e donna da parte del sesso e' dimostrata come la decisiva condizione dell'ascesa di un modo di vivere dipendente da merci prodotte industrialmente. Del 1984 e' H2O e le acque dell'oblio, dove si dimostra storicamente come l'acqua, da sostanza inesauribile che alimentava il corpo insieme allo spirito e all'immaginazione, e' divenuta una formula inquinata di chimica industriale, dalla cui depurazione dipende la sopravvivenza umana. Nel 1992 escono altri due libri importanti: Nello specchio del passato, che svela le radici storiche dei luoghi comuni della modernita' dimostrando la loro inconsistenza; e Conversazioni con Ivan Illich a cura di D. Cayley, in cui tutto il suo itinerario si svela con accenti nuovi. Infine, nel 1993 esce l'ultimo libro, Nella vigna del testo, che sara' particolarmente ricordato anche dai medioevalisti come uno straordinario commento al Didascalicon di Ugone di S. Vittore sul passaggio dalla lettura monastica a quella scolastica. Non si contano gli articoli, i seminari, gli incarichi in numerose universita' americane ed europee, i corsi e le conferenze. Nell'ultima lettera mi scrive: "Il tanto lavoro per l'edizione completa dei miei scritti e per il volume che raccoglie quelli degli ultimi dieci anni procede lentamente. In parte per la fatica a cui non sono abituato, ma piu' ancora per tre ragioni: 1. io stesso in relazione a molti paragrafi direi le cose altrimenti nel 2002; 2. concentrandomi su questo lavoro mi rendo conto con che velocita' cambiano le 'certezze' assiomatiche in questo decennio e 3. invecchiare, nella mia generazione, credo che sia qualcosa senza precedenti: per le epoche distinte che abbiamo traversato". Nel terzo punto si sente l'eco di quello straniamento dal proprio popolo, dalla propria terra e cultura che Illich ha sofferto e vissuto in modo speciale ma che rappresenta anche le sofferenze dei milioni che negli ultimi decenni sono stati colonizzati dalla civilta' dei consumi. Non avremo la gioia della sua compagnia a Firenze questo Natale, come accadeva oramai quasi regolarmente da diversi anni, qui avrebbe voluto morire ed essere sepolto, ma le circostanze hanno deciso altrimenti. Non e' morto del cancro alla faccia che gli ha tormentato il trigemino per quasi vent'anni ma in pochi secondi, probabilmente di un arresto cardiaco, con accanto le carte del lavoro che stava ultimando. 6. POESIA E VERITA': YOSANO AKIKO: SENZA PAURA DEL BUIO [Da AA. VV., Il muschio e la rugiada. Antologia di poesia giapponese, Rizzoli, Milano 1996, p. 171. Yosano Akiko (1878-1942) e' poetessa di grande finezza, e lottando "con le armi della poesia" di intenso impegno morale e civile] Se qui adesso ripenso al percorso della mia passione - somigliavo a un cieco senza paura del buio. 7. MAESTRI. RICCARDO ORIOLES RICORDA ANTONINO CAPONNETTO [Dal n. 156 del 9 dicembre 2002 di "Tanto per abbaiare", la rivista diffusa solo per e-mail redatta da Riccardo Orioles (che e' Karl Kraus, l'eredita' della Resistenza e il movimento antimafia messi insieme - ce ne era gia' stato un altro cosi', si chiamava Pippo Fava, che di Riccardo Orioles e' stato compagno e maestro), riprendiamo il testo che segue. Tutti possono gratuitamente abbonarsi a "Tanto per abbaiare" (basta mandare una e-mail di richiesta a: ricc at libero.it), e chi lo fa vince in premio una sorsata di verita' e coraggio in forma di parole] Persone. Qualche mese fa un gruppo di fiorentini - di Controradio, mi sembra - aveva avuto l'idea di proporre a Ciampi di far senatore a vita Caponnetto; non se n'e' fatto niente, e per fortuna, perche' poche isituzioni sono cosi' screditate in questo paese come il senatorato a vita. Che e' stato gioiosamente assegnato a un parassita fighetto come l'Avvocato e a un capo del Kgb italiano come Cossiga, e quindi non poteva finire sulle spalle di un italiano perbene come Caponnetto, servitore della Nazione e del popolo italiano. Incongruamente, si mescolano nella memoria l'immagine del vecchio Presidente buono che riporta a casa il corpo di Berlinguer e quella di Caponnetto a Palermo ai funerali di Falcone. Caponnetto, in realta', e' stato il nostro Pertini. Uomini di Resistenza, tutt'e due; e tutt'e due fortunati. Vivere a lungo, servendo il proprio Paese, insegnando il coraggio ai giovani e la dignita' a tutti quanti, e sempre sorridendo mitemente e non indietreggiando mai: commemorarli? Invidiarli, piuttosto. 8. MAESTRE. MADAME DE SEVIGNE': ADDIO ALLE FOGLIE [Da Madame de Sevigne', Lettres, Garnier Flammarion, Paris 1976, 1993, p. 230 (e' una lettera al conte di Bussy-Rabutin, del 3 novembre 1677). Madame de Sevigne', Marie de Rabutin-Chantal (1626-1696) e' una delle grandi intellettuali francesi del Seicento. Ci duole l'inadeguatezza della nostra traduzione] Sono venuta qui a trascorrere giorni felici, e a dire addio alle foglie. Esse sono ancora tutte sugli alberi; non hanno fatto altro che trasmutar di colore: invece di essere verdi esse sono dei colori delle aurore, ed in tante e tali varieta' di aurora, da comporre un broccato d'oro ricco e magnificente, che ci piace trovare piu' bello del verde, nel suo trascolorar. 9. RILETTURE. SERGIO ALBESANO: STORIA DELL'OBIEZIONE DI COSCIENZA IN ITALIA Sergio Albesano, Storia dell'obiezione di coscienza in Italia, Santi Quaranta, Treviso 1993, pp. 200, lire 22.000. Un'ottima monografia storico-giuridica di uno dei piu' autorevoli studiosi ed amici della nonviolenza. 10. RILETTURE. MURRAY BOOKCHIN: DEMOCRAZIA DIRETTA Murray Bookchin, Democrazia diretta, Eleuthera, Milano 1993, pp. 96, lire 10.000. Le "idee per un municipalismo libertario" del grande studioso anarchico americano. 11. RILETTURE. BARRY COMMONER: ECOLOGIA E LOTTE SOCIALI Barry Commoner, Virginio Bettini, Ecologia e lotte sociali, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 232. Un libro che resta di grande utilita'. 12. RILETTURE. FONDAZIONE "CENTRO STUDI ALDO CAPITINI": ELEMENTI DELL'ESPERIENZA RELIGIOSA CONTEMPORANEA Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991, pp. VIII + 96. Una raccolta di interventi basata sugli atti del convegno perugino del 14-15 ottobre 1988. Contributi di Claudio Cesa, Mario Miegge, Sergio Moravia, Filippo Gentiloni, Sergio Quinzio, Giulio Girardi, M. Cristina Laurenzi. 13. RILETTURE. GIANFRANCA POCHETTINO (A CURA DI): I SENZA FISSA DIMORA Gianfranca Pochettino (a cura di), I senza fissa dimora, Piemme, Casale Monferrato (Al) 1995, pp. 118, lire 15.000. Uno dei volumi dell'utile collana "Biblioteca della solidarieta'" a cura della Caritas. 14. RILETTURE. MARIA TERESA TAVASSI LA GRECA: COSA LEGGERE SULL'EMARGINAZIONE SOCIALE Maria Teresa Tavassi La Greca, Cosa leggere sull'emarginazione sociale, Bibliografica, Milano 1977, pp. 252. Una bibliografia ragionata, che e' sempre un utile strumento di lavoro. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 447 del 16 dicembre 2002
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