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La nonviolenza e' in cammino. 446
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 446
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 14 Dec 2002 19:04:43 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 446 del 15 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: neutralita' attiva, una proposta per l'Europa 2. Enrico Peyretti, la Costituzione 3. Nicoletta Crocella, costruire un linguaggio di pace 4. Lalla Romano, silenzio 5. Sergio Paronetto: ripudiare la guerra, educare alla pace 6. Rosemary Dobson, la spettatrice 7. Augusto Cavadi, per i poveri e contro la poverta' 8. Maria Pawlikowska, rose per Saffo 9. Francesco Comina: il silenzio di Dio, il mistero dell'uomo 10. "La parabola del patriarcato" di Maria Anna Rosei 11. Letture: Alberto Asor Rosa, La guerra 12. Letture: Jean Baudrillard, Lo spirito del terrorismo 13. Letture: Mimmo Cortese, Roberto Cucchini, La forza lieve 14. Letture: Assia Djebar, La donna senza sepoltura 15. Letture: Tim Judah, Guerra al buio 16. Riletture: Caterina Fischetti, La psicoanalisi infantile 17. Riletture: Alba Marcoli, Il bambino nascosto 18. Riletture: Alba Marcoli, Il bambino arrabbiato 19. Riletture: Alba Marcoli, Il bambino perduto e ritrovato 20. Da tradurre: "La Nouvelle Revue Francaise", novembre 1951, Hommage a Andre' Gide 21. La "Carta" del Movimento Nonviolento 22. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: NEUTRALITA' ATTIVA, UNA PROPOSTA PER L'EUROPA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per averci messo a disposizione la traccia della sua relazione all'incontro della Convenzione permanente di donne contro le guerre del 13 dicembre. Lidia Menapace e' tra le figure piu' rilevanti della cultura e dei movimenti impegnati per la pace e la dignita' umana] La parola neutralita' non piace e sono sempre disposta a cambiarla, ma prima vorrei dire chiaramente che cosa significa, per me soggettivamente e secondo le definizioni del diritto internazionale. Ricordo che spesso parole innovative vengono caricate all'inizio di significati non buoni e persino irridenti: cosi' gotico voleva dire barbaro rispetto al romanico; barocco bizzarro rispetto alla razionale magnificenza rinascimentale; romantico confuso rispetto a classico; impressionista ridicolo perche' dipingeva impressioni invece di cose; decadente addirittura perverso rispetto al normale. Anche nel lessico politico repubblica significo' disordine rispetto a monarchia; anarchia estremo disordine anche morale; democrazia confusione; pacifista peggio che mafioso; comunista compendio di tutte le malvagita'; nonviolenza essere imbelli, vigliacchi o insopportabilmente ingenui. Neutralita' disinteresse, resa, vigliaccheria, rispetto a battaglia, patriottismo, eroismo. Lo accenno solo per monito. * Per me soggettivamente significa che giudico qualsiasi controversia e me ne faccio una opinione per quanto possibile bene informata e non settaria ne' ideologicamente gia' orientata, e attribuisco torti e ragioni secondo quanto posso e sono capace. La guerra infinita tra Israele e Palestina serve ottimamente come esercizio in merito. So che la terra contesa appartiene per ragioni varie e molto antiche a due popoli, quello palestinese residente e quello israeliano la' tornato dopo quasi un paio di millenni di diaspora, per riprendere la terra da Dio promessa al suo popolo, protetto dalla cattiva coscienza europea che aveva molti debiti da pagare a un popolo spesso perseguitato e infine colpito dalla tremenda Endloesung hitleriana. Che l'Europa e il mondo dei vincitori abbiano pensato di uscirne addossando alla popolazione palestinese residente il carico del risarcimento e' tipico della storia militare europea e delle dissennate forme di attribuzione dei territori alla fine delle due guerre mondiali: i confini sono sempre arbitrari, ma quelli usciti dalla prima e poi dalla seconda guerra mondiale lo sono al massimo, basta ricordare i Balcani. I palestinesi resistono a una attribuzione che li trasforma in sudditi di Israele e lottano per avere riconosciuto un territorio proprio, uno stato; la strada prima perseguita e' - da ambedue le parti - militare: Israele costruisce le sue basi territoriali nella forma dei kibbutzim-fortezza; i palestinesi cercano alleanze tra gli arabi al grido "distruggiamo lo stato di Israele". Da qui in poi non seguo piu' le vicende per brevita', e non discuto nemmeno le ragioni per le quali alla fine della seconda guerra mondiale il Medio Oriente, decisivo per il petrolio, non sia stato attribuito negli accordi di Yalta e sia rimasto quindi un'area di continuo confronto e testa a testa tra le superpotenze. Mi voglio solo fermare su un paio di osservazioni. Per un bel po' di anni in Europa e' quasi impossibile non sostenere Israele, dati i complessi di colpa diffusi; ma i palestinesi sono cosi' palesemente vittime di torti e colpiti da un esercito israeliano imbattibile, che l'opinione pubblica oscilla. Tappe decisive di queste oscillazioni sono la guerra dei sei giorni da una parte e il terrorismo dall'altra. Infatti i palestinesi praticano varie forme di terrorismo che culminano nella sparatoria contro gli atleti alle Olimpiadi di Monaco. E perdono consenso internazionale. Israele e' sempre protetto dal ricordo della Shoah, dalla grande abilita' diplomatica, dal fatto che ha gia' forma di stato (istituzione alla quale e' delegato l'esercizio della violenza legale, detta forza): vengono perdonate incursioni terribili e rappresaglie di stato (o terrorismo di stato) promosse attraverso il Mossad, il servizio segreto ben presto riconosciuto come il migliore del mondo. I palestinesi subiscono terribili condizioni di vita, molti diventano profughi, molti finiscono in campi di concentramento; e mentre qualsiasi ebreo da tutto il mondo puo' immigrare in Israele, del quale e' ipso facto cittadino e puo' anche - se e' americano - versare ad Israele il gettito fiscale dovuto agli Usa, per i palestinesi l'esilio o la fuga equivalgono a un trasferimento che non ha ritorno. A questo punto i palestinesi hanno una grande e geniale idea: lanciano l'Intifada (significa - come sappiamo - indignazione) che e' una forma molto ben condotta di difesa popolare nonviolenta: davvero popolare, dato che ne fanno parte bambini, ragazzine, donne, anziani. Qui gli stati europei vengono meno, cioe' applaudono, ma non fanno un bel niente per far rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite e gli accordi internazionali che si riassumono nella frase "due stati per due popoli". Per l'inazione di chi avrebbe dovuto richiedere ad Israele di rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite, la popolazione palestinese precipita in una disperazione cupa, brodo di coltura per le aree che sostengono la guerra e il terrorismo: viene lanciata la seconda Intifada, non piu' popolare ne' nonviolenta, bensi' armata e diretta da correnti fanatizzate fino all'uso abituale di kamikaze. Qui si misura l'influsso del fondamentalismo in una popolazione prima nota per la sua laicita', tolleranza religiosa e avanzatezza dei costumi: sono ben lontani i tempi nei quali si citava il sindaco di Betlemme palestinese cristiano e comunista e le donne andavano orgogliosamente a testa nuda, prendevano la parola in pubblico e respingevano le proposte di Arafat di rinviare la soddisfazione delle loro richieste a un ipotetico "secondo tempo". Oggi compaiono quasi solo come madri o vedove di eroi o candidate kamikaze, scelte da uomini persino per suicidarsi. Simile deriva avviene anche tra gli Israeliani: prevale la destra religiosa. Possiamo menzionare - simbolo di questa involuzione - l'assassinio di Rabin da parte di un fanatico israeliano (o dei servizi segreti?). A mio parere e' necessario per il bene dei popoli coinvolti che si attribuiscano chiaramente le responsabilita' ai governi di Israele, all'Autorita' palestinese, all'Europa, alle Nazioni Unite. Risulta chiaro che qualsiasi "soluzione di forza" non risolve nulla. Chi vuole fare qualcosa di utile deve prendere le distanze emotivamente e politicamente sia dal governo di Israele sia dall'Autorita' palestinese. Deve scegliere come interlocutori i gruppi che nei due popoli segnalano di non voler continuare nella distruzione e trovano modi per protestare, per distinguersi, per rifiutarsi. E deve cercare una via d'uscita - come si suol dire - "politica", cioe' non guerreggiata, sforzandosi in ogni modo di non "schierarsi". E' cio' che hanno cominciato per prime a fare le Donne in nero, poi seguite da altri, gruppi di parlamentari eccetera: ma non vi e' intorno a loro un esplicito sostegno politico che allarghi il consenso della cittadinanza a queste pratiche; che non debbono restare "esemplari", e ammirate come opere buone o coraggiose o assistenziali, ma diventare politica diffusa. Altrimenti sono aggiuntive, non sostitutive della guerra, leniscono il peggio, non risanano la situazione. Per dirla con Bertha von Suttner (la collaboratrice di Nobel che gli suggeri' il premio per la pace) non bisogna fare come la croce rossa, che Bertha considerava una istituzione da non premiare perche' militaresca e perche' - come diceva con una metafora da donna che cucina -: "se uno viene fritto nell'olio bollente, che la temperatura sia 300 o 280 gradi fa poca differenza: la croce rossa abbassa la temperatura dell'olio a 280 gradi". Se questo e' per me soggettivamente il percorso per diventare una persona che pratica la neutralita', voglio pero' dire subito che la neutralita' ha avuto un lungo itinerario storico e nei tempi moderni e' stata anche definita nel diritto internazionale e li' e' considerata l'unica forma politica, l'unica istituzione e procedura antagonista alla guerra. Comunque per me neutralita' significa che anche la causa piu' giusta non puo' essere sostenuta con le armi, perche' l'intervento militare inquina la bonta' della causa e la fa degenerare come e' risultato evidente in tutte le guerriglie, lotte di resistenza, ecc. ecc. * Gli antichi non avevano una istituzione giuridica che regolasse la neutralita': uno stato in guerra poteva stipulare accordi con uno non guerreggiante per ottenere che non facesse nulla di ostile ne' di favorevole, si astenesse da azioni belliche: questo era un accordo a due, non uno status, valeva per quella guerra e magari solo per una sua fase. Qualcosa di simile - mi verrebbe voglia di dire - alla non-belligeranza che Mussolini si invento' perche' non era pronto ad entrare in guerra e anche Hitler gli consiglio' di soprassedere. Ma quando credette che la guerra stesse per concludersi (nel 1940!), vi entro' rinunciando alla citata non-belligeranza perche' voleva avere "qualche centinaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative", una delle frasi piu' vigliacche e che piu' gli alienarono il favore popolare. Neutrale transitorio fu Franco che pure era un personaggio molto incline alle armi, alla violenza, alla sopraffazione. Se le prime definizioni giuridiche di neutralita' con le prime precisazioni (neutralita' transitoria o permanente, volontaria, totale, eccetera) appartengono al diritto dal XVII secolo in qua, le definizioni piu' precise sono del secolo XIX e arrivano a compimento nel secolo XX soprattutto nel periodo tra le due guerre. Il movimento operaio, i movimenti anarchici e socialisti e il suffragismo erano neutralisti e la crisi che li spacco' all'inizio della prima guerra mondiale deve considerarsi una delle piu' serie e non recuperate tragedie del secolo appena finito. Significativi rallentamenti del neutralismo sono dovuti alle prime forme di organizzazione internazionale a tutela di rapporti pacifici tra stati, come la Societa' delle Nazioni: vi e' infatti una sorta di antagonismo tra Societa' delle Nazioni che lavora per avere pace tenendo fermo che il ricorso alla guerra deve essere l'extrema ratio, e il pensiero neutralista che esclude comunque l'uso della guerra per far trionfare un punto di vista, un interesse anche legittimo ecc. Il rapporto conflittuale tra Societa' delle Nazioni e neutralita' e' ben rappresentato dal fatto che la Svizzera per entrarvi chiese che le fosse comunque riconosciuto il suo status di paese neutrale e ospitante. La contraddizione si esprime - sia pure in forma meno accentuata - anche verso le Nazioni Unite, dato che, ammaestrati dal terribile ripetersi di guerre sempre piu' tremende, i vincitori mettono in capo del suo statuto la messa fuori legge della guerra (la guerra e' sempre un crimine). Ma poiche' al suo interno si stabiliscono poteri legati e legittimati dalla vittoria nella seconda guerra mondiale, questo compito non puo' essere eseguito e l'istituzione decade pericolosamente a sede di compensazione tra interessi forti e di fatto subalterna alla forza delle varie amministrazioni Usa. Forse un certo risveglio - ambiguissimo e non certo trasparente - e' in corso appunto intorno alla guerra all'Irak, ma occorre una modifica profonda della cultura fondativa delle Nazioni Unite per mutare questa debolezza. * Intanto si puo' tentare di costruire l'Europa almeno parzialmente in un'altra logica, inserendo quanti piu' elementi e' possibile di superamento della sovranita' nazionale e un articolo che ricalchi l'articolo 11 della nostra Costiuzione italiana. Certamente una vera neutralita' mette in discussione l'idea stessa di stato di diritto cosi' come e' stata elaborata, cioe' quella di una istituzione che garantisce la sicurezza dei cittadini mantenendo il diritto di usare anche la guerra a questo fine (attraverso le Forze armate) e la repressione poliziesca e carceraria per i crimini all'interno: tale uso della violenza legale, detta forza (le "forze dell'ordine") e' un punto che deve far riprendere una lotta anche culturale nei confronti degli elementi di assolutismo che ineriscono all'idea di sovranita' statale. Insomma neutralita' e' tutt'altro che un concetto generico o accomodante: se si vuole praticarlo bisogna conoscerne idee, dimensioni, ambiti e potenzialita', e non seguire l'opinione o la vulgata che ne fa un concetto debole, rinunciatario, e magari persino imbelle. Io ad esempio sono imbelle nel senso latino di "debole per eta'" e "disadatta alla guerra per decisione etica e politica", ma mi considero coraggiosa per aver scelto la pratica della neutralita'. Il coraggio non e' temerita', eroismo o altre baggianate del dominio culturale del pensiero bellicista-patriarcale. Comunque i diritti e i doveri di uno stato che si dichiara neutrale sono: di astenersi da ogni guerra, ma anche di non firmare in tempo di pace trattati militari, e di non avere una politica che prepara o si dispone alla guerra; non puo' consentire il passaggio di truppe sul suo territorio, ecc.; vi e' un preciso regolamento dei movimenti in mare, del trattamento dei fuggiaschi dalle guerre altrui, ecc. Si potrebbe tradurre tutto cio' in: un continente neutrale non puo' ospitare basi militari di altri sul suo territorio, non puo' firmare trattati militari, non puo' avere arsenali; pratica il disarmo, vieta costruzione, progettazione e vendita di armi, trasforma in civile la produzione militare, ecc. Il vecchio glorioso motto "Fuori la Nato dall'Italia, fuori l'Italia dalla Nato" diventa oggi: una Europa neutrale non puo' ospitare le basi americane e si sgancia dalla Nato, lavora alle Nazioni Unite per cancellare i residui del diritto fondato sulla vittoria, come il privilegio di essere membri permanenti del consiglio di sicurezza, di esercitarvi il diritto di veto, di non mettere in piedi un sistema di magistratura e tribunali internazionali contro i crimini contro l'umanita', per i diritti civili e sociali ecc. ecc. Mi pare un complesso di concetti, un ragionamento dotato di grande potere euristico. Cosi' la vedo io, e amerei che non mi si ribattesse che neutralita' non piace (non e' una risposta) o e' generica (che pure non lo e'). 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA COSTITUZIONE [Da una lettera di Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) riprendiamo queste lapidarie osservazioni. Enrico Peyretti e' una delle personalita' piu' prestigiose della riflessione e dei movimenti di pace e nonviolenti] La Costituzione c'e', in Italia, e preziosissima, forse la migliore del mondo. Si possono fare modifiche, nel rispetto dei principi, ma non si puo' fingere che non ci sia. Questo fa il gioco degli eversori, nati su un terreno selvaggio, esterno alla cultura e alla storia costituzionale. La Costituzione va difesa e attuata, contro gli eversori. 3. RIFLESSIONE. NICOLETTA CROCELLA: COSTRUIRE UN LINGUAGGIO DI PACE [Ringraziamo Nicoletta Crocella (per contatti: stellecadenti at tiscalinet.it) per questo intervento. Nicoletta Crocella e' impegnata nell'esperienza della casa editrice "Stelle Cadenti"] Colgo lo spunto dalla segnalazione di Ileana Montini sul libro Attraverso il silenzio, da me scritto su sollecitazione ed incarico delle donne che con me hanno vissuto per dieci anni l'esperienza del laboratorio psicopedagogico delle differenze, ideato e condotto da Ileana e poi divenuto anche per noi strumento di intervento ed azione professionale e non. L'esperienza ci ha condotto a vivere il confronto e l'ascolto reciproco, lo spazio di ognuna accettato dall'ascolto delle altre che ne traevano stimolo e spunto per il proprio spazio personale, ed una relazione tra donne basata sul riconoscimento e l'incontro delle differenze. Ci siamo quindi trovate ad auspicare una specie di meticciato culturale in cui l'intreccio di storie, penseri, esperienze, vite potesse portare alla realizzazione di un nuovo spazio che non nega le diversita', ma le fa dialogare e ne accoglie la ricchezza. Abbiamo anche imparato a riconoscere il senso, la ricchezza, il non detto di tante parole che quotidianamente usiamo, ed anche la presenza in ognuna di noi di quella parte oscura, delle ombre, che non riconosciute agiscono in modo sotterraneo, portandoci dove pensiamo di non voler andare. Adesso il laboratorio come gruppo ha scelto il silenzio, ma il patrimonio di quell'esperienza e' vivo come atteggiamento e metodo di lavoro che ci consente di allargare in cerchi concentrici il sasso allora gettato nello stagno. Trasferita a Bassano in Teverina, dove con Mario Palmieri mi occupo dell'associazione Stelle Cadenti, lavoro in particolare alle piccole edizioni a tiratura limitata che pubblichiamo. Abbiamo con Miriam Marino ed altri pubblicato un opuscolo intitolato Un orizzonte di pace dedicato in particolare alla Palestina, e ne stiamo preparando un secondo su questa sciagurata vigilia di guerra. Mi sembra importante sottolineare la necessita' di diffondere e costruire un linguaggio di pace, che possa sollecitare un immaginario coerente, e svelare anche come la guerra mediatica, il linguaggio di violenza e prevaricazione, dove l'uso delle armi viene giustificato e spegnere vite umane viene considerato uno spiacevole "effetto collaterale", producono un immaginario violento, e di conseguenza comportamenti di una violenza diffusa nelle relazioni interpersonali che nei casi piu' gravi si traducono in uccisioni e stragi casalinghe, senza aspettare interventi esterni di nemici o terroristi. Mi sembra evidente che cio' sia frutto della assenza di responsabilita' personali riconosciute, di etica condivisa, e che se le emozioni e le difficolta' individuali non trovano lo spazio della elaborazione, ma esigono una immediata azione di riparazione e/o punizione, senza alcuna cura per le conseguente sproporzionate delle proprie azioni, ecco allora che esplodono scenari da guerriglia nelle nostre citta', nelle case, ad opera di chi e' piu' fragile, influenzabile, o semplicemente non vuole riconoscere la propria responsabilita' verso gli altri, e si sente ferito o defraudato, magari solo perche' non puo' permettersi il lusso che la pubblicita' ci dice ovvio per ognuno di noi. Assistiamo a semplificazioni del linguaggio e ad una comunicazione cosi' grezza e pesante che forse e' proprio da qui che e' necessario ripartire, dallo svelare il senso delle parole, dal dare loro importanza, non negando difficolta' e contraddizioni, in nome di verita' date per scontate. Prima fra tutte, la differenziazione fra noi, la societa' occidentale organizzata e considerata giusta, il metro di misura, e gli altri, cui si attribuisce uno statuto di selvaggi, vittime o carnefici, ma comunque alieno gruppo di estranei da combattere. Le loro morti sono inevitabili, si chiede sfacciatamente ad esempio "che altro poteva fare" Putin di fronte alle giovani morte insieme ai loro ostaggi, volendo dimenticare la possibilita' di condurre un negoziato, ascoltare, parlare, trovare un punto di incontro, e si dimentica innanzi tutto che e' maggiore responsabilita' di chi governa usare metodi leciti, non causare morti inutili, non farsi terrorista. 4. POESIA E VERITA'. LALLA ROMANO: SILENZIO [Da Lalla Romano, Poesie, Einaudi, Torino 2001, p. 132. Lalla Romano, pittrice, poetessa, scrittrice, tra le voci piu' vive della cultura italiana del Novecento] Perdonami se spesso al tuo silenzio non so risponder che col mio silenzio. Vedo trascorrer come un triste fiume il tuo dolore, e simile mi faccio a te, muta corrente, e ti accompagno lungo il tuo stanco, affaticato andare. 5. RIFLESSIONE. SERGIO PARONETTO: RIPUDIARE LA GUERRA, EDUCARE ALLA PACE [Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com) per averci messo a disposizione il testo della sua introduzione alla serata di inaugurazione del centro culturale dedicato a don Lorenzo Milani a S. Martino Buon Albergo (Vr), in cui e' stato varato il "movimento degli educatori milaniani". Sergio Paronetto e' impegnato nei movimenti pacifisti e nonviolenti, e particolarmente in Pax Christi] Per costruire una nuova cittadinanza attiva, locale e universale, quotidiana e planetaria, ritengo fondamentale comprendere bene e realizzare la Costituzione italiana, la Carta dell'Onu e la Dichiarazione universale dei diritti umani, anzi il Codice internazionale dei diritti umani. Ognuno puo', ovviamente, avere altri punti di riferimento, aggiungere altri testi o esaminare i profili di tanti testimoni di pace. Per me e' anche importante conoscere e sviluppare le riflessioni maturate nell'ambito della Tavola della pace, dell'Onu dei Popoli, della Rete Lilliput, dello straordinario Forum sociale europeo di Firenze, del cantiere di Porto Alegre. Oggi e' urgente dedicare tempo e spazio all'articolo 11 della Costituzione. Sta partendo una proposta di legge di iniziativa popolare orientata alla sua applicazione integrale. A Firenze si e' anche proposto di inserire nella futura Costituzione europea il contenuto dell'articolo 11 della nostra Costituzione. L'articolo 11 della Costituzione e' di grande bellezza. In esso vibra il dolore per le vittime della guerra mondiale appena conclusa e delle possibili vittime di guerre future sempre piu' totali, sempre piu' e solo aggressive. Si agita ancora l'orrore per il massacro atomico di Hiroshima e Nagasaki. E' presente la dimensione planetaria delle Nazioni Unite, della lora Carta (1945) e del neonato ma contrastato diritto internazionale. Da anni, purtroppo, anche l'Onu fa parte dell'infanzia negata o abbandonata. Nell'articolo 11 si evoca una nuova pedagogia. Si muove un desiderio di riforma delle menti e dei cuori. Si avverte in profondita' lo spirito della nonviolenza intesa come azione per la pace con mezzi di pace, nuovo diritto internazionale, impegno per la liberta', per la giustizia, per la democrazia, per la solidarieta', per la "convivialita'". L'articolo 11 si apre con le parole: "L'italia ripudia la guerra". Ripudiare la guerra e' un'espressione fortissima. Estrema. Vuol dire non accettare, non riconoscere, rigettare da se' qualcosa di proprio, rinnegare un'appartenenza ritenuta un tempo importante. Come dire: ora cambia lo scenario della storia. Si volta pagina. Anzi si cambia libro. Mutano gli strumenti di scrittura. Ripudiare la guerra e' rifiutare cio' che sembrava decisivo e necessario ma che ora, sulla base della novita' della guerra moderna e della complessita' dei problemi, si ritiene ripugnante. Ripudio e' rifiuto, ripulsa, ripugnanza... Allontanare cio' che e' ripugnante. Ripugnante vuol dire tante cose: refrattario, disdicevole, disgustoso, incompatibile, nauseabondo, nauseante, odioso, orrido, repellente, ributtante, ripulsivo, schifoso, stomachevole, sconveniente... Viene in mente lo stile ironico e sarcastico di Erasmo da Rotterdam. Ripugnante e' anche avverso, contrario, alieno (alienum a ratione, scriveva Giovanni XXIII nella Pacem in terris), cioe' assurdo, impossibile. * Oggi crollano le teorie delle guerre giuste. Tanto piu' quelle preventive. Allora, solo la prevenzione della guerra conta, la guerra non ha piu' un fine ragionevole ma e' essa stessa la fine. La fine della ragione, della politica, del diritto, della religione, della vita, dell'umanita'. Soprattutto quando si teorizza e si pratica l'azione internazionale unilaterale, la politica di supremazia e di pre-potenza. Soprattutto in presenza non solo della guerra totale ma della ribadita necessita' della guerra di aggressione e di aggressione anche nucleare. Viene a orribile maturazione lo scenario di don Milani descritto nella pagina conclusiva de L'obbedienza non e' piu' una virtu': ormai la guerra o e' aggressione o e' vendetta. La guerra e' uscita per sempre da qualunque criterio di razionalita'. Oggi la prospettiva militare e' cosi' complicata e terribile che anche coloro che si rifanno alla teoria della "guerra giusta" non trovano motivi reali e plausibili per accettare un'azione bellica. La Dichiarazione dei vescovi statunitensi contro la politica militarista dell'amministrazione Bush rivela che anche il tradizionale insegnamento sulla guerra ci porta al rifiuto delle guerre, puu' trasformarsi in tentativo di prevenzione di esse (cfr. "Adista" n. 85, 30 novembre 2002). Un felice paradosso. Un bel salto culturale. * Che tristezza, allora, sentire molti parlare di revisione demolitrice dell'articolo 11 della Costituzione. E' inutile tirar fuori la bandiera italiana se non si tira fuori la Costituzione. E' inutile voler cantare bene l'inno nazionale se non si canta la Dichiarazione dei diritti umani che la Costituzione a modo suo ripropone. Giuseppe Dossetti si alzerebbe in piedi severo e fremente. Ricordo un suo pensiero poco prima di morire: "In questo momento, se avessi qualche anno di meno sulle spalle, mi tirerei su' le maniche e cercherei proprio di promuovere a tutti i livelli una revisione dei nostri comportamenti. Credo che questo debba essere un compito affidato ai piu' giovani: di non darsi pace se non facendo veramente opere di pace, in tutti i sensi... E poi... ci vuole anche fiuto: bisogna esercitarsi un po' a sentire puzza di bruciato, quando l'incendio e' ancora domabile. E questo non lo stiamo proprio facendo. Dobbiamo sentirci tutti personalmente e comunitariamente responsabili di quest'inerzia irrazionale e di questo grande egoismo paralizzante... di questo fatalismo, per cui la guerra sarebbe una fatalita', comparabile a quella che grava su quegli animali polari che vanno incontro periodicamente a un grande suicidio collettivo, per estinguersi o sistemare lo sviluppo della specie. Cosi' dovrebbero fare anche gli uomini. Io non posso rassegnarmi a una visione del genere, pero', se non ci interroghiamo, c'e' il rischio che, senza pensarci, anche noi adottiamo questo punto di vista". Penso anch'io che in troppi, anche tra gli "esperti" o gli "opinionisti", consapevoli o inconsapevoli "cattivi maestri", ci sia un insensato irrigidimento polare, una specie di "cupio dissolvi", un desiderio di sparire come se si fosse gli ultimi uomini della storia, quasi un gusto macabro della fine, un'accidia da rassegnazione e resa. * Ecco, bisogna svegliarsi. Alzarsi in piedi. Vegliare. Non rassegnarsi: "condurre a termine con coraggio quest'opera di immenso amore per gli uomini". Cosi' la Costituzione conciliare Gaudium et spes descriveva l'azione dell'operatore di pace spinto dalle novita' del mondo moderno a "considerare l'argomento della guerra con mentalit' completamente nuova". Cosi' parlavano Albert Einstein e Bertrand Russell negli anni '50 ai capi delle nazioni. L'agire politico dovrebbe incarnare l'idea di liberta' come nascita: "dare inizio a qualcosa di nuovo" (Arendt), creare storia. E' urgente farlo a partire dal ripudio della guerra e della sua preparazione. Anche la corsa agli armamenti, scriveva il documento presentato all'Onu nel 1976 dalla Santa Sede, costituisce di per se' un fenomeno di aggressione, un'ingiustizia, un pericolo e un crimine. Le armi moderne, diceva Paolo VI all'assemblea generale delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965, "ancor prima di produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi; esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarieta' e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli". Educare alla pace significa anzitutto concepire il sogno buono diurno, cominciare a far nascere il mondo umano. Il primo passo e' liberarsi dalla paura, nostro vero avversario, scegliendo la nonviolenza trasformatrice. E' tempo di raccogliere le iniziative per la difesa delle leggi 185 (controllo pubblico sul commercio delle armi) e 209 (annullamento del debito estero di alcuni paesi), quelle contro le mine, le banche armate, le varie armi, all'interno di una grande campagna per il disarmo. Occorre prevenire la "guerra totale e infinita" (espressione disumana e blasfema) con l'azione reticolare e capillare per il disarmo totale e infinito, partendo da piccoli gesti e dai piccoli passi. Pax Christi statunitense e inglese, in caso di guerra, invitano alla disobbedienza civile, all'obiezione di coscienza popolare. Teniamo gli occhi attenti e freschi. Quelli che don Milani indicava come fonte dell'azione pedagogica per gli educatori che intendono prendersi cura dei volti e assumersi la responsabilita' del futuro. 6. POESIA E VERITA'. ROSEMARY DOBSON: LA SPETTATRICE [Da AA. VV., Da Slessor a Dransfield. Antologia della poesia australiana oggi, Accademia, Milano 1977, p. 163, riprendiamo questa poesia di Rosemary Dobson, nata a Sidney nel 1920 ed autrice di varie raccolte poetiche (abbiamo adottato la traduzione italiana del libro citato, ma ci piacerebbe cimentarci in altra, nostra, e in cruciali luoghi assai diversa traduzione che anche questo prezioso testo consentirebbe, fin dal titolo)] Io sono quella che guarda dall'altra parte In ogni dipinto si puo' vedere che sto Rapita al cielo, un uccello, un'ala d'angelo, Mentre gli altri s'inginocchiano, offrono mirra, ricevono La benedizione dalla mano luminosa. Io trattengo i cavalli mentre i cavalieri smontano E sguainano le spade per vincer la battaglia; O se no in vaga prospettiva si puo' vedere La mia figura remota sulla strada di montagna Quando nelle pianure gli eserciti sono messi in rotta. Io sono lo spirito stupido che sembra troppo tonto, L'ottusa sognatrice, seconda da destra. Seguo la folla, ma non segno (copricapo sugli occhi) i massacrati Innocenti, O Icaro, la sua caduta a capofitto. Una volta in un Giardino - vista di schiena li' soltanto - Che bene il pittore mi rese, pennellata su pennellata, Eppure appena visibile tra i fiori e l'erba - Udii una voce, "Mangia", e avrei voluto voltarmi - Spesso mi chiedo chi fu che parlo'. 7. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: PER I POVERI E CONTRO LA POVERTA' [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso nell'edizione palermitana de "La Repubblica" l'11 dicembre. Augusto Cavadi e' una delle figure piu' vive dell'impegno educativo e antimafia e delle esperienze di solidarieta' ed impegno civile a Palermo] Un vivace, ma civilissimo scambio di opinioni tra Maurizio Barbato e Biagio Conte sulle pagine palermitane de "La Repubblica" ha riproposto la questione del volontariato nel nostro Paese e, in particolare, nel contesto siciliano. La stima che nutro per entrambi gli interlocutori puo' giustificare, se non addirittura sollecitare, qualche considerazione supplementare e, ritengo, non del tutto scontata. Premessa indispensabile e' che ormai l'etichetta "volontario", come recentemente notava in un suo commento anche Ferdinando Siringo, copre una miriade caotica - e contraddittoria - di figure: dalle piu' "nobili" e disinteressate alle piu' equivoche e compromesse in logiche clientelari. E, dunque, non ha senso ne' difendere ne' condannare in blocco questo fenomeno sociale che - in varie forme e in diversa misura - coinvolge, solo nella nostra regione, centinaia di migliaia di cittadini. Se in questo magma multicolore ritagliamo il volontariato "puro" - messo in opera, voglio dire, da uomini e donne che gratuitamente prestano ore del loro tempo per un servizio socialmente utile -, troviamo al suo stesso interno una differenza fondamentale. Per una fetta, tutto sommato ritengo ancora numericamente maggioritaria, il volontariato e' un'alternativa alla politica. Piu' o meno delusi dalla militanza in nome delle utopie del Sessantotto, diffidenti rispetto alle strutture partitiche a forte connotazione ideologica ancora presenti nella Prima Repubblica, questi operatori ritengono piu' concreta ed efficace la beneficenza (nel senso etimologico di "fare del bene") rivolta agli indigenti presenti qui ed ora fra le pieghe del sistema economico-sociale. Tale impostazione assistenziale si inserisce, senza fratture di rilievo, nella plurisecolare tradizione cattolica che e' stata sempre sensibile all'appello - tanto piu' eloquente quanto talora ammutolito dal dolore - del volto sofferente incontrato nella strada della vita. Essa puo' essere difficilmente criticata per quello che fa (e lo stesso Barbato da' atto alla Missione di Biagio Conte fra i barboni di svolgere un ruolo rispettabile di tamponamento delle emergenze e di supplenza dello Stato): ma lo puo' essere per quello che non fa, o che distoglie dal fare. Puo' essere criticata, intendo, per quel tanto che si accontenta, in maniera miope, di soccorrere i feriti senza chiedersi perche' ci sia una guerra in atto. Per quel tanto che tappa le falle della nave senza approntare le condizioni, neppure remote, per una sua ristrutturazione radicale. Di questi limiti del volontariato "assistenzialistico" si sono accorti da decenni quelle frange, tutto sommato minoritarie, che vedono nella loro scelta un modo altro di fare politica rispetto al monopolio tradizionale dei partiti: che dunque ritengono necessario partire dalla piaga del singolo indigente ma vedono in esso il sintomo di un malessere complessivo di dimensioni territoriali e sociali ben piu' ampie. E' la prospettiva del volontariato "critico" che ritiene di dover entrare in sinergia complementare rispetto ad ogni altra organizzazione (scuola, partiti, sindacati, movimenti politico-culturali, comunita' religiose...), tendente a far prendere coscienza dei propri diritti e delle proprie responsabilita'. E' la logica di un volontariato che, per dirla con don Luigi Ciotti, punta alla propria estinzione: perche' mira a stimolare i meccanismi istituzionali in modo che, una volta riformati e attivati, rendano superflua l'azione di protesta, di proposta e di controllo dell'associazionismo. Si puo' capire facilmente perche' questa seconda impostazione non trovi il consenso dei ceti dominanti: gia' il vescovo brasiliano Helder Camara confessava, con un sorriso amaro, che quando invitava ad aiutare i poveri veniva applaudito come "un santo prete", ma quando si chiedeva come mai ci fossero ancora dei poveri veniva accusato di essere "uno sporco comunista". Meno facilmente si capisce pero' la diffidenza che il volontariato critico incontra ancora negli ambienti "laici", specie se di formazione marxista. Essi temono che, comunque, contribuisca a sopportare lo smantellamento dello Stato sociale operato dai governi di centro-destra e sottragga energie al lavoro "politico" di lungo periodo. Il pericolo di questa assuefazione c'e' sicuramente e gli intellettuali acuti come Barbato faranno bene a non allentare la vigilanza affinche', nonostante le migliori intenzioni soggettive, non si finisca col diventare gli "utili idioti" di una mentalita' conservatrice che accetta la poverta', nel proprio Paese e ancor piu' nel mondo, come un dato ineliminabile. Ma e' altrettanto effettivo, almeno a mio parere, il pericolo simmetrico - non estraneo a generazioni di militanti di sinistra - di discutere del futuro del pianeta in condizioni individuali di privilegio economico e di insensibilita' verso quanti, gia' ora e qui, sono stritolati dai meccanismi strutturalmente ingiusti del capitalismo "reale". Forse il mondo diverso per cui si battono, talora anche con modalita' aggressive e in ultima analisi autolesionistiche, i movimenti anti-globalizzazione si costruisce attraverso micro- esperimenti parziali di democrazia e di partecipazione: aprendo un centro di accoglienza per immigrati a Mazara del Vallo, organizzando un'associazione di sostegno ai cerebrolesi a Palermo o una cooperativa di operatori turistici a S. Stefano Quisquina o una bottega per il commercio equo e solidale a Trapani. E' importante non perdere di vista la meta, ma altrettanto fare un passo dopo l'altro. Come si diceva tempo fa, pensare globalmente ma agire localmente. 8. POESIA E VERITA'. MARIA PAWLIKOWSKA: ROSE PER SAFFO [Da AA. VV., L'altro sguardo, Mondadori, Milano 1996, 1999, p. 184; la traduzione e' di Krystyna Jaworska. Maria Pawlikowska (Cracovia 1894 - Manchester 1945), poetessa e commediografa polacca, che sarebbe ora di tradurre piu' ampiamente] Come osasti scrivere delle rose, quando la storia ardeva come un bosco nell'arsura estiva? Oggi in biblioteca l'addetto spolvera il ciclo della storia, e oltre la finestra - Saffo, primaverilmente di ritorno, canta con l'usignolo, come le comanda cuore. 9. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: IL SILENZIO DI DIO, IL MISTERO DELL'UOMO [Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ilmattinobz.it) per questo intervento. Francesco Comina e' giornalista e saggista, impegnato in Pax Christi e nella cultura e la prassi di pace e di nonviolenza] Mai come in questo avvio del Terzo Millennio il silenzio di Dio si e' fatto cosi' grave, cosi' muto, cosi' rassegnato. Con sofferto dolore il Papa l'ha registrato nel corso dell'udienza generale in Vaticano: "Dio non si rivela piu', sembra nascondersi, in silenzio, quasi disgustato dalle azioni dell'umanita' (...). Ormai ci si sente soli e abbandonati, privi di pace, di salvezza, di speranza. Il popolo, lasciato a se stesso, si trova come sperduto e invaso dal terrore". Dalle nuvole pesanti di questo tempo taciturno, cala il lamento di Geremia sul popolo naufrago verso la Terra Promessa: "I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perche' da grande calamita' e' stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la citta', ecco gli orrori della fame" (Geremia 14, 17-18). Era dai fumi del genocidio di Auschwitz che il silenzio di Dio non si manifestava in modo cosi' netto, cosi' perentorio, cosi' drammaticamente sconvolgente. Ma li', almeno, quel silenzio lasciava intravvedere, dietro di se', il pertugio della consolazione nell'atto salvifico della presenza-assenza di un Dio bruciato, insieme alla sua creatura, nel forno crematorio o appeso, come il bimbo di Wiesel, sulla forca in mezzo al campo: "Ma dov'e' Dio? Dov'e' il buon Dio?... E' li' appeso a quella forca". C'era, insomma, nella melma della spietatezza nazista, la convinzione che la mancanza di segni divini fosse in realta' supportata dalla presenza di un Dio nonviolento, pronto a chinarsi verso il prigioniero ucciso, massacrato, maciullato. E Simone Weil ce lo ricordava, in chiave cristiana, in un verso stupendo di una sua litania: ´L'abbandono supremo nel momento della crocifissione, quale abisso d'amore fra le due parti". L'uomo appeso alla croce muore abbandonandosi a Dio nel momento stesso in cui Dio si piega abbandonandosi all'uomo. "E nel cielo ci fu silenzio". Ma il silenzio di oggi, sottolinea il pontefice, e' un silenzio "disgustato", e' il silenzio di un Dio che guarda il mondo con il volto corrucciato e preoccupato dalla negligenza di un uomo incapace di fare pace, capacissimo, invece, di fare guerre, proteso come un uccello rapace nell'intento di sottrarre alle viscere della terra le sue risorse energetiche e protervamente abituato a ragionare in termini di competizione fra ricchi sempre piu' ricchi e poveri sempre piu' poveri. Il disgusto di Dio si fa silente presa di coscienza che a quasi sessant'anni dall'apocalisse di Hiroshima e Nagasaki tornano ancora attuali e politicamente praticabili proclami infausti come quello fatto dall'amministrazione del presidente Bush nelle stesse ore in cui Wojtyla gettava il suo amaro sguardo sul mondo: "Siamo pronti ad usare la bomba atomica per fermare l'Irak". E cosi' si arriva al paradosso che per bloccare la minaccia di un ricorso di Saddam alle armi di distruzione di massa, l'occidente risponda con l'arma piu' micidiale che si conosca: la bomba nucleare. E allora la pace non solo diventa un grido di speranza per toglierci di torno il silenzio disgustato di Dio, ma assume un realismo sconvolgente, una sorta di messaggio a salvare la terra alle radici, l'umanita', che ne costituisce il tessuto connettivo, perche' i politici non vedono dai loro palazzi di vetro quello che il popolo sperimenta sulle pendici della storia. Ma la guerra e' solo un aspetto della civilta' del male che provoca il ritiro di Dio dal mondo. Il passo del profeta Geremia commentato da Giovanni Paolo II lega in un intreccio mortale la guerra e l'ingiustizia, "la spada e la fame", perche' questo binomio e' il risultato, non della crudelta' di un Dio maligno, ma della perversione di un ordine del mondo partorito dall'azione umana, troppo umana. "La poverta', che sia determinata da eventi naturali o dalla guerra - ha affermato don Ciotti commentando il grido del Papa - non e' mai un fatto biologico. Si e' poveri perche' si e' impoveriti". E si e' poveri - potremmo aggiungere - perche' i programmi politici ed economici delle istituzioni deputate allo sviluppo dei popoli, sono stati appositamente strutturati per avvantaggiare una porzione di umanita' e per penalizzare la parte piu' consistente, una parte dove vivono e muoiono nell'assoluto silenzio milioni e milioni di esseri innocenti. Come riferivano ieri, negli articoli di taglio basso dei giornali, le statistiche Unicef sul genocidio dei piccoli nell'era della manipolazione dei geni e della clonazione degli embrioni umani: 11 milioni di bimbi morti nel sud del mondo per via di malattie curabilissime; 14 milioni di orfani dell'Aids in massima parte bimbi abbandonati al loro destino in quel grande continente alla deriva che si chiama Africa; 300.000 bimbi soldato educati a uccidere e ad essere uccisi; 120 milioni di fanciulli che non possono andare a scuola (il 50% concentrati nell'Africa subsahariana). Per non parlare delle vittime che cadono ogni giorno per le infinite tragedie della fame e della violenza nell'assoluto silenzio dei mass media e nel totale menefreghismo della nostra societa' e della nostra politica. Ma e' in questo vangelo segreto che continua ad essere scritto, che si nasconde il mistero di Dio in quanto amore loquace e - nel contempo - si cela il mistero dell'uomo che vive, lotta e spera nel silenzio di un respiro vitale. 10. LIBRI. "LA PARABOLA DEL PATRIARCATO" DI MARIA ANNA ROSEI [La seguente breve nota di presentazione del libro di Maria Anna Rosei, La parabola del patriarcato. Dall'invenzione della techne alla restituzione dei panieri, Quaderni di Via Dogana (supplemento al n. 30 di "Via Dogana", febbraio-marzo 1997, lire 5.000) abbiamo tratto dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)] Maria Anna Rosei (Ascoli Piceno, 1946) e' professoressa associata di Chimica biologica e Metodologia biochimica presso l'Universita' La Sapienza di Roma. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche apparse su riviste internazionali e di un libro didattico (Manuale di metodi biochimici, Roma 1992), e' stata invitata in Europa e in Canada a tenere conferenze e a trascorrere periodi di ricerca, soprattutto nel campo della sintesi e struttura di melanine. Laureata in Scienze biologiche e in Medicina e chirurgia, Maria Anna Rosei si e' anche interessata attivamente di problematiche nutrizionistiche: oltre a insegnare, per dieci anni, biochimica della nutrizione presso la Scuola di specializzazione in scienza dell'alimentazione di Roma, si e' dedicata a conferenze (presso Usl, consultori, scuole ecc.), collaborazioni ("Il manifesto", "Nuova Ecologia") e un libro, Alimentazione e benessere (Milano 1982). Fa parte del consiglio scientifico della Legambiente. Nel movimento delle donne degli anni settanta, ha partecipato a gruppi di studio e di self-help, ha scritto di femminismo e di politica della scienza, e dal 1975 al 1983 ha operato come medica e nutrizionista presso il Centro Simonetta Tosi di Roma. La polemica suscitata dal suo articolo "La differenza dei sessi in biologia" (in "Via Dogana" n. 16, 1994) e' all'origine di questo Quaderno di Via Dogana, in cui l'autrice sviluppa la tesi che il patriarcato "e' una struttura pensata e costruita per bilanciare il sentimento di esclusione del maschio dalla generazione". 11. LETTURE. ALBERTO ASOR ROSA, LA GUERRA Alberto Asor Rosa, La guerra, Einaudi, Torino 2002, pp. VI + 240, euro 13. Asor Rosa riprende e prosegue la riflessione di Fuori dall'Occidente (il suo libro del 1992 suscitato dalla guerra del Golfo) alla luce delle guerre, dei conflitti e dell'inquietante "nuovo ordine" imperiale e terroristico attuale. 12. LETTURE. JEAN BAUDRILLARD: LO SPIRITO DEL TERRORISMO Jean Baudrillard, Lo spirito del terrorismo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, pp. 52, euro 6,50. Un utile articolo del celebre intellettuale francese, originariamente apparso su "Le monde". Una sola obiezione, alla casa editrice (peraltro benemerita): aver trasformato in volumetto, ed aver messo in vendita quindi ad un prezzo in proporzione decisamente eccessivo, un testo che si poteva stampare su un solo grande foglio e far circolare assai piu' ampiamente a un costo minimo. 13. LETTURE. MIMMO CORTESE, ROBERTO CUCCHINI: LA FORZA LIEVE Mimmo Cortese, Roberto Cucchini, La forza lieve, Edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2001, pp. 144, euro 12,39. "Tre esperienze di volontariato pacifista nei Balcani", una testimonianza e una riflessione di grande valore. 14. LETTURE. ASSIA DJEBAR: LA DONNA SENZA SEPOLTURA Assia Djebar, La donna senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 192, euro 14. La storia di Zoulikha, eroina della resistenza algerina, narrata da Assia Djebar, una delle voci decisive di questo momento dell'umanita'. Da leggere e meditare. 15. LETTURE. TIM JUDAH: GUERRA AL BUIO Tim Judah, Guerra al buio, Adelphi, Milano 2002, pp. 108, euro 7. Quattro reportage dall'Afghanistan gia' apparsi sulla prestigiosa "New York Review of Book". 16. RILETTURE. CATERINA FISCHETTI: LA PSICOANALISI INFANTILE Caterina Fischetti, La psicoanalisi infantile, Newton Compton, Roma 1996, pp. 98, lire 1.500. Un'agile introduzione alla riflessione sull'universo psichico infantile in ambito psicoanalitico, con particolar riferimento a Sigmund e Anna Freud, Melanie Klein, Donald Woods Winnicot e brevi cenni ad altre autrici ed autori (tra cui Bruno Bettelheim, Wilfred Bion, Frances Tustin). 17. RILETTURE. ALBA MARCOLI: IL BAMBINO NASCOSTO Alba Marcoli, Il bambino nascosto, Mondadori, Milano 1993, 2000, pp. 320, euro 6,71. "Favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli", recita il sottotitolo. Alba Marcoli e' psicologa clinica di formazione analitica, vive a Milano dove da trent'anni lavora nel campo dell'insegnamento, della psicoterapia e della formazione psicologica degli adulti; questo e gli altri volumi sotto indicati raccolgono alcuni materiali di un'esperienza di formazione psicologica per genitori ed educatori condotta attraverso l'uso di favole costruite su storie reali. 18. RILETTURE. ALBA MARCOLI: IL BAMBINO ARRABBIATO Alba Marcoli, Il bambino arrabbiato, Mondadori, Milano 1996, 2000, pp. 352, euro 7,75. "Favole per capire le rabbie infantili". 19. RILETTURE. ALBA MARCOLI: IL BAMBINO PERDUTO E RITROVATO Alba Marcoli, Il bambino perduto e ritrovato, Mondadori, Milano 1999, 2002, pp. 336, euro 6,80. "Favole per far la pace col bambino che siamo stati". 20. DA TRADURRE. "LA NOUVELLE REVUE FRANCAISE", NOVEMBRE 1951: HOMMAGE A ANDRE' GIDE "La Nouvelle Revue Francaise", novembre 1951, Hommage a Andre' Gide, pp. 424. Testimonianze, saggi, omaggi a Gide, pagine e lettere fino allora inedite di Gide: l'omaggio della "NRF" al suo grande animatore scomparso quell'anno. Non solo un documento della vita civile europea, ma una miniera di gemme e di idee. Metterebbe conto tradurlo e farlo circolare anche da noi, mezzo secolo dopo. 21. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 22. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 446 del 15 dicembre 2002
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